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Autore: Gem    06/07/2017    2 recensioni
Questa è una raccolta di storie slegate tra loro e scritte per Promptember. Appariranno molti personaggi, ma la maggior parte delle fanfic sono AU e dedicate a Milo e Camus. Moltissimi generi presenti: storico, commedia, fantascienza etc.

«Vedi Cappuccetto?» il cacciatore, vestito interamente di nero, si sistemò un’arma in spalla spostando i lunghi capelli biondi dietro la schiena. Poi si avvicinò verso la creatura senza vita. «Tutti i bambini vogliono diventare cacciatori, non corrieri…»
«Smettila di chiamarmi Cappuccetto, Milo.» sentenziò severamente il corriere. «Non ho tempo per te. Il locandiere mi aspetta a Newark.»
Il bambino sbirciò il cacciatore.
Quel Milo si chinò accanto al corpo e, prese delle funi dalla cinta, iniziò a legare gli arti al corpo. Non si degnò di rispondere.
Il corriere allora avanzò di un passo. «Ci vediamo.»
«Se ti chiamo Camus resti?»
«Quando lavoro sono Corriere Rosso 11.»
«Dai, Cappuccetto è più simpatico.» il cacciatore iniziò a trascinare il corpo della bestia.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Gold Saints, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Schiavitù
Rating: giallo.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, storico.
Pairing: //
Personaggi: Milo, Camus, Sergio Orata (basato sul personaggio storico).
Avvertimenti: POV di Milo, AU, slash (?).
Parole: 1928
Note dell’autore: ancora una volta mi prendo libertà col prompt, la storia nella mia testa s’era già formata. In un certo senso il tema finale ricorda un po’ “Per il tuo futuro”.
Prompt:
 
Imagine person A of your OTP as a client of person B, a prostitute. What happens when genuine feelings develop between the two? By @otpprompts
 
 
«Dunque Milo, la festa è di tuo gradimento?» un uomo di mezz’età si avvicinò a uno dei klinai e appoggiò la mano sulla spalla del ragazzo ivi disteso. «Spero che spenderai buone parole per questa casa una volta tornato da tuo padre, che mi è molto a cuore!»
Milo abbassò una coppa di vino e sorrise, senza nascondere un certo imbarazzo.
«Sergio Orata, come molti dicono, sei davvero ricchissimo, divertentissimo, deliziosissimo.» rispose. «Ti ringrazio per avermi accolto dopo le difficoltà nel mio viaggio. Lasciare la tua splendida villa di Baia per Roma sarà difficile.»
«Sei proprio diventato un uomo, ma hai mantenuto la tua sincerità!» il padrone di casa diede una pacca a Milo, con una risata. «Dimmi, cosa hai gradito in particolare?»
Milo sorrise ancora. Il suo klinai un po’ in disparte e la coppa di vino ancora mezza piena dicevano molto sulla sua attuale condizione. Mentre gli altri ospiti chiacchieravano e mangiavano senza tregua, lui semplicemente era rimasto lì a consumare in modo discreto la sua cena.
Gettò un’occhiata verso il centro del triclinium. Uno schiavo dai capelli rossi stava versando da bere a un commensale.
«Mi è piaciuta molto la spiegazione sul movimento degli astri fatta dal tuo mescitore.» rispose. «Nella tua casa, persino gli schiavi sono uomini di cultura.»
Sergio Orata lo fissò un attimo senza reagire, poi si allargò in un ampio sorriso e socchiuse gli occhi.
«Aah, certo, capisco perfettamente cosa intendi!»
Batté le mani, due volte.
«Camus, avvicinati.» disse.
Milo vide lo schiavo dai capelli rossi voltarsi e annuire.
«Un acquisto costoso per via dei capelli fulvi e del rango, ma ampiamente ricompensato.» Sergio Orata indicò platealmente il ragazzo che si avvicinava, mantenendo lo stesso ampio sorriso. «­­Viene direttamente dalla Gallia ed è molto istruito. Era figlio di un rix, un aspirante druido.»
Milo rimase colpito al sentire quella parola. Molte storie riguardo i druidi erano giunte fino in Grecia, oltre le coste italiche: si diceva che fossero individui dall’amplissima conoscenza, capaci di comunicare con la natura e con gli stessi dei.
Fissò con interesse, e una malcelata ammirazione, Camus quando fu proprio davanti a lui. Indossava una veste bianca drappeggiata e, proprio come Sergio Orata, moltissimi anelli e bracciali dorati. Una collana attrasse però la sua attenzione.
«Questa è una torque?» chiese, stupefatto.
«Certamente. Non mentivo, affermando che egli è figlio di un rix.» Sergio Orata fissò Milo negli occhi, mentre faceva scorrere una mano lungo il fianco dello schiavo. «Camus, questo mio ospite, Milo, figlio del greco Stefano, ha molto apprezzato la tua disquisizione in materia astronomica.»
Per un attimo Milo riuscì a incrociare lo sguardo di Camus. Gli occhi erano di un colore simile a quello dei capelli e fiammeggianti, molto poco consoni a uno schiavo. Poi Camus abbassò lo sguardo.
«Grazie.» disse solo.
«Guarda la sua pelle.» fece allora Sergio Orata, afferrando un braccio di Camus e allungandolo verso Milo, tanto che lo schiavo fu costretto ad abbassarsi. «Avevi mai visto così tante efelidi?»
Milo si ritrasse un po’, quando notò quanto vicino fosse a Camus. Sperò di non essere arrossito, ma sentiva le guance più calde del resto del corpo.
«Non così tante.» ammise, osservando le macchie tra la peluria rossastra delle braccia. «Sono… sono veramente particolari.»
Non si azzardò a toccarlo, principalmente perché vedere Sergio Orata stringerlo per la vita era motivo non solo di imbarazzo, ma anche di disagio. Anche se Camus sembrava indifferente e in qualche modo desensibilizzato a quelle attenzioni, Milo non poté fare a meno di pensare che quello era comunque il figlio di un rix e un futuro druido.
Abbozzò un altro sorriso, sempre più a disagio, cercando di issarsi dal klinai per poter porre fine alla cena e ritirarsi nella propria stanza.
Molte persone della sua terra, la Grecia, erano divenute schiave dei Romani benché nate libere. Il torque di Camus, ancora indossato, mostrava la palese contraddizione col suo corrente status.
«Porta ancora delle ostriche al nostro gradito ospite.» fece poi Sergio Orata, osservando il piatto di Milo. «Non vorrei mai che il figlio di Stefano morisse di fame nella mia casa!»
Milo sorrise ancora, forzatamente. Purtroppo il banchetto sarebbe continuato ancora per un po’.
 
