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Autore: _Frame_    02/07/2017    2 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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132. Lupo e Agnello

 

 

1 aprile 1941,

Passo di Vévi, Grecia

 

“Ora ascoltatemi.” Inghilterra si strinse nel tessuto della giacca pesante, spinse la sedia più vicino al tavolo illuminato dalla lanterna a olio, rabbrividì per resistere alle morse di gelo che stagnavano nell’ambiente della tenda da campo, e rivolse un indice alla mappa spiegata davanti a lui. “Il piano di per sé è molto semplice.”

Anche Australia e Nuova Zelanda si chinarono verso il tavolo – Australia era in piedi, Nuova Zelanda teneva le ginocchia piegate sulla seggiola –, e i loro volti finirono illuminati dal chiarore arancio spanto dalla fiammella della lampada che somigliava a una punta di pennello. Fuori dalla tenda soffiò un ululato di vento che gonfiò una delle pareti di tela, si ritirò, e il fischio finì sostituito dal picchiettare della neve che aveva ghiacciato le montagne.

Inghilterra si strofinò le mani diventate grigie, blu all’altezza delle nocche e sotto le unghie, e posò l’indice sopra Florina, sbarrata da una croce. Parlò con la voce arrochita dal lacero bendato che non era ancora guarito: una voce simile a quella cavernosa del vento fra le rocce. “Adesso che i tedeschi hanno conquistato Florina e siamo stati costretti a spostare il Quartier Generale ad Amintayon, dobbiamo a tutti i costi proteggere la città di Vévi,” picchiettò l’unghia sopra la città cerchiata, “in modo da dare l’opportunità alle truppe di spostarsi verso sud prima di essere travolte dai crucchi. Per entrare nella città esistono tre sbocchi: nord-ovest, nord-est, e sud. Tutte queste tre direttrici hanno inoltre un utilissimo vantaggio in comune: sono valichi di montagna molto stretti.” Sollevò lo sguardo, finì abbagliato di traverso dalla lampada, e la luce della fiammella si riflesse nel lucido del suo occhio, facendolo apparire più profondo. “Sapete questo cosa comporta?”

Nuova Zelanda guardò Australia con espressione interrogativa. Australia sospirò e si strofinò la nuca con la mano che aveva bendato dopo che gli erano venuti i geloni. Arricciò un angolo della bocca e scosse le spalle. “Che i crucchi non potranno passarci in massa,” posò due dita sul tavolo e le fece camminare come le punte di una ballerina, “e dovranno disporsi in una specie di fila indiana.”

Nuova Zelanda batté il pugno sul palmo e il suo sguardo si illuminò. “E in questo modo saranno rallentati. Sarà molto più facile colpirli.”

“Proprio così.” Inghilterra raddrizzò le spalle e incrociò le braccia al petto, la sua espressione si fece più dura. “Quello che vi dicevo l’altro giorno è vero: ormai non si tratta più di rispedirli da dove sono venuti e liberare Grecia, ma solo di fare più danni possibili alla Wehrmacht e salvare più soldati che possiamo prima di un’imminente evacuazione.” Tornò con l’indice sopra la città di Vévi, toccandola solo con l’ombra del dito. “Ora siamo fermi qua al passo.” Stritolò il pugno e batté le nocche sulla cartina. La fiamma riflessa nei suoi occhi gli diede un aspetto spietato. “E non ce ne andremo prima di aver trascinato qualche crucco all’Inferno con noi.” Un’altra zaffata di neve e vento ghiacciato sbatté addosso alla parete della tenda da campo, fece da eco alla sua voce.

Australia inarcò un sopracciglio. “Gli tendiamo un’imboscata?”

Inghilterra annuì, il viso di nuovo disteso e gli occhi di nuovo verdi, lavati dal rosso. “Esattamente. Loro avranno i carri, e noi per ovvi motivi possiamo contare solo sulla fanteria appostata fra le pareti della montagna. Dobbiamo...” Si strinse nelle spalle ed emise un breve sospiro. “Semplicemente annaffiarli con una pioggia di piombo.”

Australia allargò un sorriso smagliante e si massaggiò il mento. Anche i suoi occhi scintillarono. “Spietata forza bruta. Mi piace.”

Nuova Zelanda si tenne in equilibrio sul tavolo con un palmo e sbracciò la mano libera sopra la testa. “Prima però dovremmo far saltare qualche ponte in modo da arrestare i mezzi più pesanti, giusto?”

“Giusto,” confermò Inghilterra. “In ogni accesso al passo piazzeremo delle cariche da cinquanta libbre ciascuna di gelignite, poi faremo saltare in aria tutti i ponti, e spargeremo al suolo delle mine anticarro che rallenteranno l’avanzata all’interno della conca.”

Un’altra raffica della bufera catturò lo sguardo di Australia verso le pareti oscillanti della tenda che era una bolla di luce arancio nel buio dell’alba che stava per sorgere. Australia strinse i pugni bendati sul tavolo, un bruciore di frustrazione gli infiammò il sangue e gli fece stridere i denti. “Se solo la neve smettesse di cadere sarebbe tutto più facile. Così il suolo è ghiacciato e non possiamo nemmeno scavare a fondo per sotterrare le mine.”

Inghilterra sbuffò, tornò con le braccia conserte al petto. “Be’, frignare su questo non servirà a nulla, quindi smettila di lamentarti. Dicevamo...” Snodò una mano dall’intreccio e sventolò l’indice davanti ai due. “Niente economia sugli esplosivi, dobbiamo essere spietati. Per quanto riguarda l’attacco vero e proprio, faremo affidamento soprattutto sull’uso delle mitragliatrici.”

Nuova Zelanda annuì e batté le mani, mostrò un sorriso entusiasta. “Lascia fare a me. I miei uomini sono addestrati bene, e le nostre mitragliatrici Vickers sono le migliori.” Strinse i pugni e gli occhi brillarono di emozione. “Ridurremo i Panzer a mucchi di latta accartocciata e abbrustolita.”

Inghilterra annuì. “Conto su di te.” Si spostò dal tavolo, si massaggiò la gola dolorante, che quando parlava gli trasmetteva piccole ma pungenti fitte alla ferita, come se stesse indossando una collana di aghi, e camminò avanti e indietro a muso duro. “Considerate le mie...” Grugnì un lamento di disappunto, masticò le parole che gli punsero la lingua per l’amarezza. “Le mie condizioni,” precisò, “voi due dovrete essere più in forma che mai.”

Australia e Nuova Zelanda annuirono e s’impettirono in un attenti rigido, a spalle dritte e mento alto. “Sissignore!”

“Già,” esclamò Australia, “in barba alla neve!” Sventolò un pugno davanti al petto e riacquistò il sorriso agguerrito. “Gli faremo pentire di essersi messi contro l’ANZAC!”

“State buoni,” li placò Inghilterra, “non ho ancora finito qui.” Tornò al tavolo, ribaltò la cartina dalla parte bianca, ed estrasse un mozzicone di matita dalla tasca della giacca. Calò la punta di grafite e tracciò due linee parallele, distanti fra loro quanto un pollice. “Mettiamo caso che questo sia il passo che attraversa Vévi, va bene?” Australia e Nuova Zelanda si sporsero a guardare. Inghilterra batté la punta della matita all’interno della piccola stradina verticale. “I Rangers australiani si occuperanno dell’attacco centrale, e ci sarà un assalto direttamente su strada. Un battaglione neozelandese, invece, rimarrà sulle pareti di roccia per gestire le mitragliatrici, e ovviamente le due fazioni dovranno proteggersi a vicenda. Voi,” indicò Australia, “vi assicurerete che i Panzer non mirino alle postazioni dei mitraglieri, e voi,” indicò Nuova Zelanda, “vi impegnerete a difendere gli australiani dall’alto. Tutto chiaro?”

Australia e Nuova Zelanda annuirono, risposero con voci decise e potenti. “Sissignore.”

“Bene.” Inghilterra riprese a camminare avanti e indietro, tamburellò le dita sulle braccia, e il suo sguardo si rilassò, si fece più sereno. “In ogni caso, Prussia non sa che voi due siete qua, perciò si sarà preparato all’eventualità di affrontare solo me, e avrà la guardia bassa.”

“Però avrà sicuramente raccolto i due Italia dal Lago d’Ocrida, no?” fece Australia. “Anche loro sono nemici in più.”

Inghilterra sbuffò e levò gli occhi al soffitto della tenda. “Ma per favore. Quei due saranno solo un peso per Prussia.” Le immagini dell’ultimo combattimento contro Prussia e Romano gli sfilarono davanti agli occhi, evocate dalle sue stesse parole. Nel corpo sentì di nuovo il bruciore delle pugnalate affondate nella sua carne e nelle sue ossa dalla mano di Prussia e il dolore dei bombardamenti sulla Illustrious lanciati dai movimenti di Romano che guidava gli aerei. Inghilterra aggrottò un sopracciglio, si mordicchiò il labbro. “Forse.”

“Poi noi forse non saremmo preparati come loro,” intervenne Nuova Zelanda, “ma almeno siamo affiatati, no?”

Australia si batté il pugno sul petto. “Ben detto! Oh...” Un’idea gli illuminò gli occhi e gli allargò il sorriso. “Possiamo dar valore al nostro spirito di squadra inventandoci un grido di battaglia.”

Inghilterra emise un piccolo sbuffo senza riuscire a trattenere un cinico sorrisetto. “Come no.” Fece sventolare una mano. “Poi dipingiamoci la faccia di nero e andiamo addosso ai tedeschi mostrando le lingue come dei guerrieri Maori.”

Australia e Nuova Zelanda trassero un lungo sospiro di meraviglia, come due bambini davanti a una montagna di caramelle e giocattoli. Schiacciarono le mani sul tavolo e finirono con gli sguardi a un soffio da Inghilterra. “Possiamo davvero?”

No.” Inghilterra si girò e puntò l’indice sul naso di entrambi. “Non prendete questa situazione sottogamba,” li ammonì. “Un nemico è sempre un nemico.” Si massaggiò la gola, sfregò per bene seguendo la curva delle bende attorno al collo e il rigonfiamento delle garze che le imbottivano. “Non sottovalutate nessuno, da ora in poi.”

 

.

