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Autore: LeanhaunSidhe    08/07/2017    20 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Scorreva la lava sotto il ghiaccio di Asgard e pareva celato lo stesso calore ancestrale nello sguardo apparentemente piatto di quel personaggio.

Kiki sentiva la sua mano sicura e salda sulla spalla. Ne aveva osservato il viso e velocemente le rughe che lo adombravano diventavano via via meno profonde, l'incarnato si ripuliva da piccole escoriazioni e macchie, fino a restituire una pelle alabastrina. All'improvviso avevano smesso di camminare e gli occhi taglienti di quello strano individuo, che lo scrutavano dall'alto del suo mezzo metro in più d'altezza, l'avevano trafitto come il filo di una spada.

Haldir non proferiva parola ma, senza ombra di dubbio, gli stava leggendo dentro. Il leggero vorticare che li aveva avvolti fino a quel momento si era placato e, senza che il lemuriano se ne accorgesse, erano tornati in un posto familiare, dove il bianco del ghiaccio ed il grigio del cielo si confondevano a perdita d'occhio.

Confuso, Kiki si era ritrovato in Asgard, in quel posto isolato dove il vento ululava forte e lui resisteva sempre poco. Doveva aver piegato una qualche reazione strana perchè, senza chiedere nulla, Haldir gli aveva posato un consistente manto di pelliccia sulle spalle, sicuramente una protezione dal freddo. Poi, il cavaliere in armatura bianca aveva si era liberato dei suoi stracci, rivelando un'armatura di un metallo a lui sconosciuto, che non lo copriva però interamente come i guerrieri degli ordini superiori del grande tempio. Era semplice e lineare. L'unica cosa che colpiva di quella corazza erano le numerose scritte che la percorrevano in più punti, salendo dal braccio fino agli spallacci, poi più in la, sulla schiena. Haldir restava silenzioso, come se, pur senza guardarlo, percepisse distintamente il percorso che il suo sguardo attento stava effettuando sulla sua figura.

Al fianco recava non una ma due spade. Parevano affilate, pesanti, potenti. A differenza del metallo della corazza, queste avevano lame di un grigio scuro, a tratti quasi nero, come pietra lavica.

Kiki doveva essere palesemente curioso. Haldir si era seduto a gambe incrociate nella neve. Aveva alzato per un istante lo sguardo al cielo e, come se gli elementi avessero risposto solerti al suo comando, il vento si era placato all'improvviso.

 

"Tu non conosci armi come le mie."

 

Una constatazione secca e sicura. Haldir sapeva quel che diceva e ora che aveva puntato davvero lo sguardo in quello di Kiki, il giovane Aries non ebbe dubbi che aveva le iridi dello stesso identico colore di quelle di Seleina ed una strana sensazione di déjà-vu si impadronì di lui.

 

"Immagini perchè ti ho portato qui?"

 

Kiki esitò un attimo prima di sedersi a sua volta. Quel singolare individuo doveva avergli prestato un proprio indumento, perchè gli arrivava sotto le ginocchia e ci cascava letteralmente dentro. Piegò il qualche modo la pelle ed incrociò le gambe. Stranamente, non sentiva la morsa del gelo pungergli le membra.

 

"Non ho la più pallida idea di ciò che tu voglia."

 

Haldir pareva non muoversi affatto o farlo troppo lentamente. Altre volte si girava con uno scatto improvviso, rendendo quasi insondabile, per certi versi, il comprendere della propria indole.

 

Era come se la sua stessa mole gli fosse di impiccio, quasi non fosse abituato a quelle sembianze, a quella forma.

 

"Eppure non sei così stupido. Forse rammollito per essere un guerriero, ma non certo stupido"

 

Kiki aveva aperto la bocca per controbattere ma non aveva percepito scherno in quelle affermazioni.

 

"Ho bisogno che parli chiaramente con me. Non ti comprendo."

 

Haldir lo guardò di nuovo. Aveva chiuso gli occhi in un accenno di disappunto quasi impercettibile.

 

"Voi umani avete sempre bisogno di tante parole e spesso neppure le ascoltate. Immaginavo che almeno con chi legge la mente fosse diverso."

 

Presto tornò a puntare lo sguardo all'orizzonte. Tuttavia non tacque.

 

"Sbagliavo."

 

Kiki percepì nuovamente la sua mano sulla spalla ed il potere di quella creatura liberarsi. A differenza di prima però non voleva confonderlo. Sembrava invece voler comunicare.

Kiki chiuse gli occhi per concentrarsi meglio e lasciarlo fare. All'inizio fu pervaso da una sensazione di sgomento, paura, confusione, dolore. Sentì lo stomaco torcersi e la mano di Haldir farsi più salda. Aprì gli occhi e notò che l'altro serrava le palpebre ed una goccia di sudore gli colava per la tempia. Impiegò qualche secondo per comprendere che Haldir stava cercando di moderare il proprio potere per comunicargli qualcosa. Forse davvero gli umani avevano bisogno di troppe parole. Forse quelli come Haldir non le sapevano proprio usare.

