Titolo:
Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste,
Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero,
romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what
if...?, original character
Wordcount: 3.251 (Fidipù)
Note: E ci siamo! Un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 è giunto
e, chi aveva letto quel piccolo pezzo che avevo messo sulla pagina
facebook, lo stava attendendo con molta ansia. Ma eccolo qua,
finalmente! E che dire? Non vi disturberò più di tanto con le mie solite
note, dato che non è che ci siamo molto da dire e quindi passo alle solite
informazioni di servizio.
Domani sarà il turno di Lemonish,
che concluderà questa settimana di aggiornamenti che, come al solito, è
stava veramente intensa (un giorno, forse, riuscirò a riavere di nuovo un
calendario meno pieno).
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per essere sempre aggiornati e
avere piccole anteprime dei capitoli, dei progetti futuri, dei miei
scleri.
Infine, ma solo perché è un rito mettere i ringraziamenti alla fine,
voglio ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie
storie nelle vostre liste.
Grazie di cuore!
Alex osservò la ragazzina accomodarsi sulla
sedia e poggiare i palmi sul tavolo, mentre vagava con lo sguardo per la
stanza e si posava, di tanto in tanto, su qualche soprammobile: le mise un
bicchiere ricolmo dell’unica bevanda in casa – esclusa l’acqua e il the
del maestro Fu – e si sistemò nel posto davanti a lei, continuando a
guardarla mentre lei ne beveva un piccolo sorso, storcendo la bocca quando
il sapore aspro le inondò la bocca: «Scusa, in casa abbiamo solo il succo
al pompelmo» mormorò Alex, portandosi una mano al collo e
massaggiandoselo, lasciando andare un sospiro: «L’alternativa sarebbe
stato il the.»
Manon annuì con la testa, facendo danzare le codine in cui aveva legato i
capelli, e abbassò lo sguardo, tenendolo fisso sul liquido giallognolo:
«Allora…» iniziò Alex, passandosi la lingua sul labbro inferiore e
sistemandosi gli occhiali: «Tu sai» mormorò, ripetendo ciò con cui lei si
era presentata davanti all’uscio: «Cosa?» domandò con la voce carica di
incertezza.
«Thomas è Hawkmoth» dichiarò Manon, facendo scivolare un dito lungo il
bordo del bicchiere e alzando lo sguardo, tenendolo fisso in quello del
ragazzo: «L’ho visto trasformarsi quando il mostro ha attaccato la nostra
scuola. Lui…» si fermò, guardando di lato e poi negando con la testa: «Io
non volevo, davvero. Mi ero nascosta negli spogliatoi dei maschi per…»
«Per spiarli?» domandò Alex, schiarendosi poi la voce e abbozzando un
sorriso incerto di fronte allo sguardo sgranato che lo fissava.
«Cosa? Che schifo! No! Volevo solo evitare che Noemie mi prendesse in
giro.»
«Ah. Scusa. Sono abituato a…» Alex si fermò, stirando le labbra in un
sorriso: «Beh, a nulla. Nessuna delle dolci donzelle che conosco farebbe
una cosa del genere» si fermò, l’espressione in volto congelata: «Forse
Lila. Sicuramente Lila. E sono certo che lo farebbe per prendere in giro i
poveracci all’interno.»
Manon abbozzò un sorriso, ascoltandolo in religioso silenzio e facendo
scivolare i polpastrelli sulla superficie del vetro, avvertendo la patina
umida della condensa sulle dita: «Io vorrei aiutarvi» decretò dopo un
momento di silenzio, osservando l’altro inspirare profondamente e
aggrapparsi con entrambe le mani al tavolo: «Io…»
«Piano. Andiamo piano» mormorò Alex, alzando una mano e fermando la
ragazzina: «Tu sai che Thomas è Hawkmoth? E domandandotelo, ho appena
ammesso ciò. Lo so, non c’è bisogno di infierire.»
«Sì, so chi è Thomas e conosco anche Nooroo.»
