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Autore: Captain Payne    02/07/2017    1 recensioni
Nella contea di Cheshire East non succede mai nulla che possa rompere la quotidianità in cui la popolazione è intorpidita; figurarsi nella cittadina di Holmes Chapel, di soli 5.000 abitanti, dove la cosa più scandalosa accaduta era stata il malfunzionamento di un lampione nel centro storico.
Un gruppo di ragazzi vive la propria vita credendo di poter rimpiazzare le follie di una metropoli con la piccola città, tra i popolari del loro college ed invidiati da chi sogna di fuggire dalla routine.
L’arrivo di una ragazza in città cambia totalmente le carte in tavola.
Dal testo:
“Il moro si voltò ancora una volta verso la ragazza accanto a lui, catturando nella sua memoria come i fasci di luce s’infrangessero sul suo viso candido e il profilo del suo naso alla francese sembrasse uno spicchio di sole appena sorto: un timido calore nel gelido freddo dell’alba d’Ottobre. Avrebbe voluto risponderle, per non sembrare un ebete che di prima mattina aveva già terminato le parole; per esempio voleva chiederle come mai non avesse ripetuto l’insulto da lui pronunciato.”
https://www.wattpad.com/434827794-troubles-in-heaven-z-m-%E2%80%9E-i-welcome-in-holmes
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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 I 

Welcome to Holmes Chapel!



 
Dedicato a tutti quelli che, 
come me, 
non amano mettere freni ai propri sogni.





-Stavolta sento che è quella buona, quindi fai meno la sbruffona!- la porta si estendeva in sette metri e mezzo di fronte a lei, ciò che la divideva dalla rete erano quella decina di metri ed il suo migliore amico, un armadio di 1 metro ed 90 che continuava ostinatamente a voler fare il portiere nonostante l’avesse spedito già un paio di volte in infermeria.

Si allontanò a passo molleggiato dal dischetto bianco nell’area di rigore, respirando a pieni polmoni il profumo dell’erba sotto i suoi scarpini. I capelli biondi e lunghi erano stretti in una coda alta, le cui punte muovendosi le solleticavano le braccia e la schiena.
Svein era pronto, aspettava che gli fosse passata la palla per ricreare la rovesciata che la ragazza aveva da poco imparato.

Si mosse a passi piccoli e svelti per raggiungere il pallone di fronte a lei, inclinando il piede e passandolo lateralmente all’amico, con un colpo secco. 
Il tempo sembrò rallentare quando lui le rilanciò la palla che ora fluttuava in aria, poco sopra la sua testa, e lei diede le spalle alla porta mentre si lanciava verso l’alto, ruotando la gamba ed il bacino per inseguire il pallone.
Lo colpì con forza prima di cadere a terra e, nonostante il fastidioso dolore improvviso alla colonna vertebrale, si voltò di scatto per osservare gli effetti della sua azione: la palla toccò la traversa solo appena, cambiando leggermente la sua traiettoria ma finendo comunque in rete.

Si lasciò andare ad un sospiro, subito seguito dagli schiamazzi dei due gemelli che le vennero incontro con sorrisi trionfanti. Dalla sua gola si sollevò una risata prima che il petto le venisse compresso dal peso di Sebastian che si era appena spaparanzato su di lei, come a cercare di prendersi una rivincita.

-Non riesco a capire se sei nato con dei ritardi o lo fai apposta per farla vincere, ma questo confermerebbe solo che sei nato con più ritardi di quanti me ne aspettassi- l’osservazione di Svein terminò con una risata gutturale ma che esprimeva tutta la giovialità che possedeva. I capelli castani sollevati in una non troppo accentuata cresta facevano da capo ad un viso spigoloso, che terminava con una mascella squadrata e ben definita. Gli occhi erano piccoli e marroni, ma ora che stavano ridendo era quasi impossibile distinguerne il colore.

