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Autore: koan_abyss    02/07/2017    4 recensioni
Il percorso di cinque giovani Serpeverde attraverso le influenze e le aspettative delle famiglie, della comunità magica, di alleati e rivali dai primi anni di scuola al culmine della II Guerra Magica.
Gli anni immediatamente precedenti e quelli narrati nei libri della Rowling visti dagli occhi di Severus Piton: le sue esperienze, i suoi legami, la sua promessa.
Mentre i suoi studenti sfogliano le canzoni dell'innocenza, si confrontano con le tradizioni, costruiscono a poco a poco la loro identità, Severus Piton, incastrato nel suo doppio ruolo di Direttore di Serpeverde ed ex-Mangiamorte, diventa suo malgrado una figura importante per loro e le loro scelte future.
La fanfiction non intende discostarsi dal canon, ma anzi seguire fedelemente la storia originale del punto di vista verde-argento.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Severus Piton, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo 2


Liam salutò la madre con un cenno del capo e attraversò la barriera del binario 93/4 da solo. Una volta in mezzo al caos famigliare del binario si mise a cercare i suoi compagni.
Alla fine, non aveva avuto il coraggio di raccontare alla madre cos’era successo.
A un certo punto del pomeriggio si era addormentato. Una volta sveglio si era lavato e cambiato: aveva ammonticchiato il resto dei suoi vestiti sulla camicia sporca di sangue e tendendo l’orecchio ad ogni gradino era sceso al piano di sotto ad aspettare il rientro di sua madre e sua zia. Le due donne erano rientrate di lì a poco. Salutandolo, sua madre aveva notato il bernoccolo e l’escoriazione sulla tempia.
“Che cosa è successo?”
Stava per risponderle che era entrato nello studio per rimettere a posto il sigillo di famiglia, ma sua zia aveva parlato al suo posto.
“È successo che gli ha messo le mani addosso! Di nuovo! Non puoi permettergli di continuare così, Alhana, devi…”
“Sono mio marito e mio figlio! È la mia famiglia, non dirmi cosa devo fare!” aveva urlato sua madre con furia.
Gli aveva preso il viso tra le mani e lo aveva curato con la bacchetta.
“Io non ho intenzione di restare a guardare,” sibilò sua zia.
“Finché vivrai in casa mia, sì,” aveva replicato sua madre. Poi gli aveva dato un bacio sulla fronte: “Va tutto bene…”
Non andava tutto bene, aveva pensato Liam. Non importava a nessuno che lui avesse sceso le scale di casa sua silenzioso come un ladro, con la paura di incontrare il padrone? Tremava dalla rabbia, tanto da non riuscire a parlare. Quand’era risalito nella sua stanza aveva visto i vestiti a terra. Aveva gridato, aveva chiamato Foxy e le aveva ordinato di bruciarli. Quella sera non era sceso a cena, ma dal giorno successivo la vita aveva ripreso il suo corso naturale, come se niente fosse accaduto. Suo padre l’aveva degnato appena di un’occhiata.
Lui aveva parlato poco per il resto della settimana e l’idea dell’Espresso per Hogwarts non gli era mai apparsa così allettante. Ma allo stesso tempo l’idea di fuggire da casa sua lo faceva impazzire.
“Ehi, Liam! Sono qui!”
Liam vide Will che si sbracciava tra la folla e lo raggiunse.
Fece un sorriso tirato: “Ciao.”
“Ho delle cose per te da Redbass,” disse Will accennando al suo baule, “degli esercizi da fare quest’anno, se ti va. Mi spiace che ti sei perso l’ultima lezione.”
“Oh, già, anche a me è dispiaciuto…”
Aveva inventato una scusa per non andare da Will. Non era sicuro che sarebbe riuscito a tenere a freno la lingua col maestro di musica. E mai e poi mai avrebbe rischiato di essere sgarbato con la madre di Will.
“Cerchiamo le ragazze?” propose Will, spensierato come sempre.
Liam annuì, soprappensiero.
Riconobbero la lunga chioma di Madeline e la raggiunsero. La ragazza stava parlando con le loro amiche, ma Liam e Will ci misero qualche istante a rendersene conto.
