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Autore: Love_My_Spotless_Mind    29/06/2017    0 recensioni
Jonghoon è sempre stato un artista taciturno, tutto dedito alla sua musica e concentrato sul suo gruppo. Tuttavia, da quando le AoA sono arrivate alla Fnc non ha mai smesso di desiderare di conoscere Choa. Fin dal momento in cui era una ragazzina dai capelli neri e lunghi avrebbe voluto conoscere il suo cuore.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jonghoon, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo III

Per Natale la maggior parte dei ragazzi sarebbe tornato a casa, almeno per poter rivedere i loro famigliari. Choa avrebbe fatto lo stesso, solamente Seolhyun sarebbe rimasta in dormitorio poiché aveva degli eventi molto importanti a cui partecipare. Il suo era un ruolo che richiedeva notevoli sacrifici. Alcune volte Choa si chiedeva come facesse a resistere a tutta quella pressione, a riuscire ad apparire sempre rilassata e a non mostrare nemmeno un difetto. Era ammirevole il suo autocontrollo. Non si concedeva sfizi, non esistevano giorni senza allenamento. Persino quando aveva la febbre o era nel primo giorno di mestruazioni, risultava attiva e bellissima. Choa bussò alla porta, entrando nella sua stanza. Erano rimaste solo loro in casa mentre le altre erano già partite. – Ti disturbo? – le chiese con un sorriso. L’altra le disse di entrare.
Era appena uscita dalla doccia, si stava infilando il pigiama per potersi finalmente mettere a letto. – Non vai? rischi di arrivare tardi a casa dei tuoi. -  le domandò raccogliendo i lunghi capelli umidi nell’asciugamano. – Si, si, ora vado. In realtà non credo abbiano molta fretta di vedermi. Un mio cugino ha ben deciso di mostrargli qualche fancam dove era insistentemente ripreso il mio sedere e mio padre non si è mostrato troppo contento. –
Seohlyon l’osservò qualche istante, dispiaciuta per quanto la sua amica aveva fatto. -Non ancora lo mandano giù questo lavoro, eh? –
-Non credo lo faranno mai. – si sedette sul letto della ragazza facendo un sospiro. – Ma non sono venuta per parlarti di questo. Ho un regalo per te. – e le mostrò un bel pacchetto che fino ad allora aveva tenuto dietro la schiena per non farglielo vedere.
-WoW onnie, grazie! – gridò lei aprendo la scatola e trovando delle bellissime scarpe da ginnastica, con il fiocco sul retro. – Sei la migliore. Ma io… mi dispiace… non ho avuto tempo per un regalo. –
-Scherzi? Non preoccuparti, lavori così tanto. Volevo essere sicura che non ti sentissi sola in questi giorni. – le due si abbracciarono strette. Com’era sottile Seoulhyun e com’era profumata la sua pelle. A guardarla ora le veniva in mente i primi incontri, quando aveva ancora la divisa della scuola ed il viso da bambina. Ora Seolhyun era una ragazza carismatica e sicura, sperava nessuno sarebbe mai riuscito ad ostacolarla. Choa stava per andarsene quando l’amica la richiamò.
-Onnie, c’è qualcuno che ti piace, non è vero? – le domandò dopo un po’ di titubanza, ricercando il suo sguardo.
-Perché me lo chiedi, eh? – ridacchiò Choa sorpresa da quella domanda.
-Perché penso tu debba assolutamente salutarlo prima di partire. Se c’è, questo qualcuno. –
Choa annuì, non riuscendo a smettere di sorridere – Seoulhyun, un giorno mi spiegherai come fai a capire le cose prima di me. – e le due si salutarono.
