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Autore: edoardo811    11/07/2017    2 recensioni
Quello che sembrava un tranquillo viaggio di ritorno alla propria terra natale si trasformerà in un autentico inferno per i Titans e i loro nuovi acquisti.
Dopo la distruzione del Parco Marktar scopriranno ben presto che non a tutti le loro scorribande nello spazio sono andate giù.
Tra sorprese belle e brutte, litigi, soggiorni poco gradevoli su pianeti per loro inospitali e l’entrata in scena di un nuovo terribile nemico e la sua armata di sgherri, scopriranno presto che tutti i problemi incontrati precedentemente non sono altro che la punta dell’iceberg in un oceano di criminalità e violenza.
Caldamente consigliata la lettura di Hearts of Stars prima di questa.
[RobStar/RedFire/RaeTerra] YURI
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Good Left Undone

III

MOMENTI DI INTIMITÀ

 

 

Ed eccomi qui, pensò Amalia, con ancora lo sguardo perso nel vuoto, continuando ad accarezzarsi la pancia, gesto completamente inutile del quale non riusciva però a fare a meno. Non le sembrava ancora vero che, dopo sole tre settimane, avesse già scoperto di essere incinta. I successivi nove mesi si preannunciavano per lei lunghi e difficili. X era con lei, e dopo che Robin aveva detto che forse avrebbe potuto perdonarla si era sentita molto meglio, ma la paura di crescere un bambino era comunque alta. Poteva avere tutti gli aiuti che voleva, X poteva essere la persona migliore che avrebbe mai potuto avere al suo fianco, ma sapeva che in ogni caso la madre biologica era lei, lei era quella che aveva le maggiori responsabilità sul suo futuro figlio, era lei a cui spettavano i sacrifici più grandi. Lei lo avrebbe allattato, gli avrebbe cambiato i pannolini, lo avrebbe vestito e lavato. Ed era poco più che una ragazzina, molto, molto immatura, sotto certi punti di vista.

Aveva paura. E ne avrebbe avuta per ancora molto tempo.

Robin pareva quasi un fantasma, nella stanza insieme a lei. A malapena udiva il suono del suo respiro. Il ragazzo la guardava in silenzio, studiandola, probabilmente provando pena per lei. Amalia si sentì un animale ferito, patetica, fuori luogo. Forse avrebbe fatto meglio a tornarsene a letto e soffocare nei suoi pensieri bui, terminando quel momento tremendamente imbarazzante.

«X come l’ha presa?» domandò Robin all’improvviso, facendola sussultare. «Sembrava tranquillo, ma scommetto che in realtà era altrettanto spaventato...»

«Beh...» La tamaraniana si voltò, mesta. «Diciamo che l’ha presa meglio di me. E... se non ci fosse stato lui... probabilmente non avrei più trovato il coraggio di uscire dal buco in cui mi sono andata a nascondere.»

«Capisco.»

Amalia giocherellò nervosa con una ciocca di capelli, non sapendo cos’altro aggiungere. Tra i due scese nuovamente il silenzio.

«Gli... gli altri Titans... mi perdoneranno?» domandò la ragazza, poco dopo. Sperava che saperlo l’avrebbe aiutata a tranquillizzarsi ulteriormente.

«Beh... non posso dirlo con certezza, ma credo che, ora come ora, tu abbia dalla tua parte Stella, Corvina e Terra. BB e Cyborg non si sono ancora espressi, mentre la mia posizione già la sai» rispose Robin sorridendole. «Le signore sono a tuo favore, praticamente. Eccetto me ed X, ma lui non può nemmeno essere considerato un Titan. Per farla breve, sono più quelli che ti hanno perdonata che gli altri, puoi stare tranquilla.»

Questa volta, Amalia non poté trattenere un respiro di sollievo. Doveva ringraziare Corvina e Terra, quando sia lei che loro avrebbero avuto il tempo. Sì, perché quelle due di tempo non dovevano averne molto, visto che restavano sempre incollate l’una alla bocca dell’altra. Le venne quasi da ridere, a ripensarci, ma si controllò, per via della presenza di Robin.

