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Autore: _Frame_    09/07/2017    2 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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133. Il salto del canguro e Il salto della fede

 

 

Australia schiacciò la mano bendata contro il braccio, poco più su del gomito, e artigliò le dita sulla stoffa della giacca bruciata e sporca di sangue. Rivoli rossi sgorgarono fra gli spazi delle falangi, gli macchiarono le bende strette attorno alle piaghe lasciate dai geloni, le colorarono di un acceso color rubino che gocciolò al suolo sciogliendo la neve e scavando al suo interno larghi fiori di sangue. Zoppicò. Incrociò i piedi, le gambe tremarono, i muscoli si fecero molli e deboli, e lo costrinsero a inginocchiarsi, spalle chine e capo ciondolante, i respiri a soffiare ritmicamente per cadenzare le ondate di dolore. Australia serrò i denti per ingoiare le fitte, stropicciò il viso sudato in una smorfia di fatica, e altri rigagnoli di sangue colarono dalla ferita che la vampata di fuoco esplosa dalla bomba gli aveva scavato sopra il naso. Il caldo e viscido sapore di ferro gli entrò in bocca. Il forte odore della carne viva, lucida e bruciante, gli penetrò le narici e gli diede il voltastomaco.

Gli scoppi della battaglia continuarono a far tremare la conca di montagna. Nuvole di fumo lo circondavano, gonfiate dal passaggio dei carri nascosti dalla nebbia e trascinate dal vento e dalle raffiche di spari provenienti dalle pareti di roccia.

Australia sollevò il ginocchio, schiacciò un primo passo, frantumò un grumo di neve congelata, e la gamba affondò fino alla caviglia. Una fitta di dolore lo morsicò all’altezza del bacino, dove una delle ustioni gli aveva divorato la carne. Un capogiro gli gettò un pugno di sabbia nera contro gli occhi, gli appannò la vista, lo fece strozzare con una boccata di fiato che sapeva di ferro e di carburante bruciato. Australia perse i sensi per un secondo e si ritrovò con i gomiti a terra prima ancora di sentire le forze risucchiate dai muscoli. Strinse di nuovo i denti, portò entrambe le braccia sulla ferita al bacino, strizzò gli occhi lasciando sgorgare altro sangue dalla ferita al naso, e gettò le spalle in avanti per sopprimere il dolore che gli pugnalava la carne a ogni respiro. Rivoli di sangue rigarono le guance e colarono dalla punta del mento.

Australia schiuse le labbra e boccheggiò. Merda. Soffiò pesanti e spesse nubi di condensa che gli pizzicarono il naso e le guance già bagnate di sangue. Prese un’altra boccata di fiato, aprì e schiacciò le mani sulla ferita al bacino, tappando il fluire del sangue che trasudava dalla carne viva e bruciacchiata alla stoffa della giacca, e incurvò le labbra in un ghigno sporco di rosso. Per... per lo meno... Ridacchiò, e davanti agli occhi appannati riapparve l’immagine della bomba che esplodeva in una bolla di luce e calore, inghiottendo al suo interno l’immagine di Prussia che si era lanciato dalla torretta del Panzer per calciarla via. Per lo meno sono riuscito a ribaltare il Panzer e a colpire Prussia.

Un’altra fitta gli attanagliò il fianco, come una zanna di metallo. Australia ghiacciò per il dolore e rigettò un ansito rauco e sofferente. “Argh!” Soffiò uno sbuffo, una nuvola di fiato bianco che schizzò goccioline di sangue fra la neve, e sollevò le mani dall’ustione al bacino. Rivolse lo sguardo alla ferita, sbatté le palpebre per scacciare il capogiro che gli aveva annebbiato la vista, e notò un sottile velo di vapore fumare dal sangue bollente che gli inzuppava la stoffa della giacca annerita e fusa alla pelle sciolta dal calore.

Ma quel bastardo è riuscito a farmi pagare subito il prezzo.

Braccia e mani cominciarono a tremare come il suo respiro. Australia spinse delicatamente le punte delle dita sulla pelle umida di sangue e umori. La ferita vibrò, la pelle fusa alla stoffa si contrasse di dolore, e una scia d’argento luccicò fra due labbra di carne più nera tagliate all’interno della piaga. Australia sollevò un sopracciglio, altro sangue scivolò dalla radice del naso e gli bagnò la faccia già umida e scarlatta, e premette di più i polpastrelli per allargare la carne e far brillare di nuovo quel luccichio metallico.

Ma che cos’è?

L’angolo aguzzo di un frammento di alluminio emerse dal lacero, due gocce di sangue piovvero dalla punta, disegnarono il profilo della lama che scompariva nella carne di Australia, come fosse un tutt’uno con il suo corpo. 

Australia si sentì mancare, il dolore si intensificò di colpo come se gli avessero scaraventato una martellata addosso al frammento di metallo, facendolo affondare ancora di più. Trasse un sospiro di terrore e nei suoi occhi spalancati si specchiò quella luce d’argento che lo aveva trafitto come la lama di un pugnale. Oh, no. Un frammento della bomba. Qualcosa esplose dietro di lui, oltre la coltre di fumo, ma Australia non udì nemmeno le vibrazioni trasmesse al terreno e soffiate dal vento contro di lui. Strinse i denti, ghignò, e trattenne una risata di autocommiserazione che lo fece singhiozzare di dolore. Questa proprio non ci voleva, merda.

Altre due cannonate scoppiarono attraverso l’aria, fischiarono volando sopra la sua testa, e si schiantarono in mezzo ai Panzer che Australia non riusciva a vedere. Colonne di fumo esplosero dietro la nebbia, si impennarono fino a toccare il cielo, e le estremità superiori si schiusero come le corolle di fiori che sbocciano, schizzando lapilli di fuoco come coriandoli incandescenti.

Australia scosse il capo, affondò una mano nella neve, raccolse un pugno di cristalli ghiacciati e se li spremette sulla ferita al naso, sciacquandosi dal sangue. Sollevò un piede e affondò una prima falcata. Devo sbrigarmi, prima di perdere troppo sangue. La gamba destra, quella annaffiata dal sangue che colava dalla ferita al bacino, cedette e lo fece zoppicare. Australia tornò con la neve alla caviglia e si resse il fianco sopprimendo un grugnito di frustrazione. La consistenza dura e tagliente della lama si mosse dentro di lui, affondò nella carne, la scossa di dolore lo morse fino all’osso, lo fece sudare freddo e tornare pallido come la neve che le sue ferite continuavano a sporcare di rosso. E non posso nemmeno togliermi il pezzo di bomba dal fianco senza avere gli strumenti con cui cucirmi, altrimenti l’emorragia peggiorerebbe e io sarei fregato. Anche se fa un male cane, deve restare dentro.

Spostò la mano più in basso. Urtò il calcio della pistola che usciva dal fodero e sbatté le nocche sulla seconda bomba anticarro che Inghilterra gli aveva dato prima di lasciarlo correre via. Ho ancora due armi a disposizione, nel caso dovessero inseguirmi, ragionò. So che Inghilterra mi ha ordinato di tornare subito da lui, anche se l’assalto non fosse riuscito. Strinse i pugni, si passò la manica intera della giacca sul viso, raschiando via la neve sciolta sporca di sangue, e gettò una rabbiosa e feroce occhiata alle sue spalle, dove la presenza del nemico cresceva come un campo elettrico rovente e bruciante. Ma ora sarò costretto a disobbedirgli per non mettere in pericolo né lui né Kiwi. Se proprio dovessi essere spacciato...

Raddrizzò la schiena, oscillò con le spalle avanti e indietro, e trovò l’equilibrio. Allungò un passo di corsa, resistette alla frustata di dolore, al pezzo di metallo conficcato nel suo corpo che continuava a spingere nella carne sempre più a fondo, e avvolse la bomba anticarro che teneva sul fianco. La incise con un’impronta di sangue a forma delle sue dita e ghignò.

Sarò ben lieto di far esplodere qualche altro crucco assieme a me.

 

.

 

Romano inserì il serbatoio della cartuccia all’interno del calcio della pistola – crack! –, tirò indietro l’otturatore incastrando il primo proiettile, e armò la semiautomatica che si era portato dietro prima di lanciarsi all’inseguimento di Australia. La abbassò da davanti al viso. Corse soffiando nuvole di fiato bianco che gli appannavano la vista e che gli inumidivano il viso già sudato. I capelli al vento sporchi di neve si incollarono alle guance e alle palpebre, le labbra boccheggianti iniziarono a congelarsi e a seccarsi, le gambe sguazzanti nel mare di neve si appesantirono. Correre nella neve fresca era come correre su una distesa di sabbia. Romano prese una boccata di fiato ghiacciato. “Okay.” Si girò verso Prussia senza smettere di correre, qualcosa esplose alle loro spalle, e al fracasso dello scoppio seguì la raffica di spari che annaffiava lo stretto di montagna. Romano aggrottò la fronte. “Dimmi almeno che hai un piano. Un piano sensato.”

Prussia ghignò deformando la maschera di sangue sciolta sul suo volto, sollevò il braccio sano che impugnava la pistola, e anche lui la caricò inserendo il serbatoio con uno schiocco secco. “Certo che ce l’ho.” Infilò la pistola nel fodero della cinta, si tamponò la faccia con la manica ancora integra, asciugò il sangue senza toccare la ferita aperta che gli attraversava la guancia sinistra e che saliva fino alla fronte, e saltò oltre una duna di neve e rocce ribaltate che erano sbucate da un cratere aperto sotto un’esplosione. “È facilissimo,” spiegò, “inseguiamo il canguro, troviamo Inghilterra, e lo ammazziamo.” Tagliò l’aria con il dorso della mano e uno spruzzo di sangue schizzò dalle dita ustionate, imperlò la neve di rosso. “Fine del piano.”

