Il
lungo corridoio che si stagliava oltre l’ingresso da cui Bucky era appena
entrato mostrò subito la fatiscenza dell’edificio in cui erano. Molte luci
erano fulminate, alcune pendevano dai loro fili; le infiltrazioni avevano
ricoperto il pavimento di uno strato sottile – ma quantomeno uniforme – di
acqua e sulle pareti muschi e licheni avevano appestato saltuariamente.
T'Challa
richiuse la porta, cercando di fare meno rumore possibile. Non sarebbe stato
semplice passare inosservati; il silenzio che regnava era tetro e fu subito
evidente che anche il rumore più insignificante avrebbe rimbombato a lungo.
Anisa si voltò appena verso i due uomini, i tonfa in mano, la lunga treccia
ordinata e composta. Era vigile e reattiva come la corda di un violino.
La
Pantera fece cenno di seguirla e si avviò per prima: la leggerezza con cui si
muoveva era sorprendente, sembrava quasi galleggiasse sopra la terra. I tre
proseguirono lungo il corridoio, appostandosi in corrispondenza di ogni porta e
controllando furtivi se dentro le stanze vi era o meno qualcuno. Non
incontrarono nessuno e non trovarono niente; la desolazione di quel luogo era
quasi demoralizzante.
Una
volta raggiunta la fine del corridoio – che, come Bucky aveva notato, pendeva
leggermente – si trovarono davanti all’ultima porta. Questa si apriva su delle
scale mal illuminate che portavano in profondità. La loro tromba quadrata e il
metallo di cui erano fatte permisero a T'Challa di identificare subito il
numero dei piani.
«Sono
tre» informò i compagni.
«Forse
ci conviene dividerci» propose Anisa.
«Mai»
rispose pronta la Pantera. «Suggerisco di partire dal piano più basso e salire
a ritroso.»
Gli
altri due annuirono con un cenno, infine scesero le scale, raggiungendo il
piano costruito nella piena profondità della struttura. Dalle dimensioni pareva
un hangar. Lo osservarono attentamente, senza fiatare. Anisa notò una serie di
grandi casse ammassate contro una parete, i tre uomini a sorvegliarle intenti a
parlare. Non si erano accorti della loro presenza e questo semplificò
notevolmente il lavoro di Pantera Nera. Si avviò silenzioso verso gli uomini,
il passo accelerato che non provocava alcun rumore. Appena li raggiunse assestò
un colpo al primo, gomito contro collo; questi crollò a terra subito, privo di sensi,
e quando gli altri due si accorsero di cos’era accaduto era già troppo tardi.
Anisa e Bucky assistettero da spettatori e videro il secondo dei tre venire
colpito anch’esso al collo con il taglio della mano, mentre con altrettanta
rapidità – come se i suoi movimenti non avessero bisogno di pensieri – la
Pantera sferrava un calcio in pieno petto al terzo uomo, per poi finirlo con un
colpo preciso e potente alla nuca.
«Armi»
disse poi T'Challa, dopo aver controllato le iscrizioni sulle casse.
«Devono
averne rubate ancora, non possono essere le stesse dell’altra volta. Quelle
casse sono andate distrutte nell’esplosione.»
Anisa
fece notare la cosa al sovrano, riferendosi a quanto successo nella vecchia
centrale sulle sponde dell’Omo. Lei e la Pantera si guardarono, consapevoli
della stessa cosa: Klaw aveva depredato ancora.
T'Challa
si accorse che Bucky si stava guardando intorno, studiando l’ampia stanza.
«Hai
notato qualcosa?» gli chiese.
L’uomo
indicò un punto, nel lato corto opposto alle scale. «Laggiù c’è un altro
ingresso. Forse c’era un montacarichi o qualcosa del genere.»
La
Pantera apprezzò il suo spirito di osservazione, tuttavia trovò che quella
informazione servisse a poco. Era in procinto di dire ciò che avrebbe voluto
fare quando il rumore di molteplici passi che scendevano le scale attirò la sua
attenzione. Fece cenno ai compagni di nascondersi e i tre si misero dietro le
casse, accucciandosi.