«E conosci anche Nooroo» Alex sorrise, prendendo gli occhiali con entrambe
le mani e togliendoseli, poggiandoli con calma sul tavolo, massaggiandosi
poi gli occhi: «E nessuno dei due ha pensato di avvisarmi. Lo sai da
quanto? Un mesetto? Da quando è apparso Golem alla vostra scuola? Quel
moccioso…»
«Lui non l’ha fatto apposta.»
«No, certo che no» mormorò Alex, con una nota stanca nella voce: «E posso
tranquillamente dire che ha superato Rafael in quanto a ‘sveliamo il
segreto’. Da quanto aveva quel cavolo di Miraculous?» si fermò, scuotendo
la testa e inspirando lentamente una volta, poi una seconda e infine una
terza: «Calmo. Devo restare calmo. Meditazione antica cinese.»
«Veramente…»
«Immagino che il signorino – anzi, i signorini. Dato che Nooroo è
colpevole – ti abbiano rivelato le identità di tutti gli altri» bofonchiò
Alex, poggiando i palmi sul tavolo e, fatta le va su questi si alzò,
tenendo lo sguardo rivolto verso la superficie: «Quei due. Non hanno
neanche detto una parola poi. Thomas è morto. Vado a dire al maestro che
abbiamo bisogno di un nuovo Portatore» dichiarò, afferrandogli occhiali e
inforcandoli con un gesto fluido; Manon si alzò a sua volta, allungando un
braccio verso l’americano e, presagli una manica della felpa, lo tenne
fermo sul posto: «Sto scherzando, piccoletta» mormorò Alex, lasciando
andare un sospiro: «Io non lo uccido, ma qualcun altro di certo sì.»
«Thomas non mi ha detto chi erano gli altri» mormorò Manon, scuotendo la
testa e abbozzando un sorriso: «Sono io che ho capito chi erano: avevo dei
sospetti e le parole di Thomas non hanno fatto altro che confermarli.»
Alex annuì con la testa, liberando con un gesto delicato il braccio,
ancora tenuto dalla flebile presa della piccola e si voltò verso di lei:
«Sei intelligente e perspicace» mormorò, posandole una mano sul capo e
chinandosi alla sua altezza: «Ma non posso permetterti di aiutarci.»
«Perché?»
«Ti metteremmo in pericolo. E poi sono certo che Marinette e Adrien mi
ucciderebbero» dichiarò Alex, rialzandosi e massaggiandosi il collo: «In
ogni caso devo informarli che tu sei a conoscenza, quindi magari potresti
entrare nel giro ma come guest.»
«Come cosa?»
«Ospite.»
«E non potevi dirlo subito?»
Sentì le mani della donna posarsi sulle spalle, mentre il naso veniva
inondato dall’odore del profumo che era solita mettersi – Air di Gioia,
come aveva potuto leggere sulla bottiglietta che, adesso, faceva bella
mostra di sé in camera, assieme alla trousse di trucchi –, sentendo poi le
dita scivolare lungo gli avambracci: «Problemi?» domandò Bridgette,
sistemandosi al suo fianco e osservando i fogli che lui aveva davanti agli
occhi, spostando poi l’attenzione sul volto dell’uomo.
Felix sospirò, lasciandosi andare contro la spalliera della poltrona e,
piegandosi di lato, appoggiò la testa contro il costato della donna:
«Bourgeois ha messo le mani su un bel po’ di soldi e ha promesso il
rifacimento di un ospedale» bofonchiò, inspirando profondamente e posando
una mano sulla coscia di Bridgette, carezzando la stoffa morbida della
gonna nera: «Tradotto: lui sale di un gradino verso la rinomina a sindaco
ed io scendo di due.»
La donna annuì, passandogli le mani fra i capelli e tirando indietro le
ciocche più lunghe che, di solito, gli spiovevano sul volto: «Non puoi
fare niente?» domandò, continuando la sua carezza e osservando Felix
socchiudere gli occhi: «Magari Bourgeois ha un fondo illegale.»
«Vedi troppa tv, Bri.»
«Succedono anche nella vita vera queste cose.»
