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Autore: Emmastory    02/07/2017    4 recensioni
La vita di Rain e del suo gruppo continua, ma purtroppo senza uno dei compagni di viaggio. Sono passati ben quattro anni da quando la povera Samira è morta da eroina sul campo di battaglia, tentando assieme agli amici di eliminare una minaccia ormai conosciuta, ovvero i Ladri. Ora come ora, con la calma che regna sovrana ad Ascantha, nessuno sa cosa sia successo davvero, se la guerra sia finita, o sei ai nostri eroi sia stata concessa una tregua. Sempre uniti e fiduciosi, sono decisi a combattere le loro battaglie, e sperare, con tutte le loro forze, in un nuovo e sereno domani. Come andrà a finire? Scopritelo unendovi di nuovo a loro, nell'ultimo capitolo della saga di Aveiron.
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-VII-mod
 
 
Capitolo XI

Messaggi in bottiglia

Per nostra fortuna, il caldo aveva deciso di concederci una meritata tregua, permettendoci finalmente di respirare senza boccheggiare. Alisia è finalmente guarita, e non potrei essere più felice. È stata dura, ma alla fine ce l’ha fatta. Pensandoci, non posso fare a meno di definirla coraggiosa. Ne ha passate tante, perfino troppe, ma non si è mai arresa, e ora che è riuscita a tornare sui suoi passi ed essere sé stessa, siamo tutti orgogliosi di lei. Io per prima in quanto sua sorella, e Ilmion in special modo. È suo marito, e l’ha sposata perché la ama, e come mi ha detto una volta, starle accanto è la cosa migliore che potesse capitargli. Ora come ora, il tempo passa, e benchè a prima vista un estraneo potrebbe pensare che la sua situazione si sia risolta, purtroppo non è così. Stando ai miei ricordi e alla realtà, Ashton ha letteralmente ridotto la sua casa in cenere, bruciandola dopo averla violata selvaggiamente. Tutto questo mi giunge incredibile, e mi fa arrabbiare come poche cose a questo mondo. So bene che la mia rabbia non riporterà le cose alla normalità, ma nulla mi vieta di essere inviperita con quel mostro. È strano a dirsi, ma sono così in collera che le mani mi prudono, e mentre il tempo scorre, stiamo cercando di capire cosa fare per aiutarla, anche se per ora non riusciamo a cavare un ragno dal buco. Seduta vicino alla finestra, rifletto in silenzio, e abbassando lo sguardo, mi concentro sul disegno di Isaac. È una bellissima rappresentazione del bosco di Ascantha, e nonostante sia una copia, lo apprezzo moltissimo. Anche se da poco, un assolato pomeriggio ha preso il posto del mattino, e con la luce diurna che mi fa compagnia, sorrido. La felicità ha fatto di nuovo ingresso nelle nostre vite, e al solo pensiero, sorrido. Non sono sola, ma il silenzio mi sovrasta, e improvvisamente, una voce dolce e quasi angelica mi distrae. Si tratta di Erin, che stringendo il suo coniglietto di pezza in mano, mi guarda. Quel pupazzo è ormai vecchio, certo, ma ancora bianco e soffice come era in origine. Avvicinandosi, la piccola sorride leggermente, e andando alla ricerca della mia mano per stringerla con dolcezza, nota il disegno che anch’io sto ammirando. “Che cos’è?” mi chiede, ingenua e curiosa come sempre. “È un disegno del bosco, tesoro.” Risponde qualcuno alle mie spalle, cogliendomi alla sprovvista e facendo le mie veci. Confusa, mi volto, ed è allora che la vedo. Silenziosa come mai prima, Alisia ha lentamente fatto il suo ingresso nel salotto di casa, apparendo come un fantasma e spaventandomi non poco. “Possiamo andarci?” azzarda la bambina, desiderosa di uscire e scoprire il mondo attorno a