Anime & Manga > Daiku Maryu Gaiking
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Autore: BrizMariluna    07/07/2017    6 recensioni
Il Gaiking, il Drago Spaziale e il loro equipaggio vagamente multietnico, erano i protagonisti di un anime degli anni settanta che guardavo da ragazzina. Ho leggermente (okay, molto più che leggermente...) adattato la trama alle mie esigenze, con momenti ispirati ad alcuni episodi e altri partoriti dai miei deliri. E' una storia d'amore con incursioni nell'avventura. Una ragazza italiana entra a far parte dell'equipaggio e darà filo da torcere allo scontroso capitano Richardson, pilota del Drago Spaziale. Prendetela com'è, con tutte le incongruenze e assurdità tipiche dei robottoni, e sappiate che io amo dialoghi, aforismi, schermaglie verbali e sono romantica da fare schifo. Tra dramma, azione e commedia, mi piace anche tirarla moooolto per le lunghe. Lettore avvisato...
Il rating arancione è per stare dal canto del sicuro per alcune tematiche trattate e perché la mia protagonista è un po' colorita nell'esprimersi, ed è assolutamente meno seria di come potrebbe apparire dal prologo.
Potete leggerla tranquillamente come una storia originale :)
Con FANART: mie e di Morghana
Nel 2022/23 la storia è stata revisionata e corretta, con aggiunta di nuove fanart; il capitolo 19 è stato spezzato in due capitoli che risultano così (secondo me) più arricchiti e chiari
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gaiking secondo me'
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~ 40 ~ 
DI TRAPPOLE E RIMPIANTI

 
 
“A fire needs a space to burn
A breath to build a glow
I’ve heard it said a thousand times
But now I know
That you don’t know what you’ve got
Oh, you don’t know what you’ve got
No, you don’t know what you’ve got,
Until it’s gone…”
(Linkin Park – Until it’s gone)
 
 
Sakon si lasciò cadere sul sedile della sua postazione, e chinò la testa sentendosi definitivamente sconfitto.
Avrebbe dovuto dare ascolto ai presentimenti di Fabrizia, ma ciò che era accaduto su Marte era andato oltre la loro immaginazione; nemmeno Pete, Daimonji e Jamilah riuscivano a capacitarsene.
Lanciò un'occhiata alla ragazza che, insieme al dottore, lavorava febbrilmente su alcuni dati. Aveva fatto una stupidaggine, avrebbe davvero dovuto imporsi e lasciarla a terra; ma lei lo aveva baciato, e lui non aveva capito più niente. E adesso…?
Un po' più in basso, sulla sua poltroncina di pilotaggio, Pete non era meno affranto di loro: se ne stava curvo, scomposto, un tacco dello stivale appoggiato al bordo del sedile, un braccio teso posato sul ginocchio e la testa china, il ciuffo sugli occhi.
 
Pete-su-Marte

Nessuno parlava.
All’arrivo su Marte avevano avvistato la fortezza aliena quasi subito e, così da vicino, avevano riconosciuto l'architettura zelana: quella della popolazione zelana, non quella delle costruzioni inquietanti e abominevoli realizzate da Darius e dai suoi quattro orribili generali. Era incredibilmente estesa, quasi una piccola città, con una linea sinuosa, elegante, e affusolate guglie collegate tra loro da ponti ad arco; racchiudeva tra di esse una immensa piattaforma sopraelevata, senza ombra di dubbio una pista di atterraggio, con al centro il simbolo della Resistenza Ribelle Zelana.
I quattro componenti dell'equipaggio si erano lasciati sfuggire un sospiro di sollievo a quella vista: erano alleati! Nessuno di loro aveva dimenticato il defunto professor Zenon e la moglie, né Yock e Lyra, i loro figli rimasti sulla Terra, che avevano consegnato loro decine di informazioni grazie alle quali erano riusciti a procurare devastanti sconfitte all'Orrore Nero.
Pete aveva impostato le manovre e si era abbassato per atterrare direttamente sul simbolo dei ribelli, ed era stato a quel punto che era accaduto il disastro: nel momento in cui si sarebbe dovuto posare sulla piattaforma, il Drago aveva incontrato il vuoto. La fortezza si era rapidamente dissolta nell'atmosfera rossastra di Marte, e la grande astronave terrestre era precipitata rovinosamente sul terreno, rovesciandosi su un fianco. Mentre Pete aveva tentato disperatamente di rimettere il Drago in posizione per un rapido decollo, avevano tutti e quattro realizzato di essere stati fregati: la cittadella altro non era che un perfetto, accuratissimo ologramma.
E non era finita lì: dal suolo, ai lati del Drago, erano emerse all'improvviso due semisfere trasparenti che si erano chiuse una contro l'altra al di sopra di loro, saldandosi tanto fortemente da non rivelare nemmeno più il punto di contatto. Il Drago Spaziale era irrimediabilmente prigioniero dentro una sfera, che certamente era saldata in egual modo anche nella parte nascosta, sepolta nel sottosuolo.
A nulla erano valsi i tentativi di distruggerla: né i missili, né i micidiali raggi sprigionati dalle doppie corna che formavano la pseudo-testa – la testa vera e propria, per forza di cose, era sulla Terra, assemblata al Gaiking – e, alla fine, nemmeno la Lama Gigante aveva potuto qualcosa. La trasparente, luccicante superficie concava che li teneva prigionieri, non si era nemmeno scalfita.
Poi c'era stata l'altra brutta sorpresa: erano comunque troppo lontani dalla Terra, per comunicare con i compagni tramite le normali onde radio, ma il Drago era dotato di un segnalatore tracciante che rivelava almeno la sua posizione. Quando, però, Jamilah aveva tentato di metterlo in modalità intermittente, per segnalare a Midori che erano in pericolo e per chiedere l'aiuto del Gaiking, – che forse, con i Raggi Perforanti sprigionati dagli occhi del Drago sul suo petto, sarebbe riuscito a bucare la sfera – avevano scoperto che nemmeno le onde del dispositivo tracciante potevano uscire da quella impenetrabile barriera.
A quel punto la terrificante verità li aveva colpiti come un maglio: il Drago Spaziale era in trappola e Darius era padronissimo di attaccare la Terra.
E lo avrebbe fatto, senza ombra di dubbio.