Klaw
in persona arrivò nell’ampia stanza, i due possenti uomini che già avevano
visto insieme a lui erano alle sue spalle. Il bracconiere non disse niente. Si
sentivano solo i suoi passi riecheggiare nella stanza, poi, come se avesse
sempre saputo, si sporse oltre le casse.
«Buh»
disse, una smorfia divertita in viso.
T'Challa
non si domandò come fosse possibile che li avesse individuati, la risposta,
qualunque fosse, non gli importava. Scattò contro l’uomo, gli artigli da
Pantera sfoderati, e fendette il braccio destro del suo rivale con furia cieca.
Il suono che l’impatto produsse fu sordo e innaturale. T'Challa venne colto
alla sprovvista e Klaw ne approfittò; puntò la pistola all’addome di T'Challa e
gli sparò. Il proiettile, però, incontrò la resistenza del vibranio e si
dimostrò impotente. Bucky intervenne, sferrando un colpo con il calcio del
fucile nel ventre di Klaw, che accusò e indietreggiò dolorante.
Anche
Anisa scattò; insieme a T'Challa superò Bucky, i tonfa stretti in pugno per
avventarsi sul nemico. Tuttavia non riuscirono a raggiungerlo in tempo. Uno
degli uomini scuri che era con Klaw si fece avanti, Bucky mirò verso di lui ma
fu inutile. Pantera Nera riuscì a riconoscerlo appena prima che l’uomo,
esattamente come la volta precedente in cui lo avevano incontrato, estraesse un
accendino facendolo scattare. Un’enorme fiamma rossa partì e si propagò con
feroce violenza. Anisa e T'Challa si spostarono in tempo, il Soldato riuscì a
sparare al limite prima che il fuoco lo raggiungesse, inghiottendo il suo
fucile d’assalto. Mentre lasciava la presa dall’arma e rotolava a terra per
schivare le fiamme e mettersi in salvo, avrebbe potuto giurare di sentire il
suono per lui troppo famigliare della carne che viene lacerata con forza,
strappata dalla violenza del proiettile.
La
fiamma si estinse con la stessa, inspiegabile, forza con cui era sorta. Di Klaw
e degli altri due non vi era più traccia ma si potevano ancora sentire
distintamente i loro passi salire frettolosamente le scale.
Bucky
si rimise in piedi, lanciando un’occhiata al fucile d’assalto che aveva
imbracciato fino a pochi attimi prima: era in parte sciolto e parecchio
rovinato. Se non avesse incontrato così tante cose strane già nel suo penultimo
risveglio, quel breve incontro con Klaw e i suoi uomini lo avrebbe seriamente
sorpreso. Non ebbe tempo di chiedersi cosa quel fuoco significasse, T'Challa e
Anisa gli dissero di seguirli e lui, lasciando indietro il fucile d’assalto ed
estraendo una delle pistole, li seguì senza fiatare.
Raggiunsero
le scale e le salirono in fretta, tuttavia, all’altezza del secondo dei tre
piani interrati, una nuova e possente fiamma si sprigionò da sopra le loro
teste, in un punto imprecisato. T'Challa riuscì a schivarla al limite,
appiattendosi contro la ringhiera e balzando sulla rampa di scale successiva
con agilità sorprendente. Anisa e Bucky si videro costretti a tuffarsi nel
corridoio che si apriva accanto a loro e, come vi furono dentro, sentirono la
Pantera urlare: «Io lo raggiungo. Fate attenzione!»
Il
fuoco non sembrava intenzionato a estinguersi; bruciava inspiegabilmente e
circoscritto alle sole scale. Era assurdo, lo sapevano entrambi, eppure i due
avevano smesso di porsi domande.
«Controlliamo
che non ci sia qualcuno a questo piano» propose Anisa. Il Soldato annuì e si
portò davanti a lei, iniziando a sorvegliare cautamente ciò che li circondava.