«Il finanziamento a Bourgeois è stato fatto da un cinese, a quanto pare
favorisce il fatto che sia nuovamente lui il sindaco di Parigi e non io»
mormorò Felix, aprendo le palpebre e sorridendo alla donna: «Beh, potrei
vendere qualcuno di quei ninnoli che mi sono portato dietro da
Shangri-la.»
«Ho finalmente avuto la risposta alla domanda che mi stavo facendo da un
po’.»
«Ovvero?»
«Come potevi permetterti tutto questo» decretò Bridgette, sistemandosi
meglio sul bracciolo della poltrona e sorridendo divertita: «Insomma, sei
stato in una grotta per due secoli, non puoi aver messo da parte una
fortuna come ho fatto io.»
«Ehi, tu non hai idea dei giocattolini che ci sono a Shangri-la» decretò
l’uomo, appoggiandosi completamente contro di lei: «Magari una volta che
tutto sarà finito, ci tornerò. Potrei assicurarmi la pensione con tutta la
roba che c’è nelle cripte di quel luogo.»
«Felix…»
«Uno deve assicurarsi la pensione per quando sarà vecchio! Soprattutto se
ha più di duecento anni» decretò Felix, ghignando divertito di fronte
all’espressione esasperata che Bridgette aveva in volto: «Guarda Fu:
continua a fare massaggi nonostante la sua età, non voglio ritrovarmi così
a quattrocento anni.»
«Quanto ancora vuoi vivere?»
«Siamo stati Portatori di Miraculous, la nostra vita è decisamente più
lunga del normale.»
«Sì, ma…»
«Noi siamo vissuti fino a ora perché tu eri posseduta ed io a Shangri-la,
diciamo che dobbiamo ancora usufruire del bonus Miraculous.»
Bridgette sospirò, alzandosi e portandosi le mani ai fianchi,
scuotendo poi la testa: «Vado a vedere se è pronta la cena.»
«Ok. Voglio te con quella cosa trasparente che hai portato a casa l’altro
giorno e un contorno di patate, grazie.»
«Felix, pensa alle elezioni. Ok?»
Wei osservò la pasta scivolare dalla pentola nello scolapasta, che
dominava il lavello di acciaio, muovendosi attento e ben deciso a non far
schizzare l’acqua a bollore: già una volta si era bruciato in
quell’impresa e non voleva ripetere l’esperienza una seconda volta:
«Perché mi ha dovuto informare Wayzz che mia madre è venuta a minacciarti
una seconda volta?» la voce di Lila lo fece sobbalzare e la pentola gli
sgusciò dalle mani, scivolando nel lavabo e cadendo miseramente addosso
alla pasta già presente nello scolapasta.
«Addio cena» mormorò il cinese, osservando il fallimento del suo lavoro e
voltandosi poi verso la ragazza che, incurante di tutto ciò che aveva
provocato, lo stava osservando a braccia conserte: «Non pensavo ce ne
fosse bisogno» decretò, alzando le spalle e sorridendo appena: «E’ stata
messa al suo posto da Mercier e quindi…»
«Lunga vita a Mercier, il vero eroe della situazione!» bofonchiò Lila,
alzando le braccia per aria e poi posandosi le mani sui fianchi: «Dovevi
dirmelo, non devo venire a sapere queste cose dal tuo kwami.»
«Wayzz» mormorò Wei, spostando l’attenzione sullo spiritello verde che,
fluttuante, rimaneva nei pressi di Lila: «Perché l’hai fatto?»
«In verità stavo parlando con Vooxi» spiegò il kwami della tartaruga,
volando davanti al viso dell’italiana e indicandola con la zampetta: «Lei
è apparsa dal nulla e mi ha costretto a parlare. Ha usato la minaccia che
mi avrebbe fatto vedere Harry Potter ininterrottamente.»
«Harry Potter non è una minaccia, è una ricompensa» bofonchiò Vooxi,
posandosi sulla spalla di Lila e scuotendo il musetto: «Non capisci
niente, Wayzz.»
«Devo rivangare quello che hai combinato a Daitya?»
«Quello che è successo a Daitya rimane a Daitya!»