Ormai era sicura al cento percento, nessuno sapeva, a parte lei, che la fredda e dura maga e la biondina esuberante avessero una storiellina romantica. Chissà cosa stavano combinando, in quello stesso momento. Era pronta a scommettere che non stavano dormendo...

 

***

 

«Terra... ti prego, sono stanca...»

Corvina cercava di lottare, ma era tutto inutile. Nulla al mondo sarebbe riuscito a saziare l’appetito di Terra, se non il corpo della maga stessa.

«Scusami Corvy, ma proprio non posso trattenermi...» bisbigliò la bionda maliziosa, sdraiata sopra di lei, nello stesso letto.

Corvina sembrava quasi spaventata, in quel momento, ma Terra non poteva biasimarla. Si trovavano nel dormitorio e non in un luogo appartato, dopotutto. Ma il desiderio era troppo, irrefrenabile. La bionda voleva Corvy, la desiderava. Nelle ultime ore non si era fatto altro che parlare di Red X e Amalia, quando lei non voleva altro che potersene stare un po’ da sola con la sua amata. E quello era il momento ideale. Affondò le labbra sopra quelle della maga, percorrendo con le mani il suo corpo vellutato, strofinandole i fianchi, la schiena, i glutei, le cosce e qualsiasi cosa trovassero sul loro tragitto.

«Potrebbero sentirci!» Quasi la implorò, Corvina, quando Terra le riconcesse il dono della parola separando le labbra da lei.

«Amalia è uscita, e sai meglio di me che Stella non si sveglia neanche con le cannonate» le fece notare con tono calmo la bionda, avvicinando una mano al petto di Corvina e stringendole uno dei floridi seni, avvertendo qualcosa esplodere dentro di lei. Forse il suo stesso cuore, per via di ciò che il petto della maga le trasmetteva.

Corvina gemette più forte quando Terra affondò le dita nelle sue carni, tappandosi immediatamente la bocca con la mano.

Guardandola mentre si comportava in quel modo, Terra si innamorò di lei una seconda volta. Era così bella, sensibile, timida... il cuore della bionda si scaldava ogni volta che la guardava. Ogni volta che incrociava i suoi occhi sentiva le gambe sciogliersi. Corvina era stupenda, era praticamente una dea. Ed era sua. Tutta sua. Da quando entrambe si erano dichiarate, niente e nessuno avrebbe mai potuto portargliela via. Si amavano, l’una poteva vivere solo se c’era l’altra. Avevano caratteri diversi, contrastanti, ma era proprio quello ciò che rendeva così bello il loro rapporto. Le loro anime erano come due puzzle frammentati. Terra era curiosa, spiritosa, avventata, audace. Corvina era calma, riflessiva, titubante. Da sole erano incomplete. Insieme, i pezzi dei loro puzzle si mescolavano tra loro, trovando il giusto posto per ciascuno di essi. E il puzzle si completava, rivelando un disegno magnifico. Quando erano solo loro due, erano complete, erano felici, avevano tutto ciò che potevano desiderare. Erano vive.

In quello stesso momento, seppur Corvina stesse negando con convinzione pure a sé stessa, Terra sapeva che in realtà voleva andare avanti. La maga viveva sempre senza correre rischi, nella calma e nella quiete. Era giusto che qualcuno, ogni tanto, si intromettesse in tutto ciò. Corvina aveva bisogno di provare dei brividi, correre sul filo del rasoio, aveva bisogno di un tornado che le scombussolasse la vita. E quel tornado era Terra.

«E se... se Amalia entra di nuovo?» domandò di nuovo la maga fissandola con i suoi enormi occhi viola la ragazza. Terra sorrise e le accarezzò una guancia. Quanto adorava Corvina quando era lei a fare le domande. In genere era la maga ad avere sempre la risposta a tutto, ad ogni evenienza, perciò, le volte in cui era lei a doverle spiegare qualcosa, la bionda si sentiva come se avesse vinto le olimpiadi. 

«Amalia sa già che tra noi c’è qualcosa, al massimo, se ci vede, glielo ricorderemo e basta.»

