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Autore: Echocide    14/07/2017    3 recensioni
[Sequel di Miraculous Heroes e Miraculous Heroes 2]
La minaccia di Maus è stata sventata, ma non c'è pace per i nostri eroi: il mistero dell'uccisione degli uomini del loro nemico non è stato risolto e un nuovo nemico trama nell'ombra...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quantum Universe'
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Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.731 (Fidipù)
Note: Or bene, eccoci qua con il secondo aggiornamento di Miraculous Heroes 3 e...beh, non vi dico nulla e vi lascio al capitolo, ma prima due cosette sulle Mianju, le maschere hanno sempre fatto parte della cultura cinese e sono apparse circa 3,500 anni fa come importante elemento di shamanismo.
Durante le funzioni religiose dove si chiedeva a Dio di portare via pestilenze o durante le danze di esorcismo e a tanti altri rituali shamanici non potevano avvenire senza indossare maschere. Anche oggi le maschere vengono indossate durante rituali, matrimoni e funerali da 40 gruppi etnici che vivono in circa 20 province e regioni autonome della Cina.
E adesso è il turno delle classiche informazioni di servizio: come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o leggere i miei scleri.
Eccezionalmente di domenica ci sarà il nuovo aggiornamento di Lemonish, con una nuova AdrienMarinette.
Come sempre voglio ringraziarvi tutti quanti voi che leggete, commentate, inserite la storia in una delle vostre liste e me fra gli autori preferiti.
Grazie di tutto cuore!

 

Ladybug atterrò sul tetto di uno dei palazzi che si affacciavano sull’ampio spazio aperto che ospitava uno dei monumenti simbolo della capitale francese, avvicinandosi poi al bordo e osservando la distruzione che regnava nella strada sottostante: l’anello di asfalto che circondava la piazza con l’Arco di Trionfo era un inferno di lamiere: «Tortoise. Volpina» i due eroi scattarono sull’attenti al suo richiamo: «Aiutate più persone possibili» ordinò la coccinella, spostando lo sguardo sulla figura in abiti candidi che stazionava sopra l’Arco: «Peacock, Hawkmoth. Vedete di farlo scendere da lassù. Jian, Bee e Chat Noir, voi occupatevi…» Ladybug si fermò, osservando la creatura di Quantum: un essere con quattro braccia e il fisico veramente muscoloso e una faccia che ricordava molto una maschera che aveva visto a casa del Maestro Fu.
Una volta ne aveva presa una in mano e il Maestro Fu le aveva dato delucidazioni in merito: si chiamavano Mianju, per l’esattezza, che veniva indossata durante le funzioni religiose o gli esorcismi.
Ladybug rimase a osservare le line del volto della creatura, così mostruosa e familiare al tempo stesso: gli occhi a palla, il naso che dominava gran parte del volto e la bocca piegata in un sorriso, che mostrava le zanne affilate: «Devo ammettere che hanno fantasia nel creare le creature di Quantum» mormorò, sorridendo appena: «D’accordo. Vediamo di salvare Parigi anche oggi.»
«Non è quello che facciamo sempre, my lady?» le domandò Chat Noir, affiancandola e regalandole un occhiolino, prima di saltare, seguito da Jian e Bee; anche gli altri scattarono mentre la coccinella rimase immobile, osservando la distruzione che regnava sovrana: «Mogui, quanto tempo è trascorso prima di avvisarci?» domandò, portandosi la mano all’auricolare e attendendo la risposta dell’amico.
«Veramente poco» dichiarò Alex con un sospiro nella voce: «Ho ricevuto la chiamata dell’agente e…» si fermò, ridacchiando delle sue stesse parole: «Usiamo i termini corretti: ho intercettato la chiamata e vi ho contattato immediatamente.»
