È tutto sbagliato.
Innanzitutto sono un falco, ora. E le rondini mi disgustano, per giunta.
Questo dovrebbe farvi capire che, finalmente, riesco di nuovo a leggere la Trama del Reale, o almeno il suo strato più superficiale.
Mi ci saranno anche voluti vent’anni per guarire dalla ferita che mi inflisse quel pezzente di Follia, però ho per lo meno la certezza che prima o poi mi riprenderò completamente.
La seconda cosa sbagliata è questo, tutto questo.
La Trama non si era mai concentrata intorno a me così tanto da… da mai. Nemmeno quando seguivo quei cinque araldi mi sentivo così oppresso dal suo intreccio.
Perché lo fa? Perché gli eventi mi vogliono ingabbiare così tanto?
Un falco dal piumaggio scuro sfrecciò nel cielo, apparentemente ignorando i piccoli animali che si muovevano spaventati sul terreno sotto di lui.
La piuma candida che svettava sulla sua coda fremeva sotto l’incedere del vento che avvolgeva lei e le sue gemelle dal colore brunito.
Lepri, serpenti ed altri piccoli animali correvano a ripararsi nelle rispettive tane, per poi tornare alle loro quotidiane attività quando il predatore si allontanava a sufficienza non rappresentare più un pericolo per loro.
Le ultime colline coperte di vitigni si trasformarono nelle pedici dei Monti Muraglia. Non un singolo vegetale copriva le pareti rocciose della catena, i cui pendii avevano assunto una colorazione nera, carbonizzata, apparendo così ancor più inospitali di quanto già non fossero.
Non è un bello spettacolo. In effetti non lo fu nemmeno quando Loro lo ordinarono.
Avvenne poco dopo la sconfitta di Follia, quando il palazzo di giustizia, così come i principali organi governativi di quella che adesso chiamano Terza Era, vennero spostati nuovamente sulla vetta mozzata del Flentu Gar.
Ragioni di sicurezza, dissero. Che scusa patetica, mi chiedo come possa ancora funzionare dopo tutto questo tempo.
Ovviamente, per rendere meno appetibile un nuovo ripopolamento di quella che fu la Terra degli Eroi, l’allora in carica e attuale re dei draghi Vanenir II ordinò a dei suoi sottoposti di incenerire qualunque cosa fosse presente su quei monti. Non so cos'altro potevo aspettami da lui, dopo la fine che ha fatto fare ai suoi fratelli.
Fu un rogo indiscriminato, nulla sopravvisse a quell’inferno.
Il paesaggio desolato si stendeva per chilometri in tutte le direzioni.
Il falco continuava a prendere quota, superando il muro di nuvole che nascondeva le vette alla vista degli uomini e portandosi poco più in alto dello spiazzo pianeggiante sulla sommità del re di quei monti.
Nessuno si era preso la briga di rimuovere le macerie lasciate da un’epoca passata, macerie che ora continuavano a ricoprire quel terreno infertile.
L’unica struttura ancora utilizzabile era una piccola casupola in mattoni, minimale, che era stata fatta costruire tra ciò che erano stati gli uffici del primo governo e i Palazzi che ospitarono prima l’Ordine, poi la Setta dei Sei.
Il volatile scomparve in un turbinio di piume a meno di un metro da terra.
Un paio di scarpe nere si appoggiarono al suolo, sovrastate da un pantalone scuro e da una lunga giacca che svolazzava alle spalle dell’elfo che copriva.
Uno sbuffo di fumo si levò dalle spalle dell’elfo con il tatuaggio romboidale sulla guancia, ma apparì più come un colpo di tosse, che subito si dileguò nell’aria.
No, ancora non ci siamo.
So che è stupido continuare a provarci, ma non posso farne a meno.
Voglio tornare a disgregarmi, voglio tornare quello che ero prima di essere immischiato dagli affari dei mortali. Ma, soprattutto, voglio che il buco che mi trapassa ancora da parte a parte si rimargini.
L’elfo percorse tutto il diametro della vetta mozzata a passo spedito, fermandosi solo quando i suoi piedi non trovarono più del terreno davanti a loro sul quale poggiarsi.
Lontano, a oriente, la porzione di continente che era stata allontanata dal potere di Terra appariva come una linea scura sull’orizzonte, appena visibile agli occhi di chi sapeva cosa cercare, invisibile a chi non ne fosse stato a conoscenza.
Non mi hanno ancora convocato, ufficialmente per lo meno.
Ancora vent’anni di questo schifo e poi ho finito. Non sembra quasi vero.
Dovrei ripetermelo più spesso.
…
Potrei farci un salto, una campata veloce, giusto per fargli pesare un po’ la sua condizione.
E poi gliel’avevo promesso.
L’elfo fece un’ulteriore passo avanti, lasciandosi cadere verso il mare che, centinaia di metri più in basso, infrangeva le sue onde sull’alto muro di roccia.
Il corpo magro, avvolto dalla giacca svolazzante, oltrepassò come un proiettile la porzione della meravigliosa Izivay Magnea rimasta nella porzione occidentale.
Nulla raggiunse mai i flutti.
Un falco sbattè più volte le ali per riprendere quota, destreggiandosi sicuro tra le correnti, con il sole pomeridiano alle spalle.