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Autore: Captain Payne    03/07/2017    2 recensioni
Nella contea di Cheshire East non succede mai nulla che possa rompere la quotidianità in cui la popolazione è intorpidita; figurarsi nella cittadina di Holmes Chapel, di soli 5.000 abitanti, dove la cosa più scandalosa accaduta era stata il malfunzionamento di un lampione nel centro storico.
Un gruppo di ragazzi vive la propria vita credendo di poter rimpiazzare le follie di una metropoli con la piccola città, tra i popolari del loro college ed invidiati da chi sogna di fuggire dalla routine.
L’arrivo di una ragazza in città cambia totalmente le carte in tavola.
Dal testo:
“Il moro si voltò ancora una volta verso la ragazza accanto a lui, catturando nella sua memoria come i fasci di luce s’infrangessero sul suo viso candido e il profilo del suo naso alla francese sembrasse uno spicchio di sole appena sorto: un timido calore nel gelido freddo dell’alba d’Ottobre. Avrebbe voluto risponderle, per non sembrare un ebete che di prima mattina aveva già terminato le parole; per esempio voleva chiederle come mai non avesse ripetuto l’insulto da lui pronunciato.”
https://www.wattpad.com/434827794-troubles-in-heaven-z-m-%E2%80%9E-i-welcome-in-holmes
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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III
Millicent's




-Ragazzi, avanti, non posso farvi da sveglia ogni mattina per il resto dell’anno!- si lamentò Sophie - la voce per nulla impastata dal sonno. Nonostante fossero solamente le sette meno un quarto, lei si era svegliata alle cinque solo per prepararsi di tutto punto come aveva fatto il giorno prima, ma stavolta intenzionalmente. Non appena ebbe finito di vestirsi, si guardò nello specchio lungo che costituiva un’anta del suo armadio: i lunghi capelli mossi erano lasciati liberi di muoversi sulle spalle, con una piccola frangetta laterale che ogni tanto le scivolava sul viso e che lei si apprestava a riposizionare subito dietro l’orecchio; una camicia color carta da zucchero le avviluppava il busto, non troppo aderente, le maniche erano arrotolate fino al gomito e il petto era leggermente lasciato scoperto, creando una piccola scollatura sul seno.
Non voleva essere costretta ad indossare i pantaloni del giorno prima, così aveva optato per l’ultimo capo d’abbigliamento che le era rimasto: una gonna a tubo di pelle, beige, che aveva posizionato a vita alta per farla sembrare meno seria di quanto in realtà fosse stata concepita. 

Devo assolutamente andare a fare shopping con Whaliyha, aveva pensato allora lei, mentre infilava un paio di stivaletti marroni col tacco basso e quadrato.

Mentre aspettava che i gemelli si preparassero per andare, non poté fare a meno di riflettere sugli eventi del giorno prima e di quanto in fretta avesse legato con Whaliyha, Chelsea e la rossa che era con lei sugli spalti quella mattina, che infine le si era presentata sotto il nome di “Betty”: una ragazza molto timida e per il quale Sophie era riuscita a provare per fino invidia, data la bellezza smisurata.

Passando il rossetto color carne sulle labbra carnose si era trovata a pensare alle labbra della cheerleader della mensa, quella che sostava tranquillamente sulle gambe del fratello di Whaliyha. Le labbra della mora erano gonfie, quando parlava di muovevano verso l’esterno e la tinta color sangue sembrava appartenervi come fosse nata con quel marchio, quasi a farle sembrare naturali.

"Che a Zayn piacciano tinte di rosso?" - si era chiesta, ma dopo qualche attimo si era resa conto di quanto fosse fuori luogo interpellarsi su ciò che piacesse o meno al moro in una ragazza. Nonostante questo pensiero la facesse sorridere, si era lasciata trasportare da una fantasticheria: le immagini surreali di uno Zayn che le fissava continuamente le labbra mentre parlava, e pensò che probabilmente era la sua voglia costante di riflettori a parlare per lei, altrimenti non avrebbe continuato a fantasticare sulle loro labbra unite insieme in un unico tocco.

Quel pensiero svanì più velocemente di quando era apparso, perché guardandosi allo specchio si era riconosciuta, si era svegliata da quella trance con cui si era alzata quella mattina. Perché doveva autoinfliggersi dolore? Perché dimenticava costantemente i suoi doveri verso la sua famiglia?
Quella non era una vacanza di piacere, si stavano nascondendo. Suo fratello era in pericolo e lei si permetteva di fantasticare su un ragazzo che non avrebbe mai potuto avere, semplicemente perché lei non avrebbe mai potuto avere libertà di scegliere chi amare, e questo le era sempre stato chiaro, fin da prima che i suoi genitori morissero.

