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Autore: Vago    14/07/2017    4 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Tredici camerieri in tenuta elegante entrarono a passo sicuro nella sala dove si stava svolgendo il ricevimento, dividendosi come le venature di una foglia per coprire tutto l’ambiente con le portate che tenevano in mano.
Le pareti in legno scuro erano state impreziosite da fiori che correvano dal giallo canarino al rosso intenso, colori che parevano resi ancora più intensi e gioiosi dalle lampade ad olio che illuminavano l’ambiente dalle loro nicchie.
Un gran vociare degli invitati riempiva l’atmosfera di un’aria festosa.
In fondo alla sala, su di un piccolo palco rialzato sul quale era stato predisposto un tavolo, gli sposi del giorno scambiavano poche parole con coloro che erano riusciti a raggiungerli facendosi largo nella folla che li precedeva e circondava.
La sposa portava i lunghi capelli corvini raccolti dietro la nuca, poche ciocche, lasciate sapientemente sciolte, ricadevano sul lungo abito celeste che avvolgeva il suo corpo sensuale. Lei sorrideva raggiante alle persone che le sostavano dinnanzi e, in quel sorriso, i suoi denti candidi parevano scintillare. Tra questi, i canini pronunciati svettavano.
Al fianco della donna stupenda, un uomo in abito elegante le teneva la mano. I suoi occhi azzurri si spostavano in continuazione dagli invitati al viso della moglie.
Dieci vassoi di antipasti uscirono dalla cucina, seguiti da altri tre sui quali erano stati disposti con cura alti bicchieri di cristallo nei quali danzava, al ritmo dei passi, un vino chiaro.
Quelle ventisei suole battevano leggere sul pavimento legnoso, sul quale era stato inciso da mani abili il logo del ristorante, due tralci di una vite rigogliosa si intrecciavano circolarmente, al suo interno, una volpe di profilo si ergeva sulle zampe posteriori, fiera.
Le ore passavano, ma la festa pareva appena accorgersene. Il vociare si era smorzato, nonostante questo, però, non sembrava che nessuno dei presenti avesse intenzione di lasciare il proprio calice o il proprio posto.
I dieci vassoi rimasti serpeggiavano tra gli invitati stanchi, portando i piatti principali, profumate e calde leccornie che la cucina aveva appena sfornato. I bicchieri non riuscivano a rimanere pieni a lungo e l’allegria della serata non poteva che giovarne.
La luce che filtrava dalle finestre quadrate si fece rossastra con il sopraggiungere della sera, la volta verde che sovrastava la città sospesa assunse toni sempre più caldi man mano che il sole andava a concludere il suo cammino giornaliero.
Il rumore di sottofondo si fece più intenso nella sala per coprire lo sferraglio che dai locali destinati ai dipendenti si stava alzando. Nessuno, però, si scomodò per far presente il suo fastidio ai cinque camerieri che ancora turbinavano nella sala con i rispettivi vassoi, tutti quasi completamente depredati di ciò che avevano contenuto.
Quando le lampade della stanza furono l’unica fonte di luce e all’esterno una manciata di elfi procedevano lenti per accendere i lampioni che costellavano i bordi dei ponti sospesi, la frutta di stagione che avrebbe dovuto concludere il banchetto venne introdotta ai commensali da un unico cameriere.
Buona parte degli invitati all’interno della sala si erano abbandonati alla stanchezza, lasciandosi cadere flosci sulle rispettive sedie. Anche i festeggiati, appagati dalla giornata, si erano seduti comodamente, aspettando di potersi congedare dai loro invitati.
I passi del cameriere falciarono la stanza rapidi in direzione della coppia appena sposata, solamente un mormorio lo accompagnava in quella marcia.
Il lucido vassoio venne appoggiato sul tavolo sopraelevato con un gesto elegante, sopra a questo, frutta di stagione dal colore acceso era stata disposta come una composizione artistica.
Il cameriere, quindi, seguì il profilo della tovaglia candida con le dita magre, finché le sue mani non raggiunsero le spalle della sposa, che reagì a quel contatto con un mormorio privo di alcun significato.
- Gerala è una città meravigliosa, non trova? È incredibile cosa possano nascondere le sue vie e i suoi ristoranti. –
Le mani del cameriere si strinsero sull’abito della donna, facendo increspare il tessuto chiaro sotto i suoi polpastrelli.
- Mi ci sarebbe potuta volere una vita a trovare tutte queste… cose, se avessi dovuto scovarle una per una. – riprese l’uomo avvicinando le proprie labbra all’orecchio della sposa ed abbassando la voce, come se le stesse confidando il più intimo dei suoi segreti – Lei, invece, le ha riunite tutte assieme, qui, oggi, mia dolce ed ignara aiutante.  Nemmeno riesco a dispiacermi per quest’uomo, qui, al nostro fianco, raggirato al punto da chiedere la sua mano. Lo sa anche lei che nessun uomo sano di mente vorrebbe mai legare il suo futuro ad un abominio quale lei è. –
Il cameriere si allontanò nuovamente dalla guancia della donna, i cui occhi appannati erano persi nel vuoto davanti a lei.
-  Spero che il vino sia stato di vostro gradimento e che la mia piccola aggiunta non ne abbia alterato il dolce sapore, sarebbe un peccato. Non avremo modo di vederci ancora, temo, quindi colgo l’occasione per ringraziarla del grande servigio che sta per farmi. –
Dalla manica destra dell’uomo scivolò un paletto in legno, che, con un movimento fluido del polso, venne piantato poco sopra il seno della fanciulla, trafiggendone il cuore in un unico, sicuro colpo.
La sposa ebbe appena il tempo di boccheggiare prima che dal suo petto sgorgassero fiamme danzanti.
- Lascerò che sia il tuo fuoco a purificare tutte queste cose. –
La mano dell’uomo di posò sulla schiena lasciata scoperta del corpo ormai morto dinnanzi a lui, spingendo il cadavere in avanti, verso il tavolo imbandito.
L’ultima cosa che l’assassino vide prima di chiudersi la porta d’ingresso alle spalle fu la tovaglia prendere fuoco, fungendo da base per l’incendio che, di lì a poco, si sarebbe appiccato e avrebbe consumato tutto ciò che gli stava intorno.
Un sorriso soddisfatto si disegnò sul suo viso, mentre le sue gambe lo portavano lontano da quell’edificio.
La città scorreva rapida intorno a lui, con i suoi ponti sospesi e le case costruite con il legno degli alberi circostanti.
Ne aveva prese altre venticinque.
La caccia a Gerala si era rivelata più fruttuosa del previsto.
Un colpo di fortuna assistere a una discussione riguardo quel matrimonio, quella mattina.
No, non era stata fortuna. Il Fato lo doveva aver guidato poiché potesse procedere con la sua missione.
L’uomo si fermò in un angolo non illuminato dai lampioni di una piazza laterale, situata ai piani bassi della città. Nessun occhio indiscreto sembrava poterlo vedere.
La sua mano sicura si intrufolò in un’imperfezione del legno, che gli permise di accedere al buco sottostante. Ne tirò fuori una borsa di pelle consumata, dalla quale prese abiti più comuni rispetto a quelli eleganti che aveva dovuto indossare fino ad allora.
Sistemò meglio la maschera chiara tra le poche cose che aveva e si rimise in cammino, cercando di distinguere tra i rumori della notte le urla delle prime persone accortesi dell’incendio appena nato. 

   
 
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