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Autore: keska    12/06/2009    26 recensioni
Tutto sommato stavo bene. Avevo solo bisogno di quello. Ormai, ne dipendevo.
Una volta soddisfatto il mio bisogno, sarei stata meglio, ne ero certa. O forse, no.
Una Bella e un Edward, al loro primo incontro. I personaggi rimangono identici, ma questa volta, hanno in comune, qualcosa in più.
Bella ha un problema grave, la bulimia, ma Edward le darà una mano a recuperare la salute.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Il giorno dopo, non mi sentivo più tranquilla

Il giorno dopo, non mi sentivo più tranquilla. L’agitazione non mi era passata, neppure dopo aver mangiato quell’enorme quantità di cibo del giorno prima. Avevo preso un decisione, questo era vero, ma mi sentivo comunque troppo vulnerabile. Non avevo idea di come avrei reagito, alla vista di… quel ragazzo, che ormai non osavo nominare neppure nei miei pensieri.

Non dovevo parlargli. Non dovevo guardalo. E non dovevo pensarlo. Lui, per me, non doveva esistere.

Presi il mio zaino, riempito con la mia roba, e il mio cibo. Nascosi la carta della barretta che avevo appena mangiato nel cruscotto. Ce ne erano molte altre. Appena uscita da scuola, avrei dovuto svuotarlo, in un cassonetto lontano dal centro.

M’incamminai verso la scuola, attenta a non guardare nulla in particolare, e nascondendomi il volto tra i capelli.

Camminavo velocemente, dritta verso la mia meta. M’infilai, facendomi largo tra la folla di ragazzi e entrai in classe.

Diedi una rapida occhiata in giro. Non c’era, bene.

Emisi un sospiro rilassato e mi andai a sedere al mio solito posto.

 

Era l’ora di inglese, e qualche minuto più tardi, il professore entrò in classe. Quel giorno, ci sarebbe stata una lezione che io avevo già seguito a Phoenix, e purtroppo, non catturò la mia attenzione adeguatamente.

Il mio problema con il cibo, era nato esattamente un anno e mezzo fa, quando mia madre Reneè, aveva cominciato a frequentare Phil. Non avevo per nulla vissuto bene quel momento, nel mio animo, covavo la profonda speranza che i miei genitori tornassero insieme. Ma non era quella la cosa peggiore. No, quello l’avrei superato, ce la potevo fare.

Il vero problema, quello che in nessuno modo riuscivo ad affrontare, era che acconsentendo al matrimonio, mi sembrava di tradire mio padre. Al contempo però, non approvando, avrei spezzato il cuore a mia madre.

Passai circa un mese, a covare in me il dolore, tentando di non mostrarlo né a mia madre, né a mio padre. Interiormente, cresceva sempre più, come una goccia di acido che piano piano corrode e scava, in profondità, facendo aumentare sempre più la sofferenza, l’angoscia, il disprezzo per se stessi e io, non riuscivo a resistere ancora, così, un giorno, crollai.

Ricordo perfettamente quel pomeriggio, mia madre era uscita insieme a Phil, dopo che il giorno prima le aveva fatto la proposta di matrimonio.

Ero distrutta, non volevo piangere, ma il giorno in cui avrei spezzato il cuore a mia madre o a mio padre, era sempre più vicino. Così, frugando nella credenza, trovai la mia ancora di salvezza, il cibo. Cominciai a mangiare, di più, sempre di più, sfogandomi di tutta la rabbia e il dolore represso.

Ma poi, quando mi accorsi del mio errore, mi sentii male. Strana. Sbagliata. Malata.

Quella fu, la prima volta che vomitai. Non fu così facile come si potrebbe pensare.

 

Me ne stavo seduta sul pavimento del bagno. Il mio dito tremava, non volevo, non volevo farlo. Lo avvicinavo al mio viso, lentamente, aprendo piano la bocca, ma poi, vinta da un moto di moralità, lo allontanavo. Ma poi pensavo ai miei enormi problemi, troppo grandi per me, e crollavo ancora, avvicinavo la mano, poggiando le dita sulle labbra chiuse, ma a quel contatto, come scottata, mi allontanavo ancora. Era come se infondo, dentro di me, sapevo che non l’avrei mai fatto.