Una decina di minuti scarsi, decretò Ladybug, socchiudendo gli occhi e rendendosi conto della forza distruttrice di quella creatura: le macchine ribaltate e distrutte, gli alberi sradicati circondavano l’Arco di Trionfo che, solitario, si ergeva sopra tutto. Alcuni poliziotti aveva cercato di costruire una barriera nella parte più esterna dell’anello, in modo da contenere tutto quanto, ma era certa che se il generale avesse comandato alla sua creatura di ampliare il suo raggio di azione, a nulla sarebbero serviti gli sforzi degli agenti.
Ladybug lanciò il proprio yo-yo verso il monumento, usandolo come punto di appoggio e poi lasciandosi andare nel vuoto, atterrando in un punto dell’asfalto sgombro e guardandosi attorno: Tortoise stava usando il suo scudo e la sua forza per aiutare le persone rimaste intrappolate, mentre Volpina aveva creato alcune illusioni di se stessa, spedendole contro la creatura: Ladybug rimase a osservarla, mentre invocava il potere speciale del suo Miraculous e creava una strada di fiammelle azzurre, indicandola poi alle persone e aiutandole così a mettersi più velocemente al sicuro.
Poco distanti da loro, Peacock e Hawkmoth stavano lanciando le loro armi contro il generale che, con una risata divertita che risuonava nell’aria, si divertiva a evitare ogni loro colpo, saltando poi a terra; Ladybug trattenne il fiato, mentre osservava il generale caricare contro Hawkmoth, ma venire intercettato da Peacock, che lo reclutò in uno scontro corpo a corpo, parando i colpi dell’altro e mettendolo velocemente in una posizione di svantaggio.
Sul volto di Peacock comparve un sorrisetto sfrontato, mentre apriva entrambi i ventagli e li usava per parare l’assalto, meno sicuro e più goffo dell’altro: il generale caricò e Ladybug vide il compagno chinarsi mentre un boomerang di Hawkmoth colpì in pieno volto il nemico, prima di ritornare fra le mani del giovane membro.
Qiongqi si portò una mano alla parte del volto libera dalla maschera, abbassandola poi e mostrando le labbra storte in una smorfia, tornando poi alla carica con un urlo feroce e cercando di raggiungere il piccolo Hawkmoth ma venendo nuovamente ingaggiato da Peacock in uno scontro.
Non avevano bisogno di lei, a quanto pareva.
Sarebbero stati capaci di trattenerlo da soli.
Ladybug si voltò dalla parte opposta, osservando Chat Noir e Jian attaccare sui due fronti opposti la creatura, ma sia spada che bastone vennero bloccate da due delle quattro mani della creatura: «My lady, pensi di stare guardare o ti unisci a noi?» le domandò Chat, mentre con una smorfia liberava la propria arma, balzando poi indietro e assottigliando lo sguardo verde, tenendolo fisso sulla creatura: «Ci servirebbe veramente qualcosa che lo tenesse fermo.»
«Stavo controllando se Peacock aveva bisogno di aiuto» dichiarò la coccinella, affiancando il felino e sorridendo all’espressione che si era palesata sul volto del ragazzo: «Che c’è? Fa parte della squadra o non l’hai ancora capito?»
«Beh, sai che se c’è da aprire la ruota e mostrarla al mondo intero, il pennuto lo fa sempre e volentieri.»
«Guarda che ti sento, gattaccio» esclamò Peacock, poco distante, colpendo con la spalla l’avversario e spedendolo poco più avanti: «Non sono sordo.»
«Mai detto il contrario, pennuto.»
«Qualcuno ci salvi da voi due» sentenziò Bee, sparando alcuni pungiglioni contro la creatura e colpendola in pieno petto, facendola arretrare di un passo ma senza provocare alcunché nel nemico; Jian ne approfittò, balzando di lato e affondando la spada nella carne della creatura, facendola uggiolare di dolore prima che l’afferrasse e la spedisse lontano, facendola scivolare sul piastrellato alla base del monumento.
Bee sparò altri pungiglioni, storcendo le labbra quando nuovamente non riuscì a realizzare nulla: «Che facciamo?» domandò, voltandosi verso Ladybug e Chat Noir: la coccinella strinse lo yo-yo fra le dita, lasciando andare poi un lungo sospiro e girandosi verso il compagno, vedendolo annuire con un sorriso tranquillo sulle labbra, lo sguardo rivolto completamente verso di lei.