“Ehi, che avete fatto?” trasalì Will.
Euriale si strinse nelle spalle. Aveva i capelli cortissimi, appena sotto le orecchie, molto più ricci del solito: alleggeriti, i suoi boccoli si erano arrotolati molto più strettamente. Ricordava in un certo senso un putto, uno di quei bambini grassottelli e con le ali che piacevano ai babbani (Will li aveva visti raffigurati nella chiesa di Tain, il paese vicino a casa sua).
Ma Isabel sembrava proprio un’altra persona: aveva la pelle abbronzata quasi come quella del fratello e i capelli biondi, di una tonalità appena più scura di quelli di Will.
“Ho deciso di cambiare,” fece la ragazza girando su sé stessa, i capelli folti e luminosi che le disegnavano un’aura dorata attorno al capo.
“Come hai fatto?”
“Li ho tinti con una pozione,” sorrise lei. “Che fatica ottenere un risultato naturale! Vi piacciono?”
 Le ragazze si profusero in complimenti, sapendo che Isabel non si aspettava niente di meno.
“Sono più adatti a te. Sembri più tu, adesso,” le rispose invece Liam, con sincerità.
A Isabel brillarono gli occhi.
Will si chinò rapido verso Euriale e le sussurrò rapido: “Anche tu stai bene!”
Poi si raddrizzò con nonchalance. Lui e Euriale scambiarono un gesto d’intesa, come se avessero condiviso chissà quale segreto, e ridacchiarono.
Cercarono uno scompartimento.
Will tirò un calcio a Liam.
“Sai cosa cambia, quest’anno?” gli chiese con un ghigno.
Liam lo fissò, perplesso, poi fece un sogghigno identico a quello dell’amico: “Oh, sì! Lo so eccome! Non vedo l’ora!”
“Che cosa cambia, quest’anno?” chiese Madeline.
“Ci è concesso portare un manico di scopa personale!” ruggirono i ragazzi. “Basta con quelle carrette della scuola!”
“E potremo partecipare alle selezioni per la squadra di quidditch!” aggiunse Liam, per un attimo rischiarato dai suoi pensieri.
“Volete dire che quest’anno ci beccheremo ancora più quidditch?” gemette Isabel.

Non c’erano grosse novità, a scuola. Il professor Grawely, di Difesa contro le Arti Oscure, aveva annunciato che quello sarebbe stato il suo ultimo anno di insegnamento.
“Forse l’anno prossimo lo sostituirà Piton!” esclamò Madeline.
“Mio fratello dice che Piton aspetta che Grawely si tolga di mezzo da quando è entrato nel corpo insegnanti…”
“Pensate, Piton che ci fa lezione sui vampiri,” scherzò Liam.
Euriale gli rivolse un’occhiata di rimprovero, ma sorrideva anche lei: “Però sarebbe sicuramente interessante.”
“Anche Olivier lo dice: impareremmo davvero qualcosa di utile e non solo teoria!”
“Avremmo una scusa per affatturare i Grifondoro, se avessimo lezione con loro!” realizzò Will, poi si abbandonò al pensiero con occhi sognanti.
“Non farai più lezioni private con lui?” chiese Madeline a Euriale.
Lei scosse la testa: “Abbiamo stabilito che non è più necessario…anche se mia nonna ha cercato di convincerlo del contrario!”
“Tua nonna ha contraddetto Piton?” chiese Will, impressionato.
“È forte, sua nonna,” commentò Madeline.
“Già. Ma lui è stato irremovibile. Comunque, preferisco che il professore mi ritenga abbastanza in gamba da cavarmela, con l’Occlumanzia, piuttosto che un’incapace da seguire per sempre!”
Era vero, anche se doveva ammettere che l’idea di non passare più i lunedì con Piton era difficile da digerire.
I Serpeverde ripiombarono nella rassicurante routine di compiti e lezioni, vita in sala comune e rivalità con gli altri studenti, soprattutto con i Grifondoro, com’era naturale.
C’era però qualche tensione a turbare il gruppo.