Avevo fremiti per tutto il corpo, tremavo e piangevo. Pensavo ai miei genitori, a mia madre e mio padre. Gli stavo facendo un torto. Ma era meglio quello, che farli soffrire direttamente.

Codarda, codarda. Mi dicevo, mentre ancora piangevo.

Era sbagliato. Me l’avevano insegnato. A scuola, a casa. La bulimia è una cosa sbagliata. Me l’avevano sempre detto. Ma chi lo diceva non poteva capire il dolore che stavo provando in quel momento. Non poteva, non poteva.

Piansi, ancora, più forte. Odiavo le mie lacrime, odiavo il suono dei miei singhiozzi, odiavo me stessa. Non ce la facevo neppure a smettere ormai, e mia madre sarebbe tornata di lì a poco e non poteva vedermi così sconvolta.

Così, una volta per tutte, misi a tacere le lacrime.

Quando sollevai la testa, non ero stranamente pentita di ciò che avevo fatto. Almeno, non per il momento. Come se mi fossi liberata dal peso di una decisione. Non lo farò mai più, mi dissi, e tutto sembrò tornare al suo posto.

 

Avevo trovato in quello, un modo per sfogarmi, per evadere. Dopo averlo fatto, ero, dopo tanto tempo, ancora felice. Ma purtroppo, quella felicità, non durò tanto a lungo quanto sperassi, così, fui costretta a rifarlo. La seconda volta, fu leggermente più facile della prima. Tanto non lo rifarò, mi dicevo. Questa è l’ultima volta.

Ma ogni volta, i momenti in cui ero felice erano di meno, sempre meno. E io tentavo, mi aggrappavo con le unghie alla vana consapevolezza, che  avrei potuto smettere da un momento all’altro, se solo avessi voluto, ma mi giustificavo dicendo, che in quel momento ne avevo troppo bisogno.

Non andavo certo orgogliosa di quello che facevo, e nei momenti più tristi piangevo e piangevo la disperazione che mi causavano quei momenti sconsiderati. Ma la disperazione enorme che provavo, mi portava solo a rifarlo, per tentare in tutti i modi di sentirmi meglio.

Nessuno era a conoscenza del mio problema. Non ero mai stata una brava attrice, ma riuscivo comunque a tenere per me i miei veri sentimenti. E poi mia madre era così felice e così presa da Phil, che non avrebbe mai potuto rendersene conto. Non la biasimavo, povera donna, era stata costretta a crescermi da sola per diciassette anni.

Tuttavia, il cibo non mi faceva quasi più effetto, e la mia disperazione aumentava sempre più, scatenando nuove reazioni a catena e facendomi sempre più cadere nel baratro profondo in cui stavo scivolando.

Proprio quando quasi pensavo di non potercela fare più, il giorno dopo il matrimonio, mi venne l’illuminazione.

Così, partii per Forks, da mio padre.

Ebbi una lieve ripresa, ma quando tentai di ritornare alle mie normali abitudini alimentari, non ce la feci più. Ormai, ne ero troppo presa, e le chiamate di mia madre, preoccupata per me e che mi supplicava a ritornare, non erano d’aiuto.

A quel punto, la bulimia divenne un’abitudine, a cui non riuscivo più a sottrarmi. Mangiare non era più un gesto fatto per vivere, o per il gusto di farlo. Mangiavo per sopravvivere, enormi quantità di cibo, senza neppure rendermene conto, dal momento in cui cominciavo a masticare.

Mio padre, non si era accorto di nulla. Almeno, io credevo e speravo fosse così. Ogni tanto, dopo mangiato, si fermava volontariamente a parlare più del dovuto con me. Non so se volesse evitare che andassi in bagno a vomitare. Secondo me no, perché lo faceva anche prima di mangiare o dopo la partita.

Probabilmente aveva intuito il fatto che io avessi un problema, ma non aveva capito di che natura fosse e ora, credo si stesse abituando anche lui ai miei sbalzi d’umore.

 

-Signorina Swan?- mi sentii chiamare dal professore -capisco che Otello sia commovente, ma fino al punto di piangere!-

Mi accorsi di avere le guance completamente bagnate. -Mi scusi…- feci una risatina isterica, mentre intanto dentro mi sentivo morire. In fretta, mi asciugai le lacrime, nervosamente.