 

Il cielo del mattino, di un fitto color cenere macchiato dalle nuvole bianche e spumose cariche di neve, sputò una raffica di vento e ghiaccio addosso alla faccia di Prussia che emergeva dalla torretta del Panzer, gli punse le guance, le orecchie e le palpebre, costringendolo a socchiudere gli occhi. Prussia si riparò con un braccio, rabbrividì, e si strofinò la manica su una guancia bagnata dalla neve sciolta. “Merda, che tempo da orsi.” Discese la torretta – Italia si piegò per lasciarlo passare –, si appese con una mano allo sportello, lo richiuse sopra la testa con uno schiocco, e si spolverò l’uniforme dai grani di neve. Si buttò a sedere sul sedile del capo carro, accavallò le gambe sullo schienale della poltroncina di Austria e gli diede un colpetto con il piede in mezzo alle scapole. “Come va, pilota?” Infilò due dita sotto il bavero della giacca e sbottonò la prima chiusura.

Austria allontanò lo sguardo dal suo spioncino imbiancato dal ghiaccio e aggrottò la fronte in un’espressione contrariata. “Non vedo nulla.”

Prussia si strinse nelle spalle e sollevò i palmi. “Be’, c’è poco da preoccuparsi, basterà che io me ne stia fuori durante tutto il percorso e non ci saranno problemi. C’è neve per tutti, anche per il Signor Nemico, quindi siamo entrambi svantaggiati.” Fece scivolare i piedi dal suo schienale e piegò i gomiti sulle cosce, tamburellò i piedi a terra. “Procedi dritto.”

Austria annuì e fece più forza sul pedale dell’acceleratore per azionare la ruota folle di rinvio posteriore e guidare il Panzer sopra un avvallamento che lo aveva rallentato.

Prussia batté le mani, riacquistò un allegro sorriso di entusiasmo. “Dunque, squadra, facciamo l’appello.” Estrasse un fogliettino piegato in quattro, lo scartò, si schiarì la voce, e lesse il primo punto. “Pilota.”

Austria fece roteare lo sguardo. “Piantala,” borbottò.

Prussia gli diede un calcio alla gamba. “Pilota,” insistette.

Austria emise un sospiro sconfortato, allontanò gli occhi e sollevò di controvoglia una mano davanti alla spalla. “Presente.”

Italia si coprì la bocca per non fargli sentire la sua ridacchiata.

Prussia passò al secondo punto. “Cannoniere.”

Ungheria si abbassò dal sedile della torretta e alzò il braccio urtando il soffitto del carro. “Presente!”

Terzo punto. “Servente del cannoniere.”

Romano tenne le braccia incrociate al petto, allontanò lo sguardo come Austria, fece dondolare il piede accavallato, e imbronciò le labbra. Italia si girò a rivolgergli una mite occhiata di rimprovero, e Romano non poté far altro che sventolare il braccio con un gesto molle. “Presente,” sbiascicò.

“Marconista.”

Italia impennò il braccio con lo stesso entusiasmo di Ungheria e rimbalzò sul sedile. “Presente, capitano.”

Prussia richiuse il foglietto in quattro. “E magnifico capo carro. Presente.” Si fece aria come se stesse impugnando un ventaglio di pizzo e piume di struzzo. “Grazie, grazie, so che aspettavate tutti me.”

Romano contenne un grugnito, tamburellò le dita sulle braccia annodate e il piede continuò a dondolare come se stesse picchiettando l’aria.

“Dunque.” Prussia rimise via il foglietto, tono di voce e sguardo tornarono seri. “Ripassiamo il piano di battaglia, dato che ci stiamo avvicinando all’obiettivo.” Sollevò l’indice e tutti tesero le orecchie, anche Austria, facendo calare un fitto silenzio nell’abitacolo, interrotto solo dalle vibrazioni del motore e dal rombo dei cingoli che trituravano il suolo. “Primo vantaggio per noi,” Prussia fece dondolare l’indice, “Inghilterra sarà da solo, non conosce il territorio, mentre a noi è più familiare, dato che ci abbiamo combattuto un sacco di volte, e poi Ita e Roma sono qua dallo scorso autunno, ormai sanno cavarsela.”

Romano strinse i denti e borbottò un “Come no” che nessuno sentì sopra i tremori del carro.

“Secondo vantaggio,” Prussia stese anche il medio, “noi siamo tutte nazioni nate e cresciute in mezzo alla neve,” lanciò uno sguardo a Romano, “chi più chi meno,” Romano lo fulminò con un’occhiataccia ma la discussione cadde a vuoto come un sassolino lanciato in un pozzo, “mentre Mister Sopracciglio sguazza solo in un mare di pioggia.” Prussia salì con le ginocchia sul sedile, aspettò di avere tutti gli sguardi su si sé, e tornò con le due dita alte al soffitto. “Primo ordine per tutti: attraversiamo il passo per giungere fino a Quota 997. Da lì, lasciamo che le truppe si aprano la strada attraverso il territorio e che scendano fino a Kozani, in modo da distruggere il Quartier Generale nemico. Noi, invece, a battaglia finita andremo dritti a Salonicco.” Sventolò le mani come per scacciare il problema. “Probabilmente Inghilterra avrà preparato una bella imboscata per noi, ma non ce ne dobbiamo preoccupare. Rimaniamo dentro ai Panzer e nessuno si farà male. E inoltre siamo pieni di artiglieria fino ai denti, non c’è modo che riescano a scalfirci. Faremo in modo di inviare delle truppe in ricognizione prima degli assalti, e poi daremo il via all’attacco vero e proprio.” Appiattì una mano e ci fece camminare sopra due dita, simulando il movimento di una marcia. “Una volta entrati nello strozzamento del passo, il nostro scopo sarà aprire la strada con i Panzer, far passare la fanteria dietro di noi, e avanzare in questo modo di volta in volta.”

Ungheria annuì, si strinse il mento con aria assorta. “Una specie di attacco a turni.”

“Una specie.” Prussia tornò a buttarsi di peso sul sedile, incrociò le gambe stringendosi le ginocchia, e raddrizzò le spalle esponendo il petto all’infuori. “Dunque...” Intrecciò le mani davanti al viso, tamburellò le dita sulle nocche, e affilò un ghigno increspato dalla penombra dell’abitacolo. “Prepariamoci all’assalto.”

 

♦♦♦

 

12 aprile 1941,

Passo di Vévi, Grecia

 

Il soldato neozelandese raccolse il blocco contenente il nastro di caricamento arrotolato, lo sollevò dalla cassa e si girò a inserirlo nel serbatoio esterno della mitragliatrice Vickers, posto lateralmente. Il suo compagno si gettò a raggiungere l’estremità del nastro da cui sbucava il primo proiettile della fila, lo inserì nell’aggancio dell’otturatore, richiuse il coperchio, e innescò il primo colpo. “Caricato,” esclamò con la voce arrochita dal gelo. La nuvola di condensa evaporata dalla sua bocca si sciolse sul viso arrossato dal freddo e tagliuzzato dalle raffiche di vento e neve che le nuvole gli sputavano addosso.

Il secondo soldato abbassò le spalle e chinò la testa per resistere ai tremori che scuotevano la montagna, al chiasso penetrante delle mitragliatrici che sparavano a raffica sulla valle occupata dai Panzer tedeschi, e camminò con le ginocchia fra le rocce ghiacciate per portarsi dietro la loro Vickers. Afferrò il corpo della mitragliatrice con entrambe le mani e spinse i pollici – diventati grigi per il freddo – sull’impugnatura a manopola singola posta sull’estremità posteriore. Abbassò la fronte, restrinse gli occhi da sotto l’orlo del cappuccio calato fino al naso, e schiacciò la levetta facendo assorbire il pulsante dal corpo della mitragliatrice.

La mitragliatrice cominciò a divorare il nastro caricatore, raffiche di colpi lampeggiarono dalla bocca di fuoco ed esplosero a valle assieme agli spari delle altre armi appostate sulle pareti del passo di montagna.

Schizzi di luce esplosero contro i cingoli di uno dei Panzer che stavano avanzando, gli spari disegnarono una scia lungo la parete esterna del carro, infossarono ammaccature sulla corazza, senza perforarla, passarono attraverso la croce bianca e nera della Wehrmacht, e si sollevarono mirando al cannone del Panzer successivo. Gli spari a raffica colpirono la torretta del cannone, producendo un suono più acuto e stridente. Il Panzer non smise di avanzare. Ruotò la torretta, e il cannone superiore – posto sopra la bocca di fuoco della mitragliatrice inferiore – sollevò la punta osservando la montagna nel suo profondo occhio nero. Sputò una munizione, il tuono dello scoppio soffiò una corona di fumo che finì trapassata dal siluro.

Qualcuno urlò. “Tutti a terra!” E lo schianto della cannonata perforò le rocce, scosse la montagna e gonfiò una frana di neve e pietre congelate che rotolò lungo il pendio.

Australia saltò in mezzo alla foschia di neve che era franata dalla parete, si tuffò attraverso incrociando le braccia davanti alla faccia, e atterrò sulle ginocchia, spalle basse, dietro le schiene dei soldati addetti alle mitragliatrici. Aspettò che l’onda d’urto di un’altra cannonata finisse risucchiata dal contraccolpo, che le raffiche di mitragliate ripartissero sotto l’urlo di uno dei comandanti, e si piegò sui gomiti. Spinse il peso sui piedi, si trascinò in avanti scavando una scia in mezzo alla neve, pungendosi con gli spuntoni di roccia che emergevano dal terreno e finendo con il naso che assorbiva tutto l’odore ferroso del suolo.

In mezzo agli spari, alle grida di incitamento dei soldati e a quelle che comunicavano le coordinate nemiche, una voce familiare, solo un po’ più rauca del solito, arrivò fino alle sue orecchie trascinata dalla bufera.

“Non mirare direttamente alla corazza del carro, sono inscalfibili.”

Australia si resse il cappuccio della giacca sulla testa, sollevò il mento da terra, sbatté le ciglia cristallizzate dal ghiaccio, e Inghilterra e Nuova Zelanda entrarono nel suo campo visivo.

Inghilterra si abbassò dietro una spalla di Nuova Zelanda, tese il braccio lungo il suo fianco e lungo il corpo della mitragliatrice, e gli indicò l’obiettivo. “Mira ai punti sensibili come le giunture fra i cingoli o gli ingranaggi della torretta, assicurati di mettere fuori uso uno dei due cannoni.”