«Sì, ma se ci vede mentre... insomma...» Corvina arrossì vistosamente e non concluse la frase, ma era ben chiaro dove stesse andando a parare.

La bionda sorrise maliziosa. Però, Corvy pensava in lungo!

«Le chiediamo se vuole fare una cosa a tre» rispose ammiccando.

«Cosa?!» La voce di Corvina si alzò di un’ottava, se Stella non avesse avuto il sonno di ferro, si sarebbe sicuramente svegliata.

Terra ricevette un’occhiata talmente stranita che dovette trattenersi con tutta sé stessa per non scoppiare a ridere e mantenere un’espressione più seria possibile. «Mh, hai ragione... non credo che tradirebbe X, con un figlio in grembo, tra l’altro. Peccato però, è un bel bocconcino... come Stella.»

«Terra!» Corvina si mise a sedere, rivolgendole un’occhiata furente, che forse aveva lo scopo di impaurire l’interlocutrice, ma che ebbe il risultato opposto. La bionda ridacchiò e avvolse le braccia intorno al collo della maga, per poi appiopparle un altro bacio, dal quale Corvina, volente o nolente, non poté ritrarsi.

«Scherzavo» disse Terra staccandosi appena da lei, questa volta in maniera sincera, per poi percorrerle con le dita il suo petto, raggiungere il volto e concludere dandole un buffetto sul naso. «Non fare la gelosa, lo sai che per me esisti solo tu...»

«Gelosa? Io? Hai preso un granchio, carina...» sbottò Corvina distogliendo lo sguardo da lei. Le guancie imporporate, tuttavia, la colsero in flagrante.

Terra rise di nuovo e si fiondò su di lei, facendola di nuovo sdraiare sul materasso. Anche la maga, a volte, sapeva essere divertente. A modo suo, ovviamente. Terra cominciò a divorarla di baci, letteralmente. Corvina era restia a lasciarsi trascinare, in un primo momento, ma poi dovette intuire che la bionda non si sarebbe mai fermata. A quel punto, forse rassegnata, o forse anche lei in preda alla lussuria, la maga cominciò a ricambiare la danza delle loro lingue.

Le guancie di Terra furono divorate dalle fiamme. I baci con Corvy erano la cosa migliore che potesse esistere. Le sue labbra erano morbide, delicate, avevano un loro sapore, un loro odore, qualcosa di unico nel suo genere. Non avrebbe mai potuto averne abbastanza, di loro.

Con i palmi delle mani cominciò a scendere lungo i suoi fianchi, per poi soffermarsi sui glutei e stringerli con avidità. La maga ansimò separandosi appena da lei, per poi avvolgerle le mani intorno alla testa e trascinarla nuovamente a sé. Allargò le gambe e le avvolse intorno a quelle di Terra, quasi come una morsa. La bionda, improvvisamente, cominciò ad avere dei dubbi su chi controllava la partita, ma di certo non si fermò.

Si baciarono a lungo, accarezzandosi, massaggiandosi, stringendosi talmente forte tra loro che i loro petti si spremettero l’uno contro l’altro, ed entrambe avvertirono le punte dei seni farsi turgide.

La bionda abbandonò di colpo le labbra della maga, per poi abbassarle il lungo colletto del body e avventarsi sul suo collo come un vampiro. Corvina soffocò un grido all’ultimo momento e piegò la testa di lato, per lasciare più spazio a Terra. Le sue mani percorrevano frenetiche la schiena della bionda, facendola rabbrividire.

«Terra... Terra... agh...» Cominciò ad ansimare, ad emettere respiri talmente forti da sembrare grida, il tutto mentre le sue dita si insinuavano sotto la maglietta di Terra, strofinandole la pelle calda. «Ti amo Terra... ti amo...»

«Anch’io Corvy...» rispose Terra separando appena la bocca dal collo candido della maga, per poi attaccarlo di nuovo e con più insistenza. Avvertiva le dita di Corvina avvicinarsi al gancio del suo reggiseno, un altro brivido la percorse e le sue guancie si incendiarono ulteriormente. Nulla sembrava poterle più fermare ormai. Volevano andare avanti, volevano ben più che dei semplici baci. Neanche un uragano avrebbe potuto spegnere l’incendio alimentato dalla passione delle due ragazze.