Percorsero buona parte del corridoio prima di scoprire di non essere soli.
Qualcosa alle loro spalle riverberava contro le pareti del corridoio e quando
si voltarono, capendo che si trattava del rumore di passi, si trovarono davanti
Ulysses Klaw e l’altro uomo che era con lui, l’unico che non aveva ancora fatto
alcunché da quando lo avevano incontrato.
«Vediamo
un po’» esordì Klaw, l’espressione di chi deve scegliere quale trancio di carne
cucinare per prima. «Nessuno di voi è Pantera Nera. Questo vi rende totalmente
privi di interesse.»
La
sua attenzione poi si focalizzò esclusivamente sul Soldato; corrugando la
fronte lo squadrò, dicendo: «Hai qualcosa di famigliare. Ti ho già incontrato
altre volte?»
Bucky
vide Anisa scattare in avanti prima che potesse in qualche modo impedirglielo.
La donna aveva agito in modo avventato e lui lo sapeva perfettamente. Klaw
sollevò la mano destra e la respinse indietro, provocando nell’aria che
riempiva il lungo corridoio un riverbero e una pressione fortissimi. Il Soldato
si sentiva schiacciare da quella pressione; il braccio sinistro era scosso con
violenza, le orecchie gli facevano male ed era come se il suo corpo venisse
compresso. Cercò di spostarsi dalla traiettoria di Klaw appena capì che in
qualche modo era lui a provocare tutto quello e quando ci riuscì e sentì i suoi
polmoni nuovamente in grado di respirare,
prese rapidamente la mira e sparò. Colpì Klaw alla spalla, l’uomo si
fece sfuggire un urlo di dolore e, puntato Bucky, sollevò nuovamente la mano
destra. Ancora quella strana pressione aggredì feroce il Soldato.
Inevitabilmente si portò le mani alla testa, il braccio sinistro come
impazzito, il suo corpo incapace di reagire e un dolore opprimente a schiacciarlo
da dentro. Notò di sfuggita Anisa, accasciata a terra poco più avanti di lui e
quando la sua sopportazione fu al limite prese a gridare nella remota speranza
di riuscire a resistere.
Il
dolore cessò improvvisamente. Bucky
respirava a fatica, ma si accorse di non essere l’unico. Si voltò appena e vide
Klaw che lo stava fissando. Si teneva la spalla sinistra, ferita, con la mano
destra, un largo rivolo di sangue rosso cupo a macchiare la mano e i vestiti e
una pozza di quel suo stesso sangue a brillare inquietante sul lurido pavimento
del corridoio. Il proiettile sparato da Bucky prima era andato a segno e, a
giudicare da quanto Klaw sanguinava, l’uomo avrebbe dovuto medicarsi in fretta.
Con
il fiato corto e la voce roca, Klaw si voltò verso il suo uomo e fece un cenno
in direzione di Bucky – ancora troppo scosso per rialzarsi – e Anisa, dicendo:
«Sule, pensaci tu.»
L’uomo
acconsentì con il capo e si portò avanti, estraendo una pistola, mentre Klaw si
allontanava lungo il corridoio, la mano destra sempre premuta contro la spalla
sinistra.
Sule
– a quanto pareva questo era il suo nome – puntò l’arma contro il Soldato e
sparò. Il proiettile urtò contro il braccio metallico che Bucky aveva
prontamente sollevato, lasciando i suoi riflessi liberi di agire con la
rapidità che avevano conquistato a suon di allenamenti e combattimenti. Tuttavia il Soldato si accorse che la
velocità con cui lo sparo lo aveva colpito era ben superiore a quella che si
sarebbe aspettato; per un lungo attimo si chiese come ciò fosse possibile.