«Bella scusa. Sa tanto di Plagg, sai?»
«Da chi pensi che l’ho imparata?» decretò Vooxi, incrociando le zampette e
sorridendo soddisfatto: «Dal migliore.»
«Il migliore in fatto di scuse, sì.»
Lila sospirò, osservando i due kwami discutere animatamente fra di loro,
sentendo il nome di Plagg spuntare più e più volte: «Dovevi dirmelo»
riprese, ritornando al discorso originario e avvicinandosi a Wei,
poggiandogli una mano sul petto: «E’ mia madre, è compito mio proteggerti
da lei.»
«In effetti mi fa un po’ paura con quegli artigli rossi» disse il giovane,
rabbrividendo appena al ricordo: «Ho pensato che mi avrebbe graffiato e
strappato via la carne.»
«Non devo più mettermi lo smalto rosso. Ho capito.»
«Su di te sta bene, è anche molto bello vedere le tue mani carezzarmi con
quel colore sulle unghie. E’ tua madre che mi fa paura.»
«Povero piccolo.»
«La sognerò stanotte. Sarà un incubo.»
«Wei.»
«E giungerà Mercier con la sua armatura fatta di carta a proteggermi.»
«Smettila, adesso.»
Prese il tavolino, stringendo la presa sul legno e scaraventandolo dalla
parte opposta della stanza, osservandolo mentre si schiantava contro il
muro e si rompeva in più pezzi: «Quei…» iniziò, inspirando profondamente
l’aria e sentendo i polmoni riempirsi di questa; afferrò la sedia per lo
schienale, lanciandola nella stessa direzione del tavolo e guardandola
fare la medesima fine: «Non chiedo tanto. Semplicemente sette gioielli,
che sono in mano a dei ragazzini e quattro generali, potenziati dal
Quantum non riescono a fare ciò» la voce tuonò nella stanza, facendo
rabbrividire la donna che, in silenzio, era stata testimone della furia
del suo signore.
«Mio signore…»
«Bramo quei gioielli da millenni» dichiarò Kwon, muovendosi per la camera
in penombra, le mani che si muovevano nell’aria quasi come se cercassero
nuove vittime da distruggere: «Millenni. Li ho inseguiti, per molto tempo
sono stato vicino ad alcuni di essi e, adesso che li ho a portata di mano,
per colpa di un branco di incompetenti non riesco ad averli.»
«La prossima volta andrò io, mio signore.»
Kwon si fermò, guardando la sua sottoposta che, con il corpo rigido e la
testa china, si offriva come sua nuova arma: «Mi deluderai anche tu, Yi?
Anche tu non riuscirai a farmi avere ciò che bramo da una vita intera?»
«No, mio signore» Yi rialzò la testa, osservandolo con l’unico occhio
lasciato libero dalla maschera, aprì la bocca ma le parole le morirono
sulla lingua e, chinata nuovamente la testa, se ne andò silenziosamente
dalla camera, lasciandolo solo nell’oscurità.
Kwon osservò la porta chiusa, stringendo le dita e reprimendo la voglia di
distruggere anche quella, di annientare tutto ciò su cui si posava il suo
sguardo: «Non deludermi anche tu, mio bellissimo fiore» mormorò,
portandosi poi una mano al collo e avvertendo il freddo e familiare
acciaio del monile di Routo.
Li avrebbe avuti tutti.
Doveva solo attendere.
Doveva pensare a questo, prima che la sua sete di distruzione si volgesse
sulle quattro persone che aveva scelto come suoi sottoposti.
Doveva dargli ancora tempo.
Lo stesso che lui aveva avuto, nel corso dei millenni, per avvicinarsi ai
Miraculous come lo era in quel momento.
Il tempo era la soluzione a ogni cosa, Kang era solito ripeterlo,
accompagnando le parole con il sorriso di un uomo che aveva visto e
sapeva.
Attendere.
Dare il tempo necessario.
Peccato che lui non aveva la stessa pazienza di Kang.
Non adesso che era così vicino al raggiungimento del suo sogno.
Sangue.