sé. Piombando nel silenzio, non seppi davvero cosa dire, e guardandola, andai alla ricerca della sua approvazione. Sapevamo entrambe che il bosco era fonte di calma e tranquillità, ma in questo periodo non era certo un luogo accogliente. Forse stavamo esagerando, e forse ci sbagliavamo, ma volevamo proteggere i bambini dagli eventuali pericoli che la natura poteva nascondere. Non ci riferivamo a ortiche, edere velenose o radici sporgenti, ma alla minaccia che i Ladri potevano rappresentare. Per quanto ne sapevo, avevano iniziato a nascondersi nella selva sperando di non destare sospetti, e noi avevamo paura. “Erin, piccola, oggi non…” Biascicò sua madre, non riuscendo a trovare le parole adatte a spiegarle la complessità della situazione. “Per favore, mamma! Per favore!” prese a piagnucolare la piccola, tentando in ogni modo di convincerla. Mostrandosi irremovibile, Alisia negò con dolcezza, ma nulla sembrò funzionare. Difatti, anche Cecilia si unì alle suppliche, e poco dopo fu il turno di Lienard. Ormai stanca di sentire le loro preghiere, alla fine cedette, e prendendo per mano una delle bambine, acconsentì a portarle nel bosco. Poco prima di uscire, informai Stefan, e questo insistette per venire con noi, non volendo assolutamente lasciarmi da sola. Annuendo, gli mostrai un sorriso, e prendendogli la mano, mi incamminai con lui verso la porta di casa. Proprio allora, qualcuno parve notarci. “Dove andate? Posso venire anch’io?” chiese Aaron, sperando di ottenere il permesso. Con fare indeciso, guardai per un attimo Stefan, che restando in silenzio, non si mostrò contrario. Solo allora, mi strinsi nelle spalle, e con un gesto della mano, lo invitai a seguirci. “E noi?” Disse una voce poco distante, che alle mie orecchie giunse come femminile.” Voltandomi, non vidi che Rose e Terra, ormai grandi ma sempre pronte all’avventura. “D’accordo.” Mi limitai a dire, ripetendo quel gesto con la mano e dando poi inizio al nostro viaggio verso il bosco. Camminavamo da poco, ed eravamo quasi fuori dal giardino di casa, quando improvvisamente, un uggiolio in lontananza ruppe il silenzio e la nostra concentrazione. Era Chance, padrone del nostro giardino, legatissimo a tutti noi e triste all’idea di vederci andar via. Avvicinandosi, Terra provò a consolarlo facendogli una frettolosa carezza sulla testa, e non appena si voltò, il cane riprese a lamentarsi. Non voleva star solo, e ci stava letteralmente pregando di portarlo con noi. A quella vista, fui mossa a compassione, e avvicinandomi a mia volta, gli diedi il permesso di seguirci. Di lì a poco, Chance iniziò a trotterellarci dietro, nonostante l’ormai avanzata età e un leggero dolore alle zampe. Una volta arrivati, una sorpresa. Soren e Isaac erano già lì, entrambi impegnati ad allenarsi utilizzando i bersagli e i manichini ancora in piedi nel campo di allenamento messo in piedi dalle due Leader. Salutandoli, li abbracciai entrambi delicatamente, notando che Isaac portava sempre con sé il suo zaino. Vi conservava i suoi effetti personali, incluso il capolavoro creato per la madre, che custodiva gelosamente. Forse ancora arrabbiato per quanto le era successo, sferrava ogni colpo di spada con forza incredibile, e lo stesso valeva per il modo in cui scoccava le sue frecce. Guardandolo, provavo pena per lui, e tentando di evitare che la tristezza si impossessasse di me, guardavo i bambini, tutti intenti a giocare e acchiapparsi. Correvano affidando le loro risate al vento, e i loro sorrisi mi rendevano felice. Abbassando lo sguardo per un solo attimo, mi