Lasciò da parte i pensieri e si mosse, appoggiandosi con la schiena alla parete
e puntando l’arma contro l’avversario. Quest’ultimo riuscì a spostarsi in tempo
così da schivare il colpo lanciato da Bucky, preso con poca mira, e a
rispondere al fuoco a sua volta. Nuovamente il Soldato fu più veloce e riuscì a
proteggersi, ma ancora una volta la rapidità e il riverbero che quell’unico
proiettile aveva provocato sul braccio gli fecero capire che c’era qualcosa di
sospetto nell’arma – o addirittura nell’uomo. Si alzò per poterlo fronteggiare
e vide Anisa, nuovamente in piedi, lanciarsi contro Sule. La donna tese il
corpo e il tonfa destro, con un gesto fluido, andò a colpire l’uomo proprio
sotto le costole. Lui si voltò a guardarla e le sferrò una gomitata, ma lei si
mosse più velocemente e schivò il colpo, rispondendo a sua volta con un altro
affondo dei suoi tonfa. Era evidente che Sule, nel corpo a corpo, non era
ferrato quanto la sua avversaria – e probabilmente neanche quanto Bucky – e il
Soldato rimase a guardarli mentre lei affondava e lui tentava di ripararsi, in
attesa del momento in cui si sarebbero separati, così che potesse prendere
adeguatamente la mira senza rischiare di ferire Anisa.
«Insegui
Klaw!» gli urlò la donna all’improvviso.
Lui
non si mosse subito. Non era sicuro che lasciarla sola fosse una buona idea, ma
la sua superiorità su Sule, in quel momento, era evidente. Con un rapido cenno
di assenso l’uomo si avviò, iniziando a correre lungo il corridoio, seguendo le
gocce di sangue scuro che baluginavano qua e là.
Anisa,
nel frattempo aveva messo alle strette l’avversario, che si era ritrovato con
la schiena contro una serie di vecchie casse impilate l’una sull’altra.
Continuava a proteggersi il volto con le braccia, la pistola in mano con la
quale non riusciva a prendere la mira contro la donna. Il corpo a corpo non era
mai stato la sua specialità e contro Anisa questa cosa era evidente. Lei si
muoveva con rapidità e agilità; ogni affondo dei suoi tonfa era dato in modo
fluido, elegante e potente e nei suoi gesti c’era una tale naturalezza che
sembrava non avesse fatto altro per tutta la vita.
L’uomo
cercò di controbattere; sollevò il ginocchio puntando all’addome della donna,
lei se ne accorse in tempo, schivò il colpo e controbatté dandogli un pugno
sotto al mento. A causa di quella botta Sule si morse la lingua, sentì la bocca
riempirsi di sangue caldo e in preda alla più totale furia puntò istintivamente
la pistola contro Anisa. Nuovamente lei fu più veloce; con quel gesto l’uomo
aveva involontariamente esposto il collo e ciò diede la possibilità alla donna
di colpire esattamente lì. Il rumore del suo tonfa che colpiva il collo di Sule
fu violento e chiaro. L’uomo non riuscì a reagire, i suoi occhi si fecero vaghi
mentre lanciava un’ultima occhiata ad Anisa e, boccheggiando sangue, si
accasciò alla parete e scivolò fino in terra. Lei rimase a guardarlo un
momento, attendendo che il suo respiro si regolarizzasse appena, dopodiché si
avviò per raggiungere Bucky e cercare Klaw.