Le sue mani erano piene di sangue.
Sentiva il calore del liquido contro la pelle, ne vedeva le macchie scure
sui guanti cremisi che la fasciavano: concentrò la propria attenzione su
una chiazza che dominava il palmo, leggermente spostata verso
l’attaccatura delle dita, quasi come se tutto il mondo si concentrasse
unicamente lì.
Se guardava solo quello non era costretta a spostare l’attenzione,
costringendosi a venire a patti con ciò che la circondava.
Con chi era steso davanti a lei.
Non aveva la forza.
Non voleva distogliere lo sguardo, non voleva…
Socchiuse le palpebre, abbassando le mani e lasciando andare un sospiro,
stringendo le labbra e maledicendosi per la sua debolezza: non poteva
fargli questo affronto, non poteva abbandonarlo così; abbassò lo sguardo e
un singulto le sfuggì dalle labbra, mentre osservava il corpo riverso a
terra e poco distante da lei.
Si avvicinò di pochi passi, sentendo la forza nelle gambe venir meno e
ritrovandosi per terra mentre allungava tremante una mano verso di
lui, fermandosi a metà del viaggio: era vivo? Respirava? Da dove veniva il
sangue che le macchiava le mani?
«Chat» disse con un filo di voce, sfiorando con la punta delle dita la
guancia del ragazzo disteso a terra, sentendolo freddo al tatto, ritirando
poi la mano e avvertendo il cuore aumentare i battiti: «Chat?» mormorò di
nuovo, una supplica nella voce mentre gli sfiorava i capelli dorati e
passava le dita sugli occhi chiusi, dietro la maschera nera.
Non poteva essere…
«Piantala con gli scherzi» bisbigliò, posandogli le mani sulle spalle e
scuotendolo leggermente, senza ricevere niente in cambio: nessun ghigno
divertito, nessuna occhiatina maliziosa, nessun commento su come si
facesse prendere subito dal panico: «Ti prego, svegliati» deglutì,
sentendo la voce venirle meno e poggiò una mano per terra, avvertendo il
liquido viscoso sotto le sue dita: si voltò, massaggiandosi i polpastrelli
gli uni con gli altri e osservando inorridita il sangue che le macchiava
la mano.
Lo stesso sangue che, come un orrido lago, si allargava dal corpo di Chat
Noir.
«No. No. No. No» mormorò la ragazza, portandosi la mano al volto e
sentendo il calore del sangue sulla pelle del viso, mentre lo sguardo non
riusciva a togliersi dal suo amore, e la consapevolezza si faceva strada
in lei: lui non c’era più. Il corpo che aveva toccato fino a quel momento
era senza vita.
Chat Noir era…
Adrien era…
Marinette si svegliò con il respiro ansante e lo sguardo puntato sulla
finestra della camera da letto, avvertendo immediatamente il peso di
Adrien dietro di lei: poteva sentire la sua stretta attorno alla vita, il
respiro tranquillo contro la pelle della sua spalla e il corpo caldo e
solido che la rassicurava con la sua sola presenza.
«Un brutto sogno?» mormorò il giovane contro la sua pelle, facendole
capire così che lui non stava affatto dormendo: «Ti stavi agitando,
Marinette.»
«S-sto bene» bisbigliò la ragazza, senza neanche voltarsi e socchiudendo
di nuovo le palpebre, pentendosi amaramente di quel gesto: subito le
immagini di Chat le riempirono di nuovo la mente, aumentando i dettagli
che, nel sogno, non aveva considerato: la ferita alla testa che imbrattava
i capelli biondi, il labbro tagliato, il volto tumefatto…
«Marinette.»
«Sto bene» ripeté, storcendo le labbra alla nota stizzita della sua voce e
pentendosene amaramente subito: «Io…»
«Sto aspettando da quando siamo arrivati a casa» le mormorò Adrien,
allontanandosi di un poco e permettendole di girarsi nella sua stretta: il
ragazzo le sorrise, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio e
osservandola poi negli occhi, cercando in essi ciò di cui aveva bisogno:
«Ti conosco da parecchio e so che, la ragazza con cui ho parlato stasera
prima di dormire, non era mia moglie.»
