Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: calock_morgenloki    15/07/2017    9 recensioni
Pur di conseguire il suo obbiettivo di diventare consulente investigativo, Sherlock Holmes, studente al terzo anno della facoltà di chimica, si ritrova a fare il lavoro più ingrato e imbarazzante sulla faccia della Terra, per di più in un posto che praticamente incarna l'Inferno: il barista da Starbucks.
Sherlock odia tutto di quel posto- chiunque abbia coniato il termine "Frappuccino" applicandolo ad una sottospecie di disgustoso frullato merita la galera a vita, a sua detta- e soprattutto detesta i clienti che lo obbligano a preparare quegli intrugli.
Anche se... Okay, diciamolo pure: per John Watson, quinto anno a medicina, si sente quasi in grado di fare un'eccezione.
{Johnlock; Uni!lock AU}
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
2.
 
.


 

Lunedì mattina Sherlock si presentò al lavoro vittima di un'eccitazione febbrile, irrequieto come non mai: nell'arco di tempo tra le cinque e mezza e le sei e venticinque bevve ben otto caffè e sarebbe anche andato avanti se non fosse stato per Molly, che, preoccupata per il suo comportamento via via sempre più nevrotico, lo aveva spedito a fare i conti in cassa e tenuto lontano dalla macchinetta con la forza, costringendolo a preparare solo tè, tisane e camomille. Sherlock l'aveva odiata a morte, in quel momento.

In preda ad un'ansia nuova e incontrollabile, alle sette e mezza Sherlock fuggì in bagno con la scusa di avere un bisogno impellente da soddisfare, quando invece si chiuse nel cubicolo e, aperta la finestra, si mise a fumare contemporaneamente due sigarette per calmarsi- ad un certo punto fu quasi tentato di aggiungerne una terza, ma la minaccia dell'allarme antincendio, pronto a scattare al minimo rilevamento di fumo, lo dissuase dal tentare ulteriormente la sorte. In ogni caso, la nicotina non sortì l'effetto desiderato: contribuì solo a renderlo ancora più nervoso, riducendolo ad un fascio di nervi scoperti. Gli mancava solo un tic all'occhio, poi sarebbe stato perfetto.

Non sapeva cosa aspettarsi da John: sarebbe entrato e gli avrebbe parlato come se nulla fosse? Avrebbe aspettato che fosse lui a fare la prima mossa? Non ne aveva la più pallida idea e non gli piaceva affatto, lui detestava non sapere e non avere tutto sotto controllo, era... Era frustrante. Tra l'altro, John gli aveva scritto che forse sarebbe passato quella mattina, ma non aveva specificato se e soprattutto quando. E se fosse venuto, che ne sapeva, a mezzogiorno? Era sempre mattina, ma lui avrebbe già finito il turno da un'ora e mezza. E no, aspettarlo lì dentro non era certo la prospettiva migliore, grazie tante per l'interessamento. Ci mise un quarto d'ora solo per preparare un tè e, al posto di Janine, sul bicchiere scrisse distrattamente Johanna. La ragazza gli rivolse uno sguardo interrogativo e Sherlock per tutta risposta la fulminò con lo sguardo, facendola praticamente fuggire dal negozio. Era talmente agitato da non trarre nemmeno un accenno di piacere da quella scena.

Successe tutto talmente in fretta che Sherlock nemmeno se ne accorse: erano le sette e quarantanove e lui, immerso nelle sue riflessioni, non aveva nemmeno fatto caso al campanello attaccato in cima alla porta, che aveva improvvisamente preso a tintinnare dopo l'entrata di un nuovo cliente. Stava preparando un caffè venti ad una ragazza, chiedendosi se John sarebbe davvero mai arrivato e, in preda all'ennesimo attacco di sconforto, ne bevve quasi un terzo con due sorsate.