 
***


Briz era passata dai suoi cavalli, ma si era fermata da loro non più di mezz'ora. Aveva nostalgia dei suoi animali, e avrebbe voluto sellare Indy per fare una folle galoppata sulla spiaggia, lasciando che il vento tra i capelli anestetizzasse i suoi pensieri e le sue ansie; ma aveva troppa paura di un attacco, senza contare che, in realtà, tutto quel senso di vuoto che avvertiva era legato più che altro alla mancanza di Pete, che percepiva in modo praticamente fisico.
Era già il crepuscolo, e le sembrava di aver appena vissuto il giorno più lungo della sua vita; dopo qualche coccola distratta anche ad Atlas e Balto e aver controllato il loro cibo, se ne tornò alla spiaggia.
Si sedette di nuovo sulla sabbia, vicino alla zampa di Balthazar, e attese; che cosa, non lo sapeva nemmeno lei.
Soffiava una lieve brezza, e il rumore delle onde era dolcemente ipnotico: niente faceva sospettare che le cose potessero andare male.
Ripensò al bacio di Jamilah e Sakon, lasciandosi sfuggire un sorriso:  cavoli, la sua amica aveva davvero deciso di prendere in mano la situazione e metterla in chiaro alla svelta! Sperò con tutta sé stessa che, al ritorno sulla Terra, le cose fra loro fossero finalmente risolte e realizzate. Pensare alla coppia di amici che si baciava le riportò inevitabilmente alla mente i baci che lei e Pete si erano scambiati: si passò il pollice sulle labbra, sentendo ancora il sapore di quelle di lui e sentì il volto accalorarsi, al pensiero di ciò che gli aveva promesso al suo ritorno.
Dovevano parlare, le aveva detto… In realtà non sapeva cosa aspettarsi da lui, che magari avrebbe solo voluto specificare che tra loro, una cosa più seria, non avrebbe potuto funzionare… ma non importava: era ora di scoprire le carte e giocarsele, e pregò che non fosse troppo tardi per farlo, qualunque fosse stato il risultato. Lui era difficile da decifrare… non era affatto sicura di quello che Pete provava per lei, come non era sicura di avere la stoffa della scopamica… ma se gli aveva confessato di essere disposta a una svolta così totale con lui, era perché aveva percepito qualcosa di profondo da parte sua… quindi, chissà… Diooo, ma perché era tutto così complicatooo?
Un incedere di passi la riscosse, e vide venire verso di lei il resto della squadra: Sanshiro e Midori si avvicinarono, con un'espressione tesa sui volti seri.
Brutte notizie, era fin troppo facile indovinarlo.
"Lo sapevo: se qualcosa può andar male, lo farà" si ripeté nella mente.
– Non riceviamo più il segnale del dispositivo tracciante – disse Midori con voce spenta.
– Sono lontani – tentò di sdrammatizzare Briz – Forse c'è qualche ostacolo di mezzo… o potrebbe semplicemente essersi danneggiato.
– Può essere, – concordò Sanshiro – per questo pensavamo di aspettare ancora qualche ora.
– Qualche ora… per fare che? …se non avremo notizie…? – chiese lei, sentendo l'ansia salire come una marea.
– Non vedo perché non dovremmo averne, ma, nell'eventualità… – Sanshiro si interruppe, indeciso.
– Nell'eventualità…? Cosa?
Fu Bunta a rispondere: – Sanshiro li raggiungerà con il Gaiking.
Briz vide Midori mandare giù amaro, chiudere gli occhi e quasi trattenere un gemito: era ovvio che quella decisione non era piaciuta a nessuno, ma alla sua amica ancora meno che agli altri.
Yamatake si avvicinò a Briz, la prese sottobraccio e si sedettero insieme davanti alla zampa sinistra di Balthazar, appoggiandosi con la schiena al metallo ancora caldo. Il giovanottone avvertiva quasi materialmente l'angoscia della sua amica, e dopo che aveva intravisto il modo in cui aveva baciato il loro Capitano quando si erano salutati, non aveva dubbi su come potesse sentirsi. Fan Lee e Bunta si sedettero all'altro lato, accanto all'altra zampa del grande leone, mentre Yamatake le passava un braccio attorno alle spalle. La ragazza si appoggiò alla sua possente e protettiva mole, sentendosi un po' rincuorata dalla sua presenza e da quella degli altri amici.
Un po' più in là, vicino a un piede del Gaiking, Midori si sedette sulla sabbia, con il tablet sulle ginocchia, dal quale tenere d'occhio eventuali segnalazioni dal Drago Spaziale, o qualunque altra cosa che potesse far presagire un attacco; anche lei temeva, però, che il sofisticato oggetto tecnologico che teneva in grembo, per quel che riguardava il Drago, sarebbe rimasto muto. Sanshiro si sedette dietro a Midori, la abbracciò e le sfiorò una guancia con le labbra; sapevano tutti che nessuno avrebbe chiuso occhio.
Qualche ora più tardi, a notte inoltrata, non avendo ricevuto nessuna nuova, Sanshiro si alzò in piedi e salutò gli amici, pronto a partire.
– Buona fortuna, Comandante – disse a Briz, salutandola per ultima e abbracciandola brevemente.
– Buona fortuna a te – gli rispose, non riuscendo a immaginare chi potesse averne più bisogno.
Briz distolse lo sguardo dall'ombra alta e scura del giovane che, stagliandosi nella semioscurità, si fondeva con quella di Midori per un ultimo bacio, pensando che stava accadendo proprio ciò che avrebbe voluto evitare: adesso era lei, il Comandante in capo.
Nel giro di pochi secondi la sagoma del Gaiking scompariva nella notte, alla volta di Marte. Fabrizia e Midori si abbracciarono strette, sedute sulla rena, entrambe con i pensieri rivolti agli uomini che amavano e agli altri loro amici, chiedendosi se li avrebbero rivisti. Yamatake, Bunta e Fan Lee rimasero alle loro spalle, privi di qualunque parola.
Potevano solo attendere, chiedendosi se sarebbero arrivate notizie dal Drago o, invece, il temuto allarme di un attacco.
Sarebbe stata una lunga notte.
 