«Chat, Jian» mormorò Ladybug, inspirando poi profondamente mentre serrava maggiormente la presa sullo yo-yo: «Continuate a distrarlo. Bee, appena ho evocato il Lucky Charm, crea una frusta con il tuo potere speciale» si fermò, osservando i compagni annuire e poi lanciò in aria la sua arma, osservando il potere speciale attivarsi e un piccolo contenitore spray.
Ladybug se lo rigirò fra le mani, sorridendo convinta quando capì di cosa si trattava, si voltò e osservò Bee già all’opera, mentre modellava l’energia gialla del suo potere speciale: muovendo le mani a mezz’aria, l’eroina iniziò a creare un lungo serpente canarino che crepitava e scoppiettava, afferrandone poi un’estremità e guardando l’altra, rimanendo in attesa. La coccinella le indicò il nemico e Bee annuì, facendo schioccare la frusta sul pavimento, indirizzando poi la punta verso la creatura, storcendo le labbra quando questa saltò all’indietro, evitando il suo assalto.
Bee avanzò di qualche passo, muovendo la frusta attorno a sé e osservò Jian ingaggiare uno scontro con la creatura: l’eroina rimase in attesa, seguendo i movimenti di entrambi e attendendo il momento giusto per colpire; sorrise quando vide Chat Noir balzare in avanti e dare man forte a Jian, aiutato da Ladybug che, con il suo yo-yo, aveva ingaggiato uno scontro a distanza con le braccia superflue della creatura.
Era il momento propizio.
Fece roteare la frusta sopra la testa, allungando poi il braccio in avanti e osservando l’energia, circondare il corpo della creatura, imprigionando tutte e quattro le braccia: «Ladybug! Ora!» esclamò, voltandosi appena verso la coccinella e osservandola scivolare in avanti, il Lucky Charm stretto in mano e raggiungere velocemente il nemico: allungò il braccio in avanti, le dita ben serrate sul meccanismo dello spray e premette, spruzzando sul volto della creatura lo spray urticante.
L’essere urlò, cercando di liberarsi dalla presa ferrea della frusta di Bee e portarsi le mani al volto, mentre Ladybug si voltava e, dopo un cenno di assenso del capo, osservò Chat Noir azionare il suo potere speciale e avvicinarsi alla creatura, posandole sul petto la mano impregnata di forza distruttrice.
Il nemico si sgretolò come sabbia, creando un piccolo mucchietto di polvere scura ai piedi dei due eroi e venendo poi portato via dal vento: «E anche questo è andato» commentò il felino, voltandosi e osservando Qionqgi parare i colpi di Hawkmoth e Peacock: il guerriero rivale si stava guardando attorno freneticamente, arretrando sempre senza provare ad attaccare nuovamente i due.
Un nuovo passo indietro e si portò entrambe le braccia al petto, sparendo poi in una nuvola di polvere e fumo: «Maledizione» tuonò il pavone, allungando una mano e afferrando solo il pulviscolo, scuotendo poi il capo: «Era con le spalle al muro.»
«E sappiamo bene quanto sono capaci a darsela a gambe, pennuto» sentenziò Chat, roteando il proprio bastone e usandolo come punto di appoggio: «Potrebbero fare concorrenza agli uomini di Maus.»
«Però ancora una volta abbiamo sconfitto una loro creatura» mormorò Ladybug, sorridendo dolcemente e avvicinandosi all’amico: «Ormai è la prassi: arriva la creatura, la combattiamo e l’annientiamo.»
«Sembra di essere tornati ai tempi di Papillon, non è vero?» domandò Chat, ghignando divertito: «Ehi, ora che ci penso il piccoletto si è unito prima che comparissero queste creature o sbaglio? Hawky, hai niente da dichiarare?»
«Che ho appena catturato un chikorita?» domandò Hawkmoth, mostrando il cellulare con una smorfia di profondo disappunto in volto: «L’ennesimo fra l’altro.»