Nuova Zelanda si tenne a spalle chine, i due pollici sulla manopola singola della mitragliatrice, e annuì. “Okay.”

Australia sollevò una mano e sbracciò verso di loro, sgonfiò i polmoni di tutto il fiato che aveva in corpo. “Ehi, gente!”

Inghilterra e Nuova Zelanda si voltarono. Nuova Zelanda staccò una mano dall’estremità posteriore della mitragliatrice, spalancò gli occhi, e lo salutò anche lui con un ampio sventolio. “Ehiii!” Un’esplosione scoppiò sopra di loro, fece saltare in aria un cratere di detriti ghiacciati che schizzarono attraverso la nebbia di neve, e Inghilterra dovette abbassare la testa di Nuova Zelanda per proteggerlo dalle rocce fumanti. Inghilterra gli tenne aperta la mano dietro la nuca, sopra il cappuccio che gli proteggeva i capelli dalla neve e le guance dal freddo, e rivolse lo sguardo ad Australia reggendosi l’altra mano davanti alla fronte per ripararsi da un’improvvisa raffica di vento. “Come procede?”

Australia si trascinò avanti spingendo altri due passi, tirandosi con i gomiti in mezzo alla neve, e scosse la testa. “Niente da fare, i crucchi non si fermano.” Si resse anche lui il cappuccio sventolante contro la fronte e rivolse lo sguardo all’avvallamento fra le due pareti di montagna dove stavano passando i Panzer. Nuvole grigie e nere circondavano il campo di battaglia, lampi bianchi esplodevano dietro la nebbia, raffiche più rapide e rumorose penetravano nella foschia e scoppiettavano come fuochi artificiali. Australia strinse i denti e si coprì naso e bocca per non respirare l’odore acre dei gas evaporati dalle mitragliatrici. “Due giorni qui e stanno facendo fuori un battaglione dietro l’altro, per di più continuano ad arrivare sempre più carri mentre noi siamo agli sgoccioli con mezzi e munizioni. Non possiamo farli proseguire in questa maniera, faranno troppi prigionieri!”

“E i Rangers?” Inghilterra chinò le spalle, piegò anche lui un gomito a terra e strisciò accanto ad Australia passando dietro a Nuova Zelanda. “Non riesci a fare nulla con...”

“Non sono preparati a sufficienza per muoversi su terreni di questo genere,” esclamò Australia, prima di farlo finire, “e quei Panzer sono inarrestabili.” Altre due cannonate di seguito esplosero sopra le loro teste, forti scossoni fecero tremare il suolo sotto le loro pance. Le ombre dei Panzer sfilavano dietro la nebbia senza fermarsi, i lampi delle esplosioni continuavano a scoppiare dalle bocche dei loro cannoni, grida di incitamento provenienti dal battaglione dei mitraglieri accompagnarono i gracchi delle armi che venivano ricaricate. Australia si strofinò la nuca sotto il cappuccio, increspò un’espressione crucciata, gli occhi bui riflessero il conflitto che regnava nel suo cuore. “Che facciamo?”

Nuova Zelanda sollevò i pollici dal bottone della manopola della mitragliatrice, smettendo di sparare, e si rivolse a loro due. “È così tanto grave?” domandò. “Dobbiamo ritirarci e perdere ancora più terreno?”

“No.” Inghilterra stritolò i pugni fra la neve e scosse il capo con insistenza. “No, non prima di averla fatta pagare a Prussia, non prima di aver indebolito lui.”

Australia storse un sopracciglio. “Non è il momento ideale per pensare solo alla vendetta.”

“Nessuna vendetta.” Un’esplosione si schiantò sulla montagna, come un ruggito di protesta, e Inghilterra si strinse nelle spalle per resistere all’onda d’urto. Inghilterra tornò a sollevare il viso, piantò il broncio, e fece roteare lo sguardo. “Okay, forse un po’ sì, ma il punto è un altro.” Puntò l’indice su Australia, lo guardò con occhi duri, la voce rauca e bassa per la ferita alla gola ma comunque abbastanza forte da riuscire a superare le raffiche di spari. “Anche se è chiaro che ormai per noi è impossibile fermarli, ci è ancora dato di rallentarli e indebolirli. E la maniera più facile per portare a termine tutto questo è una sola: arrivare al cuore delle divisioni, alla loro mente, esattamente come Germania ha ben pensato di fare con Grecia sulla Metaxas.”

Australia strabuzzò gli occhi. “Vuoi dire che dovremmo...”

Nuova Zelanda finì la frase per lui. “Concentrarci esclusivamente su Prussia e fermare lui per indebolire tutte le truppe?”

Inghilterra annuì. “Fondamentalmente sì.” Sollevò un ghigno affilato e nei suoi occhi sfilò una luce abbagliante e crudele. “Mozziamo la testa al toro, no?”

Australia e Nuova Zelanda si scambiarono un’occhiata incerta. Australia arricciò un angolo della bocca, assalito dal dubbio. “Ma siamo sicuri che funzionerebbe? Voglio dire...” Sollevò un palmo al cielo e si strinse nelle spalle. “Trattandosi di una nazione come lui...”

“Non ci resta che provare.” Inghilterra raccolse il binocolo che pendeva dal suo collo fasciato, si spostò di un’altra strisciata più avanti gattonando sui gomiti, urtò il tripode della mitragliatrice di Nuova Zelanda con il gomito, e scrutò il campo di battaglia attraverso le lenti. “Ora l’unico problema è trovare lui e il suo Panzer.” Fece schioccare la lingua fra i denti, frustrato. “Ma con tutta questa neve e tutta questa confusione...”

Nuova Zelanda strinse le mani attorno alla mitragliatrice, corrugò la fronte in un’espressione agguerrita, nonostante le tenere guanciotte tonde incorniciate dai capelli che emergevano da sotto il cappuccio, e lanciò la proposta. “E se scendessimo a cercarlo?”

Australia si schiacciò una mano sul petto e trasse un sospiro di terrore, il viso divenne color cenere. “Che?” esclamò. “Sei pazzo? Con questo tempo e con tutti questi Panzer pronti a schiacciarti e a ridurti a farina d’ossa?” Aprì un braccio verso la conca avvolta nella foschia delle esplosioni e dalla quale soffiava un vento rovente che pareva bruciare i capelli e abbrustolire la pelle. “È come gettarti nella bocca dell’Inferno!”

Inghilterra aggrottò un sopracciglio e squadrò entrambi con aria scettica. “Cosa state pianificando di fare?”

Nuova Zelanda scosse il capo. “No, non sarebbe così complicato.” Si indicò il petto e incurvò un sorriso sereno. “Ci vado io. Sono il più piccolo e il più agile, non riusciranno mai a colpirmi.”

Lo sguardo di Inghilterra rimase aggrottato in quell’espressione poco convinta. “E cosa pensi di fare una volta giù?”

“Facile!” Nuova Zelanda batté un pugno sul palmo, le guance arrossirono di emozione e gli occhi scintillarono come stelline. “Trovo il Panzer di Prussia e gli lancio dentro una bomba anticarro, facendolo esplodere!” Lo schianto di una cannonata scoppiò alle sue spalle. La vampata di luce e calore si riflesse nei suoi occhi lucenti di gioia, tingendoli di rosso, fece sventolare il cappuccio attorno alla testa, e i boccoli si agitarono contro le guance colorate di arancio e infossate dal suo sorriso smagliante.

Australia aveva ancora la bocca aperta, gli occhi allibiti, un sopracciglio sollevato, e il fiato sospeso fermo in gola.

Inghilterra richiuse la bocca – anche a lui era caduto il labbro inferiore – e assottigliò le palpebre in una risata inasprita dalla ferita alla gola. “Piccolo demonio.” Ma non riuscì a ignorare un minuscolo sentimento di orgoglio che gli gonfiò il cuore.

“Un lupo in veste di agnello,” commentò Australia. “Letteralmente.”

Nuova Zelanda annuì. “Si può fare, no?” Batté le mani davanti al petto e fece sguardo implorante, gli occhioni dolci tornarono a luccicare come specchi d’acqua. “Mi dai il permesso, Inghilterra? Ti giuro che ce la farò!”

Inghilterra sospirò, infilò la mano sotto il cappuccio e si grattò la nuca, arricciò un angolo della bocca verso il basso. “Per farlo, si può anche fare.” Spostò gli occhi verso il basso, verso il passo di montagna attraversato dai Panzer nemici. “Ma è anche vero che...” Lampi di luce esplosero dalle bocche di fuoco dei carri armati, schizzi di rocce e di ghiaccio volarono da sotto i cingoli che ruggivano macinando terreno e scavalcando gli avvallamenti di neve e pietre. Inghilterra sospirò e scosse il capo. “Che non posso lasciarti andare.”

Gli occhi di Nuova Zelanda affogarono nella delusione. “Oh, e perché no?”

“Innanzitutto,” Inghilterra si girò e sollevò un indice al cielo, sventolandolo come una bacchetta, “perché è troppo pericoloso. Vi ho già spiegato che voi due non dovete correre pericoli inutili perché siete sotto la mia responsabilità.” Spostò l’indice sulla fila di mitragliatrici appostate fra le rientranze della roccia, nascoste dietro i teli mimetici. “Poi tu devi coordinare il battaglione dei mitraglieri, queste sono le tue armi, sono i tuoi soldati, e tu occupi una posizione troppo delicata che non puoi abbandonare. Non possiamo permettere che ti capiti qualcosa, o ne risentirebbe tutto il battaglione.” Abbassò l’indice e aprì la mano con il palmo rivolto al cielo, raccolse alcuni fiocchi di neve trascinati dal vento e li fece squagliare a contatto con la pelle. Sbuffò un soffio di condensa. “Poi c’è troppa neve. Anche se sei piccolo e agile, rischi di rimanerci incastrato dentro.”

Australia dovette tapparsi la bocca e girare la faccia per nascondere una risata.

Nuova Zelanda chinò la fronte e ammosciò le spalle, abbattuto. “Ma allora come facciamo?” domandò. “Il mio era un bel piano, no? Vero che era un bel piano?”