-Inizia ad abbassare quella gonna se non vuoi che Svein faccia finire qualcuno in infermeria- le mormorò Sebastian quando le passò accanto nell’ingresso. La sua voce fu seguita da rumori sulle scale e vi indirizzò subito l'attenzione.

Sebastian era già uscito dalla porta e si stava avviando lungo la strada che separava la lunga schiera di villette dalla loro. Svein la guardò ed istintivamente strinse tra le dita la cinghia del suo zaino, ispirando a fondo prima di passarle accanto e mormorare un flebile “Buongiorno Sophie”, sparendo oltre la porta anche lui.

Si incamminò fuori mentre infilava il cardigan bianco lungo fino alle ginocchia, affiancando i due ragazzi verso l'università, senza dire nemmeno una parola: forse era solo il sonno ad avere eliminato la loro solita eloquenza, nessuno dei tre era abituato a sopportare degli orari così estenuanti. Appena superata la metà del loro tragitto, Sophie notò Whaliyha camminare svogliatamente avanti a loro, così la richiamò e lei felice si unì al gruppo, seguendo le movenze della svedese quando si allontanò dai due accompagnatori per parlare con lei da sola: come sospettava, i gemelli iniziarono a parlottare dietro le sue spalle.

-Non so se sia una richiesta fattibile o meno, ma a causa di un inconveniente all’aeroporto ho perso la mia valigia, quella con i vestiti, quindi con oggi ho ufficialmente terminato i cambi... mi chiedevo, non è che potresti mostrarmi qualche negozio in cui rimediare alla catastrofe?- le chiese con un timido sorriso, facendo scoppiare a ridere la mora per la sue scelta di parole.

-Io farò di meglio piccola, ti accompagnerò nelle tue spese pazze! Ah, ho il tuo orario comunque, te l’ho fatto plastificare come il mio, così eviterà di rovinarsi e le solite cose… abbiamo tutte le lezioni insieme, tranne per due corsi di lingua che fai in più e matematica, mi spieghi come fai ad avere un livello così fottutamente alto?!-  sbottò allora la mora incredula, anche se Sophie non capiva dove fosse la stranezza, lei non lo aveva?

-Veramente quando segui dei corsi privati il livello che hai non rappresenta una vitale importanza, almeno non in Svezia, sei quello che sei- confessò, sollevando le spalle con noncuranza  –e vorrei poterti dire che è una cosa di famiglia ma Caleb fa davvero pena in matematica- borbottò trattenendo a stento un sorriso, ricordando tutte le volte che Svein aveva provato a spiegargli qualcosa.

-Ecco, volevi un lato positivo? Sarai nello stesso corso di mio fratello- sussurrò con tono forte alla mora che si allargò successivamente in un ampio sorriso, sollevando una mano chiusa a pugno e aspettandosi che l’amica facesse lo stesso.

Lo aveva già visto fare nei film, almeno questa volta si evitò una figuraccia.



 
 *



Era la sua prima volta nell’aula di un college e non era nulla di diverso da ciò che si aspettava.
Assomigliava alla versione contemporanea di un teatro greco, più piccola, le gradinate sostituite da file di banchi larghi e di legno scuro, che salivano verso l’alto. Nel semi-cerchio in basso stava la professoressa di letteratura inglese, una donna giovane ma che tentava di nasconderlo in tutti i modi, indossando abiti molto più eleganti di quanto fosse necessario e raccogliendo i capelli per avere un aspetto più inquisitorio.

La professoressa Floomer era ciò che di più buono esistesse al mondo, e lo sapeva perché aveva avuto il piacere di parlarle prima della lezione: il suo unico problema, se così poteva essere chiamato, era che l’aria troppo giovane non le dava la possibilità di essere presa sul serio dai suoi studenti.
Avrebbe tanto voluto ascoltare cosa la donna stesse dicendo, e non capiva se potesse essere importante o meno vedendo Whaliyha al suo fianco che prendeva appunti.
Dietro di lei stavano Svein e Sebastian ma non aveva voglia di girarsi a constatare se fossero interessati o meno alla lezione: aveva paura di incontrare lo sguardo di Svein su di lei, come era successo all’inizio dell’ora quando si era voltata per la prima volta.

Sollevò una mano in aria timidamente, un'espressione mortificata sul volto che la professoressa tradusse ancor prima di sentire le sue parole. Con un gesto accondiscendente della testa, le accordò il permesso di andare in bagno, senza fermare il fiume di parole che usciva incontrollato dalle sue labbra. Sapeva di avere gli occhi della maggior parte dei presenti su di sè mentre scendeva i gradini, e ne ebbe la conferma quando dovette girarsi per chiudere la porta, trovando ancora qualcuno a fissarla curioso e a parlottare col vicino di banco.