Liam si era chiesto se sarebbe riuscito a nascondere i segni sulla sua schiena al compagno di stanza: Foxy aveva rimarginato la pelle lacerata dalla fibbia della cintura, ma come aveva detto non aveva guarito del tutto le ferite, che apparivano come cicatrici rosse e frastagliate. Dividendo la stanza e avendo il bagno in comune, aveva concluso che non aveva senso neppure provare a evitare che Will le vedesse.
E ovviamente, nel giro di pochi giorni aveva sentito l’amico esclamare: “Cazzo, Liam, che cosa hai fatto alla schiena?”, con tono incredulo e preoccupato.
‘C’è davvero bisogno di chiederlo?’ si disse cupo. Be’, certo, Will non avrebbe mai potuto concepire un comportamento simile da parte di un genitore, si rispose, lanciando un’occhiata rancorosa al ragazzino biondo.
“Non è nulla”
Invece Will lo stupì: “È stato tuo padre, vero?”
Will si bloccò, scioccato dalle sue stesse parole: non sapeva perché l’aveva detto. O meglio, lo sapeva, ma era difficile da spiegare. Gli era tornato in mente il labbro spaccato di Liam e il sorriso cattivo di suo padre.
“Non mi va di parlarne,” aveva ringhiato Liam.
E non ne avevano più parlato. Ma Will era turbato ed era certo che Euriale se ne sarebbe accorta. Aveva ragione lei, pensava Will. Non era tanto il senso di colpa, il problema, quanto la certezza che segreti e bugie, prima o poi, sarebbero venuti a galla.
Anche le ragazze stavano avendo qualche fastidio.
Andavano d’accordo con le compagne di Serpeverde, con quelle del terzo anno con cui avevano fatto amicizia l’anno prima durante i sabati passati ad ascoltare musica sul giradischi di Will (che a sua volta era parecchio popolare tra le ragazze) e con quelle del primo anno, che avevano trattato più amichevolmente di quanto non fossero state trattate loro dagli altri, fatta eccezione per Ophelia.
Ma per le ragazze delle altre Case erano come fumo negli occhi, a causa di Isabel. Non era tanto che fosse carina, quanto il fatto che sembrava già più grande, con i capelli tinti, gli abiti eleganti quando non era costretta ad indossare la divisa, e i gioielli troppo preziosi per essere sfoggiati in collegio. Tutto attirava su di lei, e su Euriale Madeline che non potevano impedirsi di imitarla, una serie di commenti e pettegolezzi. La linguaccia di Madeline non sistemava le cose.
“Non serve truccarsi, bambine! I ragazzi Serpeverde hanno ben poca scelta, dovranno accontentarsi comunque!” le aveva prese in giro una Grifondoro del terzo anno.
“Sai, sono così poche perché l’ego di De Atienza occupa tutto lo spazio,” aveva rincarato la sua amica.
“È vero,” saltò Madeline, “e noi, in tre, abbiamo anche occupato tutto lo spazio riservato a grazia e bellezza. A voi non ne è rimasto neanche un angolino.”
Le Serpeverdi passarono oltre a mento sollevato, mentre le due ragazze più grandi reagivano effettivamente con poca grazia.

Un giovedì sera Morgan Throckmorton notò i ragazzi del secondo anno rientrare nella sala comune dopo cena.
“Sai, tua sorella sta bene, bionda,” fece a Olivier, con cui stava cazzeggiando. “Anche se sono un grande fan dei capelli scuri della tua famiglia,” aggiunse sogghignando, passando una mano tra i capelli dell’altro.
Olivier lo scacciò come una mosca molesta, sorridendo appena.
Tyrell Plimmswood, che si stava portando avanti con i compiti, dato che per quel fine settimana erano previste le selezioni per la squadra di quidditch, gli rivolse invece un’occhiata di rimprovero.
Morgan si abbandonò sullo schienale della poltrona. “Le tue cugine tornano per Natale, giusto? Non vedo l’ora di avere una di quelle testoline scure ad altezza…”
“Piantala, Morgan,” lo interruppe Ophelia, che stava dando una mano a Tyrell.
“Non ci interessa,” aggiunse il giocatore di quidditch.