Inghilterra si strinse il mento, chinò anche lui lo sguardo in mezzo alla neve e rimuginò borbottando a bassa voce, senza nemmeno fare condensa con il fiato. “Con delle mosse così pericolose, dovrei essere io quello a farsi avanti per primo. Dovrei essere io a rischiare.” Una fitta alla gola gli fece ingoiare e trattenere una sorsata di fiato. Inghilterra infilò la mano sotto il bavero della giacca e si massaggiò la fasciatura attorno al collo. Contenne una smorfia. “Ma non mi sono ancora ripreso del tutto, e rischierei solo di peggiorare le mie condizioni.”

Australia e Nuova Zelanda si scambiarono un’occhiata preoccupata e comprensiva. Australia strinse un pugno bendato fra la neve, annuì a se stesso, e si posò l’indice sul petto. “Ci vado io, allora.”

Inghilterra gli lanciò uno sguardo di biasimo, ma Australia continuò prima che intervenisse per bloccarlo. “Lascia fare a me.” Si batté il pugno sullo sterno e strizzò l’occhiolino. “Non sarò agile come Kiwi, ma sono veloce. Quei crucchi non riuscirebbero mai a prendermi o a colpirmi, sarebbe come dare la caccia a un emù.”

Inghilterra strinse i denti, si rosicchiò il labbro inferiore, assaporando il gusto aspro e pungente dell’indecisione che gli formicolava nello stomaco, e tornò a guardare verso il campo di battaglia, attirato dalle mitragliate che si schiantavano addosso alle corazze dei Panzer. Inspirò a fondo, la pancia gorgogliò di nuovo, annodata in un brutto presentimento che non gli dava tregua, ma si convinse. Non aveva scelta. “D’accordo.” Uno scoppio lontano gli fece abbassare la testa di colpo, le mani dietro la nuca. Inghilterra aspettò che l’eco si ritirasse, e scivolò dietro Nuova Zelanda chiamando entrambi con un gesto della mano. “Venite, presto.”

Loro due annuirono e lo seguirono, nascondendosi dietro uno dei teli mimetici color roccia, e raggiunsero le casse delle munizioni impilate. Inghilterra ne scoperchiò una, vi infilò le mani dentro, rovesciò pezzi di ricambio delle mitragliatrici e serbatoi svuotati dei nastri di caricamento. “Ci sono degli spioncini sulle corazze dei Panzer che danno proprio sulla torretta di comando. Non sarà difficile individuare quello guidato da Prussia: sarà sicuramente quello che cercherà di ammazzarti prima degli altri.”

Australia piegò un sorriso tremolante, un brivido di paura ed eccitazione gli risalì la spina dorsale. “Che bello.”

Inghilterra estrasse due bombe anticarro di forma cilindrica, le portò sotto un raggio di luce che scintillò sul coperchio di stagno a forma di tappo. “Ma Prussia potrebbe essere talmente megalomane da starsene fuori dalla torretta, e per te sarà ancora più facile. Infilagliene una dentro al Panzer e poi scappa.” Le porse entrambe ad Australia.

Australia le prese entrambe, e indurì il muscolo del braccio per resistere al peso improvviso. Ne rigirò una, ne carezzò il profilo color ocra, percorse l’anello rosso disegnato sotto il cappuccio di sicurezza e la pellicola adesiva che fungeva da nastro di attivazione. Fece scendere le dita lungo le sigle nere tatuate sul cilindro.

 

P.A.G.D.

73.A.T.

Mk.1

M.B.Co.40

 

“Anche se non sei sicuro di averlo preso,” continuò Inghilterra, “anche se avrai colpito solo il Panzer e non Prussia, tu non fermarti.” Sbuffò, sopprimendo il familiare senso di frustrazione e amarezza che gli aveva riempito la bocca e fatto stridere i denti. “Prussia non è tipo da darti una seconda possibilità per ripetere un attacco finito male.”

Australia annuì, strinse la mano su una delle due bombe coprendo parte delle sigle tatuate sul cilindro. “Va bene.”

Inghilterra richiuse la cassa. “Trovalo, colpiscilo, e poi torna qua immediatamente.” Aggrottò le punte delle sopracciglia. “Capito?”

Australia distese un sorriso più sereno e naturale. “Tutto okay.” Infilò una delle due bombe nella cinta, accanto alle tasche delle munizioni, e tenne l’altra sottobraccio. Mostrò a Inghilterra il pollice impennato. “Lascia fare a me.”

Anche Nuova Zelanda gli mostrò uno sguardo apprensivo. “Buona fortuna.”

Australia gli diede un pugnetto sulla spalla, si calò il cappuccio fino al naso, e scivolò via. Un abbraccio di neve e vento lo accolse, strappandolo alla vista degli altri due, e gli spari delle mitragliatrici coprirono il suono della sua corsa sempre più lontana.

Inghilterra inspirò a lungo per sopprimere il mattone di preoccupazione che gli era caduto nel petto. “Io e te continuiamo a darci da fare con il battaglione di mitraglieri.” Si girò verso Nuova Zelanda. “Dobbiamo tenere Australia al sicuro e proteggerlo dall’alto in modo da aprirgli la strada fra i carri.”

Nuova Zelanda batté un saluto militare sotto l’orlo del cappuccio. “Sissignore.”

Inghilterra riprese in mano il binocolo, lo posò davanti agli occhi, girò la rotella con indice e medio e allargò il campo verso la sagoma di Australia sempre più lontana e piccola in mezzo alla neve che riempiva il passo di montagna. Sbuffò. “E speriamo che non combini qualche disastro.”

 

.

 

Lampi a ripetizione abbagliarono la foschia di neve che galleggiava attorno alle pareti delle montagne. I riflessi bianchi delle raffiche esplosive provenienti dalle mitragliatrici pulsarono all’interno delle due lenti ovali del binocolo calibrato, e riempirono lo spazio diviso dalle linee perpendicolari e segnato dai due triangolini sottostanti, affianco alla serie di numeri ordinati di dieci in dieci. La nebbia fra le insenature ghiacciate della montagna color acciaio si ritirò, schiudendosi sotto il risucchio d’aria di una raffica di scoppi. Le due ali di fumo si separarono, svelarono luccichii argentati nascosti fra la neve. Altri lampi trafissero i gas di scarico delle mitragliatrici, scoppi esplosero al suolo rigettando colonne di fumo color piombo, il Panzer IV su cui Prussia stava avanzando sobbalzò due volte, una zaffata di vento ghiacciato gli scosse i capelli sulla fronte. Prussia staccò una mano dal binocolo e si aggrappò all’orlo della torretta di guida, flesse le spalle in avanti per rimanere in equilibrio, e premette l’indice sulla rotella d’acciaio del binocolo. Restrinse il campo visivo, l’immagine dentro i due ovali si allargò e si soffermò su una delle mitragliatrici poggiate su un tripode sostenuto da due uomini e inclinata con la volata verso il basso. Prussia accigliò lo sguardo restringendo le palpebre dietro le lenti. Impugnatura a manopola, serbatoio esterno incastrato nella griglia, otturatore aperto... Mitragliatrici Vickers! 

Prussia calò il binocolo dal viso, e davanti al suo sguardo si aprì lo scenario dello stretto di montagna gonfiato dalla nebbia di neve esplosa dal suolo. Altri scoppi tuonarono a distanza di quattro carri più avanti, i lampi nascosero i profili dei Panzer, si udì il suono metallico e gracchiante di un cannone che veniva inclinato verso l’alto, e partirono tre colpi di seguito che si schiantarono contro le montagne, gonfiando altre nuvole bianche attraversate da graffiate grigie. Il terreno tremò.

Un altro sobbalzo scosse il loro Panzer IV, Prussia dovette di nuovo sbilanciare le spalle in avanti e reggersi con la mano alla torretta per non cadere a terra. Raddrizzò di colpo la schiena indurendo i muscoli addominali e quelli delle gambe infilate all’interno del Panzer, tornò a guardare attraverso il binocolo, prese la mira sulla mitragliatrice che aveva individuato prima, e diede un colpetto di piede sulla spalla di Austria. “Sessanta gradi nord, distanza duecento metri. Riferire.”

Austria staccò la mano da una leva di manovra, sorresse il padiglione della cuffia contro l’orecchio stando attento a non colpire una spalla di Italia con il gomito, rallentò sollevando la punta del piede dalla leva dell’acceleratore, e girò lo sguardo tenendo la testa bassa. Scavò con gli occhi nella penombra illuminata dalle spie verdognole e individuò le sagome di Ungheria e di Romano nelle postazioni posteriori. “Sessanta gradi nord, distanza duecento metri,” ripeté.

Ungheria – che era in piedi – si rimise a sedere sul sedile del puntatore, resse anche lei un padiglione delle cuffie contro l’orecchio, si asciugò la fronte madida di sudore con una manica a cui era rimasta incollata una ciocca di capelli sfuggita dall’elastico, e annuì mostrando il pollice. Si rivolse a Romano. “Romano, altra carica!”

Romano era già chino sulla griglia delle munizioni, forata come un alveare dai siluri e dagli ovali già svuotati. Raccolse una delle munizioni, strinse i denti e trattenne il fiato per resistere al peso, se la caricò sulla spalla restando a testa china per non sbattere sul soffitto, e tornò al posto del servente. Fece scivolare la munizione nella carica, si resse l’arco delle cuffie per non farle scivolare dalla testa, e alzò la voce per farsi sentire da Ungheria. “Innescato!” Gocce di sudore imperlarono anche la sua fronte, gli appiattirono i capelli al viso. Romano emise un profondo respiro e si asciugò la faccia.

Ungheria avvicinò il viso al quadrante del mirino, inserì le dita nella levetta del cannone, e la sua voce risuonò per tutto il Panzer, superando le vibrazioni del motore. “Pronti al colpo!” Schiacciò la leva, l’energia del carro le penetrò nel sangue facendo vibrare le vene e stringendosi in una morsa attorno al cuore. Pulsò di vita sincronizzandosi al suo battito cardiaco. Il tuono dell’esplosione schizzò fuori dal cannone, fece sobbalzare il Panzer dando un colpo sotto le gambe di tutti e attraversando le mani di Austria strette alle leve di comando, e volò attraverso l’aria.

Prussia tornò a premere il binocolo sugli occhi e tese le punte dei piedi reggendosi all’orlo della torretta. La traiettoria della cannonata disegnò un arco di fumo e luce all’interno delle lenti, trapassò i segmenti calibrati e affondò dentro la nuvola di neve e gas che aleggiava attorno alla parete di roccia. Lo schianto suonò come la frustata di un fulmine, la neve staccata dalle rocce franò rigettando un altro strato di fumo che nascose il profilo della montagna, tappando anche i lampi delle mitragliatrici.