Avevo fatto un grossissimo errore a lasciarmi andare a quei ricordi dolorosi, e tutto per quell’insignificante ragazzo, che cominciavo ad odiare sempre più. Ora, conoscevo un solo modo per poter stare meglio. Ma l’orario della mensa era troppo lontano e io non avrei resistito ancora così a lungo, prima, sarei crollata e non potevo permettermelo, in nessun caso.

La campanella, che decretava la fine della prima ora di lezione, suonò e io presi in fretta il mio prezioso zaino, avviandomi per i corridoi.

Conoscevo la mia meta. Era uno stanzino usato sai bidelli, ma ormai non ci entravano tanto neppure loro, perché ne avevano uno nuovo e più grande. L’avevo scoperto per caso in uno dei miei momenti di debolezza, e poi ci ero stata altre cinque o sei volte. Non importava più ormai, ora che tutto era diventato un’abitudine, avevo perso il conto di quante volte lo facevo.

 

Purtroppo però, sulla mia strada lo incontrai. Era ancora lontano da me, ma per arrivare alla mia meta, ci sarei dovuta per forza passare accanto, nel corridoio. In compagnia di due ragazzi troppo simili a lui per non identificarli immediatamente come suoi fratelli, bellissimi, ma mai quanto lui.

Come il giorno precedente, notai che gli altri studenti non ci parlavano. Anzi, a dire il vero, non li guardavano neppure, come se fossero trasparenti. E lo stesso trattamento usavano loro verso gli altri ragazzi.

Mi resi conto che lo stavo fissando troppo, troppo, ma i miei pensieri, ancora una volta, erano sfuggiti alla mia volontà, segno che avevo urgente bisogno di cibo.

Non dovevo guardarlo. Non dovevo pensarlo. Lui per me non esisteva. Non potevo permettergli di rovinarmi ancora una volta la vita.

Quando gli passai accanto, la faccia nascosta dai capelli e dal giaccone, si voltò verso di me, sorridendomi. Non capivo perché. Insomma, tutti gli altri erano trasparenti per lui, perché doveva guardare proprio me?!

-Ciao- mi disse, con voce melodiosa e cordialità.

Non rispondere, non rispondere, non rispondere. Riuscii nel mio compito e lo sorpassai, non degnandolo di uno sguardo.

Volevo voltarmi, a controllare la sua espressione per quella mia reazione, ma riuscii a resistere ancora e non lo feci.

Arrivata a destinazione, sfilai il cibo dallo zaino e iniziai a mangiare senza controllo. Arrivata a quel punto, non me ne sentivo più neppure in colpa. E comunque, non me ne sarei mai sentita in colpa in quel momento. Era… era come se perdessi per qualche istante il controllo di me stessa. “Ma si, che male mi può fare… Che vuoi che sia… Mangia e basta, non ti fare di questi problemi… Basta, ora non me ne importa più nulla!” mi dicevo le prime volte. Ora, neppure quello. La frenesia mi annullava completamente.

Almeno finché poi non dovevo correre in bagno a vomitare.

 

Arrivai leggermente in ritardo a lezione di trigonometria, appena due minuti forse, ma il professore, che mi stava antipatico sin dal primo giorno, lo dovette far notare a tutti, distruggendo una consistente fetta del buonumore che ero riuscita a racimolare.

Mi sedetti in silenzio accanto a Jessica. Lei mi lanciava occhiate furtive, voleva evidentemente dirmi qualcosa.

-Che c’è?- sbottai a bassa voce, quando quelle occhiatine si fecero ancora più insistenti.

Si vece più vicina, così che potessi udire i suoi sussurri -Ieri ti hanno vista parlare con Edward Cullen- sentir pronunciare quel nome, mi causò un fremito -sia a lezione, che dopo la palestra…-

-E con questo?- sbottai fra i denti, a bassa voce.

-Nessuno dei Cullen ha parlato con un altro studente!- Le mie osservazioni, allora, si rivelarono fondate. Perché quel ragazzo parlava solo con me? Sentii nel mio cuore, emergere un nuovo sentimento. Conforto, lusinga. Contemporaneamente però, mi sentii spezzare. Stava accadendo di nuovo, quel ragazzo mi stava causando nuovamente felicità.