«Tu devi smetterla di giocare a Pokémon Go mentre lavoriamo.»
«Non stiamo lavorando, Chat» decretò il piccolo del gruppo, allargando le braccia: «Il nemico è stato sconfitto. Fine. Ho timbrato il cartellino.»
«Posso ucciderlo?»
«Chat, ti prego.»
«Sarò rapido e indolore, my lady. Un cataclisma ben piazzato e…»
«Ti ricordo, gattaccio, che hai già usato il tuo potere speciale» dichiarò Volpina, intromettendosi nella conversazione, ridacchiando e roteando il proprio flauto, poggiandolo poi contro una spalla: «Dovresti dar da mangiare al tuo kwami e poi pensare ai piani omicidi verso Hawkmoth.»
Chat Noir la fissò, aprendo la bocca per rispondere e poi scuotendo la testa: «Sei salvo» mormorò, indicando Hawkmoth: «Per stavolta.»


Osservò lo schermo del cellulare, indugiando sull’icona di chiamata mentre le raccomandazioni di suo padre gli tornavano nuovamente alla mente: da quando li aveva quasi scacciati dal suo appartamento, Rafael non aveva più tentato di contattarlo, sebbene la preoccupazione per l’uomo fosse veramente tanta.
Cosa stava facendo?
Cosa gli era successo?
Come era rimasto coinvolto in tutto quello?
Strinse le labbra, spegnendo lo schermo e gettando poi il telefono sul divano, mentre piegava la testa all’indietro e poggiava la nuca contro la spalliera: un sospiro gli scappò, chiudendo poi le palpebre e inspirando pesantemente; ascoltava distratto i rumori che lo circondavano, soffermandosi di tanto in tanto su uno di questi: il rumore dell’alluminio di una barretta di cioccolata che veniva scartata, le chiacchiere nell’altra stanza delle due presenze femminili della casa, i suoni che giungevano dalla strada sottostante.
Continuò a tenere le palpebre chiuse, anche quando sentì i passi leggeri di Sarah avvicinarsi a lui e poi le dita fresche di lei posarsi sulla fronte e tirargli indietro le ciocche scure: «Stai bene?» gli domandò, continuando a carezzarlo e rimanendo in attesa al suo fianco.
«Sì» mormorò Rafael, aprendo gli occhi e regalandole un sorriso tranquillo che subito si spense di fronte allo sguardo dell’altra: «Volevo chiamare mio padre» dichiarò, socchiudendo nuovamente le palpebre e lasciando andare un sospiro: «Solo non saprei cosa dirgli. Magari qualcosa: papà, giusto per sapere, come sei finito nel mezzo di questa guerra millenaria?»
«Potrebbe essere un’idea.»
«Sarah…» Rafael disse il nome della giovane con un sospiro, aprendo nuovamente gli occhi e fissandola, ricambiando il sorriso che la ragazza aveva in volto: «Seriamente come potrei chiedere a mio padre una cosa simile.»
«Come Peacock?» buttò lì la ragazza, scostandogli i capelli dalla fronte e sorridendo: «Magari puoi dirgli che Rafael ti ha fatto avere tutti i documenti che lui gli aveva affidato e tu volevi sapere come mai, un semplice professore come lui, fosse coinvolto in tutto ciò.»
Rafael assimilò le parole di Sarah, annuendo lentamente quando il piano prese forma: era semplice, lineare e dannatamente efficace.
Se si fosse presentato come Peacock, suo padre non avrebbe potuto scacciarlo e avrebbe potuto rispondere alle domande che lo tormentavano.
Sempre se anche lui sapesse le risposte.
«Sarah, sei un genio.»
«Lo so» dichiarò divertita la ragazza, sorridendo dolcemente allo sguardo del fidanzato: «Alle volte la soluzione più semplice è quella più banale, l’ha detto una volta il maestro Fu.»
«Perla di saggezza cinese.»