O, almeno, Terra era convinta che fosse così. Finché non udì un forte sospiro. A quel punto si irrigidì di colpo, diventando di granito. Lo stesso fece Corvina, pure le sue mani si fermarono all’improvviso, da sotto la sua maglietta.

Entrambe diventarono due statue, trattennero perfino il respiro. Qualcuno aveva sospirato, ed entrambe erano certe che non fosse nessuna di loro due.

Terra girò lentamente la testa, inorridendo al pensiero che quel qualcuno le avesse viste. Non tanto perché non voleva che ciò accadesse, anzi, le sarebbe piaciuto moltissimo poter vivere quella relazione con Corvina senza nascondersi. Più che altro temeva che la stessa maga l’avrebbe uccisa, per non averla ascoltata mentre la metteva in guardia sui rischi che correvano a sbaciucchiarsi su quel materasso.

Si sentì morire quando vide la figura longilinea di Stella mettersi a sedere sul bordo del proprio letto, stiracchiandosi e sbadigliando.  Per fortuna, la tamaraniana dava loro le spalle e si trovava nel letto vicino all’ingresso del dormitorio, al capo opposto rispetto a quello in cui si trovavano le altre due ragazze. Ma le sarebbe bastato ruotare il collo di novanta gradi per vederle.

Corvina e Terra rimasero immobili, senza respirare, con gli occhi incollati alla compagna, attente perfino a non battere le palpebre per paura di far rumore e pregando qualsiasi entità conoscessero affinché la tamaraniana non si girasse.

Non accadde. Stella si alzò dal letto, offuscò un altro sonoro sbadiglio portandosi una mano davanti alla bocca e si incamminò verso la porta. Questa si aprì automaticamente, scorrendo di lato, e si richiuse non appena la rossa fu fuori dalla stanza.

Passarono diversi secondi, prima che le due ragazze riprendessero a respirare. Terra sorrise di sollievo, scuotendo la testa per scacciare la tensione e si voltò verso la maga, credendo di trovare un’espressione sollevata anche sul suo volto. Ma non appena incrociò i suoi occhi furenti, diventò bianca come il latte.

Da quello sguardo che avrebbe incenerito ogni cosa, intuì subito che la maga provava tutt’altro che sollievo e che una bella strigliata per non aver ascoltato i suoi ragguagli non gliel’avrebbe levata nessuno.

Oh oh...

 

***

 

Stella attraversò il corridoio, stiracchiandosi, in parte ancora assonnata, ma pur sempre vigile e attenta. Non sarebbe certo stata un po’ di stanchezza, ad impedirle di fare ciò che aveva in mente. Al pensiero, un gigantesco sorriso le dipinse il volto, anche se, prima, doveva accertarsi di dove si trovasse chi stava cercando.

Diversi pensieri fiorirono nella sua mente, mentre camminava. A spiccare tra tutti questi, la notizia di sua sorella incinta.

Beh, dire che era al settimo cielo per lei era un eufemismo. Sapeva che in realtà Kom era terrorizzata all’idea di partorire, sapeva che la sorella maggiore probabilmente non avrebbe mai voluto una simile cosa, ma sapeva anche che presto si sarebbe ricreduta. Non appena avrebbe cominciato a vivere le gioie che solo una madre può vivere, avrebbe capito che in realtà quel bambino era molto più di quanto avrebbe mai potuto credere.

Certo, Stella non poteva veramente essere a conoscenza di cosa provasse una madre verso il proprio figlio, ma era certa che ad Amalia sarebbe piaciuto. Aveva visto centinaia di madri felici di poter abbracciare la propria prole, con gli anni trascorsi a badare a Jump City, e anche con quelli trascorsi su Tamaran. Era solo una bambina all’epoca, ma non avrebbe mai potuto dimenticare tutti quei volti sorridenti. E sapeva che un giorno Amalia sarebbe stata tra questi. Se lo sentiva dentro, come un presentimento che sapeva al cento percento si sarebbe rivelato veritiero.