Notai che Jessica mi stava ancora fissando con impazienza, probabilmente in attesa di dettagli o di chissà quale reazione.

Feci spallucce, con ostentata noncuranza. Non volevo pensare a Edward Cullen.

-Allora, cos’hai da dire?- chiese insistente.

-Basta, Jessica!- il mio buonumore era nuovamente scomparso. -Basta!- dissi severa.

Lei si girò dall’altra parte, risentita, ma almeno rimase in silenzio fino alla fine della lezione.

 

Le due ore successive, passarono serenamente, in presenza di Angela, che a differenza di Jessica, sapeva mantenere il silenzio e adattarsi ai miei umori.

Riacquisii un minimo di lucidità, che mi aiutò ad arrivare alla mensa con la dovuta discrezione e tranquillità.

Presi il vassoio con il cibo, in una quantità normale, non superiore alla media. Se l’avessi riempito, troppe persone se ne sarebbero accorte in una cittadina così piccola come Forks. Tanto poi, una volta al tavolo avrei aggiunto le mie cose, che stavano nel mio zaino.

M’incamminai verso l’angolo più nascosto della mensa, dov’era il mio tavolo. Vuoto, ovviamente.

Poggiai il vassoio e sistemai la borsa, in modo da coprire maggiormente la visuale.

I primi due giorni, Jessica e Mike avevano insistito per farmi sedere al loro tavolo. All’ennesima insistenza, ero esplosa, arrabbiandomi. Ora pranzavo sola. Bene.

-Cosa mangi?-

La sorpresa, fu l’unica cosa che provai in quel momento. Sorpresa, nel sentire quella voce melodiosa, lì dietro di me, e sorpresa, perché realmente non sapevo cosa avessi tra i denti. Insomma, non mi curavo più da ormai troppo tempo di cosa mangiavo.

Subito dopo la sorpresa, spuntò l’irritazione. Nessuno. Nessuno mi interrompeva mentre mangiavo.

 

Tuttavia, sorprendentemente, quando mi voltai, la mia furia si sciolse come neve al sole. Aveva un sguardo così gentile, e dolce.

-Scusa, che maleducato, non ti ho chiesto se posso sedermi…- si scusò gentilmente.

No, dì di no. Non lo fare Bella, non lo fare. -Si…- sussurrai. Stupida, stupida. Non avevo idea di cosa mi stesse accadendo. Provavo un sentimento che non riuscivo, per quanto mi sforzassi, a definire. Ero… come imbambolata.

Con un movimento elegante, si sedette accanto a me.

-Allora, cosa mangiavi?- insistette. Mi sorpresi a guardare un pezzo di pizza tra le mie mani, avevo smesso di mangiare.

-Pizza…- sussurrai, lasciandola cadere nel piatto. Non mangiavo davanti agli altri.

-Stai bene?- mi chiese. Sussultai a quella domanda, fissandolo poi curiosa, così lui aggiunse -stamattina mi sei sembrata… strana…-

Ripensai allo sguardo carico d’odio che gli avevo lanciato quella mattina. Non ci riuscivo più. Ero pervasa da un melenso fiume di appannamento che non mi faceva rimanere lucida.

-Scusa… avevo mal di testa…- mi affrettai a rispondere, quando mi accorsi di aver fatto passare troppo silenzio. Lui fece un cenno, come a darmene atto. Abbassai lo sguardo, frastornata. Nel vassoio era rimasto solo un pezzo di pizza mezzo mangiucchiato.

-Come mai te ne stavi qui tutta sola?- mi chiese curioso, dopo un po’.

Mi morsi un labbro, risollevando lo sguardo -Pensavo…-

-A cosa?- m’incalzò con rinnovato interesse. I suoi occhi, non so come fosse possibile, mi sembravano anche più chiari del giorno precedente, e quando mi guardava, era come se il loro contenuto liquido m’ipnotizzasse.

Mi accorsi che avevo smesso di mangiare. Mai, o quasi mai, da quando il mio problema aveva preso il sopravvento, durante un’abbuffata smettevo di mangiare. Segno che le mie abitudini stavano cambiando e questo, non andava affatto bene.

Afferrai il mio zaino e me lo misi in spalla, scuotendo la testa come a cancellare il mio annebbiamento.