Romano alzò gli occhi al cielo senza smettere di correre e aprì il palmo sul viso, nascondendo la sua espressione esasperata. “Siamo fottuti.” Fece scivolare la mano, sbirciò fra gli spazi delle dita. “Se...” L’occhio gli cadde alle sue spalle, sulla striscia scarlatta sciolta nel manto bianco e grigio da cui si sollevava la coltre di fumo evaporata dalle esplosioni. Romano seguì con lo sguardo la traiettoria di sangue, arrivò ai piedi di Prussia che correvano stampando impronte parallele alle sue, e risalì il suo corpo mezzo divorato dall’esplosione. I capelli, la faccia, il braccio sinistro e il fianco gocciolavano come appena usciti da una doccia di sangue. Romano sbuffò. “Sai che sanguini come un porco sgozzato?”

Prussia distese il ghigno e un canino scintillò di ferocia. “Gli sto solo facendo un favore a imbrattargli la terra.” Si passò di nuovo la manica ormai nera di sangue sul viso, raccolse gli umori trasparenti che gocciolavano dall’ustione sulla guancia e sulla fronte, e fece correre le dita fra i capelli diventati color mattone. “Scontrarsi su un campo di battaglia macchiato di sangue prussiano...” Si batté la mano sul petto e sorrise di fierezza. “Non esiste onore più grande, credimi.”

Romano gli scoccò un’occhiata tagliente e rabbiosa. “Non nella neve, coglione montato.” Puntò un braccio dietro di sé. “Come facciamo a nasconderci se continui a lasciarti la scia dietro?”

“E chi ha detto che dobbiamo nasconderci?” ribatté Prussia. “Noi non abbiamo bisogno di nasconderci.”

Romano rimase a labbra socchiuse, muto, ancora pizzicato dal dubbio, ma continuò a corrergli affianco.

Un mucchio di neve cristallizzata ricopriva parte della carcassa di un Panzer affondato per metà nel suolo, inclinato di lato come risucchiato dalla terra, con la torretta sventrata dalla cicatrice di un’esplosione che l’aveva lasciata carbonizzata, e il cannone cadente come un mozzicone di sigaretta.

Romano corse attorno al carro armato, saltò oltre il rialzo di terreno creato dai cingoli sotterrati, e rallentò premendo bene le piante dei piedi a terra per non infrangere la neve più fresca. Prussia inciampò, una fitta di dolore lo frustò all’altezza del fianco, come se gli avessero agganciato un artiglio d’acciaio nella piaga e gli avessero strappato via un altro pezzo di carne. Si strinse il costato, in faccia divenne di ghiaccio, ingoiò un’imprecazione fra i denti, barcollò, e si appese a una sporgenza del carro affondato nella neve. Inspirò forte dal naso, si concentrò sul suono del battito cardiaco che gli palpitava nella gola, nelle orecchie, nel cervello, cancellando l’eco delle cannonate alle sue spalle e facendo vibrare la macchia nera che si era dilatata davanti alla sua vista.

Romano si fermò, si girò di scatto e trasalì. Un piede scivolò inconsciamente in direzione di Prussia, già pronto a voltarsi e a tornare da lui.

Prussia tremò, soffiò un respiro liberatorio, raddrizzò le spalle forzando tutto il peso sul braccio sano con cui si teneva aggrappato al carro, il corpo fu di nuovo attraversato da uno spasmo di dolore. “Certo...” Si pulì il viso per la seconda volta, guadagnò un altro sospiro, e le vertigini sparirono. Il dolore permaneva come un alone di sofferenza che pulsava attraverso il suo corpo. Soffiò ancora, e la nuvola di fiato appannò il suo sguardo contratto in un’espressione più scura e tesa. “Dobbiamo sistemare i conti il più presto possibile.” Si posò la mano sul fianco ferito, sul calore e l’umidità del sangue che scivolava attraverso la sua pelle. “Le ferite aperte sono un conto, posso resistere al dolore,” scosse il capo, “ma se continuo a perdere così tanto sangue poi rischio di svenire.”

Romano storse un sopracciglio. Un fastidioso prurito di preoccupazione corse anche sotto la sua pelle. “E come credi di fare a cavartela?”

Prussia si staccò dal Panzer lasciandogli addosso un’impronta di sangue, si resse su entrambi i piedi premendo la maggior parte del peso sulla gamba sana, e si lisciò la porzione di giacca che non si era fusa alla sua pelle. “Tu fai quello che ti dico io e vedrai che basteranno dieci minuti per disintegrarli.”

Romano esitò. Fai quello che ti dico io... Deglutì per ricacciare indietro la sensazione che gli avevano trasmesso quelle parole e quello sguardo. La stessa sensazione di fiducia che Prussia gli aveva trasmesso il giorno della loro ultima battaglia, quando si era ritrovato in ginocchio dietro di lui, immerso nella sua ombra, con la sua giacca gettata sulla testa, protetto dalle risacche sollevate dalle formazioni aeree che sfrecciavano nel cielo.

Romano strinse i pugni, le ossa tremarono. Un altrettanto familiare sentimento di rabbia gli salì alla testa arrossandogli le guance e le orecchie già scarlatte per il freddo. “Guarda...” Divenne nero in viso, gli occhi affilati e brucianti, quel breve soffio di fiducia divorato da un’autentica e viscerale fiammata d’odio. “Guarda che io ce l’ho ancora con te.” Si batté la mano sul petto. “Se ho deciso di venirti di nuovo dietro è solo perché voglio anch’io la mia vendetta contro Inghilterra. E perché ora ho mio fratello da proteggere, e non...” Si girò di profilo, emise uno sbuffo rabbioso, si strofinò la testa, le parole suonarono più impastate, rauche e impacciate rispetto alle frasi che gli aveva sputato addosso. “Non voglio che stia male vedendomi litigare con voi.”

Prussia mostrò un tiepido sorriso di sollievo, un’espressione soddisfatta che alleggerì anche il peso del dolore. “Questo è lo spirito.” Fece un salto zoppicando, tornò ad appoggiare la gamba bruciata con la quale aveva calciato la bomba anticarro, e tornò affianco a Romano.

Romano aspettò di averlo vicino e riprese a correre a falcate più corte. Rivolse il broncio dietro di sé, verso le colonne di fumo che celavano i lampi delle esplosioni fra i riccioli gonfi e spumosi di gas. Arricciò la punta del naso, e un fastidioso gorgoglio gli solleticò lo stomaco e il petto. “Comunque mi sono già pentito di averlo lasciato da solo con quei due.” Scosse il capo. “Andrà a finire che si ammazzeranno tutti e tre.”

Prussia rise. “E chi meglio di quei due sarebbe in grado di badare a tuo fratello e di tenerlo fuori dai guai?”

Romano gettò il broncio su di lui, il velo di condensa a volargli attorno al viso e a perdersi nei capelli scossi dal vento della corsa.

Prussia si sporse e gli diede un piccolo colpetto alla spalla. “Rilassati.” Una minuscola scintilla di nostalgia gli incrinò l’espressione indurita e già pronta a gettarsi dentro altre esplosioni fiammeggianti, a farsi travolgere da una pioggia di proiettili e tuffarsi nel pieno odore della battaglia. “E fidati di quelli che lo hanno visto crescere più di te.”

 

.

 

Ungheria fu la prima ad arrampicarsi sul Panzer. Agguantò la maniglia del portello con entrambe le mani, scoperchiò l’apertura della torretta facendo leva sui muscoli delle spalle, e si tenne in disparte, senza entrare. Si girò e chiamò con il braccio libero Austria e Italia che le avevano corso dietro. “Svelti, tutti dentro!”

Austria fermò la corsa davanti al rialzo del Panzer, vi posò una mano sopra ma non vi salì. Si girò e tese il braccio per richiamare a sé Italia. Italia si lasciò stringere la mano, saltò con un piede sul Panzer, Ungheria si chinò ad afferrargli quella libera e lo sollevò, aiutata da Austria che lo sorreggeva per la schiena. Italia scivolò dentro la torretta, si lasciò inghiottire dalla tana di metallo. Ungheria tornò a porgere la mano ad Austria e aiutò anche lui a scalare il Panzer. Aspettò che Austria entrasse a sua volta, arricciando il naso in una smorfia di disappunto dopo essersi sporcato le mani di olio e neve sciolta. Ungheria guardò a destra e a sinistra, tenne ferme le ciocche di capelli sfuggite all’elastico, e si tuffò in bocca al carro. Richiuse la torretta. Clack!

L’abitacolo era ancora buio ed era pregno di un odore forte e caldo di cuoio, di metallo, di fiato umido e stagnante che si appiccicava alla pelle come una pellicola.

Ungheria si lasciò cadere sul sedile del capo carro – le molle della poltroncina cigolarono – e tese subito la mano verso il basso, in cerca dell’archetto delle cuffie. “Cuffie, signori.”

Italia batté un entusiasta saluto militare tenendo la testa bassa per non sbattere sul soffitto. “Agli ordini, capo carro.” Ma nessuno lo vide nel buio.

Ungheria sorrise. Si infilò le cuffie districando i capelli dai padiglioni, e sollevò le braccia per mettersi in cerca della maniglia della mitragliatrice. Già sentì il fiato farsi più stretto all’altezza del petto, l’aria calda comprimerle i polmoni. Si posò una mano sulla fronte e asciugò sottili perline di sudore che erano fiorite sulla pelle. “Austria, scalda il motore, per favore. Ita, tu torni alla postazione radio. Te la senti?”

Italia indossò le cuffie a sua volta e annuì, mostrò il pollice alzato. “Sissignora.”

“Ottimo.” Ungheria batté le mani, sollevò un dolce sorriso di entusiasmo, e il cuore si alleggerì nonostante il peso dell’aria chiusa che gravava sul petto. “Che bello, non vi sembra di essere tornati ai vecchi tempi?” Le guance arrossirono nella penombra. “Noi tre assieme!”