«Io…»
«Mi preoccupo di più quando ti comporti così, Marinette» dichiarò il
ragazzo, sorridendole e baciandole poi la punta del naso: «Non sei la
Marinette che conosco.»
La ragazza socchiuse gli occhi, andando nuovamente con la mente al sogno e
passando le braccia attorno al ragazzo, stringendosi con tutta la forza
che aveva in corpo al suo, quasi fosse stato l’unico abbastanza saldo da
tenerla ancorata lì: «Non voglio perderti» bisbigliò, contro la maglietta
di Adrien, mentre piccole lacrime le scivolavano sulle guance e lei tirò
su con il naso, provando ad aggrapparsi ancora di più al marito: «Non
voglio perderti» ripeté, dando via libera al pianto che aveva trattenuto,
singhiozzando senza freni e stringendo la stoffa della maglia fra le dita,
stropicciandola e quasi strappandola.
Adrien le carezzò il capo corvino, baciandole la tempia e lasciandola
sfogare contro il suo petto, socchiudendo le palpebre e tenendola stretta
fra le sue braccia, sentendo anche lui lo stesso bisogno di lei: il più
possibile vicini, accogliendo l’uno il calore dell’altra e aggrappandosi a
questo: «Non ti lascerò mai sola» le bisbigliò, contro le ciocche more,
strusciando il volto e accogliendo la nuova ondata di singhiozzi e
lacrime: «Non lascerò mai che nessuno mi porti via da te, neanche quello
stupido pomodoro con le gambe» continuò, sentendola sbuffare: Adrien si
allontanò leggermente, osservando il volto rigato di lacrime e il tenue
sorriso che era comparso sulle labbra di Marinette: «Ti ho fatta
sorridere.»
«Lo fai sempre.»
«Sono qui per questo» mormorò Adrien, passandole il pollice sulla guancia
sinistra e asciugandole le lacrime, ripetendo poi lo stesso sull’altra
parte del viso: «Farti ridere ed essere usato come fazzoletto formato
gigante.»
Marinette sistemò la testa sul cuscino, in modo da avere il braccio di
Adrien nell’incavo del collo e lo fissò in volto, carezzandogli i
lineamenti e seguendo la linea della mascella: «Ho sognato che eri morto.»
«Non morirò, Marinette.»
«E il tuo sangue mi macchiava le mani.»
«E tu non sarai assolutamente la causa della mia morte.»
L’indice di Marinette indugiò sul labbro inferiore e la ragazza concentrò
lo sguardo sulla sua unghia, lasciando andare poi un sospiro: «Vorrei che
fosse» bisbigliò, alzando poi timidamente le iridi celesti e incontrando
quelle verde di lui: «Io…»
«Beh, in effetti è vero: potresti uccidermi domattina, mentre prepari
colazione e scivoli su un pezzetto di camembert, che Plagg ha incautamente
fatto cadere, e il coltello che tieni in mano volerà e si pianterà dritto
nel mio petto.»
«Adrien?»
«Come sono andato?»
«Manca la parte dove vengo arrestata e dove entra una spia russa in
gioco.»
«Punto primo: mi hai interrotto. Punto secondo: tu sei fissata con le spie
russe.»
«Le spie russe stanno bene su tutto.»
«Certo. Come il nero» dichiarò Adrien, sospirando e carezzandole il
capelli, catturando una ciocca e giocherellando con questa: «Non ti
lascerò, Marinette. Puoi fare tutti i sogni brutti, film mentali degli di
un oscar che vuoi, io sarò sempre qui. Ok?»
«Dillo a Nathaniel.»
«Ho un conto in sospeso con lui, my lady.»
«Anche io.»
«Ahia. Non voglio essere Nathaniel, quando proverà il tuo yo-yo.»
«O il tuo bastone.»
«Avevo giusto una mezza idea di usarlo per infilarglielo su per…»
«Adrien, non voglio altri brutti sogni.»
«Secondo me gli piacerebbe anche.»
«Adrien!»