Ungheria abbassò il capo dal mirino del cannone tenendo un braccio piegato sopra la testa e la mano premuta sul soffitto del Panzer, il suo sguardo attraversò l’abitacolo in penombra e si sollevò verso la sagoma di Prussia in piedi sulla torretta. “Preso?” gli gridò.

Prussia strinse i denti, resistette a due ventate d’aria bollente che si erano dilatate dalle esplosioni schiantate terra, e fece correre l’inquadratura del binocolo fra le increspature della cappa di fumo eruttata dalla montagna. Schioccò la lingua. “Non lo so.” Spostò il binocolo più in alto e ruotò la rotellina, restringendo il campo. “C’è tutta questa fottuta neve che...”

“Prussia!” Italia abbassò le cuffie dalle orecchie, tenne una mano premuta sul pannello della radio accanto alla postazione di Austria, e si sollevò dal sedile per andare incontro a Prussia. “Abbiamo appena chiuso un altro varco cinque chilometri più indietro. A un chilometro da qui poi hanno già disinnescato una decina di mine anticarro, ma abbiamo perso tre Panzer I e un Panzer II.”

Prussia scosse il capo. “Fa nulla.” Si spinse all’indietro e si mise a sedere sull’orlo della torretta che tremava sotto le sue cosce, ruotò il busto e tese una mano davanti alla fronte, scrutò in mezzo a gas e neve, individuò le ombre nere dei Panzer al loro seguito. “Continuiamo così, chiudiamo un’altra breccia dietro di noi e apriamo un’altra porzione di strada.”

“Prussia.” Austria sollevò un braccio e gli strinse l’orlo della giacca, lo guardò con occhi duri che riflessero tutto il grigio del cielo in tempesta. “Per piacere, fammi la cortesia di tornare dentro il carro, è troppo pericoloso stare fuori dalla torretta, l’attacco dalle pareti di roccia sta diventando troppo pesante, rischi di...”

“Zitto, pilota.” Prussia si spostò strappandogli l’orlo della giacca dalle dita, si resse i capelli sbattuti dal vento per tenerli lontani dagli occhi, e riappoggiò il binocolo attorno alle orbite. “È il capo carro che comanda. Non vedi che razza di bufera?” Una spazzata di aria ghiacciata e neve ingrossò un vortice davanti alla traiettoria del Panzer, e il gelo ingoiò le ombre del resto del battaglione. Il loro Panzer si inclinò, i cingoli frantumarono uno spuntone di roccia, scossoni vibrarono attraverso il corpo del carro, e il mezzo tornò ad assestarsi, diede un’accelerata e scavò due profonde scie in mezzo a ghiaccio e neve. Prussia reclinò le spalle all’indietro e buttò lo sguardo al cielo come se stesse prendendo il sole. “Come faresti a guidare da solo con tutta questa neve? Nemmeno Ita può aiutarti con la radio, devo stare fuori in modo da avere la visione più ampia e poterti guidare in mezzo agli altri.”

Italia si rosicchiò le unghie dell’indice e del medio, un’espressione di tensione gli rabbuiò lo sguardo, un riflesso di paura gli animò gli occhi. “Forse Austria ha ragione. Non sarà pericoloso?”

Romano si sporse dal posto del servente e resse le cuffie contro l’orecchio. “Lascia pure che si ammazzi,” commentò.

Prussia scosse la testa e lo ignorò. Tornò a occuparsi del binocolo.

Sollevò le lenti, le accostò agli occhi, e il campo di battaglia imbiancato dalla neve e striato dalle colonne di fumo tornò segmentato dalle linee perpendicolari e siglato dai due triangolini affianco ai numeretti. Fra le sagome dei Panzer, attraverso i gas di scarico e la nebbiolina di neve evaporata, un’ombra più piccola e scura avanzò più velocemente dei carri, schizzò a destra, saltò una roccia, chinò le spalle per evitare una mitragliata che gli volò sopra la testa, e continuò a correre, diventando sempre più grande e nitida. Un’esplosione si schiantò dietro la sagoma, fiorì in una corona di petali di fumo e fuoco che brillarono sulle rocce ghiacciate e sulla neve fresca facendole splendere come vetro. Incorniciarono l’ombra in corsa facendola somigliare a un ritaglio di cartone nero.

Prussia si accigliò e irrigidì. Soffiò parole condensate che finirono trascinate via dall’aria che gli volava sopra le spalle. “E quello cos’è?”

Anche Austria sollevò lo sguardo senza mollare i comandi, le labbra già schiuse per chiedergli cosa stesse succedendo, ma il piede di Prussia gli batté sulla spalla senza dargli il tempo di emettere fiato.

“Ehi, rallenta un po’.”

Austria calò di marcia, rallentò, ma aggrottò lo sguardo ancora rivolto a Prussia. “Cosa succede?” Prussia abbassò un braccio, gli aprì la mano sulla testa, e lo fece piegare sul pannello di comandi, al sicuro dentro la penombra del Panzer.

Italia sentì un brivido di spavento risalirgli la schiena. Si girò in cerca dello sguardo di Romano, Romano si strinse nelle spalle e guardò Ungheria, Ungheria si strofinò la nuca e lanciò un’occhiata ad Austria. Nessuno disse nulla.

Prussia tornò a sporgersi, spinse le spalle in avanti, tenendosi aggrappato con la mano all’orlo della torretta, e la sagoma comparsa in mezzo ai carri si ingrandì ulteriormente all’interno delle lenti. “È...” Il fumo si divise, l’ombra vi passò attraverso diventando più nitida. Un paio di furbi e selvaggi occhi verdi, incorniciati da folte sopracciglia che già conosceva, incrociarono quelli di Prussia. Quel volto appena comparso gli lanciò un ghigno sfrontato, uno sguardo di sfida che gli fece ribollire il sangue e salire la pelle d’oca dietro il collo. Prussia rimase a bocca aperta. Ingoiò il fiato. “Non è possibile.” Si tolse il binocolo, spalancò gli occhi, gli ballò una palpebra, e non riuscì a chiudere le labbra. “A-Australia?”

Italia fu il primo a sobbalzare. “Cosa?” Si alzò dal suo sedile e si sporse verso Prussia, lo fissò con occhi increduli. “Australia?”

Anche Romano sgranò gli occhi. “Che?” Gettò anche lui le spalle in avanti, sollevandosi dal suo posto, e un brivido di rabbia e confusione gli corse sotto la pelle. “Che merda ci farebbe lui qui?”

“E Inghilterra dov’è?” intervenne Ungheria. “Non avremmo dovuto trovare lui?”

“E che ne...” Prussia inquadrò di nuovo Australia, le lenti del binocolo racchiusero il suo torso, una sua mano bendata avvolta attorno a un cilindro color ocra simile a un thermos. Lesse le sigle. Il suo sguardo si congelò sulla seconda a partire dall’alto. 73.A.T. Bomba anticarro Numero Settantatré. Prussia sentì il cuore cadergli nello stomaco, il battito congelarsi, e la realizzazione trafiggergli il cranio come lo schianto di un fulmine. “Cazzo.” Nella sua testa vide già il Panzer ribaltato, i cingoli all’aria, la torretta spaccata e il cannone spezzato, una colonna di fumo a risalire la carcassa, e la culla di neve ad accogliere il corpo del carro come l’imbottitura candida e rigonfia di una bara. E loro cinque imprigionati nell’abitacolo fatto esplodere dall’interno.

Prussia sollevò un piede sopra la torretta, si girò, allungò un braccio all’interno del carro e lo schiacciò di nuovo sulla testa di Austria. “Tutti giù, svelti, abbassatevi, presto, presto!”

Una scossa di paura aggredì il cuore di Italia. “Cosa? Cosa succede?” Un braccio di Austria lo circondò prima che potesse rendersi conto di quello che stava accadendo, e lo riparò sul fondo del carro, dietro le leve di manovra. Ungheria fece lo stesso con Romano e gli fece abbassare la testa tirandolo giù dal sedile del servente.

Prussia trattenne il respiro, girò lo sguardo graffiato dal vento, inquadrò la sagoma in corsa e più vicina di Australia, e intercettò il suo movimento.

Le dita di Australia strapparono la linguetta di sicurezza dal corpo della bomba, le mani strinsero, avvitarono il coperchio a forma di tappo, e a Prussia parve davvero di sentire lo schiocco e il fischio dei gas, nonostante la distanza.

Australia schiacciò un passo nella neve, allungò una falcata più ampia, la sua ombra toccò quella del Panzer. Tirò il braccio all’indietro, la bomba anticarro sopra la sua testa, e quegli occhi ghignanti e strafottenti si caricarono d’odio, lanciarono a Prussia uno sguardo fitto e tagliente che gli fece già sentire il bruciore e il calore dell’esplosione.

Prussia schiacciò il piede sulla torretta del Panzer, piegò la gamba fino a toccarsi il petto con il ginocchio, e saltò come una molla.

Australia compì l’ultimo salto sul paraurti che copriva il pignone principale, schiuse le dita, e il cilindro color ocra volò via dalla sua mano, roteò in aria e tornò a mostrare a Prussia le sigle che lo avevano fatto sbiancare.

Prussia strizzò gli occhi, girò la guancia, si riparò la faccia con il braccio, e torse il busto per scagliare la gamba addosso alla bomba. Calciò il cilindro con il dorso del piede, si udì il cleng! simile a quello di una padella che cade sul pavimento.

Arrivò lo scoppio, secco e cocente come quello di una bolla di pece che esplode nel caminetto, e poi ruggente. Inglobò l’aria ghiacciata in una feroce palla di fuoco che brillò come un sole.

E poi ci fu il nero.

 

.