“Le mie cugine verranno per Natale, ma tu non sei invitato, Morgan. Dovrai aspettare Capodanno,” rispose Olivier. “Davvero non ti interessa? Avrei giurato che Jacinta si fosse data parecchio da fare, per suscitare interesse…” chiese a Tyrell.
Tyrell scrollò le spalle: “Mi ha molestato parecchio, sì.”
“Be’, mi hanno promesso di portare qualche amica, per Capodanno. Devo richiedere anche qualche amico caliente, Ophelia?” continuò Olivier.
Ophelia alzò gli occhi al cielo: “Concentrati sulle zoccolette che ti presenteranno, Olivier.”
Il ragazzo ghignò.

L’avvicinarsi delle selezioni per la squadra aveva reso tutti nervosi: Liam che voleva entrare nella rosa dei giocatori a tutti i costi, Will che aveva scoperto che avrebbe preferito il contrario, e le ragazze, che si ritrovavano a dover sostenere gli amici ed erano contagiate dalla loro agitazione. I due ragazzi avevano approfittato di ogni momento libero per andare a volare con le loro scope e non era infrequente che finissero per litigare.
Una sera Will si sedette a cena e abbandonò la testa sulle braccia, frustrato.
“Che c’è?” gli domandò Euriale.
Le altre erano in ritardo e Liam ancora sotto la doccia.
“Niente,” rispose Will, “è solo che…mi sono reso conto che non ci tengo ad entrare in squadra.”
“Perché? È dall’anno scorso che non parlate d’altro…”
Will si strinse nelle spalle: “Mi piace volare e mi piace giocare a quidditch, ma…”
“Volare è meglio che giocare. Volare ti fa sentire libero, giocare no,” suggerì Euriale.
Will la guardò, ammirato e intimorito: “Esatto. E ci sono altre cose che mi piacerebbe fare, ma gli allenamenti occupano un sacco di tempo.”
Era vero che al primo anno non ne avevano perso uno, ma assistere era diverso: quando la squadra aveva terminato, loro tornavano al castello, mentre i giocatori mettevano a posto il campo, poi si cambiavano e organizzavano l’allenamento successivo. La cosa che più aveva voglia di fare Will in quel momento era suonare, e magari suonare con Liam, come durante l’estate.
Euriale lo guardò, perfettamente tranquilla: “Non andare alle selezioni, allora. È semplice.” Prese le posate. “O hai paura che Liam si arrabbi?” chiese.
“Più di così?” bofonchiò lui in riposta.
Arrivò il sabato delle selezioni.
“Non vedo l’ora che sia finita,” disse Isabel alle ragazze prima di lasciare il loro dormitorio. “Sono stufa di sentirmi quest’ansia addosso!”
“Davvero?” chiese Euriale, sarcastica.
Madeline ridacchiò.
“Alla fine Will partecipa o no?”
“Non lo so. Era indeciso.”
In Sala Grande trovarono i ragazzi già vestiti da quidditch e con protezioni e manici di scopa sottomano. Liam era pallido e fissava il tavolo come se tutto il resto gli ondeggiasse attorno. Will invece sembrava disteso.
“Allora?” gli chiese Euriale sottovoce.
“Vada come vada: se non ce la faccio, chissenefrega, se dovessero prendermi dirò che non mi interessa,” le rispose Will. “Però ci vado lo stesso, per far compagnia a Liam.”
Liam sorrise brevemente e Isabel riuscì a convincerlo a bere almeno un tè. Scesero al campo, dividendosi davanti agli spogliatoi. Come di consueto le selezioni avevano attirato parecchi curiosi. Euriale alzò lo sguardo a scrutare le gradinate: “C’è Piton.”
“Vuoi raggiungerlo?” le chiese Madeline.
Euriale esitò. Anche se Liam e Will erano direttamente coinvolti nell’azione, riteneva che sarebbe riuscita a mantenere le loro emozioni a distanza e a gestire la sua empatia, quindi non aveva scuse per attaccarsi alle gonne del professore. Però non poteva negare che Piton le mancasse: a parte quando aveva consegnato loro i nuovi orari, lo avevano visto solo a lezione.
“Andiamo tutte,” propose Isabel. “Voglio chiedergli una cosa sull’ultimo tema che ha dato.”