-Devo rammentarti che siamo usciti dallo stesso buco, fratellino?- lo schernì l’altro mentre si sollevava dal corpo della bionda, ormai più che abituata a quel tipo di battute ed ilarità. Svein sembrò voler controbattere ma qualcuno alle loro spalle si schiarì la voce.
Un uomo alto e con una postura rigorosa stava al loro cospetto, i segni dell’età avanzata erano visibili solo sul suo viso, per via del corpo magro e robusto, tranne che per la pancia pronunciata che spuntava fuori dal gilet scuro.

Accanto a lui stava Marion, uno dei maggiordomi più fidati che suo nonno avesse e che lo seguiva praticamente ovunque all’interno della reggia. Lei si alzò subito non appena lo vide, quella mattina era già stata avvertita di quell'incontro dalla domestica che l’aveva svegliata: suo nonno doveva scambiare qualche parola con lei il prima possibile, e in privato.
Lui, con un cenno della testa ed un’occhiata eloquente, la invitò a seguirlo lungo il campo da football, e lei gli obbedì mentre camminando toglieva qualche filo d’erba rimasto attaccato ai suoi calzettoni. Suo nonno aspettò di essere abbastanza lontano dal gruppo che avevano appena lasciato, prima di schiarirsi la voce ancora una volta ed iniziare a passeggiare lungo il sentiero lastricato del loro giardino inglese.

-Stai diventando brava Sophie e, se anche così non fosse, ho potuto far caso all’impegno che hai messo in questo sport e sarei felice per te in qualunque caso–  le disse affettuosamente, increspando i baffi col suo grosso sorriso.
Lei lo ricambiò, felice che almeno un membro della famiglia la appoggiasse nei suoi sogni, ma leggeva comunque una nota di preoccupazione nella sua espressione, come se stesse nascondendo i sospiri a malapena.

-Ma c’è altro che devi dirmi-

-Ma c’è altro che devo dirti, hai ragione, sei sempre stata una donna piuttosto perspicace- allacciò le mani dietro la schiena, giunte, forse per non mostrarle quanto le stesse torturando in quel momento. Dopo una breve pausa, seguì il resto del suo discorso: -...non c’è molto tempo e tu dovrai dimostrare di essere la nipote più scaltra ed in gamba che ho, so che ne sei in grado- Sophie sentì la preoccupazione crescere insieme ad una forte ansia, un borbottare di terribili sensazioni proprio al centro del petto: questò non fece che alimentare l'adrenalina a fiotti, come la benzina alimenta il fuoco. Un cenno della testa e lo sollecitò a continuare.

-Sapevo che le azioni di tuo zio non sarebbero potute rimanere impunite, per anni ho aspettato queste ritorsioni... ed ora che la mia candidatura sta volgendo al termine, tu e tuo fratello siete in pericolo, angelo mio– era convinta di star respirando ma in quel momento non riusciva a prendere abbastanza aria, stava affogando nelle sue stesse paure, la paura di non sapere come sarebbe andata a finire: suo nonno non mentiva mai, non con lei.

-Nessuno sa e nessuno deve sapere, c’è una spia tra queste mura, forse più di una, e non puoi più fidarti di nessuno, nemmeno della tua stessa famiglia. D’ora in poi conterai solo su te stessa, e ovviamente Svein e Sebastian verranno con te quindi non sarai mai sola- voleva dimostrare di essere forte ma la paura sembrava essersi trasformata in un’esalazione velenosa che le aveva attaccato le ghiandole lacrimali, ed ora la sua vista non avrebbe potuto essere più offuscata.

-Non potrai mai dire a nessuno chi sei, mai, se lo farai sarai in pericolo e tutte le persone che ami lo saranno con te. Tuo fratello è il diretto erede al trono per diritto di nascita, lui resterà qui con me a governare il paese ma tu... tu devi fuggire lontano dalla Svezia e dovrai eliminare qualsiasi cosa che ti colleghi qui, non rischierò mai di perdere la mia bellissima principessina- ora anche la voce di suo nonno, così profonda e calma, sembrò incrinarsi pronunciando quel piccolo nomignolo che l’aveva sempre caratterizzata nell'infanzia.