 

Un piede di Ungheria scivolò dal pavimento capovolto del Panzer, che ora si stendeva sopra di lei ed era diventato il soffitto, urtò uno dei sedili capovolti, sbatté contro la griglia nella quale erano incastrate le munizioni, si sentì il dong! di un siluro colpito dalla suola dello stivale, e la gamba ricadde piegata con il ginocchio contro il ventre. Ungheria fece cadere il braccio dalla leva alla quale si era avvinghiata con il gomito, passò la mano lungo la superficie metallica di uno dei pannelli, superò un quadrante spento di consistenza più liscia attraversato da una crepa a forma di saetta, e si resse la fronte fra le dita. Emise un gemito, i capelli sfuggiti all’elastico ricaddero sulle nocche e le punte delle ciocche si incollarono alle labbra arricciate in una smorfia di dolore. Scosse il capo, si massaggiò la cute. “Urgh, la testa.” Fuori dall’abitacolo del Panzer, le esplosioni del campo di battaglia tuonarono contro il terreno, gli echi rimbombanti finirono ovattati dagli strati di neve e si mescolarono alle raffiche delle mitragliatrici che continuavano a sparare dalle pareti delle montagne.

Ungheria si strofinò una tempia e scese fino alla nuca, raggiunse il bozzo di un bernoccolo e tirò via la mano come se avesse infilzato un ferro da maglia nel cranio. Si rotolò sul fianco facendo scivolare i piedi dalla parete e qualcosa di appuntito le premette sul fianco. Ungheria si strinse il costato e inarcò la schiena, aprì una mano a terra stringendola a una delle leve che ora scendevano dall’alto, e cadde sulle ginocchia. “State tutti bene?” Qualcosa si mosse nel buio pece che riempiva l’abitacolo, e sollevò un tonfo che si perse nel silenzio. Ungheria fece scivolare le cuffie attorno al collo, guardò a destra e a sinistra, ma era come tenere gli occhi aperti in una pozza di catrame. Le spie delle apparecchiature erano tutte saltate. “Austria?” Tornò a sollevare una mano sulla parete e batté due colpi con le nocche. “Ita? Romano? Qualcuno è ancora cosciente?”

Qualcosa frusciò, andò a sbattere contro una parete metallica, e l’eco attraversò l’abitacolo del Panzer. L’ombra di un braccio si alzò, si immerse dentro a un alone entrato dalle fessure degli sportelli che iniziava a rischiarire l’ambiente, e diede una sventolata. “Sono qui,” pigolò la voce di Italia. Calò il braccio e tossì tre volte, seguito da un lamento ondeggiante.

Un altro corpo si spostò più vicino a Ungheria, e fece strusciare un braccio contro l’imbottitura del sedile capovolto. Il suo braccio e un suo piede ricaddero sfiorandole la spalla. “Che cazzo è stato a buttarci sottosopra?” Romano si grattò i capelli, e anche lui stridette un gemito di dolore, il suo fiato soffiò arrivando fino al collo di Ungheria lasciato scoperto dai capelli legati.

Ungheria scivolò finendo con la pancia premuta su una superficie dura, batté un ginocchio su uno spigolo e urtò il braccio di Romano con un gomito. I capelli di nuovo davanti agli occhi e incollati alle labbra. “N-non lo so, ma...” Si spostò le ciocche dal viso e tossì due volte, restrinse le palpebre scrutando nell’alone di luce grigia e polverosa, e fece leva con un braccio per portarsi più avanti. “Austria?” Sbatté con la fronte sullo schienale di un altro seggiolino ribaltato, chinò lo sguardo senza riuscire a vedere nulla, e una spina di paura le si conficcò nel cuore. “Austria, stai bene?”

Austria sollevò il capo sorretto dalla mano che premeva sulla fronte, si strofinò i capelli, e gorgogliò un lamento basso e stizzito. “A meraviglia.” Raggiunse la montatura degli occhiali che gli erano caduti sulla punta del naso e tornò a spingerli alla radice, spostando le ciocche spettinate dalle lenti. Abbassò lo sguardo, tese una mano, tastò il fondo del Panzer nel buio, superò uno dei pedali di manovra che pendevano dall’alto, e raggiunse un braccio. Lo strinse delicatamente e gli diede una piccola scossa. “Stai bene, Italia?”

Italia mugugnò un lamento e diede una scrollata alla testa. “S-sì. Credo.” Tossì, si strofinò la punta del naso, e fuori dal carro ci fu un’altra esplosione che fece vibrare le pareti.

Sia Austria che Ungheria che Romano emisero un sospiro di sollievo. Austria sollevò la fronte, alzò la mano e batté due colpi sul pavimento che era diventato soffitto. Sbuffò. “Forse l’onda d’urto ha ribaltato il Panzer.”

Italia sobbalzò accanto a lui. “Cosa?” esclamò. “Siamo davvero a testa ingiù? Oh, no, siamo in trappola!”

“Aspettate.” Ungheria guardò a destra, a sinistra, scivolò in avanti con i gomiti sbattendo la guancia su qualcosa che scendeva dal soffitto, e sollevò gli occhi verso un piccolo raggio di luce grigia che penetrava da uno spioncino. Un’altra fredda ondata di paura le bagnò la pelle, come un grumo di neve scivolato lungo l’arco della schiena. “Dov’è Prussia?”

Austria irrigidì. Davanti agli occhi ripassò il momento in cui lui gli aveva spinto la testa verso il basso gridando di rimanere bel Panzer, ed era saltato addosso alla sagoma di Australia. Strinse i pugni, un rigetto di rabbia corse attraverso le vene, gli fece vibrare le labbra. “Quell’incosciente è rimasto fuori. Come gli è saltato in mente di compiere un azzardo così sconsiderato?”

Italia si portò le mani davanti alla bocca. “Oh, no, e se fosse ferito?” Trascinò i gomiti e le ginocchia più avanti urtando un braccio di Austria, si rotolò verso uno dei portelli d’uscita e vi picchiò due volte con il pugno. “Dobbiamo uscire a vedere se sta bene.” Grani di neve piovvero dall’orlo attraverso cui filtrava la corona di luce, si sbriciolarono e si sciolsero bagnando la pelle di uno dei sedili.

“Eh, certo,” sbottò Romano. Si girò sul fianco, raccolse le ginocchia al petto e diede due tallonate alla parete. “E come diavolo facciamo a uscire?” Ne diede un’altra più forte. Il rimbombo metallico gli fece vibrare le ossa delle gambe, arrivando fino alle rotule, ma il portello non si mosse.

L’aria nell’abitacolo si infittì, si fece più calda e umida, qualcosa gorgogliò attraverso le pareti, si udì il suono gocciolante di una perdita di liquido che picchietta su una superficie metallica, e un forte odore di benzina impregnò l’ambiente del carro.

Ungheria si mise la mano davanti alla bocca, tappando quell’odore che le fece girare la testa. I rumori esterni divennero più ovattati e lontani, l’odore pungente della benzina le scivolò attraverso le narici e graffiò la gola torcendole lo stomaco in un reflusso di nausea. Nel buio che la circondava, rivide il lampo di incredulità che aveva attraversato lo sguardo di Prussia, la sua voce che aveva balbettato dopo aver abbassato il binocolo, “A-Australia?”, e il suo corpo che sgusciava fuori dalla torretta, che saltava addosso alla sagoma appena emersa dalla nebbia di neve, e che finiva inghiottito dalla bolla di luce e calore che li aveva tutti travolti ribaltando il Panzer con i cingoli all’aria.  

Ungheria deglutì. “Quello...” Sollevò la fronte in cerca di Austria e di Italia, toccati di striscio dal minuscolo raggio di luce grigia. “Quello era davvero Australia? È stato lui a colpirci?”

Italia scosse il capo. “Ma no, non è possibile.” Spostò un gomito più avanti, urtando la spalla di Austria, e il gocciolio attraverso le pareti continuò a produrre quell’eco sottile e metallico, simile al ticchettio di un orologio. La puzza di benzina sempre più forte, umida e calda. “Perché dovrebbe essere qui?”

“Volete dirmi che non sapevate che ci sarebbe stato anche lui?” ribatté Austria.

Romano sbuffò, acido, tornò a rotolare sul fianco riportando le gambe distese a terra, e schiacciò la guancia su un braccio per guardare Austria di traverso. “Se lo avessimo saputo ve lo avremmo detto prima, no? Rincoglionito.”

Italia intervenne prima che potesse farlo Austria. “N-no, noi...” Tornò a strofinarsi la testa, impaurito e smarrito. “Noi pensavamo ci sarebbe stato solo Inghilterra.”

Ungheria si spinse sulle ginocchia, premette le spalle e la nuca al soffitto sentendo lo spuntone di una leva schiacciarle il fianco, e spalancò le mani sulla superficie metallica sopra la testa, come per scoperchiarla. “Io dico che è meglio preoccuparci più tardi di questo dato che,” diede una spinta di spalle e braccia, ma il soffitto non si mosse, “ghn, dato che credo che ci siamo incastrati.”

Romano sgranò gli occhi infossati nel buio, il labbro inferiore cadde spalancato. “Siamo incastrati nel Panzer?”

Il gridolino di Italia gli fece da eco. “Siamo in trappola?” Italia si aggrappò a un braccio di Austria, gli premette la fronte sulla spalla e il suo pianto finì soffocato dalla stoffa della giacca. “Oh, no, ho paura, voglio uscire, Austria, facci uscire! Non voglio stare qua dentro!”

Austria aggrottò un’espressione di rimprovero, nascondendo la preoccupazione che aveva attraversato anche i suoi occhi. “Cerca di calmarti.” Sovrappose una mano a quella di Italia, spostò un ginocchio premuto su una sporgenza che stava iniziando a fargli male alla rotula, sollevò lo sguardo e diede un soffice colpo di nocche contro il portello più vicino. “Se Prussia fosse rimasto fuori potrebbe aiutarci.”

“Sì, ma se fosse ferito?” ribatté Ungheria. “Se fosse svenuto, o...” La peggiore delle ipotesi le trapassò la testa e le aprì un tonfo nello stomaco. Ungheria boccheggiò. “O se si fosse messo a inseguire Australia?”

Italia allentò la stretta dal braccio di Austria e sollevò la fronte dalla sua spalla. “Abbandonandoci qui?” esclamò, incredulo. “No, non lo farebbe mai!”

Romano batté altre due volte i piedi contro la corazza interna del carro. “E cosa te lo fa credere?” grugnì.