Piton era assieme ad altri insegnanti, ma sembrava far di tutto per ignorarli. Rivolse un vago cenno del capo alle sue allieve, poi notò che Isabel puntava proprio su di lui.
“Signorine.”
“Buongiorno, professore. Spero di non disturbarla…” cominciò Isabel, scrollando la chioma bionda, e chiese a Piton del tema che dovevano consegnare la settimana dopo.
Quando l’uomo le consigliò un testo da consultare in biblioteca, parve soddisfatta.
“Stanno per cominciare!” esclamò Madeline.
Le tre ragazze si sedettero vicino al professore.
“Liam e William partecipano alle selezioni,” gli disse Euriale.
Piton annuì: “Me n’è giunta voce. Mi domando se sia saggio offrire a Warrington altre occasioni di conflitto, e a McIver la possibilità di distrarsi a sette metri di altezza. Erano nervosi?” chiese poi a Euriale, guardandola negli occhi.
Euriale sorrise, compiaciuta: Piton teneva ancora d’occhio la sua empatia.
“Non più di tanto, professore. Nervosi in senso buono, credo,” rispose.
Intanto, in campo la squadra e gli aspiranti nuovi giocatori erano pronti a volare.
Cominciarono con qualche giro di riscaldamento, poi con voli più precisi e qualche schema di gioco. Mentre il capitano liberava le palle, Tyrell volò accanto ai ragazzi del secondo anno.
“Non voglio vedervi nervosi, vedete di sciogliervi un po’. Vi ho guardato volare tutta la settimana. Siete bravi,” disse, serio.
Liam e Will si scambiarono un’occhiata felice.
“Ma è il capitano che dovete impressionare. Forza, McIver, ti chiamano.”
“Ah, volo!” rispose Will e schizzò via, a prendere posto con una metà dei provinanti.
“Warrington.”
Liam tornò a prestare attenzione al ragazzo più grande.
“Il tuo amico sarebbe un buon cercatore: ha equilibrio, ha la stazza giusta. Ma abbiamo già un cercatore. Quel che può sperare è che il capitano gli offra di entrare in squadra a farsi le ossa, e di cominciare a giocare quando Higgs si sarà diplomato.”
Liam gli rivolse un’espressione dubbiosa: “Solo fatica e niente gloria. Già Will non era convinto di voler fare le selezioni…”
Tyrell era confuso: “Be’, peccato. Tu, d’altro canto…”
“Io sono molto convinto!” lo interruppe il ragazzino.
Tyrell rise: “Oh, bene! Ci servono cacciatori: tu sai volare, non hai paura degli scontri e lanci di sinistro.  Se non fai qualche colossale cazzata, sei già dentro.”
Liam annuì, deciso. Tutti sapevano che il capitano teneva molto in considerazione l’opinione di Plimmswood: giocava dal secondo anno e aveva buone probabilità di entrare in una squadra professionistica dopo il diploma, tra due anni. Quanto a lui, non avrebbe fatto cazzate. Non sarebbe stato l’anello debole del gruppo. Fece una smorfia, scacciando quel pensiero. Tempo di giocare.
Will aveva fatto una buona prova. Come cacciatore non aveva brillato, ma quando il capitano lo aveva affiancato al cercatore in carica, Higgs, e aveva dato loro trenta secondi di tempo per catturare il boccino, i due avevano offerto un certo spettacolo, schizzando per il campo gomito a gomito e poi intrecciandosi a spirale in una verticale perfetta. Higgs aveva poi applicato la sua tecnica collaudata, sfruttando la sua stazza per mettere fuori rotta l’avversario.
Afferrato il boccino aveva gridato: “Devi volerlo di più! Dov’è l’ambizione?”
Will gli aveva sorriso: “La mia non passa di qui, a quanto pare.”
Poi si era lasciato cadere all’indietro, in picchiata verso il campo. Si era raddrizzato a meno di dieci metri dal suolo, era planato dolcemente a terra ed era smontato. Non poche ragazzine che erano venute ad assistere all’allenamento lo guardarono con espressione conquistata.
Il capitano scosse la testa: “Voglio gente che punti al risultato a qualunque costo, non esibizionisti, McIver.”