-Nonno… come posso fare? Io non so cosa fare, non so cosa sta succedendo, spiegami!–  il suo stomaco era in subbuglio e le lacrime scendevano calde sulle guance colpite dall’aria fredda, tipica in quel punto del giardino. Suo nonno la prese per le spalle e la strinse al petto, accarezzandole la schiena col palmo aperto e dondolandola appena, come faceva suo fratello con lei quando dopo un incubo.

-Tu sei Sophia Henriette Margharetha Victoria Bernadotte, principessa di Svezia per diritto di nascita e sangue del mio sangue, non dimenticarlo mai, questo nome non è solo un vanto o una responsabilità, a volte può essere un fardello, devi solo nasconderlo ad occhi indiscreti finché io e tuo fratello non avremo scoperto chi c’è dietro-

 -Glöm inte vem du är, du kan alltid räkna med mig- Non dimenticarti chi sei, potrai sempre contare su di me.

 
 



 

-Questa è la tua scheda, tieni, il volo non dura molto quindi non avremo poco tempo per imparare chi siamo, concentrazione- disse Svein mentre consegnava ai suoi due compagni di viaggio una cartella a testa, che avrebbe rappresentato la loro identità sino al rientro a casa.

-Grazie Troy Bolton–  borbottò Sebastian, schernendolo per la sua scelta di parole, ma questo prima di aprire il suo fascicolo e leggerne la prima pagina: -Caleb?! E che nome é, sembra un utensile da cucina!– strillò, e probabilmente il 60% delle persone a bordo di quell’aereo si voltò verso di loro; ovviamente, l’occhiata di fuoco da parte di suo fratello non tardò ad arrivare.

Sophie generalmente gli avrebbe rifilato una gomitata nel costato ma davvero non ne aveva la benché minima voglia. Avrebbe solo voluto chiudersi in camera sua, sedersi con la schiena contro il muro e piangere finché ne avesse avuto la forza. Come da programma, la sua vista si appannò di nuovo quando in cima alla sua cartella spiccò “Victoria Lindbergh”, così piatto, così comune, così non suo.

Svein sembrò accorgersi della sua spossatezza riguardo tutta la faccenda e si sporse vicino a lei, accarezzandole il braccio sinistro con la punta delle dita, probabilmente anche lui stava pensando che quel nome così familiare era opera di suo nonno.

-No ma scherziamo?!- chiese ironicamente Sebastian quando, voltandosi verso il fratello, lesse il suo nome in cima alla pagina: - Simon? Quindi tu farai il figo col nome del vampiro di Shadowhunters, mentre io verrò scambiato per una pentola?! Dov’è la telecamera?- nonostante l’attenzione che quella crisi aveva attirato su di loro, non poté fare a meno di lasciarsi andare ad una risata.
Forse non era vera, forse era solamente forzata, forse anche quelle dei suoi amici furono forzate, ma era sicura che in qualche modo avrebbero affrontato quel momento insieme, per quanto brutto e spaventoso potesse essere.
 



Il mattino seguente non c'era stato nessun risveglio soave ma una sola consapevolezza, che l’aveva investita non appena si era dovuta sdraiare in un letto mai visto e coprire con coperte non sue, fra quattro mura che non riconosceva affatto; quella consapevolezza le aveva divorato il sonno tutta la notte, impedendole di dormire anche per solamente cinque minuti.