*** 
 
Sakon cercò Jamilah con lo sguardo, ma non la vide.
Avevano passato metà di quella che era la notte sulla Terra, a studiare e fare calcoli e prove varie con ogni arma disponibile, senza trovare soluzioni; il resto del tempo lo avevano impiegato fuori dal Drago, indossando le tute spaziali, per analizzare la cupola trasparente metro per metro, senza per questo ottenere qualcosa di positivo.
Quando la ragazza era rientrata, era sparita dalla circolazione: Sakon l'aveva vista lasciare la plancia, ancora con la tuta pressurizzata addosso, l'espressione avvilita e gli occhi azzurri pieni di lacrime. Jamilah non era una che piangesse facilmente: le poche volte in cui l’aveva vista farlo, da quando era iniziato il conflitto, si contavano sulle dita di una mano.
Non sapeva cosa fare, con lei; se andarla a cercare, o concederle un po' di riposo nella speranza che intanto accadesse… che cosa? Un miracolo: solo quello, ormai, avrebbe potuto salvarli.
– Sulla Terra mancano poche ore all'alba… di nuovo. Chissà cosa stanno facendo gli altri – disse, avvilito.
Pete sollevò appena lo sguardo, sentendo l'amico avvicinarsi al suo posto di pilotaggio.
– Se sono fortunati, staranno semplicemente aspettando il nostro ritorno – rispose, tornando poi a guardare in basso.
Le sue parole lasciavano solo immaginare come sarebbe stato se, invece, gli amici non avessero avuto fortuna e preferivano, ovviamente, non pensarci nemmeno. Pete riprese con voce incolore:
– Per una volta, avremmo dovuto ascoltare i presentimenti di Briz. Lei ci aveva pensato, a una trappola, e anche Doc!
– Un ologramma, Pete! Era perfetto, ma almeno io ci sarei dovuto arrivare! – esclamò Sakon, frustrato.
– Piantala, nessuno avrebbe potuto pensarci, a un cazzo di ologramma! Una cosa che non è neanche vera… e quei figli di puttana ci hanno fottuti per bene.
A Pete non capitava tanto spesso di usare un linguaggio così sboccato, se non in momenti molto tesi e difficili; ciò lasciava ben intuire come si sentisse in quel momento.
– Deve esserci un modo per distruggere quella sfera. Deve avere un punto debole – affermò Daimonji, dalla sua postazione, continuando a studiare i dati disponibili come avevano fatto per tutta la notte.
– Le abbiamo provate tutte, Doc: nemmeno controllarla personalmente, un centimetro alla volta, è servito. Non abbiamo trovato niente di niente – concluse Pete.
Sakon si accorse degli occhi lucidi dell'amico; non aveva mai visto il suo Capitano così disperatamente attaccato allo sforzo di non crollare. Abbassò lo sguardo e lo vide tormentare nervosamente il braccialetto che portava al polso e che prima non aveva notato: si accorse che era quello di Briz.
– Hai paura… di morire, Pete? – gli chiese a bruciapelo.
Lui scosse appena il capo: – Ho paura di morire, senza aver detto a Briz che…
– …che sei innamorato di lei? – finì Sakon al suo posto.
Pete non rispose: una lacrima, una sola, gli attraversò la guancia. Se la asciugò, con un gesto rabbioso del dorso della mano, e raccontò a Sakon ciò che Briz gli aveva praticamente promesso quando si erano salutati.
– Siamo stati due stupidi… Lei ha detto che non voleva che tra noi due accadesse così, solo per il terrore di perderci e per disperazione… Ma se ci fossimo parlati prima, se non avessimo avuto paura dei nostri stessi sentimenti, almeno ora non dovremmo rammaricarci per quello che ci siamo persi. Avremmo avuto qualcosa di più di qualche rimpianto… da portarci via con noi, in qualunque posto ci sia… dopo.
Daimonji, non meno rassegnato dei suoi ragazzi, li ascoltava in silenzio; non riusciva a credere che quella sarebbe stata la loro fine e quella del Drago Spaziale. Quando i loro compagni rimasti sulla Terra non avessero più visto il segnale del dispositivo tracciante, avrebbero fatto qualcosa, non poteva fare a meno di farsi forte di questo: il Gaiking era l'unico dei loro mezzi che avesse l'ipervelocità per raggiungere Marte da solo e in poche ore. Poi un altro pensiero lo sopraffece, e non per la prima volta: se Sanshiro fosse giunto in loro soccorso sul pianeta rosso… l'Orrore Nero ne avrebbe approfittato per attaccare la Terra. Quasi sicuramente era proprio questo il loro piano! Il pensiero che tutta la difesa sarebbe stata davvero sulle spalle di Balthazar e dei quattro mezzi d’appoggio, lo sconvolgeva: questa volta avevano davvero sbagliato ogni calcolo… Lui aveva sbagliato, aveva peccato di superficialità.
Pregò che i ragazzi sulla Terra capissero la situazione; che Sanshiro venisse in loro soccorso e che potesse essere davvero d'aiuto; e che gli Zelani non attaccassero. Si rese conto che, forse, era davvero chiedere troppo, ma pregò lo stesso.
– Pete… dev'esserci un modo. Farò di tutto per trovarlo – disse Sakon.
– Non c'è un modo. Sarà meglio che tu faccia qualcos'altro, Prof: quello che non ho potuto fare io con Briz. Vai da Jamilah, e diglielo: diglielo che l'ami, che lei è la tua ragazza, che è la cosa più bella che potesse capitare nella tua vita… e che non puoi vivere senza di lei.