«No, mi disse che l’aveva sentita in televisione…»
«Quel vecchio.»


Lila osservò la pentola, ascoltando il borbottio dell’acqua, accompagnato dal suono metallico del coperchio, traballante sopra il tegame e in perenne movimento per colpa del vapore: «Vuoi ucciderci tutti?» le domandò Vooxi, fluttuandole attorno al volto e fissandola, voltandosi poi indietro e scambiandosi un’occhiata incerta con Wayzz, poco distante da entrambi, quasi cercando aiuto in lui.
Il kwami verde scosse il capo, volando poi via e uscendo dalla stanza.
Traditore.
Vooxi storse la bocca, appuntandosi mentalmente di farla pagare al compagno.
Questa non se la sarebbe dimenticata.
«Lila, non pensi che dovrebbe occuparsene Wei, non appena finisce la doccia?»
«So buttare la pasta da sola» borbottò la ragazza, storcendo le labbra e assottigliando lo sguardo, puntato addosso al kwami: «Non sono messa così male da non riuscire neanche a…» la suoneria del cellulare la fermò e Vooxi tirò un sospiro di sollievo, mentre l’osservava andare a recuperare il telefono nel salotto.
Erano salvi.
Per il momento.
Il piccolo kwami rimase a fissare la pentola, ascoltando il borbottio rumoroso dell’acqua e poi si voltò verso la ragazza nella stanza attigua, oltre il grande arco che divide la zona ove venivano cucinati e consumati i pasti dal soggiorno della scasa: «Lila?» domandò, vedendola immobile con il cellulare in mano che squillava inesorabile: «Perché non rispondi?»
«E’ mio padre.»
«Cosa?»
La ragazza scosse il capo, premendo sul pulsante di accettazione della chiamata e portandosi l’apparecchio all’orecchio: «Sì?» mormorò, dopo una manciata di secondi e con la voce ridotta a un sussurro, mentre il rumore di fogli che venivano girati le arrivò dall’altra parte.
«Lila» la voce profonda del padre la investì appieno, ricordandole da quanto tempo non lo sentiva: erano mesi che non aveva più avuto un contatto con l’uomo, una presenza ormai invisibile nella sua vita: «Come stai?»
«Bene» bisbigliò Lila, sedendosi sul divano e chinando la testa, nascondendosi al mondo grazie ai lunghi capelli: «Perché hai chiamato?»
«Per via di tua madre» le rispose il padre, la voce leggermente contraffatta quasi come se stesse tenendo il telefono in modo poco consono: «Mi sono arrivate voci che ha minacciato il tuo ragazzo.»
«Cosa?»
«Non sottovalutare la mia rete» dichiarò il padre con una risata nella voce: «E poi sono un buon amico di monsieur Mercier, che ha pensato bene di informarmi del comportamento poco consono di mia moglie.»
«Quindi? Hai chiamato per questo?»
«No» suo padre si fermò e Lila poté sentire il suo respiro nell’orecchio: «Tua madre è scomparsa. Da un po’ di giorni: l’ho ripresa non appena Mercier mi ha informato e pensavo se ne fosse andata con la coda tra le gambe. Sai com’è fatta, no?»
«S-sì.»
«Solo che non è tornata a casa, non è andata in nessuna delle abitazioni che abbiamo qui in Francia…» l’uomo si fermò e Lila socchiuse gli occhi, inspirando profondamente: «Ho provato a sentire anche in Italia ma sembra sia scomparsa. Il suo cellulare è spento e nessuno l’ha più vista da qualche giorno…»
«Scomparsa?»
«Mi chiedevo se tu avessi un’idea.»
«Sai molto bene che sono l’ultima persona da cui verrebbe.»
«Anche questo è vero» commentò l’uomo, lasciando andare l’ennesimo sospiro: «Magari è da qualche parte a bere e a farsi fare le unghie, conoscendola.»
«Sicuramente e quando avrà voglia, accenderà il telefono e partirà in quarta.»
«Andrà così.»
