Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: marea_lunare    13/07/2017    0 recensioni
E se qualcun altro prima di Rosie avesse risvegliato l'animo paterno di John? Qualcuno che farà breccia nel cuore tenero del dottore e in quello di ghiaccio di Sherlock.
-Ti voglio bene, papà-
-Anche io, piccola mia-
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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(12) You deserve to be happy

Arrivò poco dopo a Baker Street, marciando come ai vecchi tempi.

Avrebbe potuto prendere un taxi, ma sentiva l’adrenalina scorrergli in corpo al punto di rendergli impossibile anche solo pensare di sedersi.

Il suo turbinio di pensieri venne bruscamente interrotto nel vedere la limousine nero lucido, una macchina extra lusso che avrebbe riconosciuto tra mille: Mycroft.

Subito un leggero timore lo assalì, perché non sapeva per quale motivo il maggiore dei fratelli Holmes si fosse presentato lì.

Cercò di tranquillizzarsi, tentando di autoconvincersi che si trattasse semplicemente di un caso di importanza nazionale, più complicato degli altri e per cui fosse necessario l’intervento di Sherlock.

Quando però vide Rachel uscire di corsa da Baker Street e aprire lo sportello con foga mentre parlava al telefono, ogni suo tentativo divenne vano.

“Lestrade, sto arrivando. Dobbiamo setacciare l’intera città, non può essere sparito così!”

Solo questo John riuscì a captare della conversazione telefonica della ragazza, il che non gli piacque affatto.

Salì le scale il più velocemente possibile, dovendo fare attenzione dato che aveva Rosie con sé, e raggiunse il salotto in un lampo, trovandolo pieno zeppo di agenti dell’MI6 che curiosavano tutt’ intorno, in mezzo alla stanza Mycroft e la signora Hudson che parlavano tra di loro.

“Signor Watson, che piacere vederla”

“Oh John, caro, finalmente è qui!” disse la donna con un pizzico di apprensione.

“Signora Hudson, che sta succedendo?” chiese l’ex soldato appoggiando la piccola sulla sua poltrona rossa, assicurandosi che non cadesse.

“Stiamo facendo delle ricerche, signor Watson. Riguarda mio fratello” rispose Mycroft con il suo tipico sorriso di cortesia.

“Droga?” chiese immediatamente l’altro.

“No, dottor Watson. È proprio mio fratello che stiamo cercando”

John si guardò attorno, vedendo tutti quegli uomini in divisa scura che frugavano tra le cose che erano state sue e di Sherlock. Non stavano cercando droga, non erano lì per un caso. Non sapevano dove si trovasse Sherlock, nemmeno l’MI6 era riuscito a trovarlo.

“E’ scomparso, non è vero?” chiese con voce flebile, come se anche solo formulare quel pensiero lo distruggesse completamente.

“Sì. Non abbiamo la minima idea di dove sia”

“Non è possibile” pensò, mentre sentiva la preoccupazione montargli dentro.

“Dove lo avete cercato?” chiese, appellandosi alla sua fermezza di militare.

“Ovunque, signor Watson. Abbiamo praticamente girato tutta la città, ci siamo addirittura rivolti a New Scotland Yard e a Gregory Lestrade pur di avere più uomini possibili sul campo. Rachel ha deciso di partecipare personalmente alle ricerche e sta raggiungendo ora l’ispettore” spiegò Mycroft brevemente.

“Non può essere sparito così, Mycroft” protestò l’altro “Ogni vicolo? I luoghi frequentati dai senzatetto, dai tossici o da qualsiasi altro delinquente della città? Per l’amor di Dio, lo fai monitorare ventiquattro ore su ventiquattro, non si sarà mica volatilizzato!”

“Non si è volatilizzato, dottor Watson, ha semplicemente eluso tutti i nostri sistemi di sicurezza e monitoraggio, non lasciando alcuna traccia. Nemmeno coloro che ho ingaggiato apposta per pedinarlo e controllare ogni sua mossa sanno dove sia. Sembra impossibile, eppure ci è riuscito” concluse il maggiore degli Holmes, lasciando che sui suoi interlocutori calasse il più completo silenzio.

John incrociò le braccia e spostò il peso su una gamba sola cercando di scaricare la tensione, tenendo sempre un occhio fisso sulla sua bambina che si era appisolata contro il morbido velluto, il ciuccio stretto tra le dita.