Alle quattro del mattino non aveva più sopportato il calore di un letto estraneo, e così si era finalmente alzata e chiusa in bagno. Aveva guardato il tubetto della tinta lavabile castana per un tempo che era sembrato infinito:  ricambiava il suo sguardo dal lavello come se fosse un pugnale e lei stesse combattendo con la propria coscienza per non commettere un omicidio. Di quello spietato delitto le vittime erano i suoi capelli, quel biondo vaniglia che l’aveva sembra caratterizzata ed era il più lampante simbolo della discendenza reale, presto sarebbe stato rimpiazzato da un mogano cioccolato che non le apparteneva.

Aveva asciugato la chioma con calma e nostalgia mentre la guardava trasformarsi nei soliti boccoli che scendevano morbidi e dolci oltre il seno e fino allo stomaco; successivamente, aveva tolto anche la tinta dalle sopracciglia fine e, quando oramai si erano fatte le sei, era uscita dalla sua camera profumata e vestita.
Aveva sorriso quando si era infilata i vestiti che la sera prima aveva scelto con Sebastian e Svien, uno troppo protettivo e l’altro con dei gusti davvero pessimi, una cosa però era risultata certa: doveva assolutamente rifare il suo guardaroba da capo, non le era ovviamente stato permesso di portare nulla con sé.

Aveva indossato una semplice maglietta nera attillata, con le maniche lunghe ed il piccolo logo della Ralph Lauren rosso ricamato su di un lato, i bottoncini sopra il seno rigorosamente allacciati alla perfezione. Aveva poi infilato l’unico paio di jeans che avesse mai comprato, questi ultimi però erano bianchi ed non delle comuni sfumature de blu.

-Perché sei già sveglia?- borbottò Svein entrando in cucina mentre si passava furiosamente un mano lungo il viso - si sedette su uno dei sgabelli al bancone.

-La domanda giusta non è perché io sia già sveglia, ma perché tu e tuo fratello dormiate ancora– gli fece notare mentre gli sistemava una tazza di caffè sotto il naso, quest'ultima sembrò farlo rinsavire. Lui prese una generosa boccata di quell’aroma penetrante e ne bevve un sorso, prima di schiarirsi la voce.

-Cominciamo a prendere confidenza coi nostri nuovi nomi, non devi sbagliarti davanti a nessuno, io sono Simon, io e Caleb… come mi suona strano chiamare mio fratello così dopo aver vissuto con lui per vent'anni… ti chiameremo semplicemente Vic, spero che quell'idiota non faccia una delle sue solite stronzate– mormorò infine passandosi una mano tra i capelli, anche lui sembrava non aver dormito molto quella notte. Gli si avvicinò con un’espressione mista tra la comprensione e la gratitudine in volto, prima di avvolgere le braccia intorno alle sue spalle ed abbracciarlo da dietro.

-Vedrai che andrà tutto bene, io non ho paura finché ci siete voi con me- gli sussurrò vicino al viso mentre lui si lasciava coccolare dalle sue carezze; per loro era abituale quel tipo di rapporto, si conoscevano dalla più tenera età ed erano entrambi gli unici amici che avessero mai avuto. Lui abbassò per qualche attimo lo sguardo prima di notare i boccoli scuri che cadevano di fronte al suo naso: impiegò qualche attimo per elaborare.

-Allora alla fine l’hai fatta- le prese una mano così da farla volteggiare di fronte a sé ed osservarla per bene con un enorme sorriso stampato sulle labbra: -Sembri un angelo, le sopracciglia sono un tocco di classe- il suo sorriso si spense qualche attimo dopo mentre le fece fare un altro giro su stessa osservando il suo corpo.

Il vitino da vespa era stretto da una maglietta attillata nera che metteva in risalto la piaccia piatta, dovuta ad un assiduo allenamento, ed un seno appena pronunciato. Il collo fine e lungo era circondato dai capelli color cioccolato che scendevano in boccoli fino ai reni - gli occhi erano grandi, così chiari da potervi intravedere il cielo grigio del freddo inverno svedese. Per loro fortuna non era eccessivamente alta, anzi sfiorava appena il metro e settantacinque, quindi forse nella calca degli studenti nessuno avrebbe notato una creatura tanto meravigliosa.