-Scusa, ora devo andare.- dissi, allontanandomi e riprendendo coscienza di me stessa, mentre la testa mi girava per il turbine di pensieri che mi scuoteva.

Probabilmente mi salutò, ma non risposi, né, sentii ciò che mi disse.

 

Non avevo più fame. Male, malissimo. Sbagliato.

Uscii dalla mensa di corsa, avviandomi verso il mio pick up. Una volta arrivata, gettai lo zaino sul sedile, e mi stesi, nascondendomi da occhi indiscreti.

Arrivata a quel punto, lasciai che le lacrime cadessero. Odio, mero odio, provavo per quel ragazzo. Eppure, rievocando anche solo un attimo il suo sorriso dolce, il suo sguardo educato, i suoi modi gentili, non potevo fare a meno di sentirmi confortata, ma per questo anche più triste e depressa.

Perché, perché doveva giungere quell’ulteriore dettaglio a sconvolgere la mia vita!

Non sapevo cosa fare, come comportarmi, ero sconvolta, e questo non andava bene.

Piansi, piansi, sempre più forte, fino a sentire il suono dei miei singhiozzi. A quel punto mi bloccai. Basta.

Con un gesto automatico, mi misi a sedere. Guardai la mia immagine riflessa nello specchietto retrovisore. Ero sconvolta, avevo le occhiaie e gli occhi gonfi e arrossati.

Mi affettai a cancellarmi i solchi lasciati dalle lacrime. Presi una salvietta dal cruscotto e mi pulii per bene la faccia.

Ad un occhio attento non sarebbe certo sfuggito il fatto che avevo pianto, ma considerando che gli unici che facevano caso a me erano Mike, Jessica e Angela, avrei potuto evitarli.

Ma poi, mi ricordai di lui. No, meglio non andare a lezione di biologia. Non avevo mai saltato le lezioni, ma… Se si fosse accorto di qualcosa?

Non fui presa dal solito moto di paura dell’essere scoperta, di deludere i miei cari, di portare loro il tormento, ma… dalla vergogna. Certo, quando pensavo che mio padre l’avrebbe potuto capire, provavo anche quella, ma non come sentimento preponderante, come in questo caso.

Ma non volevo saltare un’ora, e dare un’altra possibile causa di dispiacere a mio padre.

Decisi di andare in segreteria, a farmi fare una giustificazione, dopotutto, l’aria strapazzata ce l’avevo, e avevo anche detto a… Edward, facevo fatica a pensare quel nome, di avere mal di testa.

Così, scesi dal pick up e mi avviai verso la segreteria. Il cielo era nuvoloso, ma a differenza del solito, la nebbiolina che mi circondava, mi dava piacere. Mi cancellava il torpore, dovuto alle lacrime, e impediva la vista chiara del mio viso.

 

Improvvisamente, sentii la sua voce, mentre parlava con un altro ragazzo dalla voce melodiosa.

Erano appena sotto il portico, dietro l’angolo.

-Non riesco a capire, ieri non mi sembrava così… Ha detto di non sentirsi molto bene…- Era ansia quella che sentivo nella sua voce?

-Che ti prende, Edward? Non ti ho mai sentito in questo modo. Riesci a capire cosa ti stia succedendo?-

Un sospiro.

-No… Sento… Che c’è qualcosa di sbagliato. Un problema. Mi… mi sento in dovere di aiutarla… io… non so perché. Non si spiega, non proprio lei.-

Trattenni il fiato.

-Vedrò che posso fare, fratello.-

-A distanza Jasper- doveva essere quello il nome dell’altro fratello -Voglio che stia tranquilla, voglio pensarci io a starle accanto.-

 

A quel punto, tutto fu troppo per me. M’infilai in segreteria, sbattendo la porta.

La signorina Cope non mi chiese troppe spiegazioni, evidentemente il mio viso tormentato, fu abbastanza eloquente.

-Vuoi fermarti un attimo in infermeria, cara?-

-No, preferisco andare a casa, è solo un forte mal di testa, grazie di tutto…- dissi evasiva, mentre la vedevo lanciarmi una strana occhiata. Mi misi lo zaino in spalla e mi avviai di fretta fuori dall’ufficio, ansiosa di riordinare i miei pensieri.