La ragazza portò fuori dal palazzo le valige, sistemandole sul retro della sua automobile. Non aveva portato con sé molti vestiti, l’idea era quella di non trattenersi a lungo. In famiglia non avevano mai accettato la sua professione, esattamente come erano sempre stati mal visti alcuni tratti del suo carattere. Alle volte lei sapeva rivelarsi combattiva e decisa, cosa che il padre non aveva sempre gradito. Chissà, magari avrebbe terminato le vacanze trasferendosi in qualche albergo della zona. Si sedette in macchina ma proprio mentre stava per mettere in moto capì che Seoulhyun aveva ragione. Doveva salutare qualcuno prima di partire. Uscì dalla macchina, rientrando nel palazzo e mettendosi a correre su per le scale. Corse fino all’appartamento dei ragazzi, due piani più sopra del suo. Si sistemò frettolosamente i capelli, domandandosi se il viso fosse a posto, se i vestiti fossero in ordine. Improvvisamente le venne la tachicardia. Suonò il campanello. Era nervosa.
Le aprì Jaejin, in pantaloncini. – Ehi, nuna, che ci fai qui? – le domandò sorpreso da quella visita poiché non erano frequenti le incursioni delle ragazze nel loro appartamento. – Ciao. – lo salutò lei imbarazzata, non sapendo come giustificarsi. – Volevo… augurarvi buon natale prima di partire. – Il ragazzo la fece entrare, gli altri erano seduti sul divano e giocavano alla playstation. Furono sorpresi anche loro di vederla. Proprio mentre Choa se ne stava impacciata all’ingresso apparve Jonghoon. La sorpresa di vederla fu molto grande. Non credeva si sarebbero rivisti prima del nuovo anno.
-Hyung, Choa nuna è venuta a salutarci. – lo informò Minhwan, seduto sul divano. Jonghoon non riusciva a parlare. Non voleva mostrare ai suoi compagni quanto fosse piacevolmente contento di vederla. Eppure, quel modo in cui continuavano a guardarsi, stando in silenzio, sollevava sufficienti sospetti. – Stai partendo? – le chiese, restando sempre sul fondo della stanza. – Si… almeno una volta l’anno mi tocca farmi vedere a casa. – spiegò lei frettolosamente – Voi non partite? –
-No, abbiamo spesso vacanza. Almeno a Natale ne approfittiamo per fare le prove. – rispose Jaejin.
-Ah, capisco. Fortunati. – scherzò lei, con un velo d’imbarazzo. – Allora… io vado. I miei mi aspettano. Buone vacanze. –
Si voltò di scatto verso la porta, sentendo le guance in fiamme. La aprì, con l’intenzione di lanciarsi sulle scale e sparire il prima possibile. – Aspetta. – disse solo in quel momento Jonghoon – Ti accompagno. –
Scesero le scale in silenzio e solo quando furono di fronte alla macchina di lei riuscì a dire qualcosa. – Scusa… non siamo abituati a ricevere visite femminili. – cercò di giustificare gli sguardi dei compagni che in verità erano dovuti al fatto che FT Island e Aoa erano sempre stati tenuti piuttosto lontani dalla stessa casa discografica. Tra di loro era rimasta sempre un’atmosfera impacciata. – Non importa, credevo di trovarti solo, tutto qui. – si giustificò lei, aprendo la portiera.
Jonghoon le prese il braccio – Aspetta, volevi salutare me? – . Choa si voltò fissandolo irritata da tutta quella sorpresa. – Ti stupisce tanto questa cosa? Non siamo amici, Jonghoon? Scusami… forse ho frainteso io. Non dovevo venire. – si apprestò a dire, credendo di aver frainteso la loro complicità, di essersi spinta un po’ troppo oltre.
-Non volevo si facessero strane idee su noi due. –
A quelle parole Choa rabbrividì, sentendosi sprofondare nello sconforto di essere stata l’unica a pensare fosse normale parlargli ogni qual volta volesse. Entrò in macchina, chiudendo lo sportello e mettendosi la cintura. Abbassò il finestrino solo per salutarlo, senza posare lo sguardo su di lui: - Ciao, Jonghoon, buone vacanze. –
Mai il periodo di Natale era parso tanto lungo ad entrambi. Choa a casa dei suoi si sentiva una carcerata, ogni occasione era buona per suscitare nei parenti battutine sul suo lavoro o sul concept sexy delle canzoni del suo gruppo. Con i genitori non c’era mai stato dialogo. L’unica nota positiva era potersi rifugiare nella sua cameretta da adolescente, dove erano ancora appesi i poster degli attori e dei cantanti di cui era invaghita alle superiori. Nell’armadio restavano i vestiti ridicoli del tempo della scuola. Nei cassetti stavano le canzoni che aveva scritto, nascoste qui e là i vecchi diari pieni di sogni.