“Oh John, non si preoccupi, sa come è fatto Sherlock” disse la signora Hudson tentando di rincuorarlo e appoggiando entrambe le mani sul suo braccio robusto “Quando non vuole sapere niente di nessuno fugge da tutti e si isola, ma alla fine torna sempre qui. Quando è arrabbiato o annoiato cosa fa? Prende e spara ai muri, oppure disegna un inquietante smile giallo. È un uomo molto particolare e difficile da capire, ma, nonostante non voglia ammetterlo, è umano e sono certa che farò ritorno al luogo che lui considera casa sua”

Senza ben capire il perché, John sciolse le braccia e le circondò le spalle, stringendola brevemente e con immenso affetto. Quella era un’altra conferma per dimostrare che la signora Hudson non era la loro governante, ma una santa in tutto e per tutto.

All’improvviso, come fosse stato attirato da qualcosa, osservò attentamente il ripiano sopra il camino e vide il coltello infilzato in verticale.

Il coltello che indicava qualcosa di importante, qualcosa di nuovo e interessante.

Si avvicinò come un automa, sapendo che lì avrebbe trovato la sua risposta.

“Un DVD?” disse ad alta voce, mentre Mycroft gli si avvicinava.
 
 

 
Un DVD.

Sherlock si era quasi fatto ammazzare per un DVD.

Nonostante fossero passate diverse ore, ricordava ancora perfettamente il suono della voce di Mary che intimava a Sherlock di rischiare la vita, di andare all’Inferno per lui.

E la cosa che lo aveva stupito di più, è che il suo migliore amico non aveva esitato un attimo a farlo.

I suoi occhi ripercorrevano l’orribile immagine del volto di Sherlock tra le mani guantate di quell’uomo disgustoso. Quell’essere dai denti gialli e storti, verso cui aveva provato indifferenza e ripugnanza sin dal primo momento, davanti al quale, però, non aveva esitato un attimo a picchiare il suo ex coinquilino.

Gli aveva fatto delle accuse pesanti, lo aveva pestato a sangue, lasciandolo dolorante e con le lacrime per l’accecante dolore che gli attanagliava il volto e il corpo.

Si sentì un verme per avergli messo le mani addosso in quel modo, per averlo usato come sacco da boxe per sfogare tutti i suoi istinti e la sua rabbia repressi, per aver lasciato che la sofferenza offuscasse la sua lucidità.

Lo guardò, seduto al suo posto con una tazza di tè tra le mani tremanti, la barba incolta, i capelli sporchi e arruffati: sembrava un bambino indifeso.

Evitava di guardare nella sua direzione, come se avesse timore di un’altra sfuriata, di essere di nuovo malmenato.

Al solo pensiero di come aveva potuto ridurre l’animo e la fiducia di Sherlock, non riuscendo nemmeno a capire il perché ancora lui gli rivolgesse la parola nonostante tutto, arrivando ad accusarlo della morte di sua moglie.

Rachel aveva ragione. Non sapeva a chi dare la colpa e aveva deciso di fare a pezzi Sherlock, l’unico che sapeva non avrebbe avuto alcun modo di difendersi dato che sua moglie si era sacrificata proprio per salvarlo.

Percepì tutta la cattiveria che gli aveva avvelenato il cuore per mesi interi, capendo di essere come tutti: umano e pieno di difetti.
“Non l’hai uccisa tu” disse all’improvviso, stupendo persino se stesso.

 Sherlock alzò il volto di scatto, come una freccia che viene scoccata.

“Che cosa?” sussurrò timoroso.

“Non l’hai uccisa tu, Sherlock. Non sei stato tu ad uccidere Mary e io non avrei mai dovuto fare quello che ho fatto”

Un silenzio surreale cadde sui due uomini, Sherlock gli occhi fissi a terra, John gli occhi fissi su Sherlock.

“John, io…”

“Perdonami, Sherlock. Io non avrei mai voluto che tu facessi quello che hai fatto, anche se te lo ha chiesto Mary. Non avresti dovuto rischiare la vita in modo così incosciente”

“Ma John…”

“Zitto” disse fermamente l’ex soldato facendo serrare immediatamente le labbra del detective “Non dire una parola. Per una volta mi ascolterai e aprirai bene le orecchie”

Il suono di un gemito di donna irruppe nella stanza, lasciando stupito il dottore e imbarazzando in maniera spropositata il detective che ora stringeva la tazza con più forza, guardandosi attorno con fare spaesato, come se quel suono non provenisse dal telefonino appoggiato al suo fianco.