 

"Non sei rammollito. Hai dentro la potenza delle galassie. E' solo che non vuoi. "

 

Il giovane Aries lo intuì in quel momento: quell'essere stava cercando di diminuire il proprio potere per potersi abbassare al suo. Così cercò di bruciare il cosmo, per venirgli incontro ed aumentare il proprio. Haldir si rilassò all'istante e fu in grado di mostrargli quanto voleva.

 

 

 

Negli appartamenti privati della prima casa, in compagnia di Aldebaran, Mu si ostinava a cercare di capire come solo lui sembrava aver notato quell'intruso quando lo stesso Aldebaran lo aveva avuto sotto il naso. O lui stava diventando pazzo o Aldebaran lo stava diventando Aldebaran. Oppure quell'individuo davvero non era riuscito a sottrarsi solo al suo sguardo o solo dal suo aveva voluto rendersi riconoscibile. E perchè mai lo avrebbe fatto?

 

Aldebaran rimaneva con lui, preoccupato.

 

"Magari potresti chiedere un parere al maestro Sion, prima di saltare a chissà quale conclusione."

 

Provò a tranquillizzarlo scettico, però, per primo.

 

"Dopo tutto, quella persona ha detto che ti avrebbe riportato Kiki presto, sano e salvo."

 

Si rese conto presto di non credere minimante al senso delle proprie parole. Mu, nel frattempo, sembrava aver recuperato lucidità. Dopotutto, era ghiaccio quello che l'aveva bloccato e l'amica di Kiki era asgardiana.

 

"Cristal è più tornato al santuario?"

 

Chiese con una certa apprensione. Nella sua testa iniziava a delinearsi quale fosse una delle prime cose da fare. Doveva raggiungere il palazzo reale di Asgard.

 

Kiki si reggeva la testa dolorante. L'aver visto cosa stava accadendo ad Asgard gli aveva fatto salire la bile allo stomaco. Le sensazioni di tanti innocenti massacrati per il semplice gusto di farlo, il loro terrore, il loro dolore, gli era penetrato attraverso insieme al colore del loro sangue. Lo vedeva denso, salmastro, scuro, mentre imbrattava ogni cosa e finalmente gli fu chiara l'angoscia che invadeva la sua amica da almeno un paio d'anni.

 

Si morse le labbra. D'improvviso non riuscì più a trattenere la rabbia.

 

"Ma dove sono i God Saints di Asgard? Perchè non fermano tutto questo?"

 

Haldir lo squadrò come se avesse detto un'assurdità e non gli fu certo difficile quella volta.

 

"Sono morti e anche se riportati in vita non sarebbero stati abbastanza forti."

 

In quel momento Kiki aveva iniziato a fare due più due.

 

"Dunque è per questo che avete riportato in vita mio fratello ed i suoi compagni?"

 

Haldir annuì.

 

"Noi stiamo facendo tutto il possibile per arginare il male che hai visto. Resta comunque il grave rischio che presto esso valichi i confini di Asgard. A quel punto, ci vorrà poco perchè faccia scempio di tutta la terra. Voi dovete fare tutto il possibile per impedirlo. E' per questo che vi abbiamo riportato alla vita. Della terra fuori dal ghiaccio dovrete occuparvi voi, perchè noi non lo faremo."

 

Kiki spalancò gli occhi. Un sospetto feroce gli attraversò la mente.

 

"Spiegami solo una cosa: non potete o non volete occuparvi di quel male fuori di Asgard?"

 

Haldir lo fronteggiò sicuro. Non ebbe esitazioni nel rispondere.

 

"Non vogliamo. E' già troppo ciò che vi è stato offerto. E' a prezzo di sangue innocente che il tuo adorato fratello e i suoi pari sono tornati alla vita. Quanti sacrifici voi uomini dovete ancora chiedere alla mia razza?"

 

Kiki strinse i pugni.

 

"A prezzo del sangue di chi?"

 

Haldir, repentino, mutò completamente atteggiamento. Lo afferrò per la sciarpa e lo sollevò alla propria altezza.

 

"Hai intuito benissimo di chi! E sappi che avrei preferito mille volte servirmi del sangue della tua cara Athena o di uno dei suoi deplorevoli fratelli, per non parlare di quel vecchio satiro di suo padre, piuttosto che di quello di una mia devota figlia!"

 

Lo lasciò cadere all'improvviso ed il giovane Ariete, benchè certo che non ce l'avesse davvero con lui, ma che piuttosto volesse spaventarlo, sudò parecchio freddo.

Il vento si rialzò all'improvviso in quel posto. Non aveva mai preso ad ululare così forte. Kiki quasi non riusciva a tenere gli occhi aperti. Si teletrasportò lontano, davvero preoccupato. Per prima cosa, voleva accertarsi delle condizioni di Seleina. Doveva raggiungere il palazzo reale di Asgard.

   
 
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