Era davvero strano sentire una cosa del genere in bocca al Capitano Richardson.
– Va bene, lo farò. Ma tu devi promettermi che, se usciremo da questo casino, farai lo stesso con Briz!
A Pete sfuggì un sorrisetto sarcastico.
– Ah, posso anche promettertelo… So perfettamente cosa farei… Peccato che non so se avrò la possibilità di mantenere.
Sakon gli posò una mano su una spalla e gliela strinse brevemente, prima di andare in cerca di Jamilah.
Il Drago aveva un sistema di riciclaggio dell'aria che trasformava in ossigeno respirabile qualunque atmosfera ci fosse all'esterno; ma lì, sotto alla cupola, quell'atmosfera si stava lentamente consumando: la riserva di ossigeno sarebbe durata ancora parecchio, ma poi, un po' alla volta, avrebbe cominciato a scemare…
Sakon si slacciò il giubbotto grigio chiaro e allentò la tuta nera sul collo, avvertendo un vago senso di soffocamento, poi regolò l'auricolare in modo che potesse ricevere unicamente sul canale di emergenza, pensando a dove potesse essere andata Jamilah. Sperò che fosse a riposare un po', e si diresse verso le cabine.
Jami era andata proprio lì, dopo essersi liberata della tuta spaziale blindata; in seguito aveva fatto lo stesso col suo giubbotto rosa, buttandolo rabbiosamente a terra, e si era gettata su uno dei giacigli, nella cabina a tre posti solitamente destinata alle ragazze. Non riusciva a credere che fossero cascati in un tranello così stupido che sarebbe costato, alla fine, il Drago Spaziale e le loro stesse vite… e forse la Terra intera. E poi proprio ora, che aveva trovato il coraggio di fare qualcosa che, in un modo o nell'altro, avrebbe finalmente dato una svolta al suo rapporto con Sakon! Non avevano più avuto modo di parlarne, da quando erano partiti, o forse non avevano voluto, dando la priorità alla concentrazione sulla missione.
E poi… non poteva fare a meno di pensare a Pete e Fabrizia, che erano separati da qualche centinaio di milioni di chilometri e, forse, non si sarebbero mai più rivisti. Questo pensiero non faceva che aggiungere peso alla sua angoscia: aveva lasciato uscire qualche lacrima, ma ora non riusciva nemmeno più a piangere, si sentiva prosciugata di ogni emozione.
Pensò che la stanchezza non la stesse aiutando, forse riposare un po' le avrebbe ridato un minimo di lucidità mentale, magari per farsi venire qualche idea; chiuse gli occhi stringendo il cuscino, pregando che il sonno desse un po' di pace al suo animo disperato. Fu in quel momento che sentì la voce di Sakon che la chiamava.
Si alzò e fece scorrere di lato la porta metallica, trovandoselo davanti.
– Hai trovato una soluzione? – gli chiese ansiosa, la voce spezzata, gli occhi ancora arrossati.
– No, non ho trovato un bel niente: ho come la testa vuota – confessò Sakon, sentendosi totalmente inutile e inadeguato, davanti alla sua espressione speranzosa.
– Il che è tutto dire, detto da te – sospirò la ragazza, indietreggiando e lasciandolo entrare nell’angusta cabina, il cui spazio era quasi tutto occupato dalle tre cuccette.
– Cazzo, ma perché, Jamilah? A cosa mi serve tutta la mia intelligenza, se non sono capace di trovare una soluzione a questo casino di merda? Me lo dici!? – aveva sbottato Sakon, con una veemenza e un’ira che la sorpresero.
Jami si accorse che era stanco, frustrato, arrabbiato… anche lui, come Pete, raramente usava il turpiloquio come sfogo. Sicuramente era anche spaventato da quello che stava accadendo, e del resto, come avrebbe potuto essere diversamente? Era anche lui un essere umano, come tutti. Con ogni probabilità, sarebbero rimasti bloccati lì fino alla fine dei loro giorni che, era più che ovvio, non sarebbero stati molti.
– Calmati, Prof, non serve a niente colpevolizzarti: non è responsabilità tua, se siamo qui prigionieri. A volte il destino gioca brutti scherzi, senza che noi ci possiamo fare niente.
– Perché sei così calma? Come fai?
– Io non sono calma, nemmeno un po’! Ma ci sei già tu che stai dando i numeri, e mi sembra sia più che sufficiente! Oltretutto non è nemmeno da te.
– Non è da me? Ma cosa diavolo credete che sia, io? Non sono mica… un supereroe, non l’ho scelta io la mia intelligenza!
– E chi ha detto niente? Sei tu, che credi di essere l’unico a dover per forza trovare una soluzione, ma forse non spetta a te! Forse dovremo, per una volta, aver fede in Qualcuno di più potente, della tua intelligenza. O forse… dovremo rassegnarci a morire. Io non lo so… ma se non lo sai nemmeno tu, va bene lo stesso! Un Q.I. pari a 340 non significa che devi per forza avere le risposte a ogni perché dell’Universo!
– E invece dovrei – disse lui sconfitto, le braccia lungo i fianchi, i pugni stretti, appoggiandosi con la schiena alla parete e tenendo la testa bassa.
