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Autore: Artnifa    03/07/2017    1 recensioni
La prima volta che la incontrai avevo dieci anni, ero sul marciapiede fermo sulla mia bmx, quando la guardai pensai che quella era sicuramente la bambina più brutta che avessi mai visto.
-STORIA SOSPESA-
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO
 

Mi dimenticai alla svelta di quella bambina, la sera stessa l’avevo già rimossa dai miei pensieri. Il livido violaceo sul mio stinco però me la riportò alla mente diverse volte finché rimase, ma appena sparì si portò via anche il ricordo del suo viso. E fu così per molti anni.
Tornò nella mia vita improvvisamente, mi bastò un attimo per riconoscerla; quel viso poco aggraziato non si poteva confondere.
Indossava un enorme cappello verde che le cadeva continuamente sugli occhi, lo rialzava strisciando la mano sulla fronte e spostandolo con il dorso, non sembrava infastidita da quel continuo movimento.
Dei pantaloni arancio con strisce catarifrangenti infondo la facevano sembrare uno spazzino, mi chiesi dove li avesse trovati, erano visibilmente troppo grandi per la sua corporatura esile e una cintura sembrava stretta al massimo sulla sua vita sottile dando l’impressione di stringerla fino a soffocarla.
Ai piedi portava due scarponcini sporchi di fango con le stringhe slacciate che ricadevano ai lati, e per completare l’opera indossava una maglietta piena di toppe a maniche lunghe rimboccate fino ai gomiti sbucciati.
Si presentò così un pomeriggio qualunque di primavera davanti alla mia porta. Aprì mia madre; ed io, che stavo passando per l’ingresso, mi bloccai all’istante appena la vidi in piedi sullo zerbino con uno sguardo deciso.
“Salve, è lei la signora Ola Hudson?” Chiese con voce squillante, notai ancora la mancanza delle palette davanti, pensai che ormai le sarebbero dovute ricrescere da anni.
“Si, sono io” rispose mia madre sorpresa, la scrutava incuriosita e affascinata da quel piccolo mostricciattolo.
“Molto piacere” allungò una mano ossuta “Il mio nome è Janis. Il mio sogno è diventare una stilista di alta moda e mi chiedevo se lei è ispista ad insegnarmi”
All’epoca Ola progettava abiti per grandi artisti, tra cui quello che ebbi modo di scoprire essere uno dei cantanti preferiti di Janis: David Bowie.
“Quanti anni hai Janis?” Le chiese pensierosa, un’assistente le avrebbe fatto comodo e provò all’instante un inspiegabile sensazione di fiducia per quella bizzarra bambina.
“15 signora” rispose raddrizzando le spalle per sembrare più alta, ne dimostrava almeno 5 in meno, e scoprii solo qualche tempo dopo che ne aveva soltanto 12.
“Sei libera ora?” Chiese con un grande sorriso che Janis ricambiò, la bocca le occupò quasi tutta la faccia e il buco davanti per la mancanza dei denti sembrò ancora più grande.
“Certo” rispose facendo un piccolo salto sul posto, l’enorme zaino che aveva sulle spalle sobbalzò.
“Vieni con me” le strizzò l’occhio e la fece entrare poggiandole una mano sulla spalla spigolosa.
“Saul, lei è Janis” mi accorsi solo in quell’istante di essere rimasto immobile all’ingresso per tutto quel tempo.
“Si, ho sentito. Ciao” dissi alzando una mano in segno di saluto, era decisamente confuso e sorpreso di rivederla.
“Ciao” alzò lo sguardò e lo puntò sul viso di mia madre, la osservava come fosse una divinità e probabilmente quello fu uno dei giorni più felici della sua vita.
Sparirono nella taverna, lo studio di mia madre, dove rimasero per parecchie ore.