Ogni qual volta le capitava di ripensare all’ultima giornata passata  a Seoul si sentiva una stupida. Certo, Jonghoon non voleva gli altri potessero fraintendere. Giusto. Erano solo due conoscenti. Due che si erano aiutati per un po’ e poi basta. Allora perché era così infuriata con lui? Perché credeva che se fosse stato lì sarebbe stato diverso? Le era capitato di piangere silenziosamente di notte, standosene con lo sguardo diretto verso il soffitto ed il cuore proteso nella ricerca di ricordi che riguardavano lui.
Aveva superato il provino dopo averne provati e falliti tantissimi. La pressione di quei giorni era stata grandissima. Le sembrava di non saper fare nulla, di non essere la persona adatta. In uno di quei momenti di sconforto era apparso lui, Jonghoon. Le aveva offerto una barretta di cioccolato e le aveva spettinato i capelli, credendo fosse una ragazzina come tutte le altre. Non aveva potuto fare a meno di trovarlo bello e gentile. Lui si era accorto delle sue fatiche, aveva rotto la barriera che li divideva, aveva creato un contatto. Lei aveva rovinato tutto.
Jonghoon appariva triste, era evidente. Per lo più restava nella sua stanza oppure diceva di uscire per una passeggiata, alla fine spariva per ore. Stava a fissare il cellulare indeciso se scriverle o meno, alla fine non lo faceva. Si sentiva uno stronzo per le parole che aveva detto. E il modo in cui lei se n’era andata, senza nemmeno guardarlo, l’aveva a dir poco ferito.
Durante le prove era distratto, quando gli altri scherzavano si dimostrava sofferente. In una di quelle sere di profondo sconforto Hongki gli si fece vicino. – Ti va di parlare? – gli chiese passandogli una bottiglia di birra prima di stapparne una per sé. Jonghoon si voltò verso di lui, lo osservò sorseggiando un po’ dalla bottiglia. – Dici che dovrei? – Hongki era suo amico da prima che diventassero un gruppo. Tra i due era sempre stato il più allegro, il più spavaldo, quello che si lanciava a capofitto nelle cose. E Jonghoon non si era mai pentito di assecondare quell’esuberanza. A lui aveva parlato di molte ragazze, era stato rimproverato per quel dare poco peso alle relazioni. Ma alla fine l’aveva sempre avuto vicino quando ne aveva avuto bisogno.
-Stai uno schifo, amico, guarda che l’ho capito. – sospirò Hongki, bevendo un po’ della propria. – Ti piace lei, Choa, non è vero? Si è visto l’altro giorno. L’abbiamo capito tutti. –
 -No, non è vero. – rispose improvvisamente lui, quasi esplodendo. – Cos’è che avete capito? Non mi piace, per nulla. Vi siete sbagliati. – continuò a bere standosene in silenzio per un po’. Gli restava difficile ammetterlo, soprattutto perché non l’aveva ancora compreso. – Siamo colleghi, si sa come finirebbero queste cose. Se ci fosse qualcosa l’atmosfera diventerebbe insopportabile a lavoro. –
-Seriamente pensi a questo? Al lavoro? Okay, non ti piace. Ma se ti piacesse non avrebbe senso pensare a questo, dovresti vivertelo quel sentimenti, mi capisci? O finiresti per pentirtene. –
-Non voglio farmi male. –
-Potresti non farti male. Potrebbe andarti benissimo, potresti essere felice, pensaci. –
E ci pensò per tutto il resto delle vacanze, persino quando scese la neve o quando scoccò la mezzanotte e giunse sottovoce un nuovo anno.
  
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