abbandonai ad un sospiro. Quella di oggi era una giornata tranquilla, e ne ero felice, ma non riuscivo a smettere di pensare ad Isaac. Aveva diciassette anni, ed era ormai quasi un adulto, ma nonostante tutto, il dolore per la perdita della madre era ancora vivido e presente nel suo povero animo ferito. Notandomi, Stefan si sedette al mio fianco fra l’erba, e cingendomi un braccio attorno alle spalle, mi strinse e attirò a sé. “Su, non è successo niente, sii felice.” Mi disse, guardandomi negli occhi e regalandomi poi un sorriso. Quasi ignorandolo, sfuggii dal suo sguardo, ma stringendomi la mano con forza, quasi mi fece male. Volendo soltanto difendermi, tornai a guardarlo, e proprio allora, Stefan mi prese il mento con due dita, costringendomi a fissarlo fino a quando le nostre labbra non si incontrarono. Il nostro fu un bacio veloce, nulla di più, e nonostante lo stato in cui versavo, lo accettai in silenzio, sorridendo debolmente al solo scopo di non deluderlo. In fin dei conti, voleva solo vedermi felice, ed io gli avrei dato questa soddisfazione. Appena un attimo dopo, lo baciai ancora, e nel momento in cui mi staccai da lui, Stefan mi fece una domanda. “Tu ti fidi di me, non è vero?” mi chiese, sorridendo per la seconda volta e stringendomi la mano con forza ancora maggiore. “Certo.” Risposi, con voce tanto bassa da risultare quasi inudibile. “Brava, mia principessa.” Disse poi, stringendomi in un abbraccio che non mi aspettai ma che non disdegnai affatto. Stando a quanto ricordavo, non mi chiamava in quel modo da tempo, e stare fra le sue braccia era sempre bellissimo, proprio come la prima volta. Soltanto allora, riuscii finalmente a rilassarmi, e ammirando il tramonto di fianco al mio lui, notai che le bambine erano venute a unirsi a noi proprio sotto la grande quercia dove ora sedevamo. Al contrario di loro, Lienard era ancora impegnato a correre fra l’erba e giocare con il padre, che nel suo zaino aveva infilato anche un pallone da calcio. Aveva soltanto cinque anni, ma quando voleva, quel bambino sapeva essere un vero terremoto. Per quanto ne sapevo, l’iperattività nei più piccoli non era un problema, anche se a volte perfino Ilmion e Alisia messi insieme avevano problemi a controllarlo. Nonostante questo, sopportavano con pazienza tutti i suoi guai e le sue marachelle, non mancando però di infliggergli punizioni adatte ad uno scalmanato bimbo della sua età. “Non voglio stare nell’angolo!” gridava, quando i genitori gli imponevano di restare fermo con il viso rivolto verso il muro senza parlare con nessuno. “Non voglio andare in camera mia!” diceva, tutte le volte che Ilmion o Alisia lo mandavano nella sua stanza privandolo dei suoi giocattoli perché riflettesse su ciò che aveva fatto. Mai nulla di grave, come rompere un piatto o un bicchiere o scrivere su un muro, ma che doveva evitare comprendendo i suoi errori. A quel solo pensiero, sorridevo. Ricordavo bene di aver cresciuto Aaron alla stessa maniera, fra giochi, abbracci, sorrisi e pianti. Lo punivo per le sue marachelle, certo, ma gli volevo bene lo stesso. Ad ogni modo, e poco prima che il sole sparisse definitivamente dal cielo, Soren mi chiamò a sé con un gesto della mano, e vedendomi allontanarmi, Stefan e i bambini mi seguirono. Di lì a poco, ci ritrovammo tutti di fronte al laghetto del bosco, in piedi vicino alla riva. Nel silenzio, nessuno disse nulla, ma poco dopo, Isaac mosse  qualche passo in avanti. Aprendo il suo zaino, ne estrasse il suo disegno, e assieme a questo, una bottiglia di vetro. Inizialmente, non