La ragazza gli si mise di fronte, e gli prese il volto tra le mani, costringendolo a guardarla in modo un po’ brusco.
– Datti tregua, Sakon! – gli gridò in faccia – Prima dici che non sei un supereroe, ma poi ti accolli il peso di dover trovare tu una soluzione! Ti stai contraddicendo, non te ne accorgi? Non dipende da te! Tu hai deciso per partito preso che, a causa della tua intelligenza devi essere il responsabile per trovare una soluzione ad ogni accidente che si presenta. Non è così! Guardati! Hai ventotto anni, ma nella tua testa ce ne sono cinquanta! Hai sempre vissuto in un mondo di gente più vecchia di te, fin da quando eri un ragazzino: tu hai passato l’adolescenza all’Università, tra professori e studenti specializzandi, invece che al liceo a fare cazzate con gli amici della tua età, o a pomiciarti la bella della scuola! Hai mai fatto a cuscinate a un pigiama party? Ti sei mai preso una sbronza, o hai mai fatto il bagno al mare vestito? Non credo proprio: tu hai sempre e solo studiato e lavorato, e ti sei sempre preso sulle spalle quintali di responsabilità! Ma qui, ora… non sei tu, quello da cui tutti si aspettano una soluzione – concluse lasciandolo andare.
– E a chi spetterebbe trovarla, allora, eh? Pete? Lui non può fare niente: per quanto in modo eccellente, lui il Drago lo pilota e basta. Doc? È troppo oppresso dai sensi di colpa, per averci trascinati qua; e io con lui, per non averti convinta a rimanere sulla Terra…
– Credo di essere abbastanza grande per decidere da sola, ti dispiace? Mi è sembrato abbastanza chiaro che non ho subito costrizioni di sorta, per seguirti. È vero: forse moriremo qui… ma la colpa non è la tua! – gli ribadì rassegnata, tornando a sedersi sulla cuccetta con la schiena al muro e abbracciandosi le ginocchia.
Sakon si staccò dalla parete, si chinò e raccolse il giubbetto rosa di lei da terra, posandolo su un altro letto. Senza sapere bene cosa fare, la osservò di sottecchi: era bellissima, con addosso solo la tuta smanicata nera a collo alto, che le lasciava le braccia nude, e con la cerniera un po' abbassata a scoprire la pelle delicata della gola. Ma vedere la sua espressione stanca, e i begli occhi d'acquamarina segnati dalla paura e dalla rassegnazione, gli faceva male al cuore. Tornò ad appoggiare al muro la schiena e la testa, fissando il soffitto, sfoggiando un'espressione tormentata e vinta, che non gli apparteneva. Anche lui teneva il giubbotto slacciato e la cerniera della tuta aperta sul torace; un ciuffo di capelli neri gli ricadeva sulla fronte ombreggiando gli occhi scuri, e le labbra sottili e ben disegnate avevano un atteggiamento imbronciato.
Nonostante la drammaticità della situazione, Jamilah non poté fare a meno di perdersi ad ammirarlo: era bello, il suo Prof. Forse non era appariscente quanto Pete, e non aveva il fascino del campione sportivo come Sanshiro, ma era bello. Anche se non era certo solo per questo, che lei lo amava da morire.
Ah, certo! Da morire era davvero il concetto giusto, perché forse era proprio questo, che sarebbe accaduto.
– Resto dell’idea che avrei dovuto insistere perché tu rimanessi sulla Terra – commentò Sakon chiudendo gli occhi.
– Oh, sta' zitto, Prof! – esclamò Jami contrariata, tornando, in un impeto di nervosismo, ad alzarsi in piedi, pensando che era la seconda volta in ventiquattr'ore che intimava al suo professore di tacere.
Lui la guardò in viso, sorpreso da quella frase così tagliente; lei fece lo stesso.
– Ancora con questo Prof!? Smetterai mai di chiamarmi così? – Sakon interruppe i suoi pensieri in tono quasi seccato, sfidandola con lo sguardo.
Jami realizzò che il tempo a loro disposizione si stava velocemente esaurendo, e loro erano stati incredibilmente stupidi a perderne così tanto. Ormai lei si era compromessa, già qualche tempo prima con il bacio sulla terrazza e ora, definitivamente e irrimediabilmente, baciandolo ancora, davanti a tutti, prima della partenza… Tanto valeva giocarsela fino in fondo, anche perché era stato palese che fosse piaciuto anche a lui; così rispose provocandolo.
– Perché dovrei? È questo che sei, in fondo: il mio insegnante. Non sei mai stato altro! Ti sei persino arrogato il diritto, manomettendomi il cellulare, di scegliere per me, se dovessi venire o meno su Marte! È ovvio che per te non sarò mai nient’altro che la tua talentuosa allieva-assistente!
– Oh, e ti dispiace, per caso? Vorresti davvero essere qualcosa di più? Ma porca puttana, Jami, non resisteresti un mese, con me! E lo sai benissimo, sei stata molto chiara, pochi minuti fa: io sono prigioniero della mia fottuta intelligenza e di tutte le responsabilità che comporta!
– Forse hai ragione! E vuoi sapere una cosa? Se non fosse morta, nemmeno Lisa avrebbe resistito con te, e avrebbe finito per mollarti, alla fine! Perché tu metterai il tuo supremo intelletto sempre davanti a ogni altra cosa, come se lui fosse l’unica peculiarità che ti rappresenta! Lisa, Cleopatra, la Regina di Saba! Nessuna avrebbe speranze con te, quindi tienitela, la tua fottuta intelligenza! È l’unica cosa di cui tu abbia bisogno: portati a letto quella, che te ne fai di una donna!? Il tuo cuore non riuscirà mai a sopraffare il tuo cervello! 