“E’ Irene” disse John. Non era una domanda.

Non provò gelosia, non provò niente.

Mary vegliava su di lui, guardandolo con la sua solita espressione beffarda e di rimprovero materno impressa sul volto, in piedi alle spalle di Sherlock e con le mani in tasca. Le bastò uno sguardo per far capire a John che lei stava bene, che non li avrebbe mai lasciati soli.

Era diventata il loro angelo custode e aveva dato a suo marito la possibilità di essere felice con l’uomo che non aveva mai capito di amare. Ma lei lo sapeva. Rachel lo sapeva.

E proprio per questo gli aveva sbattuto in faccia la verità sulla morte di sua moglie.

Ha visto quanto hai sofferto nel superare il lutto del tuo migliore amico. La donna che amavi ha deciso di sacrificarsi per salvare Sherlock, rinunciando alla sua felicità pur di preservare la tua

Guardò Sherlock con occhi nuovi, come se non fosse più il detective freddo e distaccato che aveva conosciuto anni prima, ma un semplice essere umano ferito e solo, che doveva essere protetto.

Non seppe che cosa gli diede il coraggio di fare ciò che fece, che cosa lo spinse ad avvicinarsi a Sherlock fino a ritrovarsi a un passo da lui.

Il consulente alzò i suoi enormi occhi color ghiaccio su di lui, guardandolo come se temesse di vederlo scomparire da un momento all’altro, voltargli le spalle e andarsene definitivamente dalla sua vita.

John però non voltò le spalle, non pensò o disse nulla.

Guardò Sherlock e gli fece cenno con la testa di alzarsi.

Il detective lo osservò stralunato, ma si fece condurre in bagno senza fare storie.

“Aspettami qui” gli disse John con tono calmo, avviandosi verso la camera di Sherlock.

Tornò con pigiama e mutande puliti, un accappatoio e la tanto amata vestaglia azzurra.

Aprì il rubinetto dell’acqua calda della vasca, lasciando che gli scorresse sulla mano per assicurarsi che non scottasse.

Mentre questa si riempiva, John volse lo sguardo verso Sherlock, impalato sulla porta in un misto di stupore e apprensione.

“Sherlock… Ti vergogni di me?” chiese il dottore non riuscendo a nascondere un sorriso, al quale il consulente rispose, rilassando un poco le spalle.

“Vieni qui, ti coprirò con l’accappatoio così non ti vedrò” gli disse.

Il detective si avvicinò lentamente e si nascose dietro all’accappatoio che John teneva aperto con entrambe le braccia, giusto all’altezza della vita per poter nascondere ciò che Sherlock non si sentiva di voler mostrare.

“È abbastanza calda l’acqua?” chiese.

“Penso di sì” rispose l’altro.

“Allora che cosa stai aspettando?”

Sherlock entrò in acqua in silenzio e John mise da parte l’accappatoio, sedendosi poi a lato della vasca.

Senza dire una parola, gli bagnò i capelli con un po' d’acqua e si versò dello shampoo sulle mani, iniziando a massaggiargli lentamente la testa, producendo tanta schiuma bianca.

“Ti dà fastidio?” domandò titubante, non avendo pensato prima all’effetto che l’eccessivo contatto umano potesse avere sul suo amico.

“No, va bene” gli rispose il detective “E’… piacevole”

Quando ebbe terminato, Sherlock uscì e si accomodò per terra con l’accappatoio appoggiato sulle gambe incrociate.

John gli si sedette di fronte e gli mise un asciugamano sulla testa, sfregando delicatamente e lasciando i ricci corvini umidi e ribelli.

A una distanza così ravvicinata, fu impossibile per il dottore non notare le ferite che aveva lasciato il volto di Sherlock.

Sul naso, sullo zigomo destro, sulla fronte.

Ognuna di quelle cicatrici era stata causata da un suo pugno, dalla sua debolezza, dalla sua furia.

Scosse la testa e si alzò, aprendo un’anta dell’armadietto vicino allo specchio, tirandone fuori schiuma da barba e rasoio.

Con la stessa cura che aveva usato per lavargli i capelli, sparse uno spesso strato di schiuma sul volto del detective e iniziò a raderlo.

