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Autore: _Charlie_    08/07/2017    1 recensioni
Il pericolo incombe.
Le streghe della Congrega si preparano a fare ritorno.

Arya Mason è una ragazza di sedici anni che vive a Rozendhel, Virginia. Ha lunghi capelli color rosso ciliegia, occhi verdissimi, e un passato da dimenticare. Una Visione, una Chiave ed un Portale segneranno l'inizio di una guerra da cui non potrà tirarsi indietro.

Ma quali sono le schiere del Bene? Innanzitutto, esistono davvero?
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 40:

 

Il racconto di Markos

 

La cella di Markos era tenuta sotto stretta sorveglianza da quattro guardie – due ai lati della porta e due che facevano avanti e indietro per tutto il corridoio del piano.
Arya – celatasi nell'ombra del pino – realizzò che per entrare lì dentro bisognava armarsi di un valido stratagemma, quindi preferì da subito mettere al bando le opzioni di corrompere o anche solo incantare quei tipi – l'ansia di essere scoperta le avrebbe divorato le interiora. Si ticchettò un indice sulla fronte, bramando la grazia di qualche discutibile divinità. Se solo l'avessero beccata, avrebbe potuto dire addio ad ogni tentativo futuro di parlare con il traditore.

Azzardò meccanicamente un passo e smise di confondersi da sola le idee, di pianificare, immaginare cosa sarebbe potuto accadere da quell'istante in poi; avrebbe affrontato la situazione e le eventuali conseguenze sulla propria pelle, le avrebbe studiate con gli occhi e non con pensieri concepiti dal nulla e fuori realtà.
« Signorina Mason! » La riconobbe la prima guardia: « che sorpresa incontrarla qui! »
« Buongiorno » salutò lei.
« Per quale motivo è venuta? » Le domandò il tipo più grosso, le braccia incrociate dinanzi al petto: « non ci aspettavamo una sua visita ».
« Devo incontrarmi col prigioniero. Mi manda Rhona ».
« Rhona? » Ripeté lui: « ne è certa? »
« E lei, al contrario, è certo di mettere in dubbio la mia parola? » la ragazza sfidò il suo sguardo: « mi lascia entrare oppure no? »
Scoppiò il silenzio e, per un istante, l'unico suono percepibile fu il sibilo delle lanterne appese al soffitto.
Arya non mancò neanche il minimo gesto delle guardie: lo smilzo si grattava il deretano, gli altri due le ricambiavano lo sguardo, senza battere le palpebre. Il più grosso, e a dire il vero anche il più testardo, allungò un braccio e le ordinò di consegnargli il permesso.
« È la procedura » spiegò, la voce profonda: « non posso farci niente ».
Arya andò in tilt: si finse arrabbiata, si scosse i capelli ed elencò con fierezza i suoi lunghi titoli – ciononostante non ottenne la briciola di un risultato. Al termine dell'imbarazzante teatrino, l'uomo teneva ancora la mano protesa verso di lei.
Ingannare le guardie del Rifugio si stava dimostrando molto più complicato di quanto si fosse aspettata e, se non fosse stato per l'intervento tempestivo del bibliotecario, il signor Hancock, allora sarebbe stata già scoperta e rinchiusa all'interno di un'altra prigione.
Egli, ballonzolando come suo solito, chiarì a tutti che l'Ex-Custode della Chiave e Guardiana del Fuoco Aureo non necessitava di alcun permesso: avrebbero dovuto lasciarla in pace, aprirle la porta e rimanere in silenzio. Al contrario di ciò, sarebbero stati sollevati dai loro incarichi.
Il lucchetto scattò e le guardie le mostrarono la via. Arya, nel frattempo, lanciò un'occhiata al bibliotecario, sperando in cuor suo che si accorgesse di quel suo tacito ringraziamento.
« Entrerò anch'io, se non vi dispiace » disse l'uomo e, dal palmo della mano, alzò una sfera di luce bianca: « dopo di Lei! »
Arya non capiva per quale motivo si stesse comportando in quella maniera: la stava spalleggiando come un vecchio amico, come se si conoscessero dall'infanzia.