Voleva andare in bagno, bere un po’ d’acqua, sciacquarsi il viso, magari svuotarsi la vescica ma non aveva la minima idea di dove cercare.
Seguì l’istinto e si incamminò nel lungo corridoio, voltandosi a destra e a sinistra per cercare la porta che avesse scritto “toilette” sopra.

Non era il cambio dell’ora eppure c’era molta più gente di quanta se ne aspettasse sparsa per il corridoio. Al suo passaggio si erano voltati tutti, chi più distrattamente, quasi non facendoci caso, chi più insistentemente, e sentiva la pelle bruciare sotto gli sguardi di chi sapeva che stesse parlando di lei.
Linsday Lohan non aveva creato tutte quelle chiacchiere quando si era presentata come “la nuova” nella sua scuola, e a questo punto le sembrava stupido affidarsi alle informazioni che un film adolescenziale poteva darle, invece di chiedere alle sue nuove amiche o arrangiarsi come poteva.

Con un sonoro sbuffo aprì l’unica porta dietro la quale non proveniva alcun tipo di rumore, trovandosi in una stanza illuminata unicamente da una luce fioca, irradiata da una finestra solitaria sul muro di fianco a lei.
Chiuse la porta quasi subito, come se avesse timore di essere scoperta, nonostante all’interno fosse vuota, e trovò l’interruttore della luce scoprendo una nuova dose di morfina proprio al centro del suo petto, quella poteva essere la sua salvezza.

Aveva appena trovato quella che doveva essere senz’altro l’aula di musica e le sembrò molto strano che al suo interno non vi fosse nessuno, forse usavano il teatro come aula di musica, come in High School Musical.

"Smettila di basarti su degli inutili film!" - si rimproverò allora mentalmente, avvicinandosi al grosso pianoforte nero che aveva davanti.

Sfiorò la superficie lucida e non perse tempo ulteriore nel sedersi sullo sgabello morbido di fronte ad esso, sistemandosi con cura e posizionando i piedi davanti ai pedali sottostanti. Vi mosse appena le dita sopra, sui tasti color avorio consumati dal consueto utilizzo ma, nonostante tutto, impolverati. Sperò con tutto il cuore che non fosse scordato, altrimenti avrebbe fatto un gran trambusto dentro quell’aula, ma le note della famosissima opera “Variazioni Goldberg” di Bach iniziarono a risuonare per tutta l’aula insonorizzata, e tanto si lasciò prendere da quella melodia suonata quasi alla perfezione che non si era nemmeno resa conto di aver chiuso gli occhi.

Era il suo pezzo preferito, ne conosceva i movimenti a memoria, così come il suono melodioso che produceva il piano ogni qual volta che lei stuzzicava le sue corde, facendovi l’amore in una mescolanza agitata di tutte le emozioni che le attraversavano il petto.
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato, probabilmente solo qualche minuto, ma il rumore della porta dell’aula che si chiudeva la fece sobbalzare a tal punto che premette tutte le dita sui tasti, provocando uno boato assordante e fastidioso che si propagò per tutta l’aula.

Si voltò verso di essa, trovando un ragazzo moro con i capelli leggermente calati sul viso; le mani nelle tasche della felpa dell'università e il corpo completamente poggiato al muro dietro di lui, ad eccezione del piede sinistro poggiato direttamente sulla superficie fredda. Riconosceva quegli occhi scuri grandi ed espressivi, quella barba nera accentuata quel tanto che bastava e quella pelle olivastra così singolare ed affascinante.

-Ti prego, continua, non fare caso a me- disse solamente, prima di prendere una boccata di fumo dalla sua sigaretta. Era talmente tanto presa a fantasticare sul suo aspetto che non si era nemmeno resa conto che stesse fumando, per giunta in un luogo pubblico e chiuso dove era ovvio fosse vietato fumare.

"Giochi a fare il seducente con me, Zayn?" - pensò prima di sorridere beffardamente.

Tornò a fissare i tasti dello strumento, chiudendo gli occhi in modo da dimenticare la sua presenza per riprendere l’opera dall’inizio, sperando in parte che al ragazzo provocasse gli stessi brividi che scaturiva in lei.



Altri minuti preziosi erano scivolati inesorabilmente sotto le sue dita e fuori dal confine del suo controllo; cosicché, non appena sentì lo squillante rumore della campanella, smise di suonare all’istante, svegliando uno Zayn completamente perso nei suoi pensieri.
Ora, ogni volta che avesse ascoltato per caso quella melodia, avrebbe irrimediabilmente pensato a lei ed al suo modo straordinario di suonarla.
Le sue dita sottili che si muovevano leggere ma con passione mentre spingeva quei tasti verso il basso, il suo viso concentrato ma per nulla contratto, anzi rilassato dalla melodia come in quel momento lo era stato lui.

Aveva pensato forse un miliardo di volte a quanto sarebbe voluto essere al posto di quel pianoforte in quel preciso istante, con le sue piccole dita che si muovevano su di lui, concentrate ma senza la minima contrazione.