Sakon rimase come paralizzato, cercando di metabolizzare quelle ultime parole.
– Sì, è vero, le donne non resistono con me! Qualcosa ti fa pensare di essere diversa da tutte le altre?!
– Sì! Semplicemente il fatto che io non sono le altre!
Sakon tacque di botto, spiazzato, ricordando di colpo che Pete lo aveva mandato lì per dire a Jami che la amava, e non per perdere tempo a litigare con lei, e realizzando che questo suo essere padrona e sicura dei suoi sentimenti, e caparbia ma coerente con sé stessa, erano proprio alcuni dei motivi per cui si era innamorato di lei.
Si rese a malapena conto di aver afferrato la ragazza per un braccio e di averla attirata contro di sé; di lì ad affondare le labbra nelle sue, imprigionandola tra lui e il muro, fu un attimo.
Si baciarono per un tempo interminabile, senza riuscire a staccarsi. Quando lo fecero, Jami vide l’espressione quasi colpevole sul volto di lui e comprese cosa gli passasse per la testa, poiché nessuno meglio di lei riusciva a intuire i suoi pensieri: il senso di responsabilità stava facendo di nuovo capolino, gli stava dicendo che non poteva indulgere in queste cose mentre avrebbe dovuto preoccuparsi di trovare una soluzione a quella circostanza.
– Datti tregua, Prof – gli ripeté, con una dolcezza nella voce che gli penetrò l’anima – Datti tregua… tu sei soltanto Sakon Gen, non sei la tua intelligenza! Spegnila, qualche volta, smetti di rimuginare! Cancella ogni pensiero, azzera tutto, ti prego. E se proprio devi pensare a qualcosa… beh, ti sei già salvato una volta, pensando a me, quando ti fecero il lavaggio del cervello nel Sahara. Fallo di nuovo: riempiti la testa di me.
Sakon non riuscì a resistere a quella richiesta e ricominciò a baciarla; tanto, la verità era che il tempo per vivere assieme tutta la vita, con ogni probabilità, non lo avrebbero avuto. Deciso a darle retta, senza staccarsi da lei allungò la mano a bloccare la porta, scegliendo di dimenticare per un po’ la drammatica situazione in cui si trovavano.
Accarezzandogli le spalle e scendendo lungo le braccia, Jami gli sfilò il giubbotto grigio, mentre lui le abbassava la cerniera della tuta nera. La vista del semplice reggiseno di cotone bianco, dal sottile bordino di pizzo, sembrò quasi riscuoterlo, ma Jamilah, che gli faceva scivolare le mani sulla pelle chiara e liscia del torace, non lo aiutava a rimanere lucido. No, non era a questo punto, che aveva pensato di arrivare quando era venuto a cercarla… non poteva accadere, non lì, non in quella situazione… era assurdo!
La ragazza sembrò avvertire le sue incertezze e il fatto che la sua mente si stesse allontanando da quel momento e quel luogo.
– Non andartene… Torna qui con me, pensa a me. Se devo schiattare su questa maledetta palla rossa, non voglio portarmi dietro rimpianti… Torna qui… resta qui, ti prego.
“Resta qui…” Jamilah gli stava dicendo di restare non tanto fisicamente, quanto con i pensieri e, sperava, anche col cuore; soprattutto col cuore. 
Sakon riuscì a convincersi che la ragazza avesse ragione; e se finalmente stava succedendo, in pochi minuti, tutto quello che non era successo in più di due anni… beh, era più che giusto!
La sollevò tra le braccia e la posò dolcemente sulla coperta della cuccetta, baciandole il volto, la bocca, la gola e scendendole lungo il corpo statuario e bellissimo che, poco alla volta, si scopriva e gli si offriva, mentre le sfilava la tuta smanicata. Le accarezzò il ventre e il fianco, risalendo verso il seno, liberandolo dal cotone bianco che lo imprigionava e baciandone la pelle vellutata.
Jamilah ricambiò ogni carezza e ogni bacio, mentre anche gli abiti del giovane scivolavano via, con i gesti nervosi e impazienti delle mani che, poi, indugiarono sensuali sui loro corpi, in lente e audaci esplorazioni. Sapevano che non si sarebbero fermati, che non avrebbero smesso di stringersi, toccarsi, assaporarsi. I baci si susseguirono lenti, tra desiderio e dolcezza, finché smisero di pensare a quel futuro che forse non avrebbero avuto, e il bisogno profondo e impellente di appartenersi diventò l’unica ragione di esistere.
La pelle bruna di Jamilah spiccava contro quella più chiara di Sakon, mentre i loro corpi si congiungevano in quell’atto d’amore e di vita, a spazzare via, almeno per un po’, il pensiero della morte.
Se dovevano morire lì, allora che fosse; con i respiri affannati, le labbra brucianti e affamate, i corpi avvinghiati, si presero senza remore quell'ultimo momento di felicità che il destino gli stava concedendo.
Non gli restava altro: solo essi stessi, l’amore e la passione.
Solo il presente.
E in quello, scelsero di perdersi.
 