Le prime spie si accesero e si riflessero sul metallo color muschio che rivestiva l’abitacolo.

Italia resse un padiglione delle cuffie contro l’orecchia, si chinò verso l’apparecchiatura radio tenendo lo sguardo su Ungheria, ed emise una risata impacciata. “Preferirei tornare a sentire Austria che suona il piano nel salotto che profuma di dolci e di fiori piuttosto che combattere dentro un carro armato buio che odora di ferro e benzina, però.”

Ungheria scosse il capo. “Sciocchezze, Ita.”

Austria spinse il pulsante di accensione schiacciandolo contro il cruscotto, e girò il mazzo di chiavi già inserito da cui pendevano quelle di riserva. Il Panzer sobbalzò, i sedili vibrarono assieme all’abitacolo, le lancette dei quadranti si impennarono, caddero verso destra, tornarono indietro, e si stabilizzarono nelle aree bianche trafitte dalle tacche numerate.

Ungheria si abbassò verso sinistra e andò in cerca del registro di bordo, annuì a se stessa. “Un bel combattimento è molto più emozionante che fare le pulizie, no?”

Austria tenne l’indice sospeso sopra uno dei quadranti, la sua mano irrigidì. Gli occhi, da dietro le lenti abbagliate dalle luci delle spie appena accese, nascosero un piccolo ma pungente senso di colpevolezza che gli attraversò lo sguardo.

Ungheria rabbrividì, avvolta da quell’atmosfera che si era fatta di colpo più fredda, e tossicchiò per sdrammatizzare. Fece sguardo vago. “Eh-ehm, dunque...” Intrecciò le dita e fece schioccare le falangi. “Rimettiamoci in carreggiata.”

Il volto di Austria si distese. La mano calò dai pannelli, impugnò una delle leve di comando, il piede schiacciò e rilasciò la pressione sul pedale della frizione leggermente indurito. “Solo un attimo, devo riabituarmi ai comandi.”

“Prenditi tutto il tempo che ti serve.” Ungheria tornò ad alzare un braccio verso la manopola della mitragliatrice e si coprì la bocca con la mano libera, riparandosi dall’acre sapore di benzina che diveniva sempre più intenso. Si accigliò. “Dunque...” Spinse le spalle all’indietro e squadrò le casse di munizioni accostate alla parete, accanto all’estintore. “Abbiamo solo la bocca della mitragliatrice, ovviamente. Siamo su un Panzer II.” Scrollò le spalle e si diede una spolverata alla stoffa dell’uniforme che si era sgualcita dopo la corsa. “Meglio così, la mitragliatrice è più facile da usare, e ho anche più colpi a disposizione.” Si sporse e accostò gli occhi al periscopio. Il paesaggio grigio e fitto di neve riempì il quadrante del visore. “Prussia ha detto di mirare alle pareti di roccia, giusto?”

Italia annuì con convinzione. “Sì, è da là che arrivano gli spari.” Chinò lo sguardo, i suoi occhi guardarono lontano, si scurirono nella penombra dell’abitacolo. Strinse una mano sul ginocchio come per afferrare il ricordo. “Sono stati furbi. Grecia ha usato questo metodo anche questo inverno.”

Ungheria si strinse il mento, guardò il soffitto. “Mhm.” Il Panzer diede un rombo più intenso, metallico, e le vibrazioni del sedile le arrivarono fino allo stomaco. Ungheria fece tamburellare l’indice sul labbro, pensosa. “Prussia ha poi detto che il nemico è triplicato. Chissà cosa...”

“Nuova Zelanda,” intervenne Austria.

Ungheria e Italia gli rivolsero gli sguardi, Italia sollevò un sopracciglio e sbatacchiò le palpebre.

Austria sollevò lo sguardo dai comandi, aggiustò la montatura degli occhiali, e un fascio di luce verde attraversò le lenti. “Siamo stati attaccati da Australia,” chiarì. “Lui è sicuramente guidato da Inghilterra e, se sono qua entrambi, è certamente presente anche Nuova Zelanda.” Scrutò attraverso lo spioncino del posto di guida. All’esterno del Panzer, fumo e vortici di neve annebbiavano il paesaggio di montagna, cancellavano le tracce lasciate dal passaggio degli altri carri. “Inghilterra non è solo come ci aspettavamo,” continuò Austria. “E sconfiggerlo sarà ben più difficoltoso del previsto.”

Ungheria scosse la testa. “Non lo sarà.” Divaricò leggermente le gambe per tenersi ben salda all’imbottitura del sedile, raddrizzò la schiena sfiorando il soffitto con la cima della testa, e schiacciò i pugni sulle ginocchia. “Che sia uno, che siano tre, che siano anche cento...” Scosse di nuovo il capo. “Non avranno mai questa vittoria.” Tornò a sporgersi in avanti, guardò attraverso il periscopio, e inquadrò le pareti di roccia da cui scintillavano i lampi delle mitragliatrici nemiche. Sorrise senza paura, si caricò di adrenalina. “Andiamo a vincere!”

 

.

 

Nuova Zelanda spalancò le palpebre da dietro le lenti del binocolo posato sulle sue orbite. L’immagine lontana e rimpicciolita di Australia, appena sgusciato fuori dal fumo, crollò con le ginocchia contro il suolo innevato, strinse entrambe le braccia sul bacino, storse una smorfia di sofferenza attraversata dal sangue che colava da una bruciatura sul viso all’altezza del naso, e la neve attorno al suo corpo accasciato si macchiò di rosso. Esplosioni e spari continuarono a lampeggiare dalle montagne e dalla conca fra le rocce, il vento sollevato dalle cannonate soffiò ululando, l’aria spostata dalle mitragliate bruciò a contatto con la pelle. L’odore così intenso e acre gli strappò il fiato dalla gola.

Nuova Zelanda abbassò il binocolo dal viso, storse l’estremità di un sopracciglio, e un barlume di preoccupazione gli attraversò lo sguardo. “Uh-oh.”

Inghilterra si girò verso di lui reggendosi il cappuccio della giacca per resistere alle folate di vento, tenne una mano sul corpo della mitragliatrice e abbassò gli occhi increspando un’espressione scettica, già colto da un brivido di allarme che gli pizzicò la nuca. “Uh-oh cosa?”

Nuova Zelanda si girò verso di lui tenendosi piegato sui gomiti, il busto schiacciato a terra e le gambe distese, e gli mostrò la vallata con la punta dell’indice. Lo sguardo incerto. “Credo che il piano non abbia funzionato esattamente alla grande.”

Inghilterra lasciò la mitragliatrice, si premette una mano sopra la testa per tenere il cappuccio fermo, e si lasciò scivolare anche lui su gomiti e ginocchia. “Fammi vedere.” Si trascinò fino alla postazione dove era disteso Nuova Zelanda, raccolse il binocolo che gli stava porgendo, e si mise anche lui in posizione prona, la pancia schiacciata e il peso delle spalle scaricato sui gomiti puntellati in mezzo alle rocce innevate.

Fece correre i due ovali segmentati lungo il tappeto di neve e fumo, scavalcò una chiazza rossa nella quale era ferma una figura china, tornò indietro, girò la rotella per allargare il campo, e la sagoma era già tornata in piedi, le mani spremute sul fianco, il viso basso, le punte dei capelli incollate alla fronte sporca di sangue, e una smorfia di dolore a tenergli la bocca contratta e i denti digrignati.

Anche Inghilterra sgranò gli occhi da dietro le lenti calibrate, trasse un sospiro di tensione che lo pugnalò con una fitta di dolore all’altezza del lacero sulla gola. “È ferito?”

Australia scrollò il capo, come per riprendersi, piegò una gamba schiacciando il piede a terra, sprofondò con lo stivale nella neve sciolta di sangue, e caricò una spinta per rialzarsi. Tornò in piedi, ondeggiò con le spalle avanti e indietro, aprì un braccio aggrappandosi all’aria per tenersi in equilibrio, e riprese subito a correre, sospinto dall’onda d’urto di un’esplosione da cui era eruttata una colonna di fumo che aveva oltrepassato la nebbia di gas.

Inghilterra fece correre il binocolo lungo le ferite che piagavano il corpo di Australia, come aveva fatto Nuova Zelanda, e schiacciò il pugno libero al suolo, stritolando i cristalli di neve fra le dita tremanti di rabbia. “Razza di stupido,” gorgogliò. “Sarà finito nell’onda d’urto della bomba e...” L’inquadratura del binocolo seguì lo sguardo che Australia aveva gettato di colpo alle sue spalle, e racchiuse nel campo di mira altre due figure in corsa saltate fuori dalle impronte lasciate dai Panzer in fila.

Inghilterra restrinse il campo, tirò avanti le spalle aggrappandosi con la mano libera a una roccia, per non rischiare di scivolare giù, e mise a fuoco le due sagome che inseguivano Australia.

Romano correva davanti a Prussia. Saltò lo spuntone di una roccia, atterrò piegandosi sulle ginocchia, buttò l’occhio all’indietro per vedere se lo stesse seguendo ancora, e continuò l’inseguimento.

Loro?

La mira di Inghilterra si concentrò sulla sagoma di Romano, sul fiato bianco che soffiava dalla sua bocca socchiusa, su quegli occhi che aveva già visto più volte bruciare in quel modo, così rabbiosi da poter sciogliere la neve.

Merda, sapevo che mi sarei di nuovo trovato davanti a Prussia. Ma anche con Romano...