Non osava nemmeno avvicinarsi a lei mentre suonava, temeva di rompere quell’atmosfera di pura magia e, per un momento, si era addirittura dimenticato della sigaretta che teneva tra le dita, lasciandola consumarsi da sola perché lui non aveva tempo di pensare ad altro.
Il suono della campanella sembrava aver svegliato entrambi e lui decise che sarebbe uscito all’istante: la situazione era già abbastanza imbarazzante così e rimanendo lì, a fissarla, non avrebbe aiutato affatto lo svolgimento del loro primo incontro da soli.

Eppure quando aveva attraversato la porta, ritrovandosi in mezzo alla calca di studenti, si era reso conto di non riuscire a camminare.
I suoi piedi erano fermi di fronte alla porta, come se il suo cervello stesse cercando di salvare le apparenze mentre il suo corpo tentava inesorabilmente di umiliarsi del tutto.
Combattuto, si posizionò al lato della porta come se stesse tendendo un agguato alla ragazza; quando lei ne uscì, non potè far altro che affiancarla in qualsiasi tragitto stesse percorrendo lungo il corridoio.

-Ti sconsiglio di farti sentire da qualche insegnante o membro del club di musica, altrimenti inizieranno a tampinarti finché non esaudirai ogni loro desiderio- le consigliò mentre le camminava ancora accanto. Lei non sembrò dispiaciuta dalla sua compagnia, così aspettò una sua risposta prima di voltarsi verso di lei, vedendola arrossire appena appena sugli zigomi.

"Adesso si mette anche ad arrossire? Che segnali cerchi di lanciarmi, bambolina?"



-A dir la verità sarei interessata a ben altro per le mie attività extracurriculari, sai per caso dove si possono fare le iscrizioni per le squadre sportive?-  non voleva ammetterlo a se stessa, ma chiunque l’avesse conosciuta un minimo avrebbe capito all’istante che stava cercando di fare colpo su di lui, stupendolo, nonostante questa fosse la tattica che di solito si usava col primo ministro russo: lui sì che non si lasciava trasportare mai da niente e da nessuno. Era ovvio che non avrebbe potuto trattare i suoi coetanei allo stesso modo, ma al momento era il solo che conosceva.

-Sport? Ti facevo più una ragazza da club di teatro, quello di francese ha una compagnia tutta al femminile, se può interessarti- le rispose lui anche se, senza che lei se ne accorgesse, la stava già guidando al tabellone dove si potevano effettuare le iscrizioni per ogni tipo di attività extracurriculare.
L’aveva già portata fin lì senza che lei vi avesse fatto caso, e questo la fece rendere conto di quanto fosse in realtà distratta dalla sua presenza e non da quello che doveva fare realmente, perché non si stava dirigendo in classe come tutti nonostante fosse quello che avrebbe dovuto fare.

-Les apparences sont trompeuses, Monsieur Malik- gli rispose lei, immaginando che la capisse visto che il francese era una lingua d’obbligo, in Inghilterra.

Quando lui scosse appena la testa con un sorriso ed iniziò a rallentare il passo, lei cercò di fare lo stesso, ma non voleva che sembrasse evidente il fatto che non sapesse minimamente dove stessero andando. Per fortuna la probabile minaccia d’una brutta figura fu dissolta dalla mano calda di Zayn che si posò sulla sua spalla, prendendola delicatamente per farla girare verso il tabellone alla sua sinistra, così che avesse la possibilità di vedere con i suoi occhi.

-Ora che il mio lavoro è finito, ti saluto bambolina: per mantenere la mia media devo anche presentarmi a lezione ogni tanto- non si era neppure resa conto che, per dirglielo, si era avvicinato terribilmente al suo orecchio mentre ancora gli occhi di entrambi erano puntati sul tabellone (e nonostante questo, se avessero chiesto a Sophie cosa stesse guardando in quel preciso instante non avrebbe saputo rispondere con certezza).

-Ci vediamo in giro- le sorrise, semplicemente, e lei non voleva credere che un solo sorriso potesse scaturire un così devastante effetto nel suo petto. Dopo averle fatto un occhiolino si allontanò per il corridoio, sotto lo sguardo della maggior parte delle ragazze presenti a quella scena.

Sa di certo come attirare l’attenzione su di sé, pensò.




 
*


 
La giornata era terminata più lentamente rispetto a quella del giorno precedente, forse perché era la prima volta che seguiva le lezioni e non le aveva trovate esattamente tutte interessanti come invece credeva.
Si era distratta troppe volte, pensando a qualsiasi cosa le passasse per la testa e soffermandocisi per almeno dieci minuti. Ancora non sapeva se avrebbe dovuto preoccuparsi del fatto che avesse impiegato altrettanti minuti per impedirsi di pensare al ragazzo dalla pelle ambrata e gli occhi color cioccolato al latte, e al loro incontro solitario.