***


Jamilah si risvegliò di colpo, spalancando gli occhi; il ritorno alla realtà la colpì come un pugno nello stomaco.
Avevano finito per assopirsi sfiniti, non tanto fisicamente, quanto a livello mentale. Com’era possibile che quel momento fosse il più bello, e allo stesso tempo il più terribile, della sua vita? Aveva fatto l’amore con l’uomo che amava da mesi, forse anni, e… probabilmente sarebbe stata anche l’ultima volta.
Si sollevò appena su un gomito, per guardare il volto di Sakon ancora addormentato: alla fine, era riuscita a dare alla sua prodigiosa mente quell’attimo di tregua per distoglierlo dai suoi assurdi sensi di colpa e di inadeguatezza. Le sfuggì un sospiro, mentre gli sfiorava con una carezza i capelli corvini, la guancia e le labbra, poi si chinò di nuovo e gli nascose il viso tra il collo e la spalla, abbracciandolo, mentre anche lui riemergeva lentamente da quel breve sonno. Le passò le dita fra gli indomabili riccioli scuri, e le baciò la fronte.
 
Sakon-Jami-su-Marte

– Jami… 
– Shh, sono qui.
– Mmm, lo so… credi sia possibile non accorgersene? – replicò Sakon, accarezzandole la schiena nuda.
– Forse… dovremmo tornare in plancia – azzardò lei, poco convinta.
– Sì, forse dovremmo… o forse no. A che potremmo servire, dopotutto? Il momento di requie che mi hai dato è stato il migliore della mia vita… ma non per questo mi è venuta un’idea per tirarci fuori di qui… – sospirò lui sconsolato.
– È davvero stato solo questo per te? Un attimo di requie e basta?
Sakon spalancò gli occhi che, alla tenue luce della stanzetta, non apparivano neri, ma di un marrone scurissimo e vellutato.
– Jami, no! Non è così! – rispose, quasi agitato dal fatto che lei potesse aver frainteso il suo comportamento.
– Perché… lo sai che io ti amo, vero? – gli disse lei, con disarmante sincerità.
Sakon annuì, con espressione grave.
– E tu? – incalzò la ragazza.
– Anch’io. Anch’io ti amo, Jamilah.
– Perché non me l’hai mai detto?
Sakon sospirò… e, finalmente, sputò il rospo che si teneva dentro.
Le raccontò di Alison, e di come la sua ex-fidanzata si fosse lamentata di sentirsi continuamente sminuita dalla sua intelligenza, dandogli la colpa per la fine del loro rapporto; e di come lui avesse finito per convincersi che qualunque altra donna avrebbe provato la stessa cosa, stando con lui.
– Jami, non sopportavo l'idea che anche tu potessi sentirti umiliata da…
– Io non mi sono mai sentita umiliata da te! – lo interruppe Jami determinata, sollevandosi sopra di lui e posandogli una mano su una guancia – Né sminuita, tantomeno una nullità! Anzi, tu sei sempre stato meraviglioso, mi hai sempre fatta sentire una persona di valore, importante e intelligente. E non lo hai fatto solo con me, ma con tutti i miei compagni di corso: ci sarà un motivo se anche i più mediocri adoravano le tue lezioni! Tu sai dare soddisfazione a chi è bravo, e incoraggiare nel modo giusto chi lo è un po' meno. Io credo che fosse la tua ragazza ad essere davvero insignificante, con un’autostima da quattro soldi e pure un po’ stronza, se non altro perché ha dato a te, e al tuo dono, la colpa della fine della vostra storia!
A dispetto di tutto, a Sakon scappò un sorriso nell’ascoltare quell’appassionata esternazione, nella quale vibrava anche un accenno di gelosia retroattiva; e ciò gli ricordò una cosa.
– E tu che mi dici di quel pezzo di marcantonio biondissimo, tutto abbronzatura e vitamine, che ti veniva a prendere alla fine delle lezioni in università? – le chiese a bruciapelo.
Jamilah ridacchiò, decisa ad allungare il più possibile quel momento che li separava da un brusco ritorno alla realtà.
– Cody? Il surfista australiano più figo che ci fosse in circolazione… E aveva scelto me, la secchiona. Infatti non è durata, ma almeno di lui ho un bel ricordo: anche Cody disse che non si sentiva abbastanza per me, ma non si è mai sognato di incolparmi per questo. Era un ragazzo con moltissime qualità, eravamo solo troppo diversi, e dopo due anni insieme ne abbiamo preso atto. Fine. Ma spiegami: tu… ti eri accorto che io avevo un ragazzo?
– Jami, io… credo che inconsciamente tu mi piacessi già moltissimo. Ma ero il tuo prof, e tu una mia studentessa: avevo una deontologia professionale da seguire e non mi sono nemmeno mai soffermato ad analizzare la cosa, nemmeno quando ti ho scelta come assistente.