Si tolse il binocolo dagli occhi, si strinse il mento fra le dita, e tamburellò l’indice sulle labbra, lo sguardo assorto e pensoso. Un momento, ragionò, se c’è anche Romano, allora sono davvero andati a recuperare i fratellini sul Lago d’Ocrida. E a questo punto mi chiedo... Inghilterra risollevò le lenti, spianò di nuovo il campo di battaglia, superò le sagome dei Panzer che avanzavano in fila, restrinse le palpebre per resistere agli abbagli dei lampi generati dagli spari, e scrutò in mezzo alle ombre, alle gettate di fumo, ai ripari creati dai carri danneggiati e fumanti. Ci sarà anche qualcun altro? si domandò. Dopotutto, né Romano né Prussia avrebbero lasciato Italia a cavarsela da solo sul campo di battaglia, e questo vuol dire solo che...

Inghilterra fece stridere le unghie sul metallo del binocolo, digrignò i denti. La distanza fra il passo zoppicante di Australia e la corsa di Romano si faceva sempre più breve. “Maledizione, si stanno avvicinando.”

Nuova Zelanda sbatacchiò le palpebre, sguardo interrogativo. “Chi?”

“Romano,” rispose Inghilterra, provando un fremito di odio nel far scivolare quel nome sulla lingua. “Sta...”

Dietro l’ombra di Romano, la seconda figura cadde. Prussia si ritrovò a terra con una mano attorno al fianco – come Australia – e l’altra aperta fra la neve insanguinata. Solo in quel momento Inghilterra si accorse del largo nastro di sangue che si era allungato dietro di lui. Esitò. Ma Prussia è...

Romano si girò, posò lo sguardo sul corpo di Prussia che si era già rialzato da solo, e corse da lui. Si dissero qualcosa che Inghilterra non sentì. Prussia annuì e si tappò la faccia da cui continuava a sciogliersi sangue come dal suo torso.

Lo ha colpito così gravemente?

Ripresero entrambi a correre, a inseguire Australia, ma Prussia non smise di reggersi la faccia, andando avanti guardando da un occhio solo e trascinando il piede sinistro a ogni tre passi.

Inghilterra incurvò un angolo delle labbra, la punta di un canino splendette, gli occhi si illuminarono di fierezza e soddisfazione. Bravo, Australia. Non ci avrei mai creduto ma alla fine...

Prussia scollò la mano dal viso, la scrollò per asciugarsi dalle gocce di sangue che schizzarono sul terreno, e corse fino a superare Romano. Sollevò lo sguardo, puntò anche lui le pareti di roccia, e i suoi occhi scarlatti trafissero le lenti del binocolo, fulminarono lo sguardo di Inghilterra che provò di nuovo la sensazione di avere un pugnale piantato nella carne della gola.

Inghilterra deglutì, ma il mezzo ghigno non scomparve.

Che razza di mostro. Riesce a stare in piedi anche se è in un lago di sangue e anche se si è preso in pieno una bomba anticarro.

Esplosioni tuonarono sotto la sua pancia, gli fecero vibrare le gambe e le braccia piegate, ma Inghilterra non se ne accorse nemmeno.

Quante nazioni ci vogliono per ucciderti, Prussia?

Abbassò il binocolo, lasciò che il vento gli scuotesse la frangia davanti agli occhi, e restrinse lo sguardo sulla conca scavata nella roccia.

Sappi che farò di tutto per scoprirlo entro la fine di questa dannata guerra.

“Devo scendere.”

Scoppiata un’altra esplosione, Nuova Zelanda strabuzzò gli occhi, si strofinò l’orecchia sotto il cappuccio come per convincersi di aver sentito male. “Che cosa?” esclamò. Alle sue spalle, due soldati finirono di ricaricare una mitragliatrice e ripresero a sparare, le raffiche si unirono a quelle del resto del plotone.

Inghilterra tornò a porgergli il binocolo. “Devo scendere ad aiutare Australia.” Piegò le gambe a terra, tornò sulle ginocchia, e si aiutò con una mano per rimettersi in piedi. Dovette alzare la voce per superare quella del vento e il canto delle mitragliatrici. “Non posso lasciarlo da solo, e non posso nemmeno permettere che torni qua, finirebbe solo per attirare Prussia e Romano nella nostra postazione, e a quel punto saresti in pericolo anche tu.”

“Aspetta!” Nuova Zelanda lo acchiappò per una manica della giacca e si tirò anche lui sulle ginocchia. Occhi imploranti e gonfi di paura lo pregarono da sotto la penombra gettata dall’orlo del cappuccio da cui sbucava qualche ciocca di capelli sventolante. “Lascia andare me, ti prego. Se...”

Inghilterra scosse subito la testa. “Non se ne parla.” Gli sfilò la manica dalle dita, rivolse l’indice verso il basso, premette sull’aria. “Tu devi rimanere qua,” ordinò. “Sei tu che conosci il battaglione, sei tu che conosci questi uomini e queste armi.” Riprese fiato, si massaggiò la gola dolorante. “E io conosco il nemico.”

Nuova Zelanda fece scivolare lo sguardo in mezzo alle ginocchia, la bocca socchiusa non trovava parole per ribattere. Dietro di lui, il plotone continuava a combattere in mezzo alle raffiche delle mitragliatrici, agli schiocchi metallici dei serbatoi che venivano incastrati sui corpi delle armi, ai gracchi dei nastri di caricamento che venivano inseriti negli otturatori, alle voci che incitavano i soldati, ai boati che risuonavano fra le pareti di roccia e alle cannonate che esplodevano dalla conca.

Nuova Zelanda sospirò, si svuotò del sentimento di sconfitta, accettò l’ordine. “Però...” Sollevò il viso, si mostrò più forte. “Fai attenzione, ti prego.”

Inghilterra annuì, rilassò la rete di tensione che gli ingabbiava i nervi. “Anche tu.” Qualcosa esplose, e una scia di fumo li circondò come un anello, fece sventolare vestiti e capelli, ingrigì i loro sguardi. “Sappi che, se dovesse succedere qualsiasi cosa, io tornerò qua in un lampo.” Gli rivolse un’occhiata ardente e spronante. “Fatti valere.”

Nuova Zelanda si impietrì con le braccia rigide lungo i fianchi. “Signorsì.” Si appese con una mano alla mitragliatrice, sollevò una gamba, schiacciò il piede a terra. Un ultimo sguardo di incoraggiamento a Inghilterra. “Tornate salvi tutti e due.” Si alzò da terra e corse via percorrendo la fila di mitraglieri. Accostò una mano alla bocca e alzò la voce per farsi sentire oltre l’ululato del vento e le grida degli spari. “Continuate a sparare! Non mirate alle corazze dei Panzer, mirate ai cingoli e alle torrette, mettete fuori uso i cannoni e fate in modo che si incastrino nella neve!”

Inghilterra sospirò, sollevato, e si toccò la pistola già infoderata sul fianco. Le dita irrigidirono, una scossa di timore gli fece sentire freddo.

Davvero ce la farò una seconda volta contro Prussia e Romano? Tornò a massaggiarsi la gola bendata, percorse il profilo del collo, soppresse il ricordo della lama del pugnale che affondava nella sua carne, che si inclinava, strappandogli la pelle e affettandogli il respiro, riempiendogli la bocca del sapore del sangue. Per di più, dopo essere stato sgozzato da Germania solo qualche giorno fa.

Si diede una spinta per rialzarsi, si spolverò i pantaloni infarinati di neve, e tese una mano davanti alla fronte per guardare lontano, verso il passo di montagna.

Quando ho vinto contro di loro ero nel pieno delle forze, a parte l’occhio bendato, e non avevo nessuno da proteggere, nessuno per cui preoccuparmi oltre a me stesso. Senza binocolo non vide Australia, ma la sua presenza era incuneata nel cuore come una spina. Cosa farò se dovessi perdere? Se loro due dovessero finire nei guai per colpa mia... Schiacciò il pugno sul fianco. Un brivido di paura gli percorse la schiena. Non potrei mai perdonarmelo.

 

.

 

Australia scivolò su una lastra di ghiaccio che si era solidificata fra le rocce spuntate dal terreno, la gamba slittò all’indietro, le spalle precipitarono in avanti, e il suolo si avvicinò pericolosamente alla faccia. “Argh!” Australia piantò una mano al suolo sfregiandosi le nocche, scaricò tutto il peso sul braccio, e una fitta alla ferita sul fianco lo inchiodò a terra come una statua, raggelato dal dolore. Schiacciò il pugno sciogliendo i cristalli di ghiaccio, e tornò a scaraventarlo al suolo in un moto di frustrazione. “Maledizione a tutta questa neve!”

Rivoli di sangue lacrimarono dalla ferita alla radice del naso, si sciolsero attraversando gli zigomi, le guance, e gocciolarono fino allo spacco delle labbra, riempiendogli la bocca del sapore ferroso del sangue.

Australia si ripulì, deglutì cacciando un conato di nausea nello stomaco, e spostò la vista stordita e annebbiata lungo il paesaggio sdoppiato dalle vertigini. Devo fare in modo di evitare di camminare per terra, dove lo strato è ancora fresco, altrimenti sprofonderò a ogni passo. Sollevò la gamba sinistra per rialzarsi, l’osso dell’anca si spostò e mosse anche la consistenza metallica del pezzo di alluminio che gli aveva trafitto la carne.

Australia si morse l’interno della guancia per tenersi vigile, strizzò gli occhi per non farsi venire la nausea davanti al paesaggio storpiato dalle vertigini, e si rialzò. Rauchi affanni bruciarono attraverso la gola, rivoli di sudore si unirono al sangue, entrarono nella ferita al naso e bruciarono sull’ustione come se ci avesse spalmato sopra una presa di sale. Australia si tappò il viso, gemette, respirò attraverso le dita bendate, e si voltò per squadrare le due presenze ostili che si stavano avvicinando da dietro la coltre di fumo. Lampi bianchi esplosero dalle bocche dei cannoni, la luce si propagò attraverso la nebbia e definì i contorni di due sagome nere che gli stavano correndo incontro.