« D'accordo, ma la spada resta a noi! » Grugnirono le guardie: « quando volete uscire, bussate tre colpi » e si tirarono indietro.
La cella era logora e buia. Non vi era alcuna finestrella, letto o bagno. Ci si rigirava a malapena e puzzava tremendamente di morte, di quello sgradevolissimo odore che un umano sprigiona con la paura ed il panico di non riuscir più a scorgere le stelle.
Il signor Hancock agitò la sfera bianca, mostrando così la figura di Markos – in un angolo, chiuso in se stesso.
« Pensi sia morto? » Gli domandò Arya, la fronte aggrottata.
« No » rispose lui, secco: « non credo ».
« Perché mi hai aiutata? »
« Perché mi sentivo in dovere di farlo » egli continuò, inginocchiandosi a fatica e tentando di destare il prigioniero: « tu sei una bravissima persona, una strega forte e una leader indiscussa. A me, tutte queste regole e imposizioni non piacciono. Aspiro ad un mondo di benessere e comunicazione... un uomo non può essere condannato a morte così! »
« Che cosa stai tentando di dirmi? »
« Tante cose ».
Markos tossì e finalmente aprì gli occhi – entrambi cerchiati di viola. Nonostante fossero trascorse poche ore dal suo arresto, si presentava già in maniera orribile. Haramir o le guardie l'avevano picchiato di sicuro. Fece per mettersi in piedi, ma crollò di nuovo in quel sudicio angoletto come una bambola di pezza appena scartata dalla mano incauta di una bambina.
Il signor Hancock tirò fuori un fazzoletto di stoffa da un taschino della sua veste e gli asciugò la fronte imperlata di sudore.
Arya si accorse così di quanto fosse magro, di quanto sangue avesse in volto e sugli abiti.
« Che ti hanno fatto? » Gli domandò, le braccia conserte.
« Arya » iniziò lui, la voce rotta dal pianto: « io non volevo causarti alcun... io non volevo essere considerato come un... io non ho colpe ».
« Lo dicono tutti i prigionieri, sai? »
Il signor Hancock le riservò un'occhiata brusca e lei, in compenso, abbassò i toni.
« Io volevo davvero le lacrime di drago » riprese Markos, infastidito dal contatto che il fazzoletto aveva con la sua pelle: « io le necessito davvero! Io non ho colpe! »
« Per quale motivo, allora, non hai parlato al momento opportuno? Avresti potuto rispondere alle mie domande! »
« Non mi avresti mai capito! » Markos concentrò la mente stanca – era a pezzi: « nessuno di loro avrebbe capito la mia condizione ».
« E allora spiegati! Parlami! » Esclamò Arya, stringendosi nelle spalle: « Rhona vuole condannarti a morte, lo sai? »
« L'avevo intuito... quella donna è una serpe ».
« Markos è il tuo vero nome? Da dove vieni? » La ragazza ripropose le stesse identiche domande di qualche ora o giorno prima – il viaggio l'aveva confusa persino sulla data.
L'uomo tentò di inspirare profondamente, venendo quindi invaso da un dolore acuto che lo obbligò a mordersi la lingua e a trattenere il fiato per una decina di secondi – il timore di una qualche frattura interna o organo contuso si affacciò nei suoi occhi, all'improvviso indifesi.
« Credo che tu abbia bisogno di vedere un dottore » valutò il signor Hancock, incerto.
« Rhona non me lo permetterà mai » rispose lui: « mi vuole morto! »
Arya si gonfiò in petto: « parlami. Dimmi per quale motivo ti servono le lacrime di drago... voglio salvarti la vita ».
« Va bene, ti racconterò la mia storia ».
Quando tutti e tre avevano la bocca cucita, il loro udito era in grado di cogliere i suoni più impensabili: un liquido nauseante che gocciolava dal basso soffitto di pietra, stridii di catene lontane ed il chiacchiericcio delle guardie fuori alla porta.
Arya attese finché il prigioniero non se la sentì. Aveva così tante cose che le vorticavano nella mente! Riuscì a dedicare un pensiero furtivo anche a Nathaniel, ma non vi badò. Doveva concentrarsi su Markos e su ciò che aveva da dire.