“Ma che diavolo sto farneticando?” esordì Svein nella sua testa, di tanti momenti quello non era proprio adatto per mettersi a fare il romanticone con la sua migliore amica. "Forse è meglio andare a darsi una rinfrescata".

-Vado a svegliare quel bradipo di mio fratello-




 

[ so che è eccessivamente lungo ma resistete! L'ho fatto per poter iniziare la vera e propria narrazione direttamente dal secondo, gli altri saranno più corti! ]

 



-Lindbergh? Prego, entrate, mi avevano informato del vostro arrivo di oggi- la direttrice dell’istituto era una donna con un’espressione bonaria sul volto, eppure dava come l’impressione che al minimo intoppo potesse arrabbiarsi tanto da incenerire i suoi studenti piuttosto che sospenderli.

Non era mai entrata in una struttura scolastica fino a quel momento, e così nemmeno Svein e Sebastian. Non sapeva cosa significasse ritrovarsi a dover urlare per sovrastare gli schiamazzi degli studenti, cosa volesse dire sparlare di qualcuno di popolare o avere una scadenza per consegnare i compiti; non sapeva cosa si provasse a stare alla mercé di un insegnate e mettere nelle sue mani la tua istruzione, nonostante suo nonno l’avesse educata secondo i programmi attuali seguiti dalle scuole svedesi, quindi poteva ritenersi al passo con chiunque altro lì dentro.
Tutto ciò che sapeva riguardo la scuola ed il corpo studentesco glie lo avevano insegnato i film come Mean Girls o High School Musical, e da un lato si era sempre domandata se fosse davvero così, se esistessero davvero delle Regina George o dei Troy Bolton, e se davvero nel bel mezzo della pausa pranzo qualcuno iniziasse a cantare trascinando gli altri con sé.

-Un po’ spaesati per l’arrivo in una nuova città? Beh, nel vostro caso direi nuovo paese, da che parte della Svezia venite?-

-Stoccolma-

-Uppsala-

La preside rimase a guardare con un’espressione confusa i due giovani, i suoi occhi saettavano da quelli di Sophie a quelli di Svein. Lui le prese la mano da sotto la scrivania scura, nessuno avrebbe potuto vedere quel gesto se non la diretta interessata che sussultò interiormente, lasciando così la parola al suo amico per il resto del colloquio.

-Scusi il momentaneo diverbio tra me e mia sorella, purtroppo i nostri genitori sono separati e lei ha vissuto gli ultimi anni con nostra madre a Stoccolma- spiegò brevemente lui, e non seppe se erano i suoi modi di fare, il suo tono basso o il suo accento nordico che fecero avvampare per un attimo la donna che, rapita, lo guardava con rinnovato interesse.
Il resto del colloquio fu colmato solo con domande sulla loro vita in generale, a cui ovviamente Svein (o meglio dire Simon) aveva mentito spudoratamente. La preside consegnò una mappa topografica della scuola a quest’ultimo dopo che tutti e tre si fossero alzati, ma prima di uscire bloccò Sophie sulla porta, trattenendola ancora qualche attimo nel suo ufficio per poter parlare in privato.

-Vic, spero non ti dispiaccia un approccio più 
tête-à-tête, ma sapendo che non hai mai frequentato una scuola vera e propria voglio assegnarti una guida d’eccezione. Vedrai, sarà facile ambientarsi con lei e ti aiuterà a fare amicizia in fretta- Sophie sussultò visibilmente quando sentì la voce della donna risuonare per tutto il campus: “Whaliyha Malik è desiderata in presidenza, grazie” 

La ragazza era grata di tutta quell’apprensione, anche se si sentiva in colpa per tutte le bugie che erano riusciti a dire e le persone che avevano ingannato da quando erano arrivati in quella città.