Con un pesante respiro, Milo si lasciò cadere sul letto.
Ah, quant’erano morbidi quel materasso, e soprattutto quei cuscini! Milo pensò che fossero pieni di costosissime piume di cigno. Sergio Orata, dopotutto, poteva permettersele.
Gli affreschi del soffitto catturarono la sua attenzione. Figure di animali e di persone si rincorrevano l’un l’altra, da parete a parete. Uno scorpione, un centauro, un capricorno. Milo sorrise: era lo zodiaco.
Mentre i suoi occhi si spostavano sula figura di Ganimede, il coppiere degli dei, il rumore della porta di legno che si apriva e delle tende che frusciavano lo fece un attimo distrarre.
Si issò sui gomiti.
Nella semi oscurità della stanza, illuminata solo da due bracieri, la figura di Camus apparve proprio di fronte al letto. Milo sobbalzò, ma ancor prima che potesse parlare l’altro spiegò: «Il padrone mi ha detto di intrattenerti, stanotte.»
Poi lasciò scivolare la veste bianca per terra, rimanendo col solo subligaculum.
Milo rimase per un momento intontito a fissare il ragazzo mezzo nudo di fronte a lui, pietrificato sul letto. Non sapeva bene nemmeno cosa dire o fare, in realtà.
«Credo… che ci sia un fraintendimento.» balbettò infine. Ma si accorse che, a prescindere dai propri pensieri, il corpo iniziava a reagire a quella vista così inaspettata. Si issò di scatto e si sedette, cercando di nascondere il bassoventre con la stola.
Si accorse della propria irrequietezza e aggiunse: «Non… uhm… intendo giacere con te stanotte.»
Camus raccolse la propria veste da terra e annuì, piano. «Capisco… allora vado a dire al padrone di mandare una donna.»
«No!»
Stavolta Milo allungò persino il braccio per bloccare un ulteriore equivoco. Il palmo aperto della mano doveva fungere da chiarissimo segnale di diniego.
«Non è quello il problema.» aggiunse, sperando di essersi chiarito. Dormire era chiedere troppo? «Grazie.»
Camus, a quel punto, strinse la veste e girò il capo sospettosamente verso Milo, guardandolo negli occhi.
«Ah. A giudicare da quel che vedo…» mormorò, senza interrompere il contatto visivo. «Mi sembra di essere di tuo gradimento. Ma farò mandare un altro ragazzo al posto mio, se così desideri.»
«NO!» stavolta Milo si trovò ad alzare la voce in maniera abbastanza evidente. Poi appoggiò un braccio sul grembo, imbarazzato. «Io voglio solo dormire. Ringrazio Sergio Orata per le sue premure, ma sto bene così.»
Solo allora Camus alzò le sopracciglia, comprendendo il messaggio dell’altro, e parve più a disagio. Indietreggiò col capo basso, poi indossò nuovamente la tunica, avvicinandosi alle tende.
Milo si morse il labbro. Beh, adulto o no, in fondo lui era solo un ragazzo e quella era la prima volta che viaggiava da solo. Che razza di servizi erano soliti scambiarsi un padrone di casa e un ospite?! Suo padre gli aveva solo detto di ammirare la rigogliosa natura italica!
«Perdonami…» la voce di Camus interruppe i suoi pensieri confusi. Non era ancora andato via. «Posso rimanere qui ugualmente?»
Milo rimase perplesso. In quel momento, però, un raggio di luce proveniente dai bracieri rifletté prepotentemente sulla torque di Camus, e Milo ripensò alle sue nobili origini.
«Perché il tuo padrone potrebbe mandarti da qualcun altro?» si ritrovò a chiedere, ben conscio della risposta. «Disonorando ulteriormente la tua stirpe.»
Quell’osservazione fece sussultare Camus, tanto che Milo poté finalmente notare una reazione non indifferente ma molto sentita.
«No, io… non vorrei…» Camus arrivò persino a balbettare. Milo capì di aver colto nel segno. «Non vorrei che il padrone pensi che io sia stato poco accondiscendente con te, o che tu non sia a lui grato.»
Milo, semplicemente, alzò le spalle. «Puoi restare qui quanto vuoi. Non dirò nulla al tuo padrone.»
Camus abbassò il capo come segno di riconoscimento e si accomodò su un divanetto poco distante dal letto.
«Ti è davvero piaciuto il mio discorso sugli astri?»
Milo non poté fare a meno di annuire veementemente. «Sì. Non mentivo.»
«Grazie.»
Tirando verso sé le coperte dai piedi del letto, Milo s’infilò sotto di esse velocemente e rivolgendo le spalle a Camus. Solo allora si accorse di quanto forte battesse il suo cuore, in parte per il nervosismo, in parte per la tangibile reazione fisica provocata dall’attraente gallo, ma le sue elucubrazioni quella notte ebbero un solo argomento.
Perché il figlio di un rix doveva perdere la sua dignità, quando un romano arbitrariamente apponeva su di lui il marchio del padrone? 
 