Australia sentì il sangue salirgli alla testa. Mi stanno inseguendo!

Allungò una gamba prima ancora di tornare a girarsi e riprese a correre. Il vento in faccia e fra i capelli, l’odore delle esplosioni e del carburante bruciato a schiacciargli i polmoni, e la neve fresca a inghiottire le sue falcate.

Non posso usare adesso la bomba anticarro. Non riuscirei a scappare abbastanza velocemente e finirei di nuovo nell’onda d’urto!

Abbassò la mano insanguinata, toccò la bomba allacciata al fianco assieme alla pistola. L’energia della carica esplosiva vibrò attraverso il metallo, gli penetrò le dita formicolando sotto la pelle, ed evocò il ricordo accecante della bolla di luce e calore che si era dilatata davanti al suo sguardo, che gli aveva frustato il corpo e la faccia, scaraventandolo al suolo.

Devo usarla di nuovo, però, perché è la mia unica speranza di sbarazzarmi di loro. Strizzò gli occhi come sperando di spremere un’idea fuori dal cervello. Ma come?

Spari a raffica provenienti dalle mitragliatrici installate sulle torrette dei Panzer lo inseguirono, fischi gli volarono dietro le orecchie, li sentì quasi entrare nella nuca, nella schiena, bruciare all’altezza dell’osso sacro e farlo saltare come una lepre.

Australia corse più forte, i denti stretti e il cuore che galoppava più di lui. Merda, merda, merda! E i suoi predatori si avvicinarono.

 

.

 

Prussia si raschiò via uno strato di sangue dagli occhi, le palpebre rimasero sbavate di rosso, le ciglia imperlate e luccicanti. All’interno delle pupille fiammeggianti si riflesse l’immagine di Australia che si stava allontanando correndo. Rocce aguzze emergevano dal terreno, colonne di fumo evaporavano da un autocarro ribaltato e sventrato in mezzo agli pneumatici lacerati. Un nastro di vapore grigio più sottile si innalzava dalla torretta di un Panzer bruciato sulla fiancata, come fosse stato affettato da un artiglio di fuoco che aveva attraversato la croce bianca e nera della Wehrmacht.

Prussia schioccò la lingua. “Non si ferma.”

Romano fece roteare lo sguardo. “Ma non mi dire.” Uno scoppio alle loro spalle lo fece scattare, l’eco si ritirò, e Romano tornò a rallentare. Si rimise di fianco a Prussia, stette al suo passo. Anche lui cominciava ad avere il fiatone. “Come pensi di riuscire a prenderlo? È impossibile sparargli se continua a correre in quel modo.”

“Oh, un’idea ce la faremo venire, non ti preoccupare.” Prussia tuffò la mano che sanguinava di meno nel fodero della pistola, estrasse la semiautomatica già con il primo colpo in canna, e mirò alla schiena di Australia. “Dannata scimmia, tornatene nella palude dalla quale sei sgusciato fuori!”

Schiacciò il grilletto, il colpo esplose, schizzò attraverso l’aria, e si schiantò accanto al piede di Australia, sollevò uno spruzzo di neve che gli colpì la caviglia senza farlo fermare.

Prussia grugnì e spremette di nuovo tutta la sua rabbia sulla pistola.

Secondo colpo.

Il proiettile rimbalzò su una roccia. Sassi esplosero e fumarono come lapilli incandescenti, colpirono Australia di striscio ma non lo fermarono.

Terzo colpo.

Il proiettile stridette sulla corazza metallica del Panzer, scintille gialle e bianche piovvero sulla neve.

Australia si chinò sotto il braccio che aveva alzato per ripararsi dagli spruzzi di luce e calore, buttò uno sguardo d’odio verso Prussia, e quello sguardo gli esplose fra gli occhi come un quarto colpo di pistola. Scattò a destra, saltò oltre una roccia congelata, allungò il piede sopra il Panzer ribaltato, spremette la suola sinistra sul pignone inclinato, quella destra sulla punta della mitragliatrice. Si appese con una mano al cannone, diede uno slancio con le gambe, staccandosi, e si buttò al riparo dietro la torretta. Una scintilla argentata sbucò da dietro il portello scoperchiato. Tre spari consecutivi esplosero dalla canna della pistola che aveva appena estratto dal fodero.

Romano piantò i piedi nella neve, frenò la corsa gettando d’istinto un braccio davanti alla faccia e ruotando il torso all’indietro per ripararsi. Una mano lo acchiappò per la manica della giacca.

“Giù!”

Prussia gli diede uno strattone, lo tolse dalla traiettoria di un proiettile che gli fischiò accanto all’orecchio, e lo gettò a terra, dietro una delle rocce che Australia aveva saltato.

Romano atterrò sulla spalla e sul gomito, colpì uno spuntone di pietra con il fianco, sputò un gemito strozzato, e schizzi di neve e terra ghiacciata gli arrivarono in faccia, fra gli occhi e le labbra. Un peso crollò accanto a lui, gli urtò il ginocchio, un braccio cadde attorno alla sua gamba, e macchie di sangue si sparsero sulla neve, come una cascata di petali rossi.

Romano tirò su la testa, si diede una scrollata ai capelli, si massaggiò la tempia, sbatté le palpebre per riprendersi dallo stordimento, e allungò il braccio verso quello che gli era crollato attorno al ginocchio. Lo toccò. Prussia era chino sul gomito piegato accanto alla gamba di Romano, il braccio sanguinante tremava, quello sano fasciava il fianco e schiacciava il peso sull’emorragia che allargava le chiazze rosse spante sulla neve, alimentate anche dal sangue che gocciolava dalle punte dei capelli e dal mento. I petali rossi divennero rose schiuse.

Romano sentì un istintivo e odioso moto di compassione scuotergli il cuore. “E-ehi...” Scivolò all’indietro, abbassò le spalle per rimanere al riparo, e si avvicinò a lui compiendo due passi sulle ginocchia. “Ce la fai?”

Prussia si strofinò la mano sulla faccia, fece un sospiro rauco e lungo, e buttò la testa all’indietro. Soffiò un rigetto di condensa e la tensione si sciolse dal suo viso. “Ovvio che sì.” Scivolò a sedere, raccolse le ginocchia davanti al petto, la schiena premuta contro il riparo. Chiamò Romano con un cenno del capo. “Coprimi, svelto. E stai attento che non ci colpisca. Devo lavarmi il sangue dagli occhi.” Tuffò una mano nella neve, ne raccolse un mucchietto grande quanto il suo pugno, e se lo spremette sulla faccia. Bruciò come un cazzotto dato con un guanto fatto di aghi. Il gelo gli divorò la pelle, morsicò la piaga aperta che gli passava accanto all’occhio, gli fece vedere le stelle dandogli di nuovo l’impressione di svenire.

Romano si sporse. Una mano sulla cresta di rocce e solo la coda dell’occhio a sbirciare da dietro il riparo.

Australia saltò giù dal Panzer, si piegò su un ginocchio e rimase immobile, ammortizzò il dolore che era di nuovo saettato dal fianco sanguinante, e pestò un passo verso di loro, verso il nascondiglio.

Romano tremò. “Sta tornando qua.” Scivolò di nuovo accanto a Prussia, rannicchiò le gambe al petto, e tenne la testa bassa, il mento a toccare le ginocchia. “Che cazzo facciamo? Prima sembrava un canguro, non lo prenderemo mai, nemmeno ora che è ferito.”

Anche Prussia si sporse dalla parte opposta e spiò da dietro il velo di sangue che gli appannava gli occhi.

Australia arrancò di un passo, si resse il bacino, e spostò la mano che impugnava la pistola sulla cinta. La scintilla d’argento della canna batté su una scintilla color sabbia.

Prussia sentì una vampata di dolore attraversare le piaghe brucianti. Ha un’altra bomba. Si grattò la nuca, scaldò il cervello, cercò di strapparsi di dosso il pensiero che gli era appena volato in mente. Ci sarebbe un modo per trucidarlo definitivamente, ma...

“Romano.” Prussia tornò a scivolare con le spalle in basso, si appoggiò di schiena alla roccia, il capo leggermente ciondolante di lato, il fiato pesante, i grani di neve sciolta che gli colavano dal viso sporco di sangue, e si strinse il braccio ferito. Soppresse una smorfia, ma una scintilla di lucida follia gli balenò fra le palpebre, accese una miccia di fuoco che bruciò attraverso il sangue, cancellando il dolore che pulsava attraverso le ferite. Prussia girò lo sguardo verso Romano e prese due profondi respiri. “Te la senti di compiere un’impresa da pazzi?”

Romano soffiò un ricciolo di condensa. “Combattere con te è sempre stata un’impresa da pazzi.”

“Lieto di sentirtelo dire.” Prussia impugnò con entrambe le mani, la rigirò davanti allo sguardo, sbatté le palpebre, e rivoli di neve sciolta sporca di sangue gli attraversarono il viso che si era fatto più rilassato, ancora ghiacciato e con meno sensibilità. “Il canguro ha un’altra bomba anticarro,” disse, “e ovviamente anche una pistola. Noi abbiamo solo le pistole, e contro una bomba di quel calibro capirai che non possiamo fare niente.”

Romano aggrottò la fronte, lo guardò scagliandogli addosso un’occhiata di disprezzo. “Be’, grazie tante, fin qui ci arrivavo anch’io.”

Prussia fece per rispondere ma una cannonata esplose dietro la nebbia che proteggeva il passaggio fra le montagne e gli fece rimangiare le parole. Lui e Romano scattarono più in basso, Romano si protesse la testa e schiacciò il viso fra le ginocchia fino a che l’eco non si dissolse. Prussia riprese a respirare, schiuse gli occhi, si raschiò via altri residui di sangue e cristalli di ghiaccio dalle ciglia, e afferrò una spallina di Romano con le dita che impugnavano la pistola, tornando a tirarlo verso di sé. “Ora ascoltami.” Lo fece abbassare, le schiene inarcate, le loro spalle ingobbite e così vicine da toccarsi, e lo guardò dritto negli occhi, parlandogli accanto all’orecchio con voce più bassa e grave. “Normalmente sarei stato io quello a rischiare, ma questa volta devi farlo tu perché io non posso essere veloce quanto vorrei con tutte queste ferite.”