A
metà del corridoio, però, non fu in grado di sentire i rumori provenienti alle
sue spalle. Se solo ci fosse riuscita si sarebbe accorta che Sule si stava
rialzando, il respiro ansante, il mento sporco di sangue e lo sguardo pieno di
folle odio. L’uomo raggiunse il centro del corridoio, notando in lontananza la
ragazza che correva per raggiungere le scale, sollevò la pistola e prese la
mira. Anche se lei era distante sapeva perfettamente che il colpo sarebbe
andato a segno: la sua mira era impeccabile e, inoltre, lui…
Lo
scoppio dello sparo squarciò l’aria come un tuono. Anisa sentì in
corrispondenza all’esplosione un intenso dolore farsi strada attraverso il suo
fianco sinistro. Il respirò le morì in gola e le gambe cedettero
improvvisamente, perse la presa dai tonfa e rovinò a terra, il viso contro il
pavimento. Il suo corpo cominciò a essere scosso da dei fremiti involontari,
mentre un calore viscido si propagava poco sotto le sue costole, riversandosi
sulla pelle e sul pavimento, accompagnato da un dolore intenso come non ne
aveva mai provati prima. I passi di Sule risalirono il corridoio e lei capì che
a spararle era stato lui. Si sentì improvvisamente indifesa e l’angoscia e la
paura si presentarono da lei, sgorgando a fiotti dalle profondità più remote
della sua mente. Sule la raggiunse, contemplò per un momento il suo corpo,
infine si chinò accanto a lei. Anisa vide i suoi occhi e il suo sorriso –
macchiato di sangue – animati da una divertita follia.
«Ulysses
mi ha detto che nelle vostre tute c’è del vibranio» esordì, senza staccare gli
occhi da Anisa. Avvicinò il viso alla ragazza e mormorò: «A quanto pare nella
tua non ne hanno messo abbastanza.»
La
mente della donna era annebbiata dal troppo dolore e non fu in grado di dare un
senso a quelle parole. Sentiva i polmoni bramare sempre più aria, ma respirare
le faceva talmente male che desiderava non doverlo fare. Sule le afferrò la
treccia, sollevandole le testa e avvinandosi ancora di più a lei. I suoi occhi,
ora, erano neri e pieni di solo odio.
«Potrei
finirti, ma non credo che lo farò. Sei talmente gracile che morirai dissanguata
prima che qualcuno possa venire a recuperarti.»
La
lasciò andare e si alzò, avviandosi verso le scale, senza voltarsi un’ultima
volta.
*
Le
tracce del sangue di Klaw portarono Bucky nel piano più interrato
dell’edificio, quello in cui lo avevano incontrato all’inizio dello scontro. Lo
notò mentre si avviava verso la parete opposta alle scale, il passo rapido e
una fasciatura approssimativa sulla spalla. Klaw si voltò quasi subito, certamente
sentendo il Soldato.
«Di
nuovo tu!» ringhiò e senza aspettare
altro puntò contro di lui la mano destro.
Come
un’onda invisibile da quell’insignificante gesto si sprigionò un’intensa forza,
che respinse Bucky e lo fece sentire come schiacciato da qualcosa. Era
inspiegabile, tuttavia arrivò alla conclusione che, in qualche modo,
quell’assurda pressione venisse generata dalla mano destra di Klaw. Si parò
istintivamente con il braccio in vibranio e si accorse che nonostante l’arto
vibrasse in modo quasi incontrollato era comunque in grado di attutire quella
strana pressione. Traendo ispirazione da quella nuova e curiosa scoperta, il
Soldato estrasse la pistola e cercò in qualche modo di prendere la mira verso
Klaw.
Come
l’arma divenne visibile agli occhi del nemico, però, la forza che continuava a
percuotere e comprimere Bucky si fece più intensa. Qualsiasi cosa fosse a
provocare quell’onda andava fermata subito, altrimenti, lui ne era certo,
sarebbe rimasto ucciso. Respirava a fatica, la testa e le membra gli facevano
malissimo e non sapeva per quanto avrebbe potuto resistere a una tale
pressione. Le ginocchia gli cedettero e lui si ritrovò a terra, sentendosi
senza via d’uscita. Con un ultimo sforzo, però, costrinse il suo corpo a
seguire i suoi ordini ancora una volta; ignorò il dolore, rotolò rapidamente
sul fianco e con altrettanta velocità prese la mira e sparò. Il colpo urtò la
mano destra di Klaw, ma non accadde altro. L’uomo si voltò in direzione del
Soldato, lanciandogli un’occhiata feroce. Bucky lo ignorò completamente, corse
verso di lui e lo colpì con un destro che Klaw riuscì a schivare. In risposta
quest’ultimo sferrò un colpo, magistralmente evitato dal Soldato che replicò a
sua volta con un pugno. Klaw schivò anche quello e puntò la mano destra
all’altezza del petto di Bucky che si accorse in tempo della cosa e riuscì ad
afferrare il polso dell’altro, puntando il suo arto verso il soffitto.