Il mattino aveva portato con sé una leggera pioggia, ma non aveva impedito al Sole di illuminare la villa di Sergio Orata.
Milo si spostò sotto uno degli archi del grande impluvium, osservando le gocce di pioggia spezzare l’acqua della vasca. Quando esse avrebbero smesso, Milo sarebbe partito alla volta di Roma.
«Milo, Milo.» la voce del padrone di casa fu più forte dello scroscio dell’acqua. «Allora, riveliamo a Camus la tua magnanima proposta.»
Milo si voltò.
Sergio Orata, ornato di abiti preziosissimi e dei suoi immancabili anelli, si avvicinava all’impluvium seguito dal servitore dalla chioma fulva, quel giorno non più con vesti candide ma con una tunica molto meno appariscente.
«Ringrazio te, Sergio Orata, per aver accettato.» replicò Milo.
Il romano si fermò davanti a Milo e gli batté la mano sulla spalla due volte, con fare amichevole.
«Camus, tu andrai a Roma con il mio amico.» annunciò il padrone di casa. «E quando tornerai, sarai un liberto.»
Lo schiavo rimase immobile, forse preso alla sprovvista. Milo ricercò il suo sguardo, ma quello fissava l’altro uomo.
«Cosa intendi, padrone?» chiese Camus con un filo di voce.
«Colpito dalla tua presenza e indotto dai tuoi favori, Milo ha donato un’ingente somma che supera il prezzo del tuo acquisto.» Sergio Orata si aprì in un sorriso raggiante. «Capisci, Camus? Andrai a Roma e Milo chiederà al pretore, sotto mio nome, di iscriverti nelle liste dei censori. Tornerai a Baia come liberto!»
Camus ne fu tanto stupito che dischiuse le labbra e sgranò gli occhi, spostando il suo sguardo su Milo.
Fu allora che finalmente il giovane greco poté osservare meglio le sue emozioni, ma al posto di una genuina riconoscenza, che immaginava di trovare, c’era solo un’immensa, impaurita sorpresa.
«Ringrazia il nostro amico e preparati per il viaggio!» fece allora Sergio Orata, lasciando l’impluvium e dirigendosi verso una stanza. «Vado a scrivere una lettera per il pretore.»
Milo rimase a fissare il gallo. Sergio Orata amava il denaro e qualsiasi ingente donazione sarebbe stata ben accetta, specialmente per ripagare una delle sue tante spese per nuovi schiavi, anelli, allevamenti di ostriche. In verità, sapeva che un liberto non era del tutto un uomo libero: Camus sarebbe rimasto ancora sotto la potestà del ricco romano. Perlomeno, pensò, non più come un qualsiasi schiavo della sua casa.
«Perché?» la voce di Camus suonò piena di rancore.
Milo alzò un sopracciglio.
«Io mi sarei riscattato da solo.» proseguì il gallo, il viso sempre più freddo e contrariato.
Il greco non avrebbe mai immaginato una simile reazione. Rimase in silenzio, qualche secondo, mentre comprendeva appieno quanto l’orgoglio del figlio del rix fosse grande e ancora intatto. Dopotutto la nomea dei Galli era ben nota – grandi e feroci guerrieri, portatori del metus gallicus.
«Con i doni dei romani che ti fottono?» si ritrovò a dire Milo sarcasticamente, senza trattenersi.
L’espressione di Camus diventò gelida, algida, priva di ogni indicatore di emozione. Si voltò, velocemente, e si allontanò dall’impluvium, senza degnarsi di rispondere.
Milo alzò le spalle. Durante il viaggio, prima o poi, avrebbe trovato un modo di farlo parlare.
 
 
 
 
Ps questa è la mia preferita della raccolta!

 
  
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