Romano deglutì, una scia di brividi trasmessa dalla profondità degli occhi di Prussia e dal soffio della sua voce aspra che gli parlava accanto all’orecchio gli fece venire la pelle d’oca. Sollevò il presentimento di qualcosa di brutto che stava per sbattergli addosso come una martellata sul naso.

Prussia strinse le dita insanguinate sulla stoffa della sua giacca, trattenendolo, e gli spinse l’indice sul petto. “Adesso tu esci e corri,” ordinò. “Corri come se...” Fece roteare gli occhi con aria vaga. “Come se stessi vedendo West che bacia Ita davanti ai tuoi occhi e volessi andare a staccarli.”

Romano tremò. Il corpo paralizzato gli impedì di sbattergli un pugno dritto sul naso e uno sullo stomaco. “Era necessario un paragone del genere, brutto idiota?”

“Ovvio che sì,” gli rispose Prussia, e gli batté l’indice sul petto facendo oscillare anche la canna della pistola. “Vedrai che ti saprà dare lo stimolo giusto.” Gli indicò la pistola che Romano teneva ancora infoderata. “Proteggiti con la pistola, se è necessario, ma solo per spaventare il canguro, non per colpirlo. Se ci cascherà, allora ti butterà addosso la bomba, ma io sparerò all’ordigno da qua, in modo che esploda prima del previsto e che faccia più danni a lui che a te.”

Romano impallidì. Una fitta nebbia di paura cominciò a ovattargli la testa. “M-ma...” Boccheggiò. La gola iniziò a seccarsi. “Ma io...” Aprì la mano tremante sul petto. “Finirò colpito anch’io?”

Prussia scosse il capo e tornò a spalle dritte. “Non tanto quanto lui,” lo rassicurò. “Tu tuffati fra la neve, copriti la testa, e stai più basso che puoi.” Piegò un mezzo sorriso e scosse le spalle. “Non puoi pretendere sempre una vittoria facile, no? Dopotutto...” Si toccò il viso bagnato di sangue. Gocce cremisi rotolarono fra le dita. “Non esiste una vittoria senza sacrificio.”

Romano si morsicò il labbro, un ronzio di paura gli riempì la testa, isolò i rumori esterni, il cuore accelerò, il sangue batté ritmicamente sulle tempie, la vista divenne grigia, la bocca sempre più secca nonostante il sapore di ferro sciolto dalla bocca che si stava rosicchiando.

È pazzo, è completamente andato, ha perso troppo sangue e sta delirando, o semplicemente mi vuole mandare ad ammazzarmi per ripicca, perché l’ultima volta ho provato a prenderlo a cazzotti e oh se solo l’avessi fatto fuori quella volta ora non sarei in questa situazione del cazzo che...

“Prendi una decisione in fretta,” disse Prussia. “Sta arrivando.”

Romano deglutì. Perle di sudore fiorirono sulla fronte e sulle guance, e si sciolsero con le goccioline di neve. I passi di Australia vibravano attraverso il terreno, sempre più tuonanti e vicini, simili alle cannonate che esplodevano dietro la nebbia e che Romano sentiva entrargli nello stomaco.

Un altro passo, più forte, e Romano vide davanti agli occhi la bomba anticarro che esplodeva, che illuminava la neve come un sole e che lo travolgeva in una vampata ustionante che gli avrebbe sciolto i vestiti alla pelle e affumicato i capelli. Romano strinse le mani alla neve, si aggrappò al suolo tremante, e il suo corpo scosso da spasmi di terrore si congelò come una statua di sale.

“Romano.” La voce di Prussia suonò più affaticata, scossa da una punta di ansia.

Romano riuscì solo a schiudere la bocca. Se mi butto sono un coglione, se non mi butto sono un codardo. Quand’è che devo essere coglione? Quando posso permettermi di essere codardo? Dove merda sta la differenza fra le due cose?

“Romano, sbrigati a decidere, sennò devo cambiare piano e...”

“E va bene!” Romano vomitò quelle parole senza nemmeno essersene reso conto. La lingua gli bruciava come lo stomaco, come la testa. “Va bene, va bene, cazzo! Lo faccio!” Prese tre affanni di seguito e si strinse la testa fra le mani, le dita graffiarono fra i capelli, e gli occhi vitrei di paura riflessero il grigio della neve sporca di esplosivo e carburante. “Oh, Cristo.” Scivolò di lato, una mano di Prussia sulla schiena, a incoraggiarlo, e gattonò di due ginocchiate verso l’estremità del nascondiglio. “Oh, Cristo, salterò in aria. Salterò fottutamente in aria.”

“No, te lo prometto.” Prussia guardò fuori un’ultima volta, tornò basso, infilò l’indice nel grilletto della semiautomatica, e batté un palmo fra le scapole di Romano. “Vai!”

Romano strizzò gli occhi, non toccò nemmeno la pistola, e si buttò.

Compì due passi, girò la guancia verso lo schiocco metallico che aveva attraversato l’aria pizzicandogli l’orecchio, riaprì le palpebre e si ritrovò davanti alla scintilla ocra proveniente dal cilindro della bomba anticarro già disinnescata.

Australia tirò la bomba sopra la testa, la mano libera attorno al bacino sanguinante, e la buttò verso Romano con uno slancio a parabola.

Prussia si tuffò da dietro il riparo di rocce, tese le braccia, premette entrambi gli indici sul grilletto, e il colpo esplose. Il proiettile risalì l’aria in una scia retta, raggiunse la bomba che stava ancora compiendo la prima fase della parabola, e urtò contro il cappuccio di sicurezza.

Romano tornò a chiudere gli occhi e a ripararsi la testa prima di sentire l’esplosione arrivargli addosso.

Lo scoppio tuonò strappandogli il fiato, facendogli cadere il cuore nello stomaco, schiacciandogli le viscere, e la botta improvvisa di luce gli abbagliò le palpebre abbassate. In quel lampo, Romano già si vide sbranato dal calore, con la faccia distrutta, la pelle sciolta e insanguinata, gocciolante come una candela.

Un peso lo travolse, lo schiacciò a terra, e arrivò il bruciore ghiacciato della neve dentro il naso e nella bocca.

Sono morto, pensò Romano. E non seppe nemmeno lui se a farlo svenire fosse stato il dolore o la paura.

 

.

 

Gocce di sangue gli piovvero sul collo, disegnarono il profilo della nuca, colarono dalle punte dei capelli, bagnarono la stoffa della giacca facendo arrivare il calore umido fino alla pelle. Il gelo del suolo sul quale era caduto ricominciò a bruciargli la faccia, i grani di neve si sciolsero fra le dita, alcuni erano entrati sotto il bavero della giacca e gli corsero fino alle spalle. Romano tenne gli occhi strizzati, il fiato sospeso fino a sentire i polmoni scoppiare. Tossì soffiando via dalle labbra quel sapore di ferro, di rocce e di terra, e prese un forte respiro che sapeva di neve sciolta. Il torso si gonfiò premendo al suolo, le scapole si contrassero e spinsero contro il peso che aveva sentito arrivargli addosso dopo lo scoppio della bomba.

Altre goccioline di sangue piovvero accanto al suo orecchio – plic, plic – e sciolsero i grani di neve sporca e puzzolente di olio per motore e di ferro. Il peso sopra di lui respirò. La pancia si gonfiò contro la sua schiena, una sua gamba si sfilò dalle sue ginocchia e ricadde sulla neve, la presa delle mani allentò dalle sue spalle, il corpo si sollevò alleggerendo la pressione.

Romano schiuse gli occhi. Una nebbiolina grigia galleggiava sopra la neve, gli diede l’impressione di avere la vista appannata. Sbatté le palpebre. “Ma che...” Si toccò la faccia. Intera. La mano scese e tastò le spalle e il petto schiacciato a terra. Niente sangue. Romano non riuscì a chiudere la bocca per lo stupore. Cos’è successo? Uno scricchiolio sulla neve lo fece voltare di scatto.

Prussia rotolò sul fianco, crollò supino, le braccia larghe come quelle di una persona in croce, e guadagnò altri tre respiri a labbra socchiuse. Girò la mano, la immerse nella neve, e ne raccolse una manciata che si schiacciò in faccia come aveva fatto prima. Strizzò gli occhi, scosse il capo e trattenne il fiato come se avesse appena ricevuto una secchiata di acqua gelida dopo essere stato steso al sole per due ore, e lasciò che quei morsi di brividi lo tenessero sveglio e cosciente. Non aveva altre ferite se non quelle di prima che non avevano ancora smesso di perdere sangue.

Il suo respiro rallentò. Prussia si girò verso Romano, gli occhi socchiusi e bagnati di quella broda di neve e sangue che gli appannava la vista come se stesse guardando attraverso un vetro sporco, e tese il braccio verso il suo capo. Gli diede una rapida strofinata ai capelli. “Bravo.”

Romano sgusciò via spingendosi sulla spalla e si tappò la testa, fulminò Prussia di traverso. “Che diavolo hai fatto?” ringhiò, e un brivido di rabbia ricominciò a salire attraverso le guance infiammate. “Perché merda non mi hai detto che saresti saltato fuori? Potevo...”

Prussia si spolverò la giacca dai grossi fiocchi di neve che si erano incollati al tessuto, e si spinse a sedere facendo leva sul braccio. “Volevo solo essere sicuro.”