"Sai, penso che a Janette non farà piacere sapere che hai appena bevuto... quanto, metà del suo caffè?" esordì una voce alle sue spalle e Sherlock si irrigidì, voltandosi lentamente ad occhi spalancati. Reggeva ancora il caffè in mano e, quando vide John, mollò la presa, riprendendo il bicchiere al volo subito dopo. Il biondo, appoggiato al bancone, sorrise e gli rivolse uno sguardo colpito, condito da un cenno del capo.

"Però, che riflessi." commentò e Sherlock fece una smorfia. Gli lanciò il copri bicchiere, che il ragazzo afferrò senza alcuno sforzo. Sherlock ribatté:

"Potrei dire lo stesso di te. E comunque, ne ho bevuto meno di un terzo."

"Oh, beh, allora cambia tutto... Come pensi di risolvere?"

"Allungherò quello che è rimasto con dell'acqua e dello sciroppo al caffè." rispose tranquillamente e stavolta John rise. Sherlock si sentì istantaneamente più rilassato, come se tutto il suo nervosismo se ne fosse andato d'un colpo. La presenza di John viveva uno strano effetto su di lui, qualcosa di inedito e mai provato prima. Non era affatto spiacevole, Sherlock doveva riconoscerlo.

"Allora..." iniziò John, abbassando lo sguardo sul pannello di compensato laccato del bancone, "Hai ricevuto il mio biglietto?"

"Questo, dici?" chiese Sherlock di rimando, estraendo dalla tasca dei pantaloni beige il messaggio di John. Questi sgranò gli occhi e lo fissò, sorpreso.

"Ma te lo porti dietro?"

"È un problema per te?"

"No, no, certo che no, è solo che... Non me l'aspettavo. Tutto qui." rispose John e Sherlock, riponendo in tasca il foglio, sospirò, per poi dire:

"A volte ho come l'impressione di essermi immaginato quello che c'era scritto sopra, quindi meglio portarselo dietro per fugare ogni dubbio, quando necessario."

"Fammi un esempio."

"Cosa?"

"Un esempio. Hai detto di aver avuto l'impressione di esserti immaginato quello che c'era scritto su quel foglio, fammi un esempio."

"Oh beh... Potrei citarti mezza lettera, ma probabilmente l'esempio più lampante è il passaggio dove dici di volermi frequentare per conoscermi meglio. È roba da fantascienza."

"Tipo Star Trek?"

"Sì, tipo Star Trek."

"Hai qualcosa dell'ultimo Khan, effettivamente."

"Non ne ho dubbi." commentò Sherlock con una smorfia, mettendo in un sacchetto il muffin ai mirtilli ordinato da Janis- Jennifer? Non se lo ricordava più e sinceramente non gli interessava nemmeno.

"Perché ti sembra fantascienza?" chiese John, incuriosito e Sherlock si strinse nelle spalle.

"Come ho detto venerdì, le persone tendono a starmi lontano. Non sono quel che si dice un tipo socievole, men che meno uno facile."

"E ti sta bene?"

"Sì: sono gli altri ad avere un problema con me, non io. E tu?"

"Beh, mi sembrava di essere stato chiaro."

"Sii ancora più esplicito." lo incitò Sherlock e John inclinò lievemente il capo.

"Non mi interessa quello che pensano le persone: se hanno un problema con te, peggio per loro. Io giudico in base a quello che vedo e per farlo... Beh, ho bisogno di conoscerti."

"Quindi è pura curiosità scientifica. Un esperimento."

"La tua mente è sempre tarata sulla chimica, vero?"

Sherlock aggrottò la fronte, perplesso.

"Temo di non aver capito."

"Nel senso, tu vedi tutto come se fosse un esperimento scientifico, un'analisi di qualche tipo e credimi, è davvero affascinante, ma... Ecco, non funziona sempre così, non con le persone. Noi siamo più..." John socchiuse lievemente le palpebre, pressando la punta della lingua tra le labbra mentre cercava le parole adatte per proseguire, "complicati. Sì, complicati: gli esseri umani non sono come una reazione chimica, sempre con lo stesso risultato e un percorso più o meno lineare e prevedibile. Non funziona così."