Certo, per una razza rigida come i tamaraniani attenderne uno prima del matrimonio era un’eresia bella e buona, perché significava aver avuto un rapporto sessuale prematuro, ma Kori dubitava che quelle regole fossero ancora in vigore per lei e la sorella. Inoltre Amalia non era mai stata una santerellin . Ma Stella non la giudicava di certo per quello, certo che no. Kom poteva fare quello che voleva. Anzi, sotto certi aspetti, Kori ammirava perfino il modo in cui sua sorella se ne era infischiata delle tradizioni ferree della loro gente, facendo l’amore con Red X prima della loro unione legittima. Doveva avere un bel coraggio. E non solo perché aveva infranto le tradizioni, ma anche perché il rapporto carnale era qualcosa che spesso e volentieri mandava in crisi Stella. Ogni volta che aveva sentito allusioni a riguardo, da quei pazzoidi di Cyborg e BB in particolare, le sue guancie erano andate in fiamme. Forse dire che aveva paura di quel genere di cose era un po’ eccessivo, ma non era nemmeno lontano dalla realtà. Per lei baciarsi era una cosa normale, baciarsi significava amore. Dormire nuda con un’altra persona, invece, per quanto bello avrebbe mai potuto essere... la inquietava. Per questo era sorpresa dal comportamento di Amalia, lei non aveva avuto paura o altro, a differenza di sua sorella minore che quando aveva trovato una rivista dal dubbio gusto appartenuta a BB per poco non le era venuto un infarto. 

Presa in questi pensieri com’era, non si rese nemmeno conto di essere arrivata alla fine del corridoio, in prossimità della sala comandi. Mosse i primi passi dentro di essa ed ebbe un tuffo al cuore quando notò le due figure prese a parlare. Una era Amalia, l’aveva riconosciuta all’istante, l’altra... Robin.

Sentì le gambe divenire burro quando lo vide. Era lì, proprio dove aveva sperato di poterlo trovare. Poco prima, dopo essere uscita dal dormitorio delle ragazze, era andata in quello dei ragazzi. Aveva appena messo la testa dentro la stanza, per cercare il suo leader, per poi, non notandolo, uscire all’istante, con gli occhi che quasi lacrimavano per via dei... forti odori che alleggiavano lì dentro. Come facessero i ragazzi a vivere in quelle condizioni, era un mistero. Forse era per quello che Robin era uscito. D’intuito, era andata in sala comandi, sperando che lui si trovasse lì e non a zonzo per la nave, anche perché se si fosse messa cercarlo tra quei corridoi che nemmeno conosceva, probabilmente si sarebbe persa. Beh, le era andata bene. Lo aveva trovato.

Non appena fu abbastanza vicina, Robin e Amalia si accorsero si lei, si voltarono e le sorrisero, salutandola.

«Che succede qui?» domandò lei sorridendo e avvicinandosi ulteriormente.

«Niente di che, parlavamo di quella cosa» spiegò Robin.

Stella afferrò al volo e non ebbe bisogno di altre spiegazioni.

«Tu invece, perché sei qui?»

«Non riuscivo a dormire...»  mentì la tamaraniana, incrociando i suoi occhi privi di maschera. Non aveva ancora capito dove e come, ma l’aveva persa da qualche parte sul Parco Marktar. E a Stella andava benissimo così. Era davvero... naturale, con quelle iridi azzurre libere di essere viste da tutto e tutti. Ricordava alla tamaraniana che, in fondo, Robin era esattamente un ragazzo come tanti e non solo il leader di un gruppo di supereroi che aveva come unico obiettivo quello di catturare i criminali.

Rare volte aveva visto quegli zaffiri che aveva come occhi, e in ciascuna di esse ciò era accaduto per pochi istanti, non aveva mai potuto godersi appieno la visione di quelle iridi brillanti. In quel momento, invece, sentiva il cuore battere tutte le volte che le incrociava anche solo di sfuggita. Non sentì nemmeno la risposta di Robin, talmente era occupata ad osservarlo. A dire la verità, non fu nemmeno certa di averne avuta una.