Sherlock rimase immobile, il corpo in tensione, in contrasto con l’espressione del volto distesa e serena.

John aggirava accuratamente i tagli, facendo attenzione a non toccarli con il rasoio e cercando di non ferirlo ulteriormente.

Non sapeva perché lo stesse facendo, ma gli sembrava l’unico modo adatto per scusarsi.

Le parole non sarebbero mai bastate.

Una volta finito, Sherlock prese l’asciugamano e se lo passò sul volto.

Con i capelli bagnati ma puliti e sbarbato, John si accorse per la prima volta di quanto Sherlock fosse realmente bello.

Aveva sempre pensato che se il suo migliore amico non fosse stato un sociopatico iperattivo asessuato, sarebbe potuto essere un dongiovanni migliore persino di lui.

I lineamenti del volto erano taglienti, gli occhi di un colore indefinibile, la pelle sembrava morbida solamente guardandola e John sentì la volontà di accarezzarla crescergli dentro. 

Avendo paura di essere già andato fin troppo oltre, si limitò a carezzare lo zigomo ferito, sfiorando il taglio talmente piano da avere l’impressione di non averlo nemmeno toccato.

Quando fu sul punto di ritirare la mano e distogliere gli occhi dalla guancia di Sherlock, quest’ultimo gli prese il polso e John non riuscì a nascondere il suo battito cardiaco accelerato.

Il detective appoggiò il palmo della mano sul dorso di quella di John, facendo una leggera pressione e portando la mano di John totalmente a contatto con la sua guancia, invadendola immediatamente di un calore nuovo, naturale.

 
 
“Ciao John” disse Mary, staccandosi dalla parete del bagno e accucciandosi affianco al marito.

Il dottore sbarrò gli occhi e fissò un punto impreciso oltre Sherlock, il quale lo guardava incuriosito.

Mary si sporse e lo baciò sulla guancia, sorridendo.

Gli occhi dell’ex soldato si riempirono di lacrime.

“Va tutto bene, John. Ti ho già perdonato. Tu mi hai amata, di questo ne sono certa e non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto ciò che mi hai permesso di avere”

L’uomo non riuscì a dire nulla.

Davanti a sé, vide solo sé stesso intento a picchiare Sherlock, Mary a terra, insanguinata, lui tra le braccia di Rachel. Una sequenza di immagini che si mescolavano insieme, non permettendogli di distinguere la realtà dai ricordi, lasciandolo destabilizzato, causandogli un senso di solitudine mai provato prima.

“Se pensi di non essere mai stato l’uomo che io volevo tu fossi, allora cerca di diventarlo. Meriti di essere felice. Addio, tesoro mio. Prenditi cura di Rosie, mi accomando”

La donna alzò e uscì dal bagno, ma John non sentì dei passi.

Capì che non l'avrebbe rivista mai più.

“John… Perché stai piangendo? Ho fatto qualcosa di sbagliato?”

Guardò ancora quelle ferite e si soffermò sulle iridi di Sherlock.

Sentì il suo animo di cristallo creparsi pian piano, fino a spaccarsi del tutto.

Sentì pezzi di sé volare via, allontanarsi da lui con una violenza inaudita.

Sentì la sua sicurezza sbattere contro il muro e sgretolarsi, ogni sua certezza evaporò come fumo e gli annebbiò gli occhi.

“John, ti senti bene?” chiese allora il detective, prendendogli inconsciamente il volto con entrambe le mani.

A quel tocco, con la sensazione delle affusolate e delicate dita di Sherlock che gli accarezzavano la pelle provata, scoppiò completamente.

Con un breve slancio, raggiunse le labbra di Sherlock e ci appoggiò sopra le sue.

Piano, con cura e attenzione, ma lo fece.

Sherlock, attonito, non seppe cosa fare.

Avrebbe dovuto ricambiare? Avrebbe dovuto rimanere fermo? Frugò nel suo mind place per cercare una soluzione, senza ottenere alcun risultato.

Perciò chiuse gli occhi anche lui, piegando la schiena in segno di rilassamento e serenità, accogliendo tutto il dolore di John dentro di sé, condividendo con lui quelle sensazioni così devastanti, sentendosi per la prima volta veramente vivo.