“A prescindere da questo,” disse Ungheria, “con o senza di lui...” Anche lei tornò a poggiare il peso sul gomito, spostò lo sguardo attirata da un altro gorgoglio delle tubature del carburante che continuavano a perdere e a gocciolare, schiacciò una mano fra la sua testa e la parete superiore, e tese il muscolo del braccio per far pressione sul palmo e forzare lo sportello. “Dobbiamo uscire da qui,” disse fra i denti. Premette sul soffitto anche l’altra mano, scosse di gelo le penetrarono la carne del palmo mordendole le ossa. Forzò di nuovo, gocce di sudore le rigarono la fronte. Riuscì a spostare un cigolio metallico, grani di neve le piovvero sul naso e fra i capelli, e lo sportello smise di muoversi. Niente da fare.

Un colpo tuonò addosso alla corazza del Panzer, scosse l’abitacolo, il corpo di Romano sobbalzò addosso alla spalla di Ungheria, “Wha!”, Ungheria sbatté la testa su una delle leve, e un raggio di luce più spesso tagliò lo spazio creato dal bordo di uno degli sportelli esterni.

Romano tirò su la testa che aveva riparato sotto il braccio, sbirciò da dietro il gomito, e un sottile pulviscolo di neve attraversò il raggio di luce che affettava in due l’ambiente del Panzer. Gli sfiorò la fronte aggrottata. “Ma cos’è stato?”

Un altro colpo si schiantò sullo sportello, la lamina si incrinò come un foglio di alluminio, allargò i bordi luminosi, aria fredda e dall’odore di neve e carburante riempì l’abitacolo del carro. 

Italia finì soffocato dal suo cuore schizzato in gola. “Ah!” Si gettò contro la spalla di Austria, tremò di paura, e si fece riparare dal suo braccio.

Anche Ungheria tese il suo braccio, si riparò con quello libero, e agguantò la giacca di Romano. “Romano, stai giù, abbassa la testa.”

Romano allacciò le mani dietro la nuca e chinò il viso contro la spalla, rannicchiandosi con le ginocchia premute sulla pancia.

Altri due colpi di seguito sfondarono il portello, staccarono un angolo della lamina che si flesse come un’orecchia di carta, e crearono un rigonfiamento formato dalle increspature nel metallo. Ultimo schianto. Lo sportello saltò via dalla parete, finì scaraventato addosso a uno dei sedili ribaltati, e crollò davanti ad Austria che teneva Italia rannicchiato contro di lui. Il piede di chi aveva sfondato l’apertura allungò la sua ombra all’interno del raggio di luce grigia e sciamante di neve entrato nell’abitacolo del Panzer, si ritirò e tornò a premere lo stivale sul suolo esterno.

Ungheria sollevò il braccio, i capelli sfuggiti all’acconciatura ricaddero davanti agli occhi e frastagliarono l’immagine della sagoma nera comparsa all’interno del foro d’uscita che si era aperto nella corazza del carro.

La sagoma sollevò un braccio e si appese all’orlo superiore, tornò a buttare dentro una gamba, si piegò sul ginocchio, flesse le spalle tremanti mostrandosi come un’ombra in controluce, e allungò la mano verso di loro. L’aspra voce di Prussia rimbombò fra le pareti dell’abitacolo. “Fuori, svelti!” Dietro di lui, un fischio attraversò l’aria e terminò la discesa con un’esplosione che accese una fiammata di fuoco in mezzo alla neve. La ventata di fumo nero gli soffiò contro le spalle, gli scosse i capelli e i vestiti, si schiantò addosso al carro facendolo inclinare leggermente. “Prima che la neve ceda e che inghiotta il Panzer!”

Ungheria sentì una vampata di sollievo alleggerirle il cuore. È vivo. Scosse il capo, e la vampata di sollievo divenne una vampata di bruciante adrenalina. Scivolò di un saltello di lato stando sui gomiti e facendo scendere una gamba da una sporgenza metallica, e premette le mani sulla spalla di Romano. “Romano,” gli diede una piccola spinta e indicò la sagoma di Prussia con il mento, “vai, esci per primo.”

Romano deglutì e annuì, il viso ancora un po’ pallido, gli occhi ancora annebbiati dallo spavento e le pupille ristrette ancora abituate al buio. Si aggrappò a una delle leve, tirò in avanti le ginocchia, strisciò sulla pancia, allungò il braccio appendendosi allo schienale di uno dei sedili ribaltati, e si immerse nel raggio di luce. Restrinse gli occhi per resistere all’abbaglio della luce specchiata sulla neve e porse un braccio a Prussia. Prussia gli acchiappò il polso, tirò le spalle all’indietro facendo stridere i denti per lo sforzo, e lo fece saltare fuori dal Panzer.

Ungheria strisciò in avanti passando per dove Romano si era trainato aiutandosi con le sporgenze, ma si fermò e fece un cenno a Italia. “Ita, vai anche tu.”

Italia annuì, anche se tremava ancora e aveva il viso pallido come quello di Romano. Sgusciò da sotto il braccio di Austria aiutato dalla sua mano che lo guidò verso l’uscita, gli scivolò davanti tenendo la testa bassa per non sbattere la fronte sullo schienale di un sedile capovolto, e anche lui allungò le braccia verso Prussia. Si fece afferrare per un gomito e per una spalla, finendo tirato su di peso.

Ungheria aspettò che l’ombra di Italia svanisse, che il brusio della sua voce già lontana si mescolasse a quella di Romano, “Stai bene? Sei ferito?”, “No, no, sto bene”, e tornò su Austria. “Austria, vai.”

Austria scosse il capo, si tenne indietro, il braccio ancora appeso sopra la testa, e scivolò in disparte. “Vai prima tu.”

Ungheria aprì la bocca per ribattere, ma la voce di Prussia la colse come un’altra esplosione. “Sbrigatevi, voi due.” Non protestò. Gattonò davanti ad Austria, tese le braccia verso la mano di Prussia e si lasciò issare fuori dall’abitacolo, andando incontro all’aria ghiacciata e rimestata dal vento già impregnato dall’odore di esplosivo e del gas delle mitragliatrici.

Austria prese un respiro profondo. Raccolse le gambe sbattendo un ginocchio contro uno spigolo metallico, si tirò avanti con i gomiti appendendo una mano al sedile e l’altra a una leva, e tirò su lo sguardo andando incontro anche lui alla sagoma nera di Prussia, aggrappato al foro dello sportello saltato via, coronato dalla luce bianca della neve e dalla foschia delle esplosioni. Austria aggrottò la fronte, e già sentì un sentimento di rabbia bruciargli attraverso il sangue. Quell’incosciente. Spostò un piede e raddrizzò le gambe tenendo le spalle chine. Tese un braccio restando aggrappato a uno dei pannelli per rimanere in equilibrio, e allungò la mano verso la sagoma di Prussia. “Mi spieghi cosa avevi in mente di fare precipitandoti addosso a lui in quel modo e...” La mano di Prussia spremette la sua e gli strappò un gemito che lo lasciò paralizzato. Era bagnata e calda. Rivoli densi e collosi scivolarono fra le loro dita, discesero il polso di Austria infilandosi nella manica della giacca, gocciolarono a terra, e gli trasmisero una scia di brividi lungo tutto il braccio. L’odore del sangue arrivò come un pugno sul naso, più aspro di quello del carburante rovesciato e più denso e caldo di quello delle esplosioni.

Prussia diede uno strattone al braccio di Austria, scivolò indietro staccando la mano che lo sorreggeva all’orlo superiore dello sportello scoperchiato, e lanciò il suo corpo fuori dalla carcassa ribaltata del Panzer IV. Austria ruzzolò con i piedi nella neve, perse l’equilibrio e finì fra due forti braccia che gli avvolsero il busto e lo sostennero contro il suo petto che serbava un dolce e familiare profumo di fiori del giardino.

“Austria, stai bene?” esclamò Ungheria, tastandogli le spalle. “Sei ferito?”

Le esplosioni che si schiantavano sul campo di battaglia si fecero più forti e vicine, raffiche di mitragliate si unirono ai rombi dei carri che macinavano terreno frantumando neve e ghiaccio sotto i cingoli, alle cannonate che scuotevano le nuvole e che trafiggevano le montagne, gonfiando slavine ruggenti che rotolavano fino alla valle.

Austria fece un passo indietro, sollevandosi dalle braccia di Ungheria. Si strinse una mano sulla fronte e si strofinò i capelli, scosse il capo riprendendosi dall’improvviso sciame di luce bianca che era esploso davanti agli occhi abituati alla penombra del carro.

Passi affrettati gli corsero vicino frantumando impronte di neve al suolo. Li accompagnava la voce di Italia. “Austria, Austria, sei salvo, meno male!”

Austria fece un altro passetto all’indietro schivando il suo abbraccio, finì con un piede affondato nella neve fino alla caviglia, diede un’altra scrollata alla testa per sciogliere l’anello di vertigini che gli ronzavano nelle orecchie, e si sistemò gli occhiali alla radice del naso. “Sto bene,” soffiò con un sospiro. “Ma...” Qualcosa di viscido percorse il profilo delle dita, raggiunse i polpastrelli e gocciolò a terra. Austria si sentì morso da un brivido gelato. Lo stesso che lo aveva colto quando aveva afferrato la stretta di Prussia.

Sollevò la mano e aprì il palmo davanti allo sguardo. Il cuore smise di battere, un conato di nausea gli strozzò la bocca dello stomaco, in viso si sentì diventare più bianco della neve che gli vorticava attorno. Uno strato di sangue fresco e lucido gli laccava la pelle, due rivoletti scivolarono nello spazio fra l’indice e il medio e piovvero a terra. Nella neve, le perle di sangue gocciolato erano fiorite in macchie scarlatte che risaltavano sul manto bianco come piccoli papaveri appena sbocciati.

La voce di Prussia, calma ma ruvida come al solito e affaticata dal respiro pesante, fece esplodere la bolla di panico che aveva stritolato Austria al suo interno. “Ci siete tutti?”

Austria si girò di scatto verso di lui.