Purtroppo, sbattei nuovamente contro qualcosa. No, ti prego, non lui.

-Ci incontriamo sempre così, eh?!- disse la sua voce melodiosa. Alzai lo sguardo. Mi stava fissando, gentile.

-Stai bene?- mi chiese quando non risposi, troppo persa nel suo sguardo.

Mi accorsi che mi era caduto lo zaino e il contenuto ne stava uscendo fuori. Lui si piegò sulle ginocchia, tendendo una mano per aiutarmi a metterne di nuovo dentro il contenuto.

-No!- dissi, troppo velocemente e con troppa veemenza. -Lascia.- ordinai perentoria, riemergendo dal mio annebbiamento.

Lui sembrò sorpreso dalla mia reazione, ma allontanò immediatamente le mani, tirandosi su.

Sistemai tutto alla bell’e meglio, mi cacciai lo zaino in spalla, e ignorai la sua mano pallida che voleva aiutarmi a tirarmi su. Facendo forza sui talloni mi sollevai e, senza degnarlo di un ulteriore sguardo, corsi via.

 

Ok, ragazze. Premetto una cosa. Circa tre ore dopo la pubblicazione di questa storia, stavo piangendo come un disperata perché mi avete detto tutte che sarebbe stato difficilissimo, e che era un argomento molto impegnativo. Grazie per la fiducia -.-

:D A Parte scherzi, non ho proprio pianto, ma devo dire che mi ha preso un moto di preoccupazione e ansia, e ho rotto le scatole alle crucci (grazie cru) finché non mi ha calmata dicendomi che io scrivo per me stessa soprattutto e che ci dovevo comunque provare a mettermi in gioco. Com’è saggia la cru, vero?! u.u

 

Quindi, un po’ più calma e tranquilla, mi sono rimessa al lavoro, analizzando pian piano quello che volevo scrivere. Spero di essere riuscita almeno un pochettino nel mio compito, altrimenti, quel che sarà, sarà. Se ho sbagliato qualcosa, ditemelo, non me la prenderò. L’importante è che io mi sia sentita soddisfatta nello scrivere questa storia, e anche se non vi dovesse piacere, continuerò, per me, tentando sempre di correggere i miei errori.

Grazie a tutte.

 

azaz grazie cuore! Aspettavo con ansia il tuo verdetto! ;) Si, in effetti ho cambiato, e non poco, argomento… ^^ Ti ringrazio per tutti i complimenti, ma devo dire che mi è venuta davvero tanta paura! Adesso tutti si aspettano qualcosa da me, hanno cacciato un coltello e mi hanno rinchiusa in una stanzetta buia, e ora io devo trovare l’uscita d’emergenza!!! Help me! E cmq, non poteva essere cleptomania, perché, proprio per non ingannarvi, ho scritto che pagava in contanti! Ti devo dire, una delle cose che m’incuriosisce maggiormente di questa storia è il rapporto tra Edward e Bella, è… diverso dal solito, ecco. E’ strano, vero? Sono curiosa di sapere come si comporteranno in futuro, che cosa farà Edward soprattutto… Ops, scusa, mi sono lasciata un po’ andare… Ora dirai, “ma se non lo sai tu, chi lo sa che succederà?”, eh, in effetti, no, non lo so, sono i personaggi che lo decidono… Non so se hai capito, non è facile da spiegare. E… come se prendessero vita. Man mano che scrivo, partecipano ai miei fatti e assumono atteggiamenti differenti… Ecco, no, non mi fare internare! XD

cloe cullen No!!! Non ti ci mettere anche tu a dire che il tema è difficile, perché praticamente me l’hanno già detto tutti! T.T Mi sto scoraggiando, sai… Forse non è proprio una buona idea…

samara28 Oh, wow, sono sconvolta! Cioè, praticamente in realtà non avevo capito bene neppure io cosa volevo fare. Perché, in pratica, non mi ricordo se tu scrivi, si lo fai, quindi sai come ci si sete no, le emozioni, le sensazioni, si mettono nero su bianco per trasmetterle. Poi, diciamo, dopo tre o quattro capitoli, si capisce cosa si vuole fare e il messaggio è chiaro anche allo scrittore. Ok, diciamo che tu hai accelerato i tempi. Grazie della bella recensione J  