Ora girovagava in un centro commerciale con Whaliyha, Chelsea e Betty, anche Sebastian e Svein erano presenti all'appuntamento ma preferì non informare della loro presenza le ragazze, perché ovviamente sarebbe sembrato davvero strano ai loro occhi.

Perché invece lasciarsi pedinare non è affatto strano per quelli della tua età, eh?

Aveva già un paio di buste tra le mani, tutte cose che Whaliyha e Betty le avevano caldamente consigliato di comprare e lei, anche se un po’ alla cieca, aveva provato a fidarsi dei loro gusti in fatto di moda, che erano sicuramente più convenzionali di quanto lo sarebbero mai stati i suoi.

-Lo so che probabilmente è una rogna doversi subire queste chiacchiere sui proprio fratelli ma, porca miseria, Caleb e Simon sono la reincarnazione di due dèi dell’Olimpo- constatò Chelsea, mentre i suoi occhi sembravano prendere la forma di due grossi cuori rosa. Sophie non potè fare altro che scoppiare in una risata insieme a Betty, che era l’unica che in due giorni di conoscenza non si era ancora pronunciata in merito alla questione “i gemelli lumaca”.

Quando Whaliyha li aveva chiamati così per la prima volta, quella stessa mattina, Sophie non aveva perso tempo a farsi subito spiegare cosa intendesse lei per “lumaca”. La spiegazione era stata alquanto semplice ed esilarante, e ancora non sapeva come avesse fatto a trattenersi dal ridere sotto lo sguardo inquisitorio del professor Chadwick.
Whaliyha le posò una mano sulla spalla - l’espressione di chi la sapeva lunga sull’argomento.

-Chi meglio di me può capirti? Non dimentichiamoci che io sono la sorella del bello e dannato Zayn Malik- sospirò, come se non stesse più scherzando e questo fatto le pesasse veramente come un blocco di pietra sulle spalle.
Gli unici momenti in cui il viso di quel ragazzo misterioso non le riempiva i pensieri ci pensava sua sorella minore a farlo per lui, vanificando ogni sforzo della povera malcapitata.

Il posto che avevano scelto non era affatto male. Si trovava al secondo piano del centro commerciale ma sembrava essere stato costruito per non farne parte, soprattutto per il contrasto dei diversi stili in così poco spazio: quello del caffè/pasticceria più classico e antico rispetto a quello moderno e metallico del centro commerciale.

Sedevano ad un tavolino posto fuori le vetrate che dividevano il caffè dal resto del piano, la grafia elegante e in corsivo dell’insegna citava “Millicent” e nient’altro. Il loro tavolino di vimini era rotondo e del diametro di un metro, le sedie in legno chiaro riprendevano il materiale del tavolino in quanto a stile e, torreggianti sopra di esso, i loro tè inglesi le osservavano fumanti da quattro grandi tazze di porcellana decorata con fiori.
Per un attimo le sembrò di essere tornata ai suoi pomeriggi di divertimento sfrenato a palazzo, in cui offriva del tè a tutti i pupazzi della sua camera da letto: ed era davvero una fatica immensa visto il numero elevato di peluche che possedeva.

-Tuo fratello da solo è quasi accettabile! Io davvero non sopporto la sua banda e quel cretino di Har- la povera Betty non parlava molto spesso, quella era solamente la quinta volta che la sentiva aprir bocca in due giorni, quindi le sembrò davvero inverosimile che le sue due migliori amiche le stessero tappando la bocca con entrambe le mani.

-No Beth! Sai cosa succede se pronunci il suo nome- la implorò Chelsea, facendo scuotere qualche ricciolo biondo della sua chioma.

-Scusate ragazze, non vi seguo…- s'intromise allora Sophie, guardandole con la faccia a forma di punto interrogativo. La mora allora si girò verso di lei, sospirando pesantemente prima di guardarla con degli occhi che sembravano presagire un discorso grave ed importante, facendola preoccupare non poco.

-Betty ha una maledizione... l’anno scorso abbiamo cercato di debellarla non appena ce ne siamo accorte ma è stato tutto inutile, nemmeno un esorcismo potrebbe funzionare- scosse la testa sconsolata, mentre Chelsea allontanava una mano della bocca di Betty per asciugarsi una finta lacrima di tristezza con fare teatrale. Whaliyha proseguì: -Ogni volta che Betty pronuncia il nome di Harry per intero... lui appare, che sia da solo o con tutta la sua comitiva, spunta fuori dal nulla.
Inizialmente pensavamo fosse un caso, ma è davvero inquietante quanto non sia mancato nemmeno una volta di apparire non appena Betty lo avesse nominato, per fortuna Bett parla poco…- terminò infine in un borbottio, ma Sophie intercettò lo sguardo di sfida che aveva ora negli occhi la rossa, sapeva perfettamente cosa avrebbe fatto per farla pagare alla ragazza dai grandi occhi neri per il suo commento.
Le fece un occhiolino d’intesa e decise di aiutarla.

