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Autore: Lupe M Reyes    05/07/2017    5 recensioni
A Blair piace fare i turni di notte alla biblioteca dell'Arca. Fino alla sera in cui il Cancelliere Jaha non si presenta alla sua porta... Per impedirgli di inviare sulla Terra John Murphy, Blair cede al ricatto e contribuisce al progetto sui Cento. Ma l'incontro con Bellamy Blake cambierà ogni equilibrio. Fino al giorno in cui non diventerà lei stessa la persona numero 101 a raggiungere la Terra.
[Arco temporale: prima stagione]
Personaggi principali: Blair (personaggio nuovo), Murphy, Bellamy, Raven, Clarke, Jaha
Personaggi secondari: Finn, Octavia, Kane, Abby, Sinclair, Jasper, Monty
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Raven Reyes
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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LA PREFERITA
 
Quando Doug mi da il cambio la mattina seguente mi trova pallida come un guscio svuotato.
Sto per crollargli addosso, cerco di puntellarmi sulla parete al mio fianco.
“Ehi, Blair. Tutto bene?”
Muovo la testa, sperando sia il movimento giusto per dire sì.
“Ti sei ammalata?”
Mugolo.
“Forse, un po’…”
“Hai la febbre?”
Dimenticavo che Doug è un po’ ipocondriaco. Mi affretto a rassicurarlo. Ma senza toccarlo.
“No, no, per niente. Sono solo stanca.”
Mi scruta accigliato. Non sono riuscita a convincerlo.
“Beh, ora vai a casa a riposarti. Ok?”
Mi isso il borsone sulla schiena ed esco dalla biblioteca. Faccio ciao ciao con la mano a Doug allontanandomi, anche se lui non dismette il suo grugno allarmato. Svolto l’angolo conscia di avere ancora i suoi occhi puntati sulle spalle.
 
Stanotte è stato surreale. È l’unica parola che posso usare per descrivere le ultime sei ore della mia esistenza. Surreali.

Dopo il mio infelice tentativo di svicolare alla proposta di Jaha, lui mi aveva spiegato che in cambio per il lavoro svolto avrei ottenuto la libertà per John. John sarebbe tornato a casa, nel suo lotto senza padre, con la fedina penale linda e scintillante. Avrebbe evitato l’espulsione, inevitabile al compimento dei diciotto anni. L’avrei rivisto. Meraviglioso.
 
Non fosse che il lavoro non sapevo ancora in cosa consistesse – e vista la reticenza del Cancelliere iniziavo a sospettare implicasse tortura e omicidio e mi sfuggiva l’indispensabilità di un bibliotecario nella tortura e nell’omicidio – e che avevo appena firmato venti pagine di contratto che servivano a ricordarmi che se avessi spifferato anche solo una virgola, sarei finita a fare compagnia ad Ellis Fawn, per sempre insieme a volteggiare nel nulla cosmico. In questo senso, non avere ancora niente da spifferare mi aiutava parecchio.
Avevo firmato senza pensare, perché sapevo che se mi fossi messa a pensare non avrei firmato.
Mi ero focalizzata su John, sulla sua brutta faccia storta che mi prendeva sempre in giro con mezza bocca piegata in uno sberleffo, che era il suo modo di sorridermi. Lo faceva col collo inclinato da una parte e il mento in su, dondolandosi.
La mia penna si era mossa sull’accordo di riservatezza in uno scarabocchio da disgrafica, perché la mano mi traballava al punto da non trovare la linea dritta che avrei dovuto percorrere.
 
Nella sbornia che sale dopo una notte in bianco, camminando verso casa, mi torna in mente una delle mie ultime serate passate con lui, prima che si ammalasse, prima che suo padre fosse colto in flagrante, prima che lui cercasse di salvarlo e si consegnasse nelle mani delle guardie.
Avevamo bevuto del vino sgraffignato dal nostro spacciatore di fiducia, un ragazzino con gli occhi a mandorla e la faccia da bravo bambino che di giorno fa l'ingegnere e di notte arrotonda rifornendo i suoi clienti dall’erba agli alcolici ai contraccettivi. Avevamo guardato la televisione nel mio lotto, e poi eravamo usciti a fare gli ubriachi molesti in giro per l’Arca. Nulla di speciale, ma assolutamente straordinario allo stesso tempo. Come John.
 
John è unico, unico nel suo genere, unico in tutti i generi a dirla tutta. Ha un non so che di sbruffone che mescolato ai suoi occhioni buoni gli regala una luce tutta particolare. Non ridevo mai così tanto come quando eravamo insieme, soprattutto quando entrava nella sua modalità Vi odio tutti e ci tengo a farvelo sapere, la sua versione in bianco e nero, di rara antipatia. Ma per me restava comunque casa mia, la mia sarcastica casa.
Lui è meglio di un libro vero e di tutte le biblioteche e le belle parole mai scritte. Per lui farei quello che nei romanzi le persone sono disposte a fare per i loro fratelli. E infatti sono nei guai.
 