“Mi spiace.”
Will si arrampicò in cime alle tribune, dalle ragazze e Piton.
“Bel numero!” commentò Madeline.
“Da perfetto incosciente esibizionista,” aggiunse Piton con una smorfia. “Non farlo più.”
“No, professore,” mentì il ragazzino.
In realtà, lo avrebbe fatto un’infinità di volte, in futuro, cercando di strappare un urlo di terrore a Euriale.
Se il capitano cercava qualcuno disposto a vincere a tutti i costi, Liam doveva sembrargli un sogno che si realizzava. C’era in lui un accanimento fuori dal comune, sia che fosse in attacco o che cercasse di disturbare i tiri degli altri. I titolari della squadra lo avevano trovato divertente, ma quando Warrington e altri due aspiranti giocatori del terzo e del quarto anno rischiarono di segnare la prima volta, la competizione si fece accesa. Tyrell giocava coi titolari, l’altro battitore coi provinanti.
“Fermalo, Plimmswood!” strillò uno dei cacciatori.
Tyrell colpì piano, ma con la certezza che Warrington non sarebbe riuscito a tirare: lo centrò alla schiena, in alto, sbilanciandolo in avanti proprio mentre si accingeva a tirare.
Warrington tirò lo stesso, ma male: il portiere parò con facilità.
Isabel si coprì la bocca con le mani: “Si sarà fatto male?”
Will si alzò.
“Ehi, Liam! Tutto bene?” gridò, con le mani a megafono.
Liam alzò il braccio in un cenno di saluto, già preso dalla nuova azione.
“Spero che il quidditch gli servirà come valvola di sfogo,” commentò la professoressa McGranitt.
Che il carattere bellicoso di Liam si era inasprito non era sfuggito a nessuno dei loro insegnanti.
“Sei già convinta che entrerà in squadra, Minerva?” le chiese Piton, divertito.
La McGranitt si sistemò sul sedile, rigida.
“Sarebbero degli sciocchi a non prenderlo. E, purtroppo, non si può proprio dire che i giocatori Serpeverde siano degli sciocchi,” ammise.
Piton sollevò un angolo della bocca.
“Vincere per cinque anni di fila la Coppa richiede tecnica e tenacia, oltre che cervello,” disse con tono sarcastico, come sottintendendo che la squadra di Grifondoro mancava di ognuna di quelle qualità.
Le ragazze, che davano le spalle alla McGranitt, sorrisero maligne. Will era di nuovo in piedi a fare il tifo.

“Non avrei mai pensato di dirlo, visto che mi toccherà sopportare di nuovo tutte le mie cugine, ma ho davvero bisogno che le vacanze di Natale arrivino in fretta,” disse Isabel, mesta, pranzando.
“Gli passerà,” rispose Madeline. “E poi, non è detto che il Preside assuma quel tizio, no?”
Quella mattina erano andati a Pozioni come al solito, assieme ai Corvonero.
“Com’è il tempo, Heartilly?” le aveva chiesto Roger Davies.
I suoi amici avevano preso l’abitudine di chiederle di che umore fossero gli insegnanti appena prima che entrassero in classe. Qualcuno si affacciava alla porta e quando l’insegnante era in vista in fondo al corridoio le chiedeva com’era il tempo, o se era una giornata soleggiata. Una volta capito il meccanismo anche gli studenti delle altre Case avevano cominciato a farlo.
Euriale si era girata verso la porta per rispondere a Davies, cercando di sondare Piton lievemente, senza che lui se ne accorgesse. Le era bastato un istante.
Si era rigirata con aria allarmata, sussurrando: “Tempesta!”
Piton era entrato come una furia, di umore nero, e li aveva terrorizzati per due ore di fila, massacrandoli di commenti acidi.
“Hickman, potrebbe spiegarmi come è riuscito a farsi assegnare a Corvonero, dato che non è in grado neppure di leggere delle semplici istruzioni?”
“Avrei giurato di avervi avuti come studenti anche l’anno scorso, eppure oggi sembrate capaci al massimo di preparare una torta di fango, altro che Distillato della Morte Vivente!”
“McIver, se non la pianta di saltellare e non si concentra sul lavoro, la tramuterò in pietra.”