-Attenta Cheet! Il tuo tè!-  gridò, quando finse accidentalmente di spingerlo verso di lei che dovette ripararsi con entrambe le mani.
La bocca finalmente libera di Betty si mosse producendo un solo suono: terminò ciò che aveva iniziato.

-Harry Edward Styles- disse, mentre un sorrisetto furbo le spuntava sul volto.

E’ ovvio che stanno cercando di prendermi in giro - pensò immediatamente Sophie, abbassando lo sguardo sul suo cellulare prima di sentire una voce familiare nelle loro vicinanze.

-Malik, ma non avevi promesso di riaccompagnarmi a casa oggi?- in quella domanda ironica c’era un velo di malizia, e se era chiaro ad una come Sophie allora era di certo chiaro a chiunque altro presente a quel tavolo, tranne forse alla piccola ed ingenua Betty.

-Adesso lo chiamano così il manicomio?- gli rispose beffarda Whaliyha mentre roteava gli occhi al cielo, nonostante desse le spalle al nuovo arrivato non fece nulla per cambiare la situazione. Sophie non sapeva se scoppiare a ridere o cercare un modo di aiutare la nuova amica: tagliare la corda era escluso oramai, era ancora convinta che le stessero facendo uno scherzo.

Perché, andiamo, è letteralmente impossibile - pensò tra sé e sé, lasciandosi scappare un sorriso.

-Sei più acida di uno yogurt al limone andato a male- un sorriso soddisfatto si allargava sul volto del riccio mentre pronunciava quelle parole, sapendo perfettamente che in quel modo avrebbe innescato la miccia.

-Non hai nessuna oca da far starnazzare, Styles?- gli chiese allora lei con tono tagliente, facendo intendere a Sophie che ci fosse sotto dell’altro che la faceva davvero infuriare riguardo ad Harry. 

-Gelosa, Malik Junior?- le chiese lui a sua volta, piegandosi leggermente sulla sua sedia per avvicinarsi al suo viso.

-Quello è cibo!- sentirono urlare poco distante da loro, e una cresta biondo ossigenato comparve nella loro visuale accompagnata dal viso angelico d’un irlandese famelico. Chelsea non fece in tempo a togliere il piccolo vassoio di ciambelle dalla sua vista che il biondo ne aveva già prese due, una per mano, e aveva dato un grosso morso alla prima.

-Ho un fero febole fer i fonnutss- spiegò, prima che Sophie si lasciasse andare ad una sonora risata che trasportò anche quella di Whaliyha e Betty: Chelsea aveva una faccia troppo infuriata anche solo per proferire parola.

-E dimmi per cos’è che non avresti un debole Niall...- borbottò Harry, ponendosi nuovamente dritto dietro la sedia della ragazza dalla pelle ambrata, guardandosi poi intorno e aspettandosi di trovare il resto del suo gruppo al completo, ma nella sua visuale apparve solamente Louis: -Gli altri?-  la domanda fece sollevare gli occhi al cielo al ragazzo che si era appena aggiunto al gruppo.

Quel gesto attirò l’attenzione di Sophie sui suoi occhi che non potè fare a meno di osservare meglio, ora che non erano più separati da un tavolo nella mensa. I suoi capelli erano scompigliati dal leggero vento che tirava fuori e cadevano malmessi lungo i lati della sua testa, qualche punta di essi sfiorava i suoi zigomi alti e spigolosi; le guance erano leggermente incavate e ricoperte da un sottile velo di barba castana, appena visibile, che si espandeva lungo tutta la mascella e il mento a punta; le labbra sottili erano piegate in un sorrisetto malizioso, che si addiceva perfettamente al resto del suo viso, quindi Sophie dedusse che glielo avrebbe visto spesso stampato in volto.

-Sai come sono fatti, appena vedono un bel paio di tette si trasformano in cani da caccia- disse semplicemente Louis, come se fosse tutto normale, accompagnando le sue parole con un gesto non curante delle spalle.

-Allora mi stupisco di trovarti qui e non con loro- borbottò Niall. Era come se ad un tratto si fossero dimenticati di aver interrotto il pomeriggio del gruppo di ragazze e ora parlassero come se non esistessero affatto.

-Io ho solamente visto una preda migliore- rispose allora il moro con ovvietà, voltandosi verso Sophie e facendole un occhiolino che probabilmente solo Harry aveva notato, stando accanto a lui.