Fece
a malapena in tempo; la strana energia si sprigionò dall’articolazione del suo
avversario e si propagò in alto, verso il soffitto. Sopra le loro teste si
trovava un vecchio lampadario fatiscente, appeso al soffitto solo grazie a
pochi e ormai consumati fili. Non fu in grado di resistere alla scossa che lo
raggiunse, infatti i fili si lacerarono e il lampadario crollò pesantemente
verso di loro. Entrambi gli uomini riuscirono a schivarlo al limite,
lanciandosi indietro. Il crollò sollevò una nube di polvere, mentre calcinacci
e pezzi di vetro schizzavano da tutte le parti. Bucky si rialzò, cercando di individuare
Klaw; lo vide più avanti, diretto verso l’altro ingresso che aveva individuato
prima. Estrasse la pistola prendendo la mira, ma questa volta fu l’avversario
ad agire più in fretta. Klaw prese a sparare una raffica di colpi, mirando in
direzione di Bucky che si vide costretto a proteggersi con il braccio in
vibranio. Quando i colpi cessarono e lui tornò a guardare nel punto in cui si
trovava Klaw, l’uomo non c’era più.
Corse
verso l’uscita con l’intenzione di inseguirlo, ma come compì il primo passo il
rumore di un solo sparo provenne da oltre quella stanza. Il Soldato si bloccò,
rimanendo sul chi vive, cercando di decifrare altri rumori intorno a lui. Quel
colpo fu l’unico ed era chiaro, per lui, che era stato sparato nel piano
superiore rispetto a quello in cui si trovava. Si sentì improvvisamente gelare
il sangue alla consapevolezza che, al piano di sopra, si trovava Anisa sola con
Sule e, soprattutto, che quello armato fra i due era lui. Lasciò perdere
l’inseguimento di Klaw e percorse a ritroso le scale in gran fretta. Come ebbe
raggiunto il piano superiore, prima di imboccare il corridoio, estrasse la
pistola e tese tutti i suoi sensi, dopodiché si avviò.
Mano
a mano che si incamminava lungo il corridoio non trovò nulla, né sentì qualcosa
in grado di permettergli di capire se lì si trovava qualcuno e, nel caso, chi
fosse. Poi, poco più avanti rispetto a dove si trovava, vide qualcosa. Si
avvicinò con cautela, finché non fu certo di quello che stava guardando.
Il
corpo di Anisa era disteso a terra, il volto rivolto di lato e una pozza di
sangue che lentamente si allargava intorno alla donna. Corse verso di lei,
spaventato e le si inginocchiò accanto.
Anisa
era cosciente ma respirava piano e quando puntò i suoi occhi in quelli di Bucky
il suo sguardo era vacuo. Il Soldato
rimase stordito per un momento, poi il suo sangue freddo prese il sopravvento.
Osservò con cura la ferita della donna, il tessuto della tuta lacerato con
millimetrica precisione. Capì subito che la lesione andava medicata in fretta,
altrimenti Anisa non sarebbe riuscita a uscire viva da quell’edificio.
Bucky
estrasse il coltello dalla cintura, distese il braccio e con cura lacerò i
punti della tuta in corrispondenza della spalla sinistra. Aiutandosi con i
denti forzò la cucitura finché questa non cedette, strappando la manica nella
metà esatta e permettendogli di avere in mano una striscia di stoffa nera lunga
quanto il suo braccio; l’avrebbe usata per medicare temporaneamente la donna,
colpita al di sotto delle costole, il punto in cui il suo corpo si faceva
sottile.