« Tu conosci la Maledizione del Nero, Arya Mason? » Le chiese lui, guardandola fissa negli occhi: « secondo quanto riportato dalle mie fonti, una volta Hazelle ti ha attaccata proprio con quella fattura... hai rischiato di morire a causa sua, non è vero? »
Arya annuì senza problemi: « abbiamo avuto una lite, lei stava perdendo la testa... credo fosse la mattina di Natale ».
« Quindi sai cosa significa avere una ferita, nera come l'inchiostro, che ti logora dall'interno fino ad ucciderti ».
Arya rimase ad ascoltare.
« Io avevo una famiglia, una volta. Mia moglie si chiamava Martha e vivevamo felici in quella che oggi è considerata la Vecchia Salem. Lei era un'umana, una cameriera di un certo pub del Massachusetts. La spiai per giorni e giorni senza mai trovare il coraggio di andare lì, ordinare un caffè americano e cominciare a parlarle. Oh, quant'era bella... con quei suoi capelli biondo fragola e gli occhi da cerbiatto. Non potevo perderla, sapevo che era la donna perfetta per me. Odiavo quando un altro ragazzo le si avvicinava, la corteggiava e le regalava un mazzolino di fiori. Mi apparteneva, seppure lei non lo sapesse ».
« Eri un maniaco » sentenziò Arya: « spero che tu non abbia ucciso nessuno, altrimenti sarò pronta a varcare quella soglia e non tornare mai più ».
« Un gelido pomeriggio d'inverno, mi mossi e andai ad ordinare una cioccolata » Markos la ignorò di proposito: « mi servì lei, con quel suo ingenuo sorriso da bambina. Le caddi ai piedi come mai nessun uomo è caduto per una donna mortale. Io, all'epoca, scusatemi se lo dico, ero davvero un bel ragazzo! Il mio viso non era stato ancora deturpato dalle fiamme dell'Inferno e si presentava elegante, privo di barba e, come lei stessa lo definì, enigmatico. La invitai a fare una passeggiata, accettò e a poco a poco iniziammo a conoscerci di più. Un anno dopo ci sposammo. Martha accettò da subito la mia vera natura... si dice che gli abitanti della Vecchia Salem sappiano molto più di quanto vogliano ammettere. Eravamo soliti tenerci sempre per mano, tutti invidiavano il nostro rapporto. Non era amore, era un qualcosa di diverso... era un sentimento che non ha nome, che va ben oltre le convenzioni di questo pianeta.
La notte in cui nacque nostra figlia, Martha mi abbandonò in una pozza di sangue. Dovetti accudire la piccola per conto mio, poiché entrambi non avevamo parentele. Le diedi un nome simpatico, Dalila ».
Arya ed il signor Hancock si guardarono: dove voleva andare a parare?
« Dalila non ha ereditato i miei poteri, è umana. Raccoglie fiori, si pettina i lunghi capelli biondo fragola ed è solita indossare vestitini colorati e cappelli di paglia. La mia bambina ha sedici anni – tentennò – ed è costretta a vivere in un letto... agonizzare come una miserabile, piangere dal dolore e... a volte neanche mi riconosce! L'ho rovinata ».
« L'hai rovinata? » Ripeté il signor Hancock, sconcertato: « che cosa significa? »
« Dopo la morte di Martha, impazzii completamente. A tratti ero rabbioso, a tratti ridevo e scherzavo come un ragazzino. Durante una delle mie solite crisi, lei si mise in mezzo e cercò di tranquillizzarmi. Io le tirai contro la Maledizione del Nero ».
Arya abbassò lo sguardo.
« Per mesi interi, Dalila visse come sempre in spensieratezza... poi, però, iniziò ad avere le allucinazioni, a perdere i capelli, la sua carnagione divenne pallida. Non riuscì più a muoversi da quel letto. È da un anno che vive in queste condizioni... è da un anno che giro per il mondo in cerca delle lacrime di drago! » Markos prese a singhiozzare e dovette intervenire il signor Hancock affinché egli non si spaccasse il cranio contro la parete della cella: « mi parlarono di un'isola in cui avrei potuto trovarle e, invece, – s'indicò il volto deturpato – non erano draghi... erano creature sputa-fuoco che per poco non mi sbranarono ».