Le era sfuggito come Chelsea avesse guardato l’orologio al polso leggermente accigliata, stendendo le gambe sotto il tavolo per stiracchiarsi e sospirare appena: -Credo che dovrò lasciarvi ragazze, oggi iniziano le selezioni e il capitano non può mancare-

-La tua squadra è ancora in piedi, Cheet? Credevo vi avessero smantellato dopo che siete arrivate ultime nel campionato- la derise Louis, trascinando in quelle risate anche il suo amico riccio; Niall invece sembrava fosse più occupato nel fissare Sophie, ora che ne aveva l’occasione, perché una strana sensazione gli suggeriva di averla già vista.

-Squadra? Che sport?- chiese allora la ragazza svedese, incuriosita, troncando ogni insulto della bionda sul nascere.

-Football, mi fa ridere accumunare nella stessa frase “la tua squadra” e “football”- continuò Louis letteralmente piegato in due ma, prima che Chelsea potesse dirgliene quattro, fu Sophie a prendere di nuovo parola: -Voglio fare le selezioni Cheet, se non ti dispiace-

Un silenzio imbarazzante scese tra i membri del gruppo: Chelsea, incredula, approvava evidentemente la sua decisione con un movimento assertivo della testa, pensando che, se si era offerta in quel modo, non poteva essere una sprovveduta; Louis non faceva altro che spostare lo sguardo da Sophie a Harry, tentando disperatamente di non ridere mentre immagiva la ragazza nuova alle prese con un pallone; Niall era ancora troppo preso ad interrogarsi su dove l’aveva già vista per poter proferire parola. Nella confusione del momento, nessuno si era reso conto che al gruppo si erano aggiunti Zayn e Liam, se non dopo il saluto di Whaliyha, se così si poteva definire il suo: “Ecco gli ultimi dementi della banda”.

Suo fratello sembrò voler ribattere poichè aveva sollevato l’indice in aria, in disaccordo, aprì la bocca ma Liam fu più svelto: -Cos’è questo silenzio? Niall... dimmi che non ne hai tirata una delle tue...- Niall sembrò non sentirlo, troppo occupato a grattarsi il mento e consumare ancora e ancora il viso della ragazza mora di fronte a lui.

-Non immagineresti mai- esordì allora Louis prima di scoppiare in una risata incontrollata, seguita da quella identica del riccio che si beccò subito una gomitata nello stomaco da parte di Whaliyha: -Victoria vuole entrare nella squadra di football femminile… credo mi stiano uscendo delle lacrime, Zayn dammi un fazzoletto, sbrigati-

-Che ruolo Vic?- le chiese Liam senza scomporsi più di tanto, e Sophie si ritrovò a pensare che era di certo quella la reazione che avrebbe voluto vedere nei suoi familiari, mentre in realtà aveva sempre avuto intorno reazioni come quella di Louis.

-Mediano- disse con aria di sfida, rivolgendo però lo sguardo a Louis che sembrò ridere ancora di più dopo le sue parole, nonostante i suoi amici in quel momento non fossero del suo stesso avviso: stavolta alle risate si erano aggiunti anche Zayn e Liam che però, a quanto parve, non stavano ridendo di lei.

-Se state ridendo del vostro quoziente intellettivo informatecene, sono anni che lo faccio e vorrei condividere quest’ilarità con voi- sbottò Whaliyha che non ne poteva più di sentirli respirare alle sue spalle - avrebbe voluto solamente passare un pomeriggio tranquillo per una volta.

-E’ il ruolo di Louis, che magnifica coincidenza- cercò di dire Liam tra le lacrime, come se fosse la personificazione del karma e fosse lui stesso in quel momento che lo sfidava, e non più Sophie. Louis ammutolì di colpo a quelle parole, per nulla toccato, scrollando le spalle con ancora un sorriso divertito stampato sulle labbra: -E con ciò, Payne? A maggior ragione posso affermare quanto non sia in grado di sostenere quel livello di preparazione, senza offesa pasticcino, sei sicuramente brava in altro-

-E’ deciso allora Tomlinson, Venerdì, dopo le selezioni della vostra squadra, in campo, vedremo se saprà reggere il ritmo- Chelsea aveva parlato senza nemmeno pensare, ma poi si era voltata verso Sophie e le aveva fatto un occhiolino, accompagnandolo con un sorriso: quel gesto le fece pensare che la reputava davvero all’altezza dell’impresa e che le stava dando la possibilità di dimostrare quanto valeva, nessuno lo aveva mai fatto per lei.