Romano rimase a labbra socchiuse, congelate, gli occhi ancora stravolti, e l’eco dello scoppio che ancora gli fischiava nelle orecchie, facendogli girare la testa. “S-sicuro di cosa?”

Prussia si strofinò una manica sul viso, raccolse le ultime gocce di sangue in bilico sotto il mento, e piegò una gamba a terra per darsi la spinta. “Che stai davvero iniziando a fidarti di noi.” Si rialzò con uno slancio calpestando la macchia rossa che aveva tatuato a terra. Si diede un’altra spolverata ai vestiti, e rivolse lo sguardo alla nuvola di fumo e vapore che era esplosa davanti a loro.

Romano strinse i pugni, la bocca vibrò, e il gorgoglio di paura che gli aveva stretto lo stomaco prima di buttarsi crebbe in un brontolio di rabbia. Stronzo doppiogiochista.

Dal muro di fumo sollevato dall’esplosione provennero scricchiolii secchi e scoppiettanti simili a quelli della legna che crepita sul fuoco.

Romano si passò le dita ancora tremanti fra i capelli, li tenne lontani dagli occhi, e un nodo di ansia tornò a stringergli il cuore, congelò la rabbia tornando a fargli provare solo una fitta di paura. “Uhm.” Scivolò a sedere. Il fumo continuava a galleggiare senza rivelare ombre o suoni. “A-Australia,” balbettò. Spinse un piede a terra, il ginocchio traballò, il muscolo indurito si fece di colpo molle, e Romano si resse anche con l’altro braccio per riuscire ad alzarsi. Rimase rigido, in piedi, e si strofinò il braccio con gesti rapidi e nervosi. Compì un passo avanti. “F-forse l’abbiamo davvero...”

“Fermo.” Prussia gli mise una mano sulla spalla, lo tenne immobile dietro di sé, riparato da una sua gamba, e restrinse gli occhi. Si incresparono dentro la penombra rossa che li fece apparire feroci come quelli di una bestia acquattata con le orecchie basse per stanare la preda. “Non muoverti, aspetta che il fumo si dissolva.”

Romano deglutì e annuì. Non si mosse.

Prussia gli tolse la mano dalla spalla e schioccò i polpastrelli, gli diede un piccolo colpetto. “La pistola, svelto, non rimanere disarmato.”

Romano annuì. Sfoderò la pistola, il calcio scivolò dai polpastrelli bagnati e tremanti. Ritentò. Vi fece stridere le unghie sopra, e agguantò l’arma con entrambe le mani, già preparando gli indici sul grilletto.

Il fumo iniziò a dissolversi. Al suo posto si sollevò un cadenzato e regolare suono di passi che frantumavano la neve. Una sagoma nera sgusciò in mezzo alla nebbia e divenne più alta e nitida.

Prussia sgranò le palpebre, il labbro inferiore cadde aperto, un lampo di incredulità gli attraversò gli occhi circondati dalla maschera di sangue. Non è possibile. Una goccia di sangue piovve dalla punta di una ciocca, attraversò il suo sguardo sconvolto. Come ho fatto a non colpirlo? Era...

La sagoma sollevò le braccia e batté un soffice applauso ovattato dal fumo che lo circondava, una voce familiare attraversò la nebbia e raggiunse il loro udito come una punta di ago che buca l’orecchio. “Bel tentativo, Prussia.”

Prussia e Romano sussultarono. La sagoma nera che si stava avvicinando era più bassa di Australia. La sua voce ruvida penetrò i ricordi di entrambi, evocò una rabbia irrazionale che li catapultò con i piedi sospesi fra le nuvole, a sentire il vento salmastro soffiato in faccia, le vibrazioni delle silurate contro le imbarcazioni che tremavano sotto i piedi, e le spazzate d’aria del volo dei bombardieri che travolgevano i loro corpi.

Il fumo si schiuse. La sagoma compì altri due passi, abbassò le mani, e lo strato di nebbia sciolto rivelò due furbi e affilati occhi verdi, sfrontati come il piccolo ghigno che gli incurvava le labbra. “Peccato solo che io mi ero accorto di quello che stavi per fare ancora prima che tu tirassi fuori la pistola.”

Prussia stritolò i pugni contro i fianchi, sentì la testa fumare, il sangue ribollire sopra e sotto la pelle, il senso di frustrazione uscirgli dalle orecchie e stridere in mezzo ai denti serrati. Una vampata d’ira lo travolse, trasmessa dall’immagine di Inghilterra emerso indenne dalla bolla dell’esplosione di una bomba anticarro. “Come diavolo hai...”

Inghilterra sollevò un sopracciglio. “Fatto?” Il fumo scese ancora, galleggiò attorno alle sue ginocchia. Inghilterra si piegò, raccolse qualcosa da terra tenendolo per un’estremità della giacca, e gli mostrò il peso del corpo accasciato ai suoi piedi. “Conosco le mie colonie, semplicemente.”

Australia scosse la testa spolverata di neve, emise un lamento basso e stordito, si resse una tempia per fermare i capogiri che gli vorticavano attorno alla fronte. Vedeva le stelle. Il viso era sfregiato solo dalle ferite che si era procurato con la prima esplosione. “Che razza di botta,” mugugnò. E si diede un’altra strofinata grattando via il dolore del colpo che si era preso quando era finito strattonato via da Inghilterra e gettato al riparo fra neve congelata e rocce.

Inghilterra sciolse la presa sulla sua giacca, lo lasciò scivolare ai suoi piedi, e si diede una strofinata alle mani. “Sapevo che Australia avrebbe deciso di fermarsi a combattere, nonostante gli avessi detto di tornare subito indietro dopo lo sgancio della prima bomba anticarro.” Scrollò le spalle. “Ma sapevo anche che tu non gli avresti dato l’occasione di usare per una seconda volta la stessa arma contro di te. Anzi, sapevo che l’avresti usata a tuo vantaggio. Ho aspettato che tu facessi la tua mossa senza che nemmeno lui si accorgesse di me, o avrebbe tradito il mio piano,” rinnovò il ghigno strafottente di chi sa di avere già vinto, “e poi mi sono gettato a spingerlo via dall’onda d’urto della bomba.”

Prussia fece roteare lo sguardo, emise uno sbuffo che gli riempì la bocca del sapore del sangue e che gli rese la voce più aspra. “I miei complimenti.” Incrociò le braccia al petto e diede una piccola spallata a Romano. “Roma, fagli l’applauso, altrimenti io rischio di schizzare sangue dappertutto.”

Romano corrugò le sopracciglia. Sbuffò una smorfia disgustata e si strofinò la spalla che gli aveva colpito. “Non gli faccio l’applauso.”

“Vi consiglio di scherzarci di meno.” Inghilterra avanzò di un altro passo, si spostò davanti ad Australia che era tornato in piedi reggendosi la testa e stando piegato sulle ginocchia flesse. Il suo sguardo scivolò ai piedi di Prussia, percorse le sue gambe, il suo torso divorato dalla prima esplosione, le sue spalle tremanti, il petto che fremeva a ritmo del suo respiro affaticato, e il suo viso insanguinato torto in quell’espressione di odio. Appiattì il ghigno e aggrottò la fronte. “Credi davvero di riuscire a sconfiggermi in quelle condizioni, quando non ce l’hai fatta nemmeno quando eri senza un graffio?”

Prussia gracchiò una risata singhiozzante. “Oh, non costringermi a...” Una vampata di vento sollevò un’ondata di neve secca, scivolò in mezzo a loro, scosse capelli e vestiti. Il bavero della giacca di Inghilterra si inclinò e rivelò una fasciatura bianca attorno alla gola che scendeva fino alla clavicola. Prussia esitò. Il suo sguardo ripercorse il profilo della gola di Inghilterra. “Ma sei...” Il vento si ritirò ma il collo di Inghilterra rimase scoperto, avvolto dalla benda rigonfia. Prussia sollevò un sopracciglio. “Sei già ferito?” Si strofinò la nuca, e un pizzicore di confusione gli formicolò attraverso la testa. “Come fai a essere ferito? Abbiamo appena...” Che se la sia fatta due giorni fa, quando abbiamo iniziato l’avanzata qua a Vévi? si chiese. Ma no, impossibile, poi è già bendato, ed è anche...

Inghilterra corrugò un sopracciglio, un’ombra sottile gli bordò le palpebre, donandogli un fitto sguardo di provocazione. “Regalo di quel mostro di tuo fratello sulla Linea Metaxas.” Ghignò di nuovo. Lo sfidò. “Di chi, altrimenti?”

Quello sguardo di sfida arrivò fino a Prussia come una sonora e umiliante sberla sulla guancia.

Prussia vide rosso. Contrasse le dita insanguinate facendo schioccare le falangi, serrò i denti, la mandibola tremò, e lui calpestò un passo in mezzo alla neve con le mani che prudevano dalla voglia di strappargli un altro lacero solo con le unghie.

Romano gli gettò un braccio addosso per fermarlo. “No, Prussia!”

Un’ombra scivolò davanti a Inghilterra, un luccichio argentato brillò davanti al petto di Prussia, la bocca della pistola impugnata da Australia lo fece frenare e gelare davanti al suo sguardo che lo scrutava da dietro il profilo dell’arma.

Australia spinse l’indice sul grilletto, un’aura di ostilità si schiuse attorno a lui facendo apparire l’aria più buia e fredda, il suo sguardo più intenso e di nuovo lucido, gli occhi fermi e combattivi premuti contro quelli infuocati di Prussia. “Non ti muovere.” Spostò un altro passo davanti a Inghilterra, si resse la ferita sul fianco con la mano libera, dove la stoffa lacerata e bruciata era ormai diventata nera, ed emise una ridacchiata di scherno. “Non ti facevo così ingenuo, Prussia. Uno con la tua esperienza...” Riprese fiato. Sgranchì la falange dell’indice sopra il grilletto e affilò quell’occhiataccia di derisione che gli rese lo sguardo sfrontato come quello di Inghilterra. “Non credevo che anche uno come te potesse andare fuori dai gangheri e...”