Amalia osservò la scena in silenzio, poi sorrise e si congedò. «Vi lascio soli.»

Questa volta Stella la sentì e si girò verso di lei, trattenendola con un gesto della mano. «No, no, resta pure se vuoi.» Non voleva che sua sorella si sentisse obbligata ad uscire, anche se, si sentiva in colpa ad ammetterlo, avrebbe preferito che lo facesse.

Ma Kom allargò il sorriso e scosse la testa. «Sei gentile, ma no. Ho bisogno di dormire un po’, sono stanchissima. Ci vediamo più tardi. E comunque...» Si avvicinò a lei e le sussurrò maliziosa. «... non mi va di fare la terza incomoda.» Le strizzò l’occhio e si diresse verso l’uscita, per poi svanire nel corridoio.

Stella la seguì con lo sguardo, mentre un tenue sorriso le appariva in volto. Sì, ammirava Komand’r.

«E così...» Stella si girò lentamente verso di Robin, sorridendo melliflua e avvicinandosi a lui. «... siamo soli.»

«Non era quello che volevi?» domandò il ragazzo scoccandole un’occhiata eloquente.

La tamaraniana ridacchiò e lo raggiunse, per poi avvolgergli il collo con le proprie braccia e sussurrare: «Sì.»

Unì le labbra a quelle di Robin e il resto fu storia. Sentì le guancie andare a fuoco, le gambe tremare, la pelle d’oca e brividi d’eccitazione che la percorrevano lungo tutto il corpo. Quello era il momento che tanto sognava da anni, ormai. Da quando aveva conosciuto Robin la prima volta, anzi, da prima ancora, quando era bambina e tanto sognava il principe azzurro.

Era dal giorno che aveva baciato il leader dei Titans per imparare le lingue terrestri con il contatto labiale, che desiderava poterlo assaporare di nuovo. Sul Parco Marktar il bacio era stato senza dubbio sensazionale, ma purtroppo breve e sotto gli occhi di tutti. Lei desiderava un momento un po’ più... intimo, con il suo amato. E quello era il momento che cercava.

Si strinse al corpo caldo e definito di Robin, pervasa dal senso di sicurezza e protezione che solo il suo leader sapeva donarle. Il ragazzo le circondò i fianchi con le mani, ricambiando la lussuriosa danza delle lingue, infondendo a Stella un tepore magico e unico nel suo genere.

Amò quel ragazzo più di quanto non avesse mai fatto, in quel momento. I loro respiri pesanti e mugugni di soddisfazione andarono a riempire l’aria, mescolandosi tra loro in una sinfonia che era una grazia per le orecchie. Il fiato caldo di Robin soffiava contro il volto della ragazza, facendola fremere ogni volta.

Ad un certo punto il moro non riuscì più a contenere quell’impeto di passione che Stella aveva avuto e fu costretto ad indietreggiare. Allungò una mano dietro di sé, tastando il vuoto in un primo momento, quasi freneticamente, per poi trovare ciò che cercava. Le dita si richiusero intorno ai bracciali della poltrona davanti alla consolle e tirò, girando la seggiola. A quel punto indietreggiò, portando Stella con sé e senza separare le labbra da lei, poi vi si sedette sopra, afferrando la ragazza intorno alla scapole.

La tamaraniana intuì i movimenti che Robin stava compiendo e li assecondò, per poi ritrovarsi seduta a cavalcioni su di lui, sopra la poltrona, il tutto senza mai staccarsi dalle sue labbra. A causa della posizione, Robin fu costretto ad inarcare la testa all’indietro per riuscire a baciarla. Non che gli dispiacesse.

Non poté trattenere pensieri ben più audaci che semplici baci, trovatosi seduto con la ragazza sulle sue gambe in quel modo. E se ne sentì quasi in colpa. Stella era buona, dolce, gentile... innocente. Non sembrava quasi giusto che una ragazza pura come lei fosse al centro di simili pensieri. Ma nonostante ciò, nonostante queste considerazioni, Robin era pur sempre un essere umano. Anzi, peggio, era un adolescente in piena tempesta ormonale. E Stella era una ragazza mozzafiato, bellissima, magnifica come una corrente d’aria fresca in piena estate e più focosa del sole stesso. Il profumo della sua pelle, poi, inebriante, talmente forte da far girare la testa, peggio di una droga. Probabilmente quella fu l’erezione più prorompente che gli fosse mai venuta. Supplicò con la mente che Stella non la notasse.