Ricambiò caldamente il suo sorriso prima che Harry interrompesse quello scambio di sguardi, battendo le mani con un’espressione a dir poco malefica sul volto: -Qui ci vuole proprio una scommessa!-

Dietro di lui, a Sophie parve di vedere Zayn irrigidirsi sul posto e si trovò a desiderare con tutta se stessa di poter sapere cosa passasse per la testa del moro in quell’istante. Avrebbe voluto leggerlo come fosse un libro aperto ma era proprio ciò che lui non era: era pragmatico, alternava atti di spavalderia con momenti di silenzio che avrebbe potuto intendere d’imbarazzo, imbarazzo che probabilmente provava solamente lei. Non sapeva nulla di lui, le era concesso sapere solo ciò che poteva vedere con i suoi occhi e Zayn non sembrava essere molto felice di mostrare qualcosa su di lui, era illeggibile. Non si era accorta, però, che proprio lui da qualche momento aveva iniziato a ricambiare il suo sguardo, intenso, scuro ma invitante, le provocava tanta curiosità che l’avrebbe volentieri portato altrove solo per parlare in tutta sincerità con lui.

A cosa starai mai pensando Zayn? - si chiese, come se lui potesse davvero risponderle nella sua testa.

-Vic, sei per caso imparentata con qualcuno d’importante in Svezia?-

Sophie si congelò sul posto, tentò di non sbarrare gli occhi per salvare le apparenze ma il respiro le si era mozzato in gola.

Salvare le apparenze, pensò. Era da quando aveva 12 anni che le era stato insegnato quale tipo di emozioni potessero essere mostrate agli altri: lezioni di comunicazione, linguaggio del corpo e psicologia, atte a formare il suo livello di diplomazia una volta che fosse stata sotto i riflettori e i flash della stampa. Solo un buon osservatore avrebbe potuto intuire che quella domanda era stata davvero scomoda per lei, ma dopotutto Zayn era esattamente questo: un buon osservatore.

A lui non era sfuggito nulla da quando si erano presentati a quel tavolo, non gli era sfuggito il vero significato di quelle occhiate di fuoco verso il suo amico, che stavano a significare quanto per lei fosse davvero importante, ciò che la rendeva diversa da tutte le altre ragazze che conosceva.

Doveva ammettere, in cuor suo, di averle dato della snob non appena l’aveva vista. Era come se fosse una di quelle petulanti amiche di Marion, che facevano di tutto per essere come lei e per ambire a tutte le agevolazioni che comportava essere popolare.
Zayn davvero non le capiva, lui odiava essere costantemente sotto l’attenzione di tutti.
Non cercava di essere un’ipocrita, perciò al tempo stesso doveva anche ammettere che amava avere una ragazza diversa ogni qual volta che lo voleva: non doveva faticare un minimo per averle, gli bastava mostrare solo il più vago interesse che loro facevano di tutto pur di chiudersi da qualche parte con lui. Tutte in quel college sembravano ambire alle sue attenzioni, sembravano aver desiderato almeno una volta di passare una notte di fuoco con lo studente modello Zayn Malik: popolarità, ottimi voti, strafottenza, spavalderia e quell’aria da playboy che era certo di aver ripreso da Harry, “ripreso” perché lui non era affatto così prima di quel colossale cambiamento.

-Din farfar har kallat, du bättre komma ... Jag skulle säga att det är tillräckligt för idag-

Non sapeva nemmeno da dove fosse sbucato fuori, ma uno dei fratelli di Victoria ora si era unito al loro gruppo, dall’altro lato del tavolo rispetto ai ragazzi, e guardava sua sorella senza il minimo accenno di sorriso sul suo volto.

Zayn non conosceva lo svedese, eppure quelle parole non gli erano sembrate dette con molta allegria, piuttosto sembravano parole di rimprovero, almeno questo a giudicare dall’espressione forzata di Victoria in un sorriso. Il moro non si era mai ritrovato a desiderare più ardentemente di sapere qualcosa su qualcuno che non conosceva affatto, avrebbe voluto sapere cosa suo fratello le aveva appena detto e perché lei improvvisamente sembrava non fare più parte di quel circolo; avrebbe voluto sapere cosa stava pensando in quel momento e come facesse a non farsi tradire da nessuna emozione, così stoica, così fredda, così distante.

-Tesoro, non che mi dispiaccia vedere un mezzo dei gemelli schianto, ma mi spieghi da dove cavolo è spuntato tuo fratello?- bisbigliò Chelsea alla ragazza che si era appena alzata, imitando i suoi movimenti e probabilmente dando voce alla domanda che molti si stavano facendo a quel tavolo, lui soprattutto.
Lei semplicemente sorrise, un sorriso che a Zayn trasmise tranquillità, sentiva il cuore rilassarsi come ogni altro muscolo teso nel suo corpo. Lo faceva innervosire, gli faceva provare un’invidia immensa pensare che ora sarebbe andata a casa, o chissà dove, e altri avrebbero potuto godere di quel sorriso che provocava emozioni così strane, ma lui no.

-Ci vediamo domani a scuola!-  disse solamente in saluto, e muovendo una mano verso il tavolo si allontanò col fratello, presero a camminare uno accanto all’altro e presto sparirono dalla loro visuale.
 
 
  
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