“Non si dice ‘andare fuori dai gangheri’, barbaro,” lo rimproverò Inghilterra.

Australia girò la guancia e gli bisbigliò da sopra la spalla. “Oh, dai, nonno, cerco di fare un discorso.” Si schiarì la voce e tornò con gli occhi su Prussia. “Dicevo...” Stese di nuovo il braccio, rinnovò lo sguardo che lo aveva impietrito. “Buttarti addosso a un nemico senza nemmeno un’arma in mano, solo per esserti imbufalito.” Premette un altro passo avanti, sollevò le sopracciglia in una sincera espressione di rammarico. “Che delusione.”

“Già,” si intromise la voce di Romano. “Delusione.” Si udì un altro stridio metallico di un dito che preme sulla levetta all’interno dell’anello del grilletto.

Prussia abbassò lo sguardo al suo fianco, da dove era venuto il piccolo schiocco, e si ritrovò a posare gli occhi sull’ombra di Romano che era rimasto protetto dietro la sua spalla, al suo braccio che gli era scivolato accanto al fianco, alla sua pistola puntata contro il corpo di Australia.

Romano soffiò una nuvoletta di condensa, sollevò anche l’altro braccio, e agguantò la sua pistola con entrambe le mani. “Preoccuparsi tanto del crucco,” scivolò di un passo più avanti, spinse la spalla contro la scapola di Prussia, il suo sguardo a scrutare i nemici da dietro il suo fianco, e un’espressione buia gli ingrigì il volto, “fino a dimenticarsi che dietro di lui c’è anche un’altra nazione.”

Prussia sorrise compiaciuto. Oltre i fumi che li circondavano, esplosioni continuavano a schiantarsi al suolo e a scoppiare, a far vibrare il terreno sotto i loro piedi e a sollevare spazzate di vento che travolgevano i loro corpi raggelati, immobili come statue, sotto la mira delle due pistole puntate una sull’altra.

Prussia distolse gli occhi da Romano, tornò con lo sguardo su Inghilterra, sulla sua ferita alla gola, e di nuovo sui suoi occhi. “Cos’è successo con mio fratello?”

Lo sguardo di Inghilterra superò la spalla di Australia, incrociò quello di Prussia attraverso l’aria cristallizzata dai soffi di neve trascinati dal vento. “Io ero sulla Linea Metaxas,” disse, “pensavo che vi sareste piazzati tutti e due là, invece ho trovato solo Germania.” Piegò il capo e indicò Australia fermo davanti a lui. “Ho preferito trasferirmi qua perché non me la sono sentita di lasciare da soli loro due.”

Romano schiacciò le dita sulla pistola, i suoi occhi scivolarono d’istinto in direzione della montagna illuminata dai lampi delle mitragliate. “C’è anche Nuova Zelanda, quindi?”

“Ma la Linea Metaxas è stata espugnata già un paio di giorni fa,” intervenne Prussia, “e questo vuol dire che...”

“Sì.” Inghilterra annuì, tenne il mento sollevato e guardò Prussia con disprezzo. “Là avete vinto la battaglia, Asse.”  

Prussia e Romano si scambiarono uno sguardo fugace, e nessuno dei due seppe come reagire.

“Codardi,” disse Inghilterra, e quella parola aveva il suono viscido di uno sputo. “Vi siete serviti addirittura di due nazioni come Romania e Bulgaria per raggiungere il vostro scopo. Avevate tanta paura di perdere, eh?”

Lo sguardo di Prussia si rilassò. Lui rise, le sue spalle sobbalzarono. “Divertente, detto da uno che ha effettivamente perso.” Inclinò il capo, percorse il profilo di Australia ignorando la scintilla della sua pistola. “E detto da qualcuno che ha addirittura chiamato i suoi cuccioletti rinnegati dall’altro capo del mondo per farsi soccorrere.”

“Ehi!” Australia scattò. “Guarda che abbiamo deciso noi di venire, quindi chiudi quel tuo buco di fogna!”

“Non farmi ridere.” Prussia incrociò le braccia al petto, sciacquato dalla paura di avere la pistola di Australia addosso e sentendosi protetto da quella di Romano. Piegò un mezzo ghigno di sfida. “Vi sta sfruttando esattamente come farebbe con qualsiasi altra nazione. Funziona così in guerra, no?”

Australia aggrottò la fronte. Altro sangue sgorgò dalla ferita sul naso. “E immagino che voi non vi siate mai permessi di sfruttare la potenza di altre nazioni per i vostri comodi.”

“Certo che sì.” Prussia inclinò il capo, assottigliò lo sguardo rivolgendolo a Inghilterra, alla sua espressione di ghiaccio che non si lasciava scalfire. “Ma almeno noi non mentiamo ai nostri alleati come fa lui. Chissà...” Si strinse il mento, fece tamburellare l’indice sul labbro, e il ghigno di sfida divenne un ghigno di crudeltà. “Magari vi farà fare un’altra volta la fine di Gallipoli.”

Inghilterra sussultò, il respiro schiacciato da una morsa al cuore, e il suo corpo si fece più piccolo e fragile dietro alla spalla di Australia che lo proteggeva. Il vento soffiò, addensò le nubi, il cielo si scurì, e l’aria si fece più fredda e penetrante: una gabbia di ghiaccio. Anche Australia sentì la lingua congelarsi, incapace di ribattere.

Un’esplosione addosso alla parete di roccia fece scoppiare una bolla di neve e fumo che si dilatò, rotolò lungo il profilo della montagna e raccolse rocce e ghiaccio, alimentando una frana sempre più grossa e rumorosa. L’eco esplose attraverso la vallata, e tutti e quattro si girarono. La frana si specchiò negli occhi di tutti, Australia allargò le palpebre e riguadagnò fiato in un moto di paura. Soffiò il suo nome in uno sbuffo di condensa. “Kiwi.”

Anche Romano provò la stessa scossa d’ansia attraverso il cuore. Abbassò la pistola e sgusciò di un passo davanti a Prussia, gli occhi incollati alla nube che aveva travolto la montagna. “Veneziano.”

Inghilterra strinse i denti. “Maledizione.” Si aggrappò a una spalla di Australia e lo lanciò lontano da lui, lo buttò in direzione della valanga. “Vai, vai, vai a difenderlo!”

Australia annuì. Prese a correre, saltò su una roccia, tornò ad atterrare in mezzo alla neve, e partì alla rincorsa senza scollare gli occhi dal fianco del monte.

Romano scattò per inseguirlo, ma la mano di Prussia lo trattenne. “Sta’ qui!” gli urlò. Estrasse anche lui la pistola e la sollevò davanti al viso. “Ci penso io!” I suoi occhi inquadrarono la sagoma di Australia che si stava allontanando. Prussia cominciò a correre lasciando fitte impronte rosse dietro il suo passaggio.

Inghilterra fece stridere un ringhio in fondo alla bocca. “Eh, no.” Scagliò la sua pistola addosso alla schiena di Prussia, allungò anche lui una prima falcata di corsa. “Hai capito male se credi che io ti lasci andare diet –”

Un colpo di pistola si infranse accanto al suo piede. Schizzi di neve saltarono in aria come schiuma, gli arrivarono al ginocchio bloccandolo come se Inghilterra fosse rimasto intrappolato in una corona di zanne. Non era ferito. Inghilterra girò lo sguardo senza muoversi, intercettò l’occhio scuro della pistola che aveva appena sparato e gli occhi altrettanto scuri di Romano che lo tenevano sotto tiro.

Romano abbassò leggermente la pistola. “Non ti muovere.” Si avvicinò di due passi facendo scricchiolare la neve sotto le suole. “Darmi le spalle in questa maniera,” commentò. “Hai davvero così poco rispetto di me, eh, brutto stronzo?”

Inghilterra si diede un morso al labbro. Merda. Il corpo fremette, rigido, senza potersi schiodare da quella posizione.

Romano compì un altro passo, inclinò la canna della pistola e gli lanciò un cenno con il mento. “Inginocchiati, svelto.”

Inghilterra gli mostrò uno sguardo sfrontato, tenne gli occhi alti, inorgogliti e senza paura, e raddrizzò le gambe per fargli capire che non si sarebbe mosso.

Romano flesse di più l’indice sul grilletto, la falange si contrasse e sottili ramificazioni di vene emersero dalla pelle. La mano cominciava a bruciare per la voglia di sparare un altro colpo. “Muoviti o giuro che ti pianto una pallottola una nel cranio.”

L’ombra della pistola toccò Inghilterra, gli trasmise un inconscio brivido di freddo e di paura che penetrò fino alle ossa. Inghilterra sollevò lo sguardo, seguì il rotolare della frana che stava fagocitando il fianco della montagna, divorando le rocce e salendo fino al cielo, e lo spostò sulle sagome di Australia e di Prussia che stavano correndo verso i piedi del monte. Per lo meno loro saranno al sicuro. Prussia non riuscirà mai a fargli del male in quelle condizioni in cui è ridotto.

Inghilterra chinò il capo senza abbassare lo sguardo e piegò il primo ginocchio a terra. Scese anche con l’altro, stette immobile, mollò la pistola, e non degnò Romano di un’occhiata.

Romano si avvicinò di un altro passo, lo scricchiolio della neve solleticò l’orecchio di Inghilterra. “Sbaglio...” La pistola scese, la canna si accostò alla sua nuca, scivolò fra i capelli trasmettendogli una scia di brividi. Fu come avere l’alito umido e bollente di una belva che respira a bocca aperta dietro l’orecchio. I suoi denti aguzzi a sfioro del lobo e del padiglione. “O abbiamo ancora qualcosa in sospeso, io e te?”

   
 
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