Prussia era chino, una spalla premuta contro un cingolo del carro ribaltato all’aria, una gamba incrociata all’altra, la mano aggrappata al braccio, e la testa piegata in mezzo alle spalle. Il respiro pesante gli scuoteva la schiena, faceva vacillare le ginocchia flesse, gonfiava spesse nuvole di fiato che gli nascondevano il viso rivolto al suolo. Attorno ai suoi piedi la neve si stava sciogliendo, liquefatta dalla chiazza di sangue alimentata dalle ferite che gli avevano divorato la parte sinistra del corpo. Sul fianco, i vestiti si erano carbonizzati, rimasti incollati alla pelle annerita e tremante che buttava fiumi di sangue dal torso e lungo la gamba che Prussia non riusciva ad appoggiare a terra. La mano sana reggeva il braccio ciondolante, pregno di sangue e che gocciolava attraverso le dita, come se si stesse sciogliendo. I capelli tinti di un forte color mattone lacrimavano getti di sangue sul viso chino, creando una lucida maschera rossa attorno alla ferita che gli attraversava la guancia, sfiorava le labbra socchiuse e ansimanti, e risaliva affianco all’occhio, dall’angolo delle palpebre fino alla fronte.

Austria sentì una forte pressione al petto, e si accorse solo in quel momento di aver trattenuto il respiro. Soffiò una nube di condensa, sciolse la pressione che pesava sui polmoni. Rilassò i muscoli delle spalle e distese i pugni. “Sei...” Sollevò gli occhi, gli cercò lo sguardo. “Sei ferito.”

Italia sgranò gli occhi, il suo viso divenne una maschera di terrore, e sovrappose le mani davanti alla bocca per contenere un gridolino. “Oh, no.”

Anche Romano sentì lo stomaco stringersi. Arretrò di un passo senza riuscire a staccare gli occhi dalla ferita al fianco di Prussia che pareva una morsicata da zampe di fuoco, dal suo viso nascosto dalla maschera di sangue, e dai capelli diventati scarlatti come i suoi occhi. Deglutì. Sotto la pelle sentì scivolare lo stesso brivido di terrore che lo aveva aggredito quando lo aveva visto estrapolarsi il proiettile dalla spalla con un affondo di pugnale nel muscolo. 

Prussia scivolò di un passo all’indietro, spostò la mano reggendosi a una rientranza del Panzer ribaltato e lasciò un’impronta rossa sulla corazza. Gettò il capo all’indietro prendendo un profondo respiro che si gonfiò in una bolla di fiato umido e denso, e si passò la mano fra i capelli color mattone. Strizzò la mano fra le ciocche gocciolanti e le scostò dalla ferita che scendeva dalla faccia fino alla spalla, fin dentro la giacca carbonizzata, scrollò il sangue dalle dita e sventolò un gesto di indifferenza. “Non è niente.” Piegò un passo di lato, zoppicò torcendo la spalla, si strinse il fianco bruciato sopprimendo un ringhio, e rimase con la schiena ingobbita e premuta contro il fianco del Panzer.

Ungheria schiacciò i pugni sui fianchi. Una fiammata d’ira divorò la paura che le aveva inghiottito il cuore alla vista delle ferite. “Stupido!” Un’esplosione tuonò alle sue spalle: il ruggito della sua rabbia. Ungheria gli fu addosso e gli strinse un lembo della giacca ancora intero, lo strattonò verso di lei. “Cosa ti è saltato in testa?” sbraitò. “Buttarti addosso all’esplosione di una bomba anticarro! Chi ti credi di essere?”

Prussia gracchiò una risata inasprita dal sapore del sangue che gli stava scivolando in bocca, le prese il polso e si staccò la sua mano di dosso, scivolando all’indietro. “Quello che è sopravvissuto all’esplosione di una bomba anticarro e che ha ancora tutti i pezzi al posto giusto. Ecco chi mi credo di essere.” Si staccò dal Panzer, incrociò un passo di lato tenendo flessa la gamba investita dall’esplosione, e aprì le mani davanti al viso. Le braccia tremavano, graffi di carne viva e bianca luccicavano sulla pelle annerita e gocciolante di sangue a cui si era fuso il tessuto carbonizzato dell’uniforme. Il suo corpo emanava un odore di carne cotta, di stoffa bruciata, e di sangue appena sgorgato. Prussia rise di nuovo, e quel gonfio sentimento di orgoglio e arroganza inghiottì il dolore che pulsava attraverso ogni centimetro del corpo. “Merda, sono così forte da farmi paura da solo.” Soffiò un altro sospiro liberatorio, si passò la manica ancora intera sul viso, raschiò via uno strato colloso di sangue, e tenne le dita posate sulla guancia. Si girò mostrandola a Ungheria. “L’occhio sanguina?” Sbatté le palpebre davanti al bulbo oculare diventato rosso e lucido come se l’iride si fosse dilatata sul bianco.

Ungheria esitò. “Co-come?”

“L’occhio,” Prussia batté le dita sotto la palpebra inferiore, “guardami l’occhio, devo sapere se mi ha colpito l’occhio o se mi è entrata qualche scheggia.”

Ungheria irrigidì le mani, raccolse un nodo di coraggio nel petto, e si avvicinò di un passo. Gli accostò le dita al viso, spostò due ciocche di capelli tenute incollate dal sangue e per sbaglio gli sfiorò la ferita aperta che gli aveva mangiato la pelle accanto all’angolo delle palpebre. Prussia fece una smorfia, Ungheria si morse il labbro. “Scusa.” Accigliò lo sguardo e scrutò fra le palpebre di Prussia. L’occhio era intero. Il sangue che lo imbeveva era quello gocciolato dai capelli e scivolato fra le ciglia. Ungheria scosse il capo e gli tolse le dita dal viso. “È intero. È solo la faccia che...”

Prussia annuì senza lasciarle finire la frase. “Ottimo.” Si passò la manica sulla bocca e sotto il naso, rimase con il braccio accostato al viso, gettò lo sguardo verso l’alto, addosso alla parete della montagna, e il sangue nei suoi occhi si infiammò, la fronte aggrottata gettò un intreccio di ombre che rabbuiarono il volto, rendendolo più feroce. “Allora me la paga subito.” Un’ennesima cannonata ribaltò una zaffata di vento che gli arrivò in faccia, illuminandogli le guance e la fronte insanguinata, e gli agitò i capelli dietro le orecchie.

Austria scosse il capo, posò una mano sulla spalla di Ungheria per mettersi fra loro due, e lo fronteggiò a viso alto e austero. “Prussia, ma sei impazzito? Non puoi combattere in queste condizioni, sei...”

“Io potrei combattere anche con un palo conficcato nello stomaco.” Prussia si massaggiò la spalla nei punti dove non c’era carne viva a pulsare sotto gli sgorghi di sangue, e rivolse lo sguardo alle esplosioni che avevano gonfiato una nuvola grigia fra le ombre dei Panzer che proseguivano l’avanzata. “E poi devo buttarmi a inseguirlo subito, prima che si metta al riparo o che la neve lo nasconda. Se è stupido come credo, allora mi porterà fino a Inghilterra.”

Romano sbarrò gli occhi. Fino a Inghilterra. Strinse i pugni, rabbia e risentimento ribollirono nel sangue, i denti morsicarono il labbro e la bocca tremò. Ha intenzione di tornare ad affrontarlo, allora.

“Un momento,” intervenne Ungheria, “e noi cosa facciamo, allora?”

Prussia scosse le spalle. “Cambiate carro, prendete un Panzer II, continuate l’avanzata con lo schema che abbiamo prestabilito.” Sollevò il braccio sano e tese l’indice comunque sporco di sangue verso il cielo ovattato dalle nubi di gas e di neve abbagliate dalle mitragliate. “Mirate alle pareti delle montagne, a costo di far precipitare una valanga dietro di voi. Dobbiamo far fuori i mitraglieri.”

Austria tenne la fronte aggrottata, annodò le braccia al petto, sguardo intransigente. “E tu cosa credi di fare?”

Prussia sbuffò, tirò su un ghigno sfrontato che era una mezzaluna bianca nella maschera di sangue, e si allargò il bavero della giacca. “Vado a prendermi la rivincita.”

“Fermo!”

Tutti si girarono verso Romano.

Romano si strinse nelle spalle, si strofinò un braccio, allontanò lo sguardo corrugato in un’espressione di tensione e imbarazzo, e le labbra sbiancate dal freddo balbettarono. “Vengo...” Prese un respiro profondo, i suoi occhi si animarono della stessa luce combattiva che aveva infiammato quelli di Prussia. “Vengo con te.”

Italia rimase a bocca aperta, lo sguardo incredulo. “Romano.”

Prussia rinnovò il ghigno, e nei suoi occhi brillò un barlume d’intesa. “Puoi scommetterci che tu vieni con me.” Si rivolse anche agli altri e si premette due dita sul petto. “Riformiamo le squadre: io e Romano andiamo a farci un giro nella terra dei canguri.” Rivolse gli indici agli altri tre. “Austria, Ungheria e Ita invece restano qui e mandano avanti i Panzer. Ungheria diventa capo carro fino al mio ritorno.”

Ungheria sobbalzò per la sorpresa e le luccicarono gli occhi, le pupille assunsero la forma di stelline roteanti che spruzzarono scintille di gioia attorno al suo sguardo arrossito per l’emozione.

Italia si mise fra Prussia e Romano. “Aspettate.” Strinse la manica di Prussia fra pollice e indice, senza toccargli le ferite, e lo trattenne vicino a sé. “Voglio venire anch’io, non voglio lasciare solo Romano. Ti prego.”

Prussia scosse la testa. “Negativo,” rispose. “L’azione più importante è qua, nella divisione corazzata, e servono tutti gli uomini possibili.” Si sporse e allacciò il braccio attorno a Romano, gli diede un pugnetto sulla spalla e mostrò a Italia un sorriso d’intesa. “Sta’ tranquillo, penso io al fratellone.”

Romano ringhiò e si strappò via dal suo braccio. “Non toccarmi, stronzo.”

Prussia lo ignorò e si scrollò dell’altro sangue dalle mani e dai capelli. “Muoviamoci.” Rivolse di nuovo lo sguardo alla montagna, la guardò con fitti occhi carichi di sfida. “Il nemico è raddoppiato, anzi, forse triplicato, e io e Romano dobbiamo armarci per affrontarlo faccia a faccia.” Allargò le gambe senza premere troppo su quella ferita – il ginocchio leggermente flesso e il peso spostato sulla punta del piede – e si cinse i fianchi. “Avete un solo ordine, soldati.” Gli scagliò l’indice addosso. “Nessuna pietà.” E un’altra cannonata esplose alle sue spalle, gonfiò una bolla di fuoco e fumo che incorniciò la sua sagoma mezza distrutta ma ancora in piedi, forte come la corazza di un Panzer.

   
 
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