Neppure Isabel, il cui lavoro era come al solito di ottimo livello, era stata risparmiata: “Sarei soddisfatto, De Atienza, se lei dedicasse a quello che prepara in classe metà dell’attenzione che dedica ai suoi capelli!”
Normalmente qualcuno avrebbe azzardato una battuta sottovoce, che invece Piton doveva fare il contrario, ma quel giorno nessuno aveva rischiato. Tutti avevano tenuto la bocca chiusa e la testa bassa, e alla fine della lezione erano letteralmente corsi fuori, allontanandosi in fretta dai sotterranei.
“Ma cosa gli è successo? Oggi era più insopportabile che mai!” fece una ragazza di Corvonero.
Serpeverde e Corvonero avevano trovato la risposta a Difesa, quando il professor Grawely aveva presentato alla classe un giovanotto esile e serioso, un suo ex-studente, che aveva appena preso l’abilitazione per insegnare.
“Quest’anno Raptor si dedicherà alle ricerche sul campo, e dato che questo sarà il mio ultimo anno di insegnamento, chissà che non diventi proprio lui il vostro prossimo professore di Difesa contro le Arti Oscure,” aveva detto Grawely alla classe.
“Ecco svelato l’arcano,” aveva commentato Euriale, uscendo dall’aula.
La notizia, che Piton non sarebbe diventato il prossimo insegnante di Difesa, aveva già fatto il giro della scuola. Di sicuro ciò non aveva giovato all’umore di Piton.
“Sì, Silente non può assumere quel tizio, non è adatto!” fece Will, servendosi dell’arrosto. “In fondo Piton ha più esperienza, quello, invece…”
“Il problema potrebbe essere proprio quello,” si intromise Morgan Throckmorton. “Piton ha davvero troppa esperienza,” commentò, criptico.
“Non ti imploreremo di spiegarci cosa vuoi dire: hai già deciso che non lo farai,” gli rispose Euriale, regalandogli un’occhiata di sufficienza.
Morgan fece una smorfia delusa.
“Lo chiederemo a Ophelia,” rincarò Euriale.
Morgan sbuffò, alzandosi: “Bah, siete noiosi!”
Le ragazze ridacchiarono mentre si allontanava.
Will fece per dire qualcosa, ma Liam arrivò e si lasciò cadere pesantemente sulla panca a fianco a lui, buttando con malagrazia la sua borsa a terra.
“Quell’inutile scopa rinsecchita mi ha punito di nuovo!” ringhiò, prendendo una fetta di arrosto e infilzandola ripetutamente con la forchetta. “Venerdì pomeriggio, perderò gli allenamenti!”
Se il malumore di Piton era stato una sgradita sorpresa, quello di Liam stava diventando una costante. La McGranitt, l’inutile scopa rinsecchita, lo aveva già messo in punizione tre volte dall’inizio dell’anno. Piton lo aveva ripreso in diverse occasioni e aveva scritto ai suoi, ma sembrava che il loro amico non riuscisse più a controllare la rabbia: scattava per niente, al minimo accenno di provocazione metteva mano alla bacchetta. Praticamente ogni scambio che aveva avuto coi Weasley negli ultimi mesi si era concluso con un duello o una rissa.
Senza dire niente agli altri, Madeline aveva avvicinato i Weasley e aveva negoziato una tregua, per il bene di tutti. Fred e George avevano accettato, principalmente perché stuzzicare Warrington non era neanche più divertente: si rischiavano punizioni e basta.
Liam sembrava insofferente ad ogni cosa: potevano essere insala comune a fare i compiti tranquilli, e all’improvviso lui esplodeva per un commento di Madeline, o per le troppe domande di Will. Neppure essere entrato nella squadra di Serpeverde aveva mitigato questi scoppi d’ira spesso immotivati. Agli allenamenti era sempre positivo e concentrato, ma niente garantiva agli altri di essere al sicuro, una volta rientrati al castello.