« Dov'è tua figlia? Dov'è Dalila? » Gli chiese Arya in un sussurro.
« Nella nostra casetta a New Orleans, vicino al café delle fate... ci siamo trasferiti lì quando aveva sei o sette anni. Non riuscivo più a vivere a Salem... ogni cosa mi ricordava Martha ».
« Lo immagino » la ragazza s'inginocchiò e gli prese una mano – il primo gesto carino che mostrava nei suoi riguardi: « mi dispiace tantissimo per tua moglie e per tua figlia, e per il modo in cui ti ho giudicato. Ti prometto che ti farò uscire da questa cella, prenderemo le lacrime di drago e cureremo tua figlia».
Markos scoppiò in un pianto senza fine: « grazie... perché se io morirò, chi si occuperà di lei? »
« E come pensi di fare con Rhona? » Le domandò il bibliotecario, scettico: « non si farà mai commuovere da una storia come questa ».
« Non lo so! Tu cosa mi consigli? »
Proprio in quell'istante le guardie sbraitarono un ordine. Rhona era venuta a conoscenza di ciò che avevano fatto e li voleva immediatamente fuori da lì. Il più grosso delle guardie entrò con un sorrisino beffardo e sollevò Arya da terra, senza la benché minima fatica. Al signor Hancock, invece, fu riservato un trattamento meno simpatico: venne afferrato per un braccio e lanciato come un sacco di patate al suolo, nel bel mezzo del corridoio del piano-terra.
« Andatevene immediatamente! » Esclamò la guardia, mentre si accertava che la porta della cella fosse stata chiusa a dovere: « maledetti bugiardi! » Arya aiutò l'anziano a rimettersi in piedi e, abbandonatasi all'impulsività, cacciò fuori un insulto: « e voi siete dei maledetti stronzi! »
Le severe ripercussioni non tardarono ad arrivare. La guardia, quella più grossa s'intende, scoppiò in una fragorosa risata: aveva ottenuto ciò per cui stava sperando. L'agguantò quindi per un braccio e la gettò all'interno di un'altra prigione identica a quella che avevano visto poco prima.
« Fammi uscire di qui! » Arya sbatté i pugni contro la porta: « fammi uscire di qui immediatamente! » Richiamò il Fuoco Aureo, ma risultò inutile. Era a prova di magia.
« Parlerò con Rhona! » Esclamò il signor Hancock mentre lo scortavano via: « ti farò uscire! »
Vane promesse che sfumarono nell'oscurità.
Arya trascorse circa otto ore rinchiusa lì dentro: si accovacciò in un angolo, il mento sulle ginocchia, e aspettò. Ebbe così modo di pensare alla sua vita, ai suoi problemi, riposare per qualche minuto e poi svegliarsi, agitata.
Non si pentì minimamente di ciò che aveva detto alle guardie, eppure una strana morsa le aveva catturato il cuore rendendolo pesante e gelido. Erano tornati i sensi di colpa. Difatti, se solo si fosse fatta furba e avesse chiuso il becco, a quest'ora sarebbe potuta andare in infermeria a ricattare di nuovo quella poveretta. Avrebbe così ottenuto le lacrime di drago e salvato la vita a due persone.
All'improvviso, la porta si aprì cigolando e la figura di Beckah spuntò come un raggio di luna nella notte più buia.
« Arya? » La chiamò.
« Beckah! » Arya fece per abbracciarla: « sei venuta a liberarmi? Che succede? »
La ragazza, vestita interamente di nero e con i capelli sciolti, la prese per le mani: « sì, dobbiamo andare ».
« Prima devi accompagnarmi in infermeria! »
« No! Sei pazza? »
Arya inarcò le sopracciglia: « che cosa? »
« Non possiamo andare da nessuna parte se non in superficie. Rhona ci controlla... ».
« Ma io devo parlarle! »
« No, Arya... credimi, non credo che questo sia il momento più adatto ».