Quello che la donna ignorava, o meglio, che era stato volontariamente omesso dalla dettagliata montagna di menzogne del suo migliore amico, era che sua madre era morta molti anni prima, insieme a suo padre, su un aereo che non aveva mai più toccato terra. Era stata cresciuta dai suoi nonni fino a quel momento ed aveva vissuto nel sogno che ogni ragazza ha sempre tenuto chiuso in un cassetto.

Questo probabilmente è come avrebbe definito una coetanea la sua vita, senza l’impegno serio dell’istruzione quanto lo fosse il suo, immersa tra le amicizie spontanee e le piccole e fugaci esperienze d’amore.
Non sapevano cosa significasse dover soddisfare le aspettative di un capo di stato piuttosto che di un insegnante a scuola, che cosa significasse non poter mettere il naso fuori dal castello se non sotto scorta e solo per qualche apparizione in pubblico nella quale avrebbe dovuto fingere, fingere che quella vita fosse agiata e soddisfacente e che lei non avesse mai sognato di fare altro, che non avesse mai avuto aspirazioni diverse.
Forse era un paradosso: una principessa che non voleva essere tale, secondo la sua opinione era la mancanza di scelta che le faceva costantemente desiderare un vita normale.

Non poteva passare il tempo prezioso del pomeriggio giocando a football coi suoi unici amici, sognare di fare le selezioni per una squadra importante, far parte di un team e giocare con competizione, perché il football non è uno sport per una principessa.
La scherma era lo sport in cui la famiglia reale dei Bernadotte era più portata ed era così che impiegava il tempo in cui non studiava per corsi avanzati di cinque lingue diverse; il pianoforte era l’arte per cui le famiglie reali svedesi erano sempre stati rinomati, ed ogni qual volta era sempre lei a dover aprire un ricevimento a palazzo con una sinfonia diversa ed un’orchestra d’eccezione.

Da quando suo fratello era stato ufficialmente etichettato come “erede al trono”, dopo la morte del padre, i due avevano passato sempre meno tempo insieme, finché erano finiti a non parlarsi per interi giorni, a volte per settimane. Il giorno prima della partenza per l'Inghilterra, l’aveva stretta in un forte abbraccio e le era quasi sembrato di sentire un singhiozzo provenire dal suo petto, ma nulla più.
Forse anche lui aveva paura e sentiva il bisogno di avere sua sorella accanto da quando avevano tentato di avvelenare un membro della famiglia reale: lei lo sapeva, suo nonno era stato costretto a rivelarglielo nonostante avessero provato tutti a mantenere il segreto almeno con lei.

Avevano tentato di uccidere suo fratello e tutto quello che lei poteva fare era fuggire, in Inghilterra, nascondersi, tingersi i capelli, cambiare nome, identità, cambiare se stessa per non mettere in pericolo il futuro del loro paese e della loro gente.

La porta dell’ufficio della direttrice si aprì violentemente e ne entrò una ragazza forsennata con una borsa a tracolla che sembrava dover pesare parecchio. Si voltò verso le due donne di fronte alla scrivania e il suo volto si illuminò in un grosso sorriso, prima che si precipitasse a stringere la mano della ragazza a cui tutto questo era nuovo.

Aveva i capelli neri e raccolti in un disordinato chignon che, abbinato alla sua corporatura minuta, la faceva sembrare più fine ed elegante. Gli occhi erano altrettanto neri da farli sembrare un tutt’uno con la pupilla; il viso truccato di più rispetto al suo ma la faceva sembrare una ragazza posata nella sua leggerezza, era solo caricato un po’ sopra gli occhi con dell’ombretto nero e argento. Indossava un maglione grigio chiaro molto più largo di quanto ne avesse bisogno e dei jeans neri piuttosto attillati con qualche strappo sulle cosce, nulla di troppo volgare anche se Sophie non aveva mai visto un abbigliamento del genere in vita sua, solo sporadicamente nei film sui teenager che riusciva a rubare dalla videoteca del palazzo.