Così sembrò, Stella non smise un solo istante di baciarlo, di strofinare le mani sul suo corpo, sulle sue spalle ampie, sul suo petto robusto. Ad un certo punto afferrò perfino il colletto e cominciò a tirarlo verso di lei. Robin rabbrividì quando la pelle sotto il costume aderente entrò in contatto con l’aria fredda della sala. I suoi polpastrelli scesero lentamente, calamitati al corpo focoso della tamaraniana, anche loro ormai in preda al desiderio che quell’amplesso aveva acceso. Scivolarono lungo la schiena vellutata e morbida, giungendo all’inizio delle natiche. Qui esitarono, valutano se scendere ulteriormente o meno. Poteva davvero arrivare a quel punto con Stella? La sua Stella? La dolce, ingenua, innocente e soprattutto pura Stella? Certo, era stata lei a baciarlo per primo, ma forse lo aveva fatto impulsivamente, magari non voleva arrivare davvero fino a quel punto. Rimase immobile, come una statua. L’unica cosa che fece fu quella di ricambiare i baci colmi d’emozioni della ragazza, cosa non troppo azzardata, ma abbastanza focosa da riuscire a placare in parte la sua brama di andare oltre e fare ciò che Amalia e Red X invece avevano fatto.

Stella non si accorse minimamente di ciò che Robin stava facendo o pensando, l’unica cosa che sapeva era che lo stava baciando, il resto non contava.

Il bisogno d’aria diventò impellente e, purtroppo, dovettero interrompere quel magico momento per permettere agli apparati respiratori di riprendere il loro corretto funzionamento. Una volta separati rimasero a guardarsi negli occhi, entrambi con il fiato grosso, la ragazza vistosamente arrossita e il ragazzo ancora mezzo sorpreso da ciò che era appena accaduto. E poi, inevitabilmente, si sorrisero.

«Cavolo Stella...» cominciò Robin, tra un respiro e l’altro. «Non... non avrei mai pensato che...»

La ragazza gli posò un indice sulle labbra, zittendolo e avvicinando talmente vicino la bocca a lui che gli sarebbe bastato spostarsi di un millimetro avanti per baciarla di nuovo.

«È da quando ti ho baciato la prima volta, per apprendere la tua lingua...» cominciò a mormorare, rinfrescando il volto di Robin con il suo alito assuefante. «... che desideravo di poterlo rifare nella giusta maniera...»

«Oh... beh... in tal caso...» Robin si avventò sul collo della tamaraniana, strofinandoci sopra naso e labbra, ubriacandosi del suo odore e cominciando a riempirlo di baci.

Stella fece un verso sorpreso, che andò ben presto a trasformarsi un mugugno appagato, poi inarcò il collo di lato, pizzicandosi le labbra e stringendo le palpebre. «Mhh... Robin...»

Quello sì, che era una goduria. La lingua di Robin stava assaporando la pelle calda del suo collo, lasciando roventi scie di saliva, che venivano presto cancellate dalle labbra del ragazzo. La tamaraniana quasi gridò. Sul suo pianeta non esistevano certi tipi di contatti labiali. Il massimo che si poteva fare su Tamaran, prima del matrimonio e del concepimento dei figli, era quello di baciarsi con la lingua e basta, e oltretutto con un certo senso del pudore. Ciò che aveva fatto con Robin poco prima avrebbe fatto venire un colpo a qualsiasi anziano della sua razza. Cominciò a capire perché  Kom aveva letteralmente mandato al diavolo tutte le loro usanze. Ciò che stava provando era... bellissimo. Un po’ inusuale, forse, ma era proprio la sua particolarità e stranezza a renderlo gradevole. Si concentrò a smettere di pensare alla propria razza. Non era più su Tamaran, non doveva darsi tante pene con quei pensieri pressappoco inutili. Fino a quando si sarebbe semplicemente trattato di baciarsi, non avrebbe pensato al resto.