«Forse mi sto preoccupando troppo» L’uomo si fermò e Lila rimase in silenzio, aspettando il continuo di ciò che voleva dire: «Ma dopo che tu sei stata vittima di Papillon e con questi nuovi tizi a giro, per farla breve, ho paura.»
«Dubito che qualche supercattivo sano di mente voglia avere a che fare con Ada Rossi»
Uno sbuffo divertito le arrivò nell’orecchio e anche lei si ritrovò a piegare le labbra in un timido sorriso, alzando la testa quando il rumore di passi le annunciò la presenza di Wei: l’osservò entrare nella cucina e guardarsi attorno, prima di correre dalla pentola che lei aveva abbandonato: «Mercier mi ha detto che ti sei trovata un bravo ragazzo.»
«Sì, lo è.»
«Sono contento per te» suo padre si fermò, quasi fosse titubante a dire altro: «Tesoro» aggiunse poco dopo, facendola sorridere appena: «Spero di conoscerlo il prima possibile. E prometto di non provarci con lui.»
«Grazie, ne sarei felice.»
Il silenziò calò, mettendo fine alla conversazione e facendo sospirare l’uomo dall’altra parte del telefono: «Noi due non parliamo da tanto, vero? Se non me l’avesse detto Mercier non avrei nemmeno saputo il nome del tuo ragazzo: Wei Xu. E’ cinese?»
«Sì.»
«Mercier ha detto che è un gran lavoratore, un ragazzo gentile e calmo.»
«E’ esattamente così» commentò Lila, osservando il protagonista della loro conversazione mentre recuperava un pacco di pasta italiano e lo apriva, versandone una generosa quantità nella pentola, prendendo poi un mestolo di legno e girando per un attimo, prima di posarlo di traverso al tegame: «E’ l’uomo migliore che esista su questo mondo.»
«Bene. Hai trovato un ragazzo d’oro. Non lasciartelo scappare.»
«Non lo farò.»
«E se senti tua madre, dille di chiamarmi.»
«D’accordo.»


Adrien osservò il frigo, usando l’anta come appoggiò e scandagliando con lo sguardo l’interno: «Che mangiamo?» domandò a voce alta, rimanendo poi in attesa di una risposta che non giunse; sospirò, voltandosi verso i kwami che lo fissavano dalla loro postazione sul tavolino e poi ascoltando i rumori che provenivano dall’altra parte della casa: «Marinette?»
«Penso che se non andrai di là, non riceverai la risposta che vuoi, Adrien» commentò Tikki, sorridendo poi al volto sconsolato del giovane: «Sai com’è fatta, no?»
«E l’amo anche per questo» dichiarò Adrien, avvicinandosi e carezzando il capino della kwami, ricevendo in cambio un gorgoglio divertito.
Il suono del campanello dell’appartamento gli fece alzare la testa, puntando lo sguardo verde sulla porta e quasi attenendo che questa venisse scardinata via, mentre l’ennesima creatura di Quantum irrompesse nella stanza; si allontanò dalla cucina, avvicinandosi con calma all’uscio di casa, aprendolo quando il campanello suonò per la seconda volta: «Manon» esclamò, osservando la ragazzina che attendeva con il dito sul pulsante.
«Ciao» mormorò la piccola, osservando Adrien da capo a piedi e trovandolo strano in quella tenuta casalinga: era sempre stata abituata a vederlo perfetto, prima come il modello dietro al quale la sua babysitter sbava e poi come fidanzato di Marinette; mentre adesso con gli abiti dall’aria vissuta e i piedi nudi sembrava una persona del tutto estranea all’idea che aveva sempre avuto in mente: «Ecco, io passavo di qua e…»
«Immagino che vuoi parlare con Marinette, vero?»
«Io non le ho ancora spiegato niente.»