Quella mattina a Pozioni si era comportato come tutti gli altri, perplesso e allarmato dall’atteggiamento di Piton (di cui, comunque, continuava ad avere soggezione, come l’anno precedente) e a Difesa era stato assolutamente normale, aveva anche scarabocchiato un paio di battute sul quaderno di Will su quel tipo, Raptor. Ma una volta in corridoio aveva sentito uno studente commentare allegro che ai Serpeverde non sarebbe riuscito di farsi favorire dal loro Direttore anche a Difesa e poi ridere. Prima che i suoi amici potessero rendersi conto di nulla, Liam aveva suggerito a quello studente di andarsene al diavolo, ma con vocaboli più coloriti. Per sua sfortuna la McGranitt lo aveva sentito attraverso il corridoio, e lo aveva trattenuto fino a quel momento.
Liam prese un boccone di malavoglia, mentre nessuno parlava.
“Una bella sfortuna che la McGranitt fosse vicina,” tentò Isabel.
Liam deglutì in fretta: “Avreste anche potuto avvertirmi che ce l’avevo alle spalle!”
Gli altri si scambiarono un’occhiata: qualunque giustificazione poteva essere pericolosa.
Liam fulminò con lo sguardo i suoi amici, che lo fissavano come un calderone pronto ad esplodere. Lo facevano impazzire, quando facevano così!
“Che avete da fissarmi in silenzio?” sbraitò.
L’unica che non lo guardava era Euriale. Già, ma a lei non serviva: sapeva sempre come si sentiva. Lo faceva sentire in trappola, saperlo. Si mosse a disagio e diede un calcio alla sua borsa. Ne cadde fuori la lettera che aveva ricevuto da casa la mattina precedente, in seguito a quelle che la McGranitt e Piton avevano spedito riguardo il suo atteggiamento. Vide Euriale osservarla con la coda dell’occhio e non resistette più. Balzò in piedi raccogliendo la lettera, che accartocciò e cacciò dentro alla sua borsa, e si allontanò a grandi passi dalla Sala Grande.
Immaginò i suoi compagni sospirare di sollievo ed ebbe l’improvviso desiderio di distruggere qualcosa. Magari la lettera dei suoi: intendevano punirlo per il suo comportamento a scuola? Bene, almeno suo padre gli avrebbe fatto del male per qualcosa che lui aveva fatto!
“Liam!”
Si sentì chiamare mentre imboccava le scale per i sotterranei. Si girò: Euriale lo aveva seguito di corsa. Pensò di ignorarla e si girò di nuovo.
“Liam, ti prego, ascoltami!” insistette lei, raggiungendolo. Fece per mettergli una mano sulla schiena, ma si bloccò.
“Che c’è?” chiese lui tra i denti.
Euriale lasciò cadere il braccio e si guardò attorno.
Gli si fece più vicina, parlando piano: “Lo so che non ti piace che io sappia come ti senti, ma non posso farne a meno.”
“Lo so” rispose lui, con una piccola smorfia.
“Al massimo posso far finta di niente, ma non mi sembra che serva a qualcosa,” continuò Euriale. “Volevo solo dirti che…gli altri sono a disagio quando ti arrabbi per cose stupide, o senza motivo. Ma io lo sento, che sei arrabbiato tutto il tempo e quando esplodi riesci a sfogarti, e dopo va un po’ meglio…”
Liam la fissò a bocca aperta: Euriale sentiva le sue emozioni molto meglio di quanto lui credesse.
Abbassò gli occhi: “È così. Ma dopo mi sento in colpa, quando me la prendo con voi.”
“Lo so,” gli fece eco Euriale, facendo un passino verso di lui.
“Mi fa paura che tu sappia tutto quello che provo. Io ero abituato a stare per conto mio, e adesso…”
“Io posso chiudere la mia mente, ma non la tua. Se imparassi a controllarti…” suggerì la ragazzina.
Liam le rivolse un sorriso amaro: “Non ci riesco.”
“Magari si può trovare un modo,” insistette lei. “Nel frattempo, arrabbiati con noi. Smettila di rispondere alla McGranitt e ignora i Grifondoro, prima di metterti seriamente nei guai. Così tu ti sfoghi e noi non perdiamo punti.” Gli diede una pacca sul braccio.
Liam annuì piano, guardando un po’ lei, un po’ il pavimento: “Ci proverò…”
   
 
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