"Sarebbe tutto più facile se lo fosse." borbottò Sherlock, a voce talmente bassa da essere a malapena udibile. Tuttavia John riuscì a cogliere quel commento, perché si mise a ridere e disse:

"Concordo, è vero... Ma alle volte non è proprio questo il bello della vita? Il suo essere imprevedibile, mai scontata. Altrimenti, che divertimento c'è?"

Sherlock restò in silenzio, senza sapere cos'altro aggiungere. C'era una luce particolare nel locale, in quel momento, calda e soffusa; illuminava parzialmente il volto di John, facendo risplendere i capelli biondi spettinati di mille sfumature dorate, come un campo di grano maturo e i suoi occhi... Diamine, erano così blu da sembrare d'essere fatti direttamente con le acque più profonde dell'oceano, talmente profondi da poterci affogare dentro e colorati di centinaia di differenti tonalità, in alcuni punti più tendenti al celeste e in altri al blu notte. In una parola: meravigliosi.

Sherlock seguì la linea del naso dalla punta lievemente a patata e all'insù, per poi approdare sull'arco di cupido e le sue labbra: sottili, armoniose, sempre pronte a sorridere... Avrebbe passato la vita a guardarle, a sfiorarne il contorno con la punta delle dita. Avrebbe passato la vita ad insieme a John, senza mai lasciarlo, se solo lui glielo avesse chiesto.

Sherlock abbassò lo sguardo, ad un tratto sopraffatto da quello che stava provando. Il cuore gli batteva come un tamburo e per un attimo ebbe paura che John riuscisse a sentirlo, sembrava volesse esplodergli fuori dal petto e ne fu spaventato. Era la prima volta che si sentiva così con qualcuno, non sapeva come comportarsi. E, come aveva detto John, quello non era uno dei suoi soliti esperimenti, non era nel suo campo. Sherlock si chiese se sarebbe stato proprio quel ragazzo a insegnargli cosa fare e come comportarsi. Per riscuotersi dai suoi pensieri, rifece di nuovo il caffè alla ragazza di cui non ricordava il nome (Josie?), bevendo quello che restava del vecchio con un paio di sorsi. John era sempre lì fermo, a studiarlo e Sherlock si sforzò di non fare lo stesso, per lo meno non in modo così palese. Non voleva dare a vedere ulteriormente quanto gli morisse dietro. Prese un bicchiere pulito e fece per scrivere con l'indelebile il nome della ragazza, fermandosi quando si rese conto di non avere la più pallida idea di come si chiamasse. Accidenti, ma com'era? Josette? Jolene?

"Janette." disse John e Sherlock voltò di scatto la testa verso di lui.

"Scusa, cosa?"

"Janette. La ragazza del caffè, si chiama Janette." rispose lui, indicando con un cenno della testa il bicchiere. Sherlock giurò di aver sentito il sangue affluire violentemente verso le sue guance, colorandole di un'imbarazzante rosso pomodoro.

"Io... Sì, certo, ovvio. Grazie." mormorò, abbassando lo sguardo sul bicchiere con aria a suo malgrado imbarazzata. Scrisse velocemente il nome, poi versò al suo interno il caffè e chiamò Janette, consegnandole il suo ordine sotto lo sguardo attento di John. Quando la ragazza si avvicinò al bancone, fulminò Sherlock con lo sguardo, poi si voltò parzialmente e sorrise a John, amabile-

"Ciao, John, come va?"

"Bene, Janette, grazie."

"Come sta Mary? È da un po' che non la vedo."

"Sta bene anche lei, ma pensavo lo sapessi già: vi ho viste chiacchierare pochi giorni fa a pranzo, quando sono andato a portarle il suo quaderno di anatomia." commentò John e Janette prima sbiancò, poi arrossì violentemente. Sherlock soffocò un ghigno divertito.