Fu allora che la ragazza si rese conto della situazione: dietro alla figura di Beckah si stagliavano circa sei uomini – vestiti in una tonaca nera con cappuccio, lunga fino alle caviglie, un paio di guanti ed una maschera a forma di becco. Erano alti, simili agli spettri della morte.
Arya arretrò: « Beckah... che cosa sta succedendo? »
Beckah aveva le lacrime agli occhi: « ti prego, vieni con me ».
Scortate quindi da questo inconsueto gruppo di uomini, le due streghe si avviarono verso l'uscita del Rifugio. In silenzio e regolando persino la respirazione (affinché non desse loro fastidio), attraversarono il tunnel di pietra, spinsero la botola e arrivarono sulla collina.
Quella sera, sebbene ci fossero tantissime cose su cui soffermarsi lì in giro, Arya notò immediatamente l'assenza di Rhaego. Che fine aveva potuto fare un drago di quelle dimensioni? Era scappato via? Era volato verso l'orizzonte?
Il sole stava tramontando e quel posto non era mai stato così gremito. L'intera Comunità del Rifugio si era radunata appositamente per quell'evento: Darren, Cassandra, Throker e Zhokron, Cinnamon, Cynthia e Mariah, il signor Hancock, gli stregoni giunti dalla Muraglia del Drago, Jaadir, Haramir... c'erano tutti!
Arya attraversò la cupola, si fece largo tra la folla e si spinse sempre più in là, sino alle prime file.
Era irreale. Era da barbari. Era una scena che non trovava spiegazioni.
Markos era legato ad un palo, completamente nudo. Sotto ai suoi piedi e tutt'intorno, erano stati posti abbondanti fasci di legname.
I raggi del sole, filtrando attraverso lo strato magico della cupola, gli illuminarono il volto emaciato – era stato picchiato ancora: aveva ferite su tutto il corpo, il sangue che gli colava dalla bocca, percorreva le forme del suo petto, trovava rifugio nei peli pubici e poi giaceva a terra, in una pozza scarlatta. Arya cominciò a tremare.
Non poteva essere vero.
« Questa è la punizione degli stolti! » Esclamò Rhona, fiera e radiosa dinanzi a tutti i presenti – nel pugno, una torcia di fuoco: « questa è la punizione che meritano i traditori, gli oppositori e i ladri! Che serva da lezione a tutti! »
Arya azzardò un passo, ma un uomo l'agguantò.
Avevano pensato a tutto.
« Questo Ex-Stregone dell'Impurità ha commesso innumerevoli crimini: ha tentato di rubare le nostre scorte in infermeria, ha spiato le mie conversazioni, ha partecipato illegalmente ad una missione segreta, ha attaccato l'Ex-Custode della Chiave e Guardiana del Fuoco Aureo, ed ora è qui! » Aspettò un applauso, o un ruggito, che però non arrivò mai.
Proseguì, con meno enfasi: « quali sono le tue ultime parole? »
Come una bestia, Markos singhiozzò.
Arya, vedendolo in quelle condizioni, non poté più trattenere il vomito.
« Sei feccia » Rhona avvicinò la torcia al suo petto: « e puzzi più da vivo che da morto, ne sono sicura ».
Markos ululò dal dolore – la bocca era un trionfo di sangue, i denti macchiati e le labbra gonfie.
Il gruppetto che aveva scortato Arya e Beckah turbinò attorno al rogo – torce in mano e improvvisando un macabro coro di: “ladro! Ladro! Ladro!”
« Che tu possa bruciare all'Inferno! »
Le fiamme trovarono dimora nel legname, danzando con estrema eleganza e illuminando la sera.
Fiutarono poi la paura, il terrore della morte, e avanzarono sino ai piedi del condannato. Glieli divorarono, con la sua disperazione in sottofondo.
Volò la cenere. Le carni vennero dilaniate.
Tentò di scappare, i nodi ai polsi glielo impedirono.
Le grida eruppero dalla sua gola, poi si tramutarono in sibili.
Poi, si ammutolirono.
Sopraggiunse la morte.
E di lui non rimase altro che polvere.

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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