Prestando
particolare attenzione anche al gesto più minimo voltò Anisa, sollevandole
lentamente il busto e prendendola fra le braccia, le gambe di lei mollemente
abbandonate sul pavimento. Abbassò la zip che la tuta della donna aveva sulla
schiena e con cautela gliela sfilò tanto da permettergli di raggiungere il
punto in cui era stata colpita. La fascia bianca che le stringeva il seno era
in parte impregnata di rosso, così come il suo addome era striato dal sangue viscido.
Bucky le avvolse intorno al corpo la striscia di stoffa che era riuscito a
rimediare, stringendo a sufficienza per arrestare il flusso ma senza arrecare
ulteriori dolori ad Anisa.
Quando
ebbe finito di risistemarle indosso la tuta e aver richiuso la zip, la
allontanò appena, facendole appoggiare la schiena al suo braccio di metallo,
accorgendosi che lei continuava a guardarlo.
Fu
una strana sensazione quella che provò; gli occhi della donna erano velati ma
chiaramente fissi nei suoi e pareva non volessero abbandonarli. Dentro il
Soldato il profondo desiderio di salvarla si accentuò; si ritrovò a sperare che
tutto andasse per il meglio con una tale intensità che quasi si sorprese di
provare simili sentimenti.
«Andrà
tutto bene» le mormorò, mentre si apprestava a raccoglierla per poter andare a
cercare T'Challa.
La
sollevò con cautela, come se avesse fra le mani una sottile lastra di
cristallo.
«Ora
andiamo da T'Challa.»
Le
sorrideva lievemente, come nel tentativo di tranquillizzarla, benché fosse preoccupato
per le sue condizioni, mentre Anisa continuava a guardarlo. Bucky riusciva a
sentire distintamente i deboli fremiti che percuotevano il suo corpo; conosceva
quello stato, quegli spasmi involontari, indomabili, che un corpo ferito
liberava in preda al dolore e che non lasciavano mai presagire nulla di buono.
Quando
la donna chiuse gli occhi, registrando un’ultima volta i lineamenti del
Soldato, l’uomo accelerò il passo. Salì di un altro piano, l’orecchio teso alla
ricerca di suoni che potessero in qualche modo avvertirlo della presenza di
qualcuno. Sule e l’altro uomo di Klaw erano ancora nell’edificio e avrebbe
fatto bene ad accorgersi di loro prima che fosse tardi se mai avessero dovuto
attaccarlo.
Non
accadde; mano a mano che proseguiva cautamente lungo il piano cominciò a
sentire dei rumori: colpi, scontri, rantoli. Identificato il punto dalla quale
provenivano Bucky si avvicinò piano, stringendo più forte Anisa e si sporse
lentamente per vedere ciò che stava accadendo nella stanza.
Il
corpo di Sule era disteso a terra, al margine, sanguinava copiosamente, dei
profondi tagli a lacerargli il fianco destro, la pistola ancora stretta in
mano. Pantera Nera era concentrato sull’altro uomo, che in un modo o nell’altro
continuava a bersagliare il sovrano con rapide e intense fiamme rosse.
L’agilità della Pantera nello schivare il fuoco era tale che in un unico,
curioso, attimo di consapevolezza Bucky si ritrovò a chiedersi come avesse
fatto, anni prima, a resistergli in combattimento.
Un
calcio veloce della Pantera fece saltare di mano l’accendino all’uomo, che
cadde lontano e scivolò verso una delle pareti. L’uomo allora estrasse un
coltello a serramanico, preparandosi a fronteggiare così T'Challa. Nuovamente –
e come era prevedibile – il sovrano fu più veloce; si abbassò per schivare il
fendente, approfittò di quel gesto per prendere la spinta e lanciarsi contro
l’avversario, colpendolo con violenza al petto con il ginocchio. Subito, poi,
gli diede il colpo di grazia assestandogli un calcio nel lato scoperto del
collo. Prima ancora che l’uomo potesse accorgersi di ciò che era accaduto le
gambe gli cedettero sotto il suo stesso peso e lui si afflosciò in terra privo
di sensi.