Lau_twilight ho fatto prestissimo, visto?! E l’ho fatto anche di una lunghezza decente stavolta… J Spero che la tua fiducia non sia stata mal riposta…

_la sua bella_ oh, beh, grazie mille, e spero di aver aggiornato abbastanza in fretta! Cullen’s Love è La fan fiction. Questa è una fan fiction, non ci posso mettere lo stesso impegno, perché questa è già di per se più impegnativa da scrivere…

IsAry beh, si, l’idea era proprio quella, mantenere il mistero fino alla fine! J Spero ti piaccia, per me è davvero importante…

barbyemarco sono contenta che ti piaccia e, certo che la continuo!!! E’vero è diversa da Cullen’s Love, l’avevo detto! ;)

ale03 sospettavo già che ci sarebbe stato qualcuno che si sarebbe sentito più intimamente preso. E’ un problema molto, molto diffuso, inutile chiudere gli occhi. Complimenti se sei riuscita a uscirne…

pinkgir certo, si, grazie per il consiglio. In realtà ho voluta lasciarla così, almeno per i primi tempi, per un puro artifizio linguistico… Come hai notato infatti, nel primo capitolo si mantiene il mistero fino all’ultimo rigo. Ma d’ora in poi lo scriverò, onde evitare malintesi…

crucci grazie cru, te l’ho già detto che ti adoro! Senza di te in questo momento starei in piena crisi isterica!

patu4ever beh, grazie. Si, me l’avete detto tutte che ho scelto un argomento difficile, ma mi sentivo pronta ad affrontarlo, dopo l’esperienza che ho fatto, quindi… questo è quanto.

m_aljen no figurati. Anzi sai che ti dico, questa è la prima recensione negativa che mi viene fatta in… cinque mesi?! Finalmente! Ho sempre spronato tutti a dirmi ciò che pensano veramente, anche il “lato negativo”, ma non l’ha mai fatto nessuno, chissà perché forse non c’era realmente o semplicemente non volevano dirmelo. Comunque, tornando a noi. Prima di tutto, ti ringrazio di cuore per avermi detto che la storia è scritta bene. Secondo, passiamo alla parte “dolente” J. Non sempre fantasia vuol dire felicità. Capisco che Twilight faccia parte di un genere fantasy, ma è anche un romanzo, ti sembrerà un eresia, molto realistico. Per questo, non ci trovo nulla di male, nel tentare di esprimere ciò che c’è dentro l’animo umano. Proprio quando si trova in momenti di difficoltà. Ecco perché ho scelto questo come tema. Infine, il punto d’incontro che c’è tra Edward e Bella, sta proprio nel loro anelare a qualcosa, in questo caso al cibo, e non riuscire a controllarsi, finendo per ferire addirittura se stessi. Comunque non sarai obbligata a seguire questa storia, ma sono contenta che mi abbia espresso il tuo pensiero. A presto, se vorrai, Francesca.

Luna95 già, emm… la “disintossicazione” non è una cosa facile, ma tinei conto che accanto a lei c’è Edward quindi… tutto è diverso…

Wind eheh, ti dico che è ancora all’inizio e che mi piacciono tantissimo le sfide difficili. Quindi, a noi due, storiella mia!

luisina certo, ti capisco cuore. Grazie davvero tanto dei tuoi apprezzamenti, sono contenta di essere riuscita nell’impresa di raccontare l’”ossessione” di Bella. E ti dico anche congratulazioni, devi essere una persona davvero forte se ce l’hai fatta con le tue forze… J

Confusina_94 lo sapevo io! La mia amica mi aveva detto che dall’introduzione si capiva cosi! XD Nono, proprio dorata no, però io cibo può diventare una droga…

mazza ciao piccoletta! ^^ Anche qui vedo, eh! Sono contenta… Beh, sono anche contenta del fatto che tu non abbia di questi, problemi, ma l’ho già detto, non derivano solo da quello… E cmq ti prometto che non ti farò usare troppi fazzoletti, ok?! J

AmorePsiche ciao, grazie! J Beh, spero continui a piacerti…

 

 

Questa fan fiction non è stata scritta da un medico, pur contenendo documentazioni valide di medicina, quindi non basatevi su quanto scritti in queste pagine.

Questa fan fiction è CONTRO la bulimia.

 

   
 
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