– Beh, l’hai detto: sono la tua assistente, non sono più una tua studentessa. Anche questa è stata una ragione del cavolo, per aspettare tanto a dirmelo! Se tu hai ventotto anni, io ne ho venticinque: siamo maggiorenni e vaccinati, direi.
– Già, sono maggiorenne, vaccinato e idiota.
– Ah, certo, si capisce subito: è perché sei idiota, che hai il quoziente intellettivo più alto della Terra… – disse Jami, lasciandosi scappare un'altra risatina. Si interruppe, poi gli fece l’altra domanda che le rodeva dentro da un po’.
– E… Lisa? Che mi dici di lei?
– Lisa… non lo so, Jami. Non abbiamo avuto abbastanza tempo, per conoscerci e… è stata come… un fulmine a ciel sereno, uno stordimento, ed è finito tutto troppo in fretta, così com'era cominciato. Anzi, in realtà non è cominciato affatto, non è arrivato a esserci niente, fra di noi, Jamilah: non l'ho mai neanche baciata. Pensavo che… avrebbe potuto funzionare, perché… essendo addirittura zelana, con lei avrei condiviso quel senso di diversità che mi tormentava. Credo… che mi avesse capito, ci sentivamo affini.
– Se non fosse morta, credo che le avrei dato battaglia, lo sai? Ma se avesse vinto lei, io mi sarei fatta da parte.
– Lo so, ma… non è detto che avrebbe vinto lei. Io non lo so… ma credo che Lisa lo avesse intuito, che eri tu la donna della mia vita. Probabilmente sarebbe stata lei, a farsi da parte.
– Se ho capito un po’ com’era fatta, probabilmente sarebbe stata la migliore amica che avremmo potuto avere – sussurrò Jami, per poi tacere.
Pensare a Lisa come a un’amica, le fece venire in mente Briz e Midori, rimaste sulla Terra, e, di conseguenza…
– Briz e Pete… – sospirò affranta.
– Non farmici pensare: anche lui rimpiange di non aver usato meglio, con Briz, il tempo a loro disposi…
Non arrivò a finire la frase: lupus in fabula, nell'auricolare di entrambi risuonò la voce di Pete, sul canale delle emergenze.
– Sakon! Jamilah!
– Che emergenza potrà mai esserci, ancora? Peggio di così! – esclamò Sakon saltando giù dalla cuccetta e cominciando a rivestirsi alla velocità del fulmine, subito seguito dalla ragazza.
– Pete, che succede? – gridò lei riattivando il microfono, infilando la porta mentre ancora trafficava per tirarsi su la cerniera della tuta.
– Ho visto il Gaiking! – rispose agitato il loro Capitano.
La coppia giunse in plancia trafelata, in tempo per vedere, sul grande schermo panoramico, l'inconfondibile sagoma del grande robot che attraversava il cielo rosso di Marte.
– Sanshirooo! Siamo qui, siamo qui! Sanshiro! – urlò Pete nel microfono, per poi tacere improvvisamente, rendendosi conto della realtà.
– Non può sentirci, Pete – disse rassegnato Daimonji – La cupola scherma tutte le comunicazioni.
– Maledizione. Maledizione, maledizione! – imprecò il pilota del Drago.
Poi, letteralmente furioso, azionò i raggi fulminanti che fuoriuscivano dalle doppie corna. Lo fece una volta, due, tre… come se potesse servire a qualcosa: avevano già avuto la prova che quella malefica sfera era indistruttibile. Dopo quell'inutile sfogo, Pete si arrese e si lasciò cadere sulla sua poltroncina, stanco e frustrato. Semi mimetizzati in mezzo alle rocce come erano, era ovvio che Sanshiro non li avesse visti.
Impotenti e disperati, i quattro guardarono il Gaiking che, inesorabilmente, si allontanava nel rosso silenzio.
 
 
 
Continua…
 
 
 
Note dell’Autrice: 
Questa vicenda, del Drago prigioniero nella cupola sul pianeta rosso, da me come sempre un po’ rimaneggiata, è raccontata nel penultimo episodio della serie: 
“Un castello fantasma su Marte”.
 
Allora, questo capitolo è dedicato alla solita Morghana, ma molto di cuore, per un paio di motivi.
Il primo è che, se la mia parte ventenne ha una cotta latente (sì, latente… ahahahah!) per Pete, quella di Morghana ce l’ha per Sakon, e spero che con questa… uhmmm… diciamo concretizzazione, tra lui e Jami, abbia dato sfogo alla sua vena romantica.
Il secondo è che, senza nemmeno volerlo, la suddetta signora mi ha tolta da un’impasse con il dialogo tra i due protagonisti, precedente al momento hot.  Thanks, Mirellina! 

 
Devo confessarvi che nella mia testa, quando scrissi questo capitolo, (l’anno scorso ormai) tra Jami e Sakon doveva esserci solo qualche bacio molto infuocato, poi dovevano venire interrotti da Pete che avvistava il Gaiking. Solo che mi hanno preso la mano… e non chiedetemi perché loro sì e qualcun altro no! (A proposito dei personaggi che fanno quello che vogliono, vero, Morghana?) Misteri delle fanfiction…
 
  
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