Quel bacio sembrò durare all’infinito, mentre Sherlock realizzava piccoli cerchi con il pollice sulle guance bagnate del dottore.

Il consulente fu il primo a staccarsi con un piccolo sorriso sulle labbra, senza però guardare l’altro negli occhi.

Aprì leggermente le gambe ancora coperte dall’accappatoio e lasciò che John si inginocchiasse in mezzo, ancor più vicino a lui. Gli appoggiò la mano sinistra sulla schiena mentre la destra scese fino alla base del collo, permettendo all’ex soldato di appoggiare la fronte sul suo petto nudo, caldo e asciutto.

Non parlarono per tutto il resto della sera.

Quando John si fu calmato, Sherlock gli accarezzò la testa con affetto, accettando silenziosamente le sue scuse.

Si alzarono, Sherlock si vestì e ordinarono d’asporto al cinese.

John passò l’intera serata ad ascoltare il consulente che parlava a ruota libera di un nuovo caso per cui Lestrade lo aveva chiamato, iniziando a sparare deduzioni a destra e a manca.

Si sentì felice in quel momento. Come non si era mai sentito prima d’ora.

E quando udì il rumore dei passi di Rachel lungo le scale, accompagnato dal pianto della piccola Rosie che probabilmente la ragazza aveva in braccio, seppe che la sua vita era ormai al completo.

Perfetta come non avrebbe mai immaginato sarebbe potuta essere.
 
 
 
 

“Ciao tesoro” disse John il giorno entrando in cucina, Rachel seduta al tavolo intenta a bere il suo caffèlatte mattutino.

“Ciao” sussurrò lei di rimando, nascondendo lo sguardo nella tazza.

Lui mise a bollire l’acqua per il tè e le si sedette di fianco.

“Rachel, ascoltami, io…”

“Non dire niente, per favore” l’interruppe lei.

John si zittì, temendo di aver distrutto totalmente il rapporto con sua figlia adottiva.

“Mi dispiace” disse lei.

“Che cosa?” chiese stupito.

“Ho detto che mi dispiace, papà. Io ti voglio bene e non avrei mai dovuto dirti quelle cose, ma stavo scoppiando. Non riuscivo più a sentirti dire che non potevo comprendere il tuo dolore perché non è così. La sofferenza l’abbiamo sempre condivisa e io so perfettamente cosa stavi provando durante la morte di Sherlock, cosa provi ora che Mary non c’è più anche se sono passati diversi mesi” disse lei a raffica, sapendo che se si fosse fermata non avrebbe avuto il coraggio di continuare a parlare.

Abbassò lo sguardo sul tavolo, tormentandosi le dita in evidente segno di nervosismo.

“Io…”

“Tu cosa, Rachel?” la incoraggiò il dottore con una carezza sul volto, spostandole dalla guancia una ciocca di ricci.

 “Io volevo solamente che non mi tagliassi fuori dal tuo mondo, ecco tutto” rispose la ragazza.

John la guardò negli occhi, si alzò e l’abbracciò con tutto se stesso.

“Rachel, come puoi anche solo pensare che io voglia tagliarti fuori dal mio mondo? Non essere sciocca. Sai quanto ti voglio bene e sono io a doverti chiedere scusa. Ti ho sovraccaricata della mia autocommiserazione, non rendendomi conto dello sforzo che tu facevi ogni giorno nel sorridere e nell’andare avanti solo per me e Rosie. Hai fatto bene a gridarmi addosso in quel modo perché solo così sono riuscito finalmente a capire come si deve comportare un padre. Ti prometto che da oggi tornerò ad essere la tua roccia e non ti lascerò mai da sola” affermò con convinzione, accarezzandole i capelli e stringendola a sé con maggior forza, mentre lei si lasciava andare in un enorme sorriso e un sospiro di sollievo.









Note dell'autrice: Buonasera a tutti! So che oggi non sarebbe giorno di pubblicazione, ma questo è un mio piccolo pegno di scuse per avervi fatto aspettare così tanto per ricominciare a pubblicare e per ringraziare di cuore chi segue la mia storia fin dagli inizi, la mia prima long e quella che mi ha, fino ad ora, regalato più emozioni. 
Spero che possa piacervi sempre di più settimana dopo settimana. 
Vi auguro una buonanotte e ci vediamo lunedì con il prossimo (struggente) capitolo. Un abbraccio enorme! <3 
   
 
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