-Buongiorno preside Raglan, passate buona vacanze? Spero di sì! Lei è nuova? Io sono…-

-Logorroica, sì Whaliyha, ti ho chiamato perché so che tu sei la persona adatta per questo lavoro. Lei è Victoria, starà con noi per il resto dell’anno e a quanto ho visto, avete molti corsi con livello eguale in comune, ma bando alle ciance, perché non le mostri un po’ il campus? Sono sicura che ci sono dei posti che potrebbero piacerle!- la donna fece un occhiolino nella direzione della nuova arrivata che si convinse, finalmente, che tutto sommato quell’esperienza non poteva essere così drammatica. Aveva la possibilità di riscoprire tutto da zero, di farsi una nuova vita, provare tutto ciò che non aveva mai provato, seguire le sue passioni; nessuno la conosceva, poteva mettersi in ridicolo quanto voleva e vivere la vita come aveva sempre sognato di fare, e non attraverso le esperienze di qualcun altro dietro uno schermo.

La ragazza non perse altro tempo e, dopo aver congedato la donna sulla porta, prese la nuova arrivata per mano e la trascinò oltre la sala d’attesa, incantandosi davanti ai due gemelli al di fuori di essa che aspettavano la ricomparsa della loro “sorella”.

-Ah… ehm… Simon? Dovrei ancora sbrigare delle faccende “burocratiche” riguardo la vostra ammissione, potreste raggiungermi nel mio ufficio?- chiese la donna che si affacciava sulla soglia. Svein sembrò pensarci un attimo ed annuì, prima di sospirare e rivolgersi al fratello.

-Tu vai con Victoria, penserò io al resto, ci vediamo all’ora di pranzo- gli disse con voce che non ammetteva repliche prima di chiudere la porta scura alle sue spalle. Ebbe come l’impressione che quest’interruzione non dispiacque affatto alla ragazza dalla pelle ambrata accanto a lei, che continuava a lanciare occhiate verso il ragazzo alla sua destra per osservarlo meglio che poteva.

Camminavano lungo il corridoio quando si voltò verso Sophie e lei ne ebbe, appunto, conferma quando sollevò più volte le sopracciglia nella sua direzione, indicando il moro con qualche cenno della testa e accompagnando i gesti con un sussurro: “Ti prego, dimmi che tuo fratello è single”.

Lei in risposta scoppiò a ridere provocando un sorriso anche nel ragazzo che aveva iniziato a camminare dietro di loro per tenere d’occhio la situazione.
Allora era così che funzionava? Adocchiavi qualcuno che suscitava il tuo interesse e facevi di tutto per creare una situazione in cui avreste potuto parlare? Avrebbe voluto ridere di spensieratezza in quel momento, felice di aver appreso una nuova verità.
Quest'ultima però la colpì violentemente sul posto, a tradimento, proprio al cuore, troncando i suoi dolci pensieri sul nascere e facendole sparire subito il sorriso appena nato sulle labbra: lei non avrebbe mai potuto sperimentare un amore così, forse non le sarebbe mai stato concesso nemmeno di sperimentare l’amore. 




 
Una sorridente principessa Sophie prima della sua trasformazione in Victoria
(interpretata dalla meravigliosa Scarlett Leithold,
anche se voi siete liberi di immaginare chi volete!)
 


 
 
Spazio Autrice:
UUUUh, lo so, siete felici di essere arrivati sani e salvi fino alla fine.
Definire questo capitolo "lungo" è veramente un eufemismo, sono praticamentre tre capitoli insieme e
giuro, mi dispiace, prometto che non ce ne saranno mai più di così lunghi
.

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Mi piacerebbe molto poter aggiungere un piccolo spazio pubblicità a fine capitolo o cose simili -
ora sparatemi qualche opinione gente, GLI INSULTI SONO BEN ACCETTI :-)))))






 
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