Sull’Arca nessuno aveva più fratelli da molto tempo. Già dalla prima generazione nata in orbita la legge si era imposta per impedire alle coppie di generare più di un figlio. La politica del figlio unico prevedeva la pena capitale in caso di trasgressione, come quasi ormai tutte le nostre leggi, se venivano infrante.
Le restrizioni erano andate inasprendosi, soprattutto negli ultimi dieci anni. Ricordo un clima diverso quando eravamo bambini. Non c’era nemmeno il coprifuoco. Io e John bighellonavamo senza pensieri e senza sorveglianza per l’anello la gente dormiva serena con la porta di casa aperta. Il numero delle guardie era molto più ridotto e le guardie stesse erano più dei vigilanti che dei militari. Ora giravano con un fucile sulla spalla ed erano pronti a metterti le manette ai polsi al minimo pretesto.
 
C’erano delle teorie, circa l’aumento esponenziale delle espulsioni degli ultimi anni. Cercavo di non ascoltarle, perlomeno di non lasciare che insidiassero semi nel mio cervello già di per sé votato alla paranoia.
John, quando ancora eravamo felici, alle teorie cospirazioniste reagiva a modo suo:
“Se proprio Jaha e Kane vogliono espellerci uno alla volta, posso almeno sperare di restare per ultimo insieme a Catherine Boole.”
“Catherine Boole?”
“Ha detto che me la darebbe solo se fossi l’ultimo uomo rimasto sull’Arca.”
Gli occhi verdi azzurri luccicano, come ogni volta che riesce a farmi ridere.
“E quindi se dovessi restare con soltanto un’altra persona sull’Arca, non sarei io?”, chiedo, finta ingenua, mettendo il broncio. Lui non fa una piega.
“No. Catherine Boole.”
Poi fa un gesto esplicito con le mani, mimando delle tette enormi. Schiva il mio schiaffo sollevando il gomito e la mano mi si schianta sul suo braccio invece che sul viso. Mi neutralizza passandomi il braccio intorno al collo, concedendosi di darmi un bacio sulla tempia nascosta dai capelli, un bacio brusco e schioccante, prima di liberarsi in tutta fretta. John assomiglia a Doug in quanto a gesti d’affetto. È il bambino che per farti capire che gli piaci ti tira le trecce. Il bacio che gli do io di rimando invece è morbido e plateale, e gli scalda la pelle della guancia per più tempo di quanto lui possa sopportare. Restiamo affacciati al ponte panoramico a parlare di niente, quando ancora potevamo godere di quel lusso, soprattutto del lusso di non considerarlo tale.
Non posso credere che questo stesso ragazzo sia rinchiuso in isolamento, come un pericoloso criminale. Come se John fosse capace di fare del male a qualcuno. A parte che con le parole.
 
Rientro nel mio lotto e lo trovo vuoto. I miei genitori sono al lavoro. Mia madre si occupa delle pulizie nella stessa scuola dove la mamma di John fa la maestra. Mio padre è l’assistente di un ingegnere che si occupa degli impianti di aerazione.
La superficie lucida degli sportelli della cucina rimanda un’immagine terrificante. Ho due solchi neri sotto gli occhi, i capelli crespi, la pelle ingrigita. Questo è l’effetto che fa firmare un assegno in bianco per la cauzione del tuo migliore amico, quando sull’assegno c’è scritto Se sbagli, uno dei due muore.
Io che non giocavo a palla prigioniera in palestra con gli altri ragazzi perché la tensione mi destabilizza! Vado in crisi per decidere che penna usare per prendere appunti al lavoro. Chiedo ancora a mio padre di aprirmi i barattoli e a mia madre di fare i calcoli a mente al posto mio.
Mi chiedo come posso pensare di esserne capace, anche solo di mantenere la bocca chiusa e non potermi affidare a nessuno. Mi hanno messo tra le mani la vita del ragazzo migliore che conosco, della mia…
 
“Sei la mia persona preferita.”, mi diceva una volta all’anno, all’orecchio, il giorno del mio compleanno. I restanti 364 giorni ero io a dirlo a lui, a voce alta, possibilmente in mezzo alla folla. Lo faccio ancora, rivolgendomi al muro e immaginandomi la sua smorfia, tutte le sere prima di andare a dormire. Mi chiedo se il primo marzo l’abbia fatto anche lui per me, che non abbia interrotto la tradizione, perché anche se io non posso ascoltarlo non vuol dire che non possa sentirlo.
Uso gli ultimi residui del credito sul Pad per farmi la doccia bollente più lunga possibile. 


****

05/07/17
DAL PROSSIMO CAPITOLO
[...]
“Sì?”
Raschia tutte le parole con una voce cupa, più adulta di lui. Come se usasse solo la pancia e la gola per respirare, non è una voce argentina, polmonare, è profonda e densa. Mi colpisce questo particolare, è come se si adattasse a fatica sul suo viso sbarbato.
Per contrasto, immagino che la mia richiesta suonerà doppiamente infantile:
“Resterebbe? Per favore?”
[...]

A presto!, e fatemi sapere cosa ne pensate, mi fa piacere quando scrivete (anche in privato: l'importante non è la recensione, ma la vostra opinione).
LRM
   
 
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