Si pizzicò con più forza le labbra per non urlare e stritolò la testa di Robin, accarezzandogli i capelli e giocherellando con le corte ciocche di essi. Quanto avrebbe voluto che quel momento durasse in eterno. In ogni caso, se lo sarebbe goduto in tutta la sua durata.

«Ohh Robin... Robin...» cominciò a mormorare, mentre lui non accennava a separarsi da lei. Riaprì leggermente gli occhi, sperando di poter di nuovo incrociare i suoi occhi privi di maschera, ma l’unica cosa che riuscì a vedere fu uno spettacolo che le fermò il cuore all’improvviso. Sgranò gli occhi di colpo e si separò da Robin quasi con violenza, lasciandolo a baciare l’aria.

Il ragazzo fece un verso sorpreso, quasi offeso, e la guardò perplesso. «Stella, che cosa...» Si interruppe, quando vide l’espressione sconvolta della compagna. Fissava un punto alle spalle del ragazzo. Robin decise di capire cosa la preoccupasse e si girò, per poi scoprire che alle sue spalle si trovava proprio il parabrezza della sala comandi. E quando vide cosa c’era oltre la grossa vetrata, intuì quale fosse la preoccupazione della ragazza.

Le stelle, le nebulose, gli asteroidi vaganti, ogni cosa era sparita, offuscata da una sagoma nera enorme. Robin non era un esperto dello spazio, ma avrebbe riconosciuto quella figura ovunque. Era una nave spaziale. Anche se quella era... diversa, dalle poche altre che aveva visto. Era molto più... rustica, rispetto a quella su cui si trovava in quel momento o a quella di Metalhead. Se non fosse sembrata una follia, avrebbe detto che assomigliava ad un antico galeone.

Aveva un’enorme prua costituita da decine e decine di giganteschi listelli gialli e luminosi, il resto era di un color marrone scuro, misto al’arancione. Sui fianchi aveva quelli che sembravano in tutto e per tutto dei grossi cannoni, era dotata di un enorme ponte. Su di esso si potevano benissimo notare altre decine di cannoni, che sembravano quasi delle balliste più tecnologiche.

E per finire, al centro della nave, un grosso albero maestro spuntava dal terreno, per poi smarrirsi a decine di metri di altezza, dove si trovava una piattaforma circondata da una ringhiera protettiva e, poco più su, sulla punta, un grosso drappo nero e sgualcito era afflosciato su sé stesso, chiaro segno che il mezzo spaziale fosse fermo. Aveva perfino delle vele grigiastre e una polena raffigurante la testa di un grosso animale molto simile ad un drago.

Entrambi i giovani innamorati osservarono stralunati quell’immenso velivolo, sentendosi quasi intimoriti dinnanzi ad esso. Stella si strinse ulteriormente al ragazzo, sperando di riuscire così a tranquillizzarsi.

Robin intuì cosa stesse preoccupando la tamaraniana, lo intuì eccome. E, tolto il timore che era naturale provasse, si sentì quasi arrabbiato per aver interrotto quel magnifico momento che stava vivendo con la sua dolce metà. E, tolta anche la rabbia, venne la curiosità. Da quando quella nave era lì, di fronte a loro? Era lì per un motivo particolare? Chi la pilotava? Ma soprattutto... visto che sembrava ferma davanti a loro... non rischiavano di andarsi a schiantare contro di essa?!

A quel pensiero, il cervello di Robin ricevette un impulso. Fu costretto ad alzarsi dalla seggiola, costringendo Stella a fare lo stesso, poi, ignorando completamente come si pilotasse la loro nave, corse ai dormitori per svegliare Cyborg affinché provvedesse lui a non trasformare il loro velivolo in una palla di fuoco, mandando di nuovo al diavolo quella maledetta nave per aver interrotto il suo momento con Stella.

La poverina interessata rimase da sola nella sala comandi, con le mani congiunte sul grembo, a fissare sbigottita ora la nave di fronte a lei, ora il corridoio in cui il suo amato era fuggito.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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