"Oh, già, è vero, che stupida... Allora, ci si vede in giro?"

"Può darsi, sì." tagliò corto John, sempre gentile ma anche risoluto. Sherlock provò un'ondata di potente soddisfazione vedendo Janette andarsene a testa bassa, a metà tra l'irritato e il deluso. John tornò a guardarlo e, vedendo
la sua espressione, si concesse un sorriso divertito. Sherlock sentì il volto arrossarglisi di nuovo. Dannazione.

"Sarà meglio che torni al lavoro, adesso... Se passi in cassa, ti faccio l'ordine."

"Certo, volentieri, però..."

"Però?"

"Vorrei fare un altro tentativo."

"Ovvero?"

"Stupiscimi, parte due." ribatté John, indicando il numero due con indice e medio della mano destra. Si avviò verso la coda della cassa e Sherlock lo seguì con lo sguardo. Vide Molly fissarlo incerta con la coda dell'occhio, ma al momento non se ne curò. Fece gli ultimi ordini che gli mancavano alla velocità della luce, poi si precipitò in cassa appena in tempo per prendere l'ordine di John. Il ragazzo gli passò una banconota da dieci senza emettere una sillaba, Sherlock la prese e gli diede la ricevuta, per poi avviarsi a preparare l'ordine. John gli aveva chiesto di stupirlo? Lui l'avrebbe fatto, poteva scommetterci. Preparò subito la solita treccia, poi si dedicò alla bevanda: optò per un Vanilla Spice Latte Tall, a cui aggiunse cannella e un po' di succo di mela. Provò ad assaggiarne un sorso e schioccò la lingua, soddisfatto: era buono, poteva giocarsela. Prese il bicchiere di carta, ma al momento di tracciare la J di John si bloccò.

Non so nemmeno il tuo nome.

Sherlock rifletté qualche attimo, indeciso. E se... Oh, al diavolo! Iniziò a far scorrere la punta del pennarello sulla superficie liscia e, una volta finita la scritta, alzò lo sguardo sulla sala: John aveva un'espressione irritata mentre digitava qualcosa al cellulare; Sherlock distinse la schermata di una chat e John sembrava davvero poco felice di ciò che stava leggendo e a cui stava rispondendo. Si fece coraggio, ne aveva davvero bisogno, poi lo chiamò. Si sorprese nel sentire la sua voce tremare un poco verso la fine.

"John!"

John alzò la testa e mise in fretta il telefono nella tasca dei jeans, poi si avvicino al banco con aria colpevole.

"Mike, il mio amico... Abbiamo alcuni corsi in comune e mi ha appena scritto che il professore di medicina legale vuole che assistiamo ad una autopsia tra mezz'ora. Ergo, devo essere lì tra dieci minuti."

"Oh. Beh... Le autopsie sono interessanti. Piacerebbe anche a me assistere, ma di solito mi cacciano fuori. A quanto pare gli studenti di chimica non sono graditi." commentò Sherlock con una smorfia. John ridacchiò e disse:

"Se vuoi qualche volta ti ci porto io, tanto se sei con me ti fanno passare."

Sherlock sgranò gli occhi, sorpreso.

"Dici sul serio?" chiese e John annuì.

"Perché no?"

"Già, perché no... Ah sì, il tuo... Il tuo ordine. Dovrebbe piacerti."

Sherlock consegnò il sacchetto con la treccia e il bicchiere a John, che ne bevve subito un sorso senza nemmeno annusare l'odore della bevanda al suo interno. Restò fermo un attimo, poi fece un mugolio d'apprezzamento e disse, prendendo un'altra sorsata:

"Gesù, è fantastico... Ma come diavolo fai?!"

"Me la cavo in chimica." rispose Sherlock con un sorriso, a cui John non esitò ricambiare.

"Bene, allora ... Io vado. Senti, prima però volevo chiederti... Oggi a che ora stacchi?" chiese John, esitante e Sherlock perse un battito. Oh mio Dio.