T'Challa
lo sovrastò con tutta la raffinata forza della Pantera Nera. Prima che potesse
perquisire il corpo del malcapitato che giaceva ai suoi piedi, però, Bucky si
fece avanti: «Pantera» lo chiamò.
T'Challa
si voltò, fissò il Soldato per un attimo prima di capire. Anche se non la
poteva vedere oltre la maschera, Bucky immaginò l’espressione che il sovrano
doveva aver assunto; il modo in cui i suoi muscoli, da tesi e pronti che erano,
si lasciarono andare, era il chiaro messaggio che ciò che aveva appena visto
non sarebbe dovuto accadere.
«Anisa»
mormorò.
Si
avvicinò alla donna, le slacciò l’elmetto con delicatezza e le passò una mano
sulla fronte imperlata. La donna era incosciente e respirava piano, stretta fra
le braccia di Bucky.
«Le
hanno sparato» informò quest’ultimo. «Se non viene medicata in fretta morirà.»
Il
Soldato non usò alcun giro di parole. Sapeva perfettamente che T'Challa, che
non era affatto uno sprovveduto, non si sarebbe illuso con semplici e banali
rassicurazioni, specie in casi come quello. Inoltre, come se non bastasse,
Bucky voleva davvero uscire in fretta da quell’edificio per poter affidare
Anisa alle cure di medici competenti e dotati delle giuste strumentazioni.
T'Challa
annuì, passando in maniera incerta la mano sulla fronte della donna.
«Dov’è
Klaw?» chiese.
La
sua domanda sorprese il Soldato, che abbassò un momento lo sguardo prima di
rispondere.
«È
fuggito. Dall’uscita che si trovava al piano più interrato.»
Il
sovrano si voltò a guardare gli uomini di Klaw, entrambi a terra, soppesando
mentalmente cosa fare di loro. Con tutta probabilità Sule non sarebbe sopravvissuto,
ma l’altro si sarebbe svegliato prima o poi e sarebbe diventato nuovamente una
minaccia se avesse ripreso in mano quel suo strano accendino. La risposta gli
apparve improvvisamente semplice. Andò a recuperare l’accendino da terra e
tornò da Bucky.
«Riportiamola
a palazzo» disse, alludendo ad Anisa.
Il
Soldato si avviò fuori dalla stanza, poi lungo il corridoio, seguendo la
Pantera che apriva la strada con il suo passo felpato.
Quella
missione era stata un fallimento e nel silenzio surreale che circondava i tre,
quella consapevolezza si fece perfettamente palpabile.
___________________
Ehm,
ehm… ciao!
Vorrei
davvero scusarmi tantissimo con tutti
quelli che hanno iniziato a seguire questa fan fiction, che magari ci si sono
anche appassionati, e che poi ho lasciato “appesi” perché, di punto in bianco,
ho smesso di aggiornare.
Scusatemi
davvero tanto!
Non
mi sono dimenticata di questa storia, al contrario. Il problema è che mi
richiede molto tempo da scrivere perché non è semplice affrontare il tutto in
modo soddisfacente – e spero, almeno un minimo, di riuscirci – e anche perché è
comunque qualcosa di nuovo.
In
aggiunta a questo c’è il fatto, e credo sia proprio questo il vero “problema”,
che sto scrivendo la mia tesi di laurea, perciò davanti al pc non posso
concedermi di scrivere di T'Challa, ma devo per forza buttare giù pagine e
pagine di Word con cose universitarie.
A
ogni modo, spero che questo mio ritorno possa contribuire a farmi perdonare.
Temo che anche gli altri aggiornamenti richiederanno tempo – spero non così
tanto quanto questo, almeno – e farò il possibile per pubblicarli.
Sto
portando avanti questa storia, dovete credermi, solo molto lentamente.
Se
siete arrivati fin qui grazie per essere passati!
MadAka