Da quel giorno Janis si presentò a casa mia puntale alle 3 di ogni pomeriggio, rimaneva fino a sera e ogni tanto si fermava anche a cena. L’unico suo giorno libero era la Domenica, su insistenza di mia madre, ma se fosse stato per lei avrebbe lavorato sette giorni su sette. Non mi chiesi mai dove abitasse, chi fossero i suoi genitori, come fosse la sua famiglia e non capisco come feci ad essere così superficiale e cieco. Era ovvio che se una ragazzina passava più tempo possibile fuori casa un motivo ci doveva pur essere.
Mi era completamente indifferente la sua presenza, ma piano piano si stava scavando un posticino nel cuore di tutti. Mia madre le era particolarmente affezionata, credo che lei sapesse che la vita di Janis non era affatto facile e si sentì come una seconda mamma, sempre pronta ad allungare la mano per aiutarla. Mio fratello, di un paio d’anni più piccolo di lei, la iniziò a considerare come una specie di sorella e le stava parecchio simpatica nonostante la considerasse strana.
Mentre io non mi accorsi di quanto mi ero abitato a lei, la evitavo, non avevo niente da dirle.
Alcuni giorni tornavo insieme da scuola, quando la incrociavo per strada mi chiedeva di poter salire sulla mia bmx. Se ero solo mi fermavo e lei poggiava i piedi sui tubi di acciaio che uscivano dalla ruota posteriore e afferrava le mie spalle con quelle piccole dita sempre sporche.
“Saul, dici che tua madre un giorno mi presenterà David Bowie?” Me lo chiedeva spesso, ed io ruotavo sempre gli occhi al cielo sbuffando.
“Non lo so” rispondevo meccanicamente
“Che c’è per cena?”
“Non lo so”
“Saul?”
“Che c’è ancora?”
“Sai dire qualcosa a parte -non lo so-?”
“Se mi fai un’altra domanda giuro che dico a mia madre che hai solo 12 anni” si zittiva sempre, odiava che ce l’avessi in pungo, la faceva impazzire non poter controbattere ed io mi divertivo un sacco.
Ma così come arrivò, sparì.
Smise semplicemente di farsi vedere, non veniva neanche a scuola, non aveva lasciato nessun messaggio e non ci aveva salutati.
Mia madre si preoccupò terribilmente, per giorni smise di mangiare, le era passato l’appetito e i peggiori pensieri le occupavano la mente 24 ore su 24.
Janis era scomparsa nel nulla, e non potevamo far niente per rintracciarla perché nessuno le chiese mai quale fosse il suo cognome, nessuno le chiese mai dove vivesse, nessuno si interessò mai realmente a lei.
Non lo ammisi mai, ma quando quella bizzarra ragazzina se ne andò mi spezzò il cuore. Non riuscivo a pensare ad altro che a come stesse, dove fosse, cosa stesse facendo. Perché se n’era andata? Le piaceva tanto venire a casa nostra, le piaceva tanto mia madre. Si era trasferita? L’avevano rapita? Era…morta?
Fu difficile dimenticare, andare avanti con quel peso nello stomaco. La mia famiglia non era più la stessa di prima, fu come se una parte della nostra felicità e spensieratezza andò via con lei, l’aveva rubata e messa nel suo zaino giallo gigante e non era più tornata indietro.

Dovessi aspettare altri cinque anni prima di rivederla.

Giugno 2015

 Respirava a fatica, tossiva lasciando piccole macchie di un rosso vivo sul cuscino bianco.
Ero disperato, non potevo fare niente per aiutarla ma avrei dato la vita per salvare la sua.
Le accarezzavo la testa spostandole indietro i capelli, non apriva più gli occhi, quegli occhi sempre stati vivi, vigili, allegri, diventati così acquosi nell’ultimo periodo, come se una patina opaca li coprisse.
“Janis” sussurravo per poi baciarle tutto il viso.
“Janis mi dispiace così tanto di non averti amata quando avrei dovuto” mi prese la mano e la strinse con la poca forza che aveva, poi la avvicinò alla bocca e ci poggiò le labbra secche e tremanti.
Era così piccola e fragile, mi sembrava di stringere un bicchiere di cristallo, freddo e bellissimo.
Avrei preferito che morisse subito, quell’attesa mi stava lacerando l’anima.

 

Mentre la mia vita proseguì regolare Janis era rinchiusa nella piccola roulotte dove abitava, lei e i suoi tre fratelli stavano stretti in quella gabbia intrappolati dal padre sempre ubriaco e violento. Sua madre era depressa, troppo imbottita dai farmici anche solo per alzarsi dal letto, così lei si ritrovò a prendersi cura di David, Tom e Molly quando era ancora lei stessa una bambina.
Io cambiai, stavo crescendo ed entrai inevitabilmente nel mondo delle droghe pesanti, abbandonai la mia unica passione, quella per la bmx trovandone un’altra ancora più grande: la musica.
Durante la mia adolescenza passai poco tempo in quella che una volta consideravo casa, ma che ormai non era più la stessa, dormendo dove capitava sui divani scomodi di amici o conoscenti.
Mentre vivevo la mia vita, allegro e spensierato lamentandomi di problemi che ora capisco essere futili, a Janis stavano rubando la libertà, la spensieratezza che si meritava.
Ma io di questo non ne sapevo ancora niente, non pensavo quasi più alla bambina che ci aveva rapito il cuore.


 

  
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