capii cosa stesse accadendo, ma tacendo, lasciai che la situazione continuasse ad evolvere davanti ai miei occhi. Con una calma a mio dire mostruosa, Isaac arrotolò di nuovo quel disegno, e lo inserì nella bottiglia, che poi affidò alla calma acqua del lago. Un gesto nobile e bellissimo, e una vista alla quale quasi piansi. Stropicciandomi un occhio con la mano, tentai di impedire la fuga di alcune lacrime, e pur fallendo, potei contare sull’appoggio del mio intero gruppo. Notando lo stato in cui versavo, Stefan mi strinse a sé e porse un fazzoletto, che utilizzai subito per asciugarmi gli occhi. “Perché l’ha fatto?” chiese Erin, confusa e stranita da quel gesto, ai suoi occhi inusuale. “La sua mamma non c’è più, e lui voleva mostrarle il disegno, così l’ha messo nella bottiglia, che un giorno il lago porterà in paradiso.” Rispose Alisia, abbassandosi al livello della bambina così da poterle toccare la spalla. Annuendo, questa sorrise leggermente, poi mosse qualche incerto passo in avanti, e pur rischiando di cadere, sfidò l’acqua per raccogliere un fiore, che poi affidò ai flutti. Subito dopo, la poverina iniziò a piangere, e tutti cercammo di consolarla. “Quindi è vero? Se n’è davvero andata?” azzardò poi Cecilia, presente per la sorella ma triste anche lei. “Sì, e mi dispiace, tesoro mio.” Le risposi, quasi inginocchiandomi per poterla guardare negli occhi. Vispi e azzurri come il mare e uguali a quelli della sorella, brillano, ma solo a causa di alcune lacrime che minacciano di uscire. Sta per piangere, ed io l’abbraccio, lasciandola sfogare. “Volevo conoscerla.” Piagnucolò, lamentandosi fra le mie braccia per la morte di una persona a lei estranea che era comunque riuscita a toccarle il cuore. Accorgendosi delle lacrime della bambina, Chance le si fece vicino, e leccandole il viso, cercò di farla sorridere. Non appena ci riuscì, parve sorridere anche lui, sedendosi accanto alla sua nuova piccola amica e rotolandosi in terra per farsi accarezzare la pancia. Un comportamento dolce e giocoso al tempo stesso, che nel linguaggio dei cani poteva significare soltanto una cosa. “Ti voglio bene, e mi fido.” “Chance, cagnolino stupidino.” Lo apostrofò lei, ridacchiando e inginocchiandosi fra l’erba per realizzare il suo desiderio. Così, appagato e felice, il cane tirò fuori la lingua fino a farla penzolare fuori dalla sua stessa bocca, muovendo ritmicamente una zampa mentre Erin lo accarezzava. Lo faceva sin da quando era un cucciolo, e stava a indicare che quello che stava accadendo gli piaceva da matti. A quella scena, risi di gusto, e poco dopo, mostrai a Chance il suo guinzaglio. La sera era ormai calata, e nonostante lui ci avesse in qualche modo aiutati cambiando leggermente l’atmosfera, era ormai ora di tornare a casa. Sedendosi composto di fronte a me, lasciò che agganciassi il guinzaglio al suo collare, che poi passai a Stefan perché fosse lui a controllarlo. Sin da quando era arrivato a casa, si era legato moltissimo a tutti noi, ma in modo particolare ad ognuno dei miei figli, o con chiunque fosse in difficoltà, come Isaac con i suoi problemi di cuore o Erin e Cecilia, piccole e fragili in quanto bambine, sue nuove amiche e nuovi membri di quello che lui considerava il suo branco. Il viaggio di ritorno a casa fu lungo, ma una volta arrivati, Stefan ed io andammo subito a letto, addormentandoci l’uno fra le braccia dell’altra, dopo aver detto addio ad una cara amica come Samira fra fiori, preghiere e messaggi in bottiglia.
   
 
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