Adrien le sorrise, facendosi da parte e lasciandola entrare nell’appartamento, osservandola divertito mentre, con le mani strette alla cinghia della tracolla, si guardava attorno: «Non eri ancora venuta qua, vero?» le domandò, ricevendo in cambio un cenno negativo con la testa: «Plagg e Tikki li conosci già» continuò, indicando i due kwami che fluttuavano nei pressi della zona cucina e un nuovo cenno gli giunse come risposta, stavolta affermativo: «Mentre Marinette…»
Un trambusto si levò da una delle stanze e un sospiro scappò dalle labbra di Adrien: «Tesoro, sei viva?» domandò ad alta voce, indicando con un cenno del capo il corridoio e raggiungendo l’atelier della moglie: il pavimento era pieno di stoffe e alcune scatole si erano rovesciate per terra, mentre Marinette era seduta al centro della stanza con un cartone sulle gambe e uno scampolo di tessuto rosso sulla testa: «Manon, ecco a te, Marinette Agreste, eroina delle folle e imbranata cronica» dichiarò Adrien, ridacchiando allo sguardo della moglie; fece un passo verso di lei, stando ben attento a non calpestare niente e le allungò una mano, aiutandola a rialzarsi: «Manon è venuta per parlare con te» le spiegò, mentre lo sguardo celeste si calamitava sulla bambina: «Io vi aspetto di là con Plagg e Tikki. E, per favore, dimmi cosa vuoi cena.»
«Va bene qualunque cosa» dichiarò Marinette, sorridendo divertita quando Adrien roteò gli occhi alla sua affermazione: «Quello che hai voglia di mangiare tu?»
«Così va già meglio» decretò Adrien, tornando indietro e spintonando Manon nell’atelier: «Non ti mangia, almeno fino a quando non calpesterai una stoffa.»
«Disse quello che ha lasciato un’impronta di scarpone su un pezzo di seta rosa» sospirò la ragazza, scuotendo il capo e fissandolo: «Era anche una bella seta.»
«Te l’ho ricomprata o sbaglio?»
«Adrien, vai a fare la cena.»
«Ricevuto!»
Le due l’osservarono sgusciare velocemente fuori dalla stanza e Marinette sorrise alla ragazzina: «Come stai?» le domandò, chinandosi e iniziando a sistemare le stoffe nelle scatole, venendo però attirata dai rumori di Manon: alzò la testa e la vide sistemare la borsa in un angolo, prima di mettersi seduta sul pavimento e iniziare ad aiutarla: «Immagino sia stata un po’ dura assimilare il tutto.»
«In verità, avevo già qualche sospetto da parecchio tempo. Su di te e Adrien.»
«Davvero?»
Manon annuì, piegando le labbra in un sorriso: «Ti ricordi quel giorno che mi hai portato al parco con la tua amica Alya? Quello in cui poi feci un servizio con Adrien?» si fermò, osservando la ragazza e ricevendo un cenno affermativo: «Ho iniziato ad avere qualche sospetto lì. Ladybug mi conosceva troppo…troppo…troppo bene, ecco. Quelle parole che mi rivolgeva poi erano molto più da Marinette e non dall’eroina che salvava sempre Parigi.»
«E per tutto questo tempo sei rimasta in silenzio?»
«Sì» Manon si fermò, stringendo fra le dita un pezzo di cotone candido, abbassando lo sguardo: «Avrei voluto continuare a farlo, mantenere il tuo segreto ma io…io…» si fermò, inspirando profondamente e alzando la testa: «Io volevo essere d’aiuto, in qualche modo, più del creare scuse per Thomas quando deve sparire. Alex mi sta spiegando tutto quello che c’è da sapere sul Quantum e voglio chiedergli anche di insegnarmi qualsiasi cosa, non voglio essere un peso.»
Marinette sorrise, allungando una mano e poggiandola su quella della ragazzina: «Non sarai mai un peso, Manon» dichiarò, stringendo le dita su quelle più piccole, chinandosi poi verso di lei e passandole un braccio attorno alle spalle, stringendola contro di sé e posandole il mento contro il capo: «Grazie, Manon.»
«Grazie a te, Marinette. E grazie ad Adrien, a Lila, Sarah, Rafael, Wei e Thomas.»

 

   
 
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