"Alle... A-alle dieci e mezza, ma poi ho lezione dalle undici fino alle due."

"Bene, anche io. Mi chiedevo, sempre se ti va... Ti andrebbe di fare un giro, oggi pomeriggio? Niente di impegnativo, solo una passeggiata per il campus."

"Pensavo avessi gli allenamenti di rugby, oggi."

"Sì, ma sono alle sei e- aspetta e tu come diavolo fai a saperlo?!"

"I-io... Potrei averlo sentito dire in giro."

"Ah davvero?"

"Già." balbettò Sherlock, avvampando di nuovo. In realtà lo sapeva perché a volte si nascondeva sotto gli spalti, dietro ai pannelli di compensato dove durante le partite appendevano gli stemmi e gli striscioni delle squadre in gioco, a guardare gli allenamenti, senza rischiare di essere notato. Ma questo non poteva certo dirglielo in faccia, andiamo: avrebbe fatto per davvero la figura dello stalker maniaco. John non sembrò del tutto convinto, ma sorrise lo stesso e Sherlock, come un deficiente, si sciolse di nuovo.

"Va bene, mi fido... Comunque, dicevo: se ti va, fino alle sei sono libero e potremmo-"

"Mi va." lo interruppe Sherlock e John rise.

"Non ho nemmeno detto cosa-"

"Non fa niente: tu ti sei fidato per la colazione, io mi fiderò per l'appu- per il pomeriggio. Per il pomeriggio, certo."

"Okay, grande. Allora ci vediamo qui fuori alle... Non so, le due e mezza può andare?"

"Certo, va benissimo."

"Bene. A dopo, allora."

"Sì, a dopo."

Sherlock e John si sorrisero, poi il biondo abbassò la testa e si diresse verso la porta. A metà strada però notò qualcosa di poco chiaro e si voltò di nuovo verso l'altro.

"Ma che diavolo è uno Sherlock?!" chiese, confuso, mentre indicava con il capo il bicchiere. Sherlock restò immobile per qualche istante, poi sogghignò e rispose:

"È il nome di una rarissima e incredibile specie di batterio tropicale che porta alla paralisi e poi alla morte per arresto cardio-respiratorio nel giro di dieci minuti. Te ne ho messi un po' nel bicchiere."

"...mi stai prendendo in giro, vero?"

"Però, acuto."

"No, seriamente, che cosa vuol dire?"

Sherlock scosse la testa, divertito suo malgrado. Se non fosse stato John, avrebbe staccato la testa a morsi a chiunque gli avesse detto una cosa del genere. Ma John no, lui... Lui era salvo. Per ora.

"Dicevi di non sapere come mi chiamavo, ho provveduto." rispose e John aggrottò la fronte.

"E quindi? È un anagramma, un codice?"

"E quindi è il mio nome, idiota."

John spalancò gli occhi e, per la prima volta, Sherlock lo vide arrossire. Dio santo, era ancora più carino quando arrossiva, quando era imbarazzato era... Wow.

"I-io... Cristo, che figura di merda... Senti, io vado che è meglio, ci... C-ci vediamo dopo." balbettò John, avviandosi a testa bassa fuori da Starbucks. Sherlock rise e non riuscì a smettere di sorridere. Non si era mai sentito così felice, così leggero in tutta la sua vita. Se quello era l'effetto che John aveva su di lui... Beh, l'avrebbe accolto con piacere. Sempre e comunque.

 

 

 

Le settimane passarono veloci e, prima che se ne rendessero conto, gli studenti si ritrovarono alla fine della prima decade di dicembre, sempre più prossimi alle soglie delle vacanze natalizie. La neve aveva già ricoperto l'Inghilterra di un soffice manto bianco e durante le pause pranzo, era piuttosto frequente vedere palle di neve volare per aria e schiantarsi sulla nuca di qualcuno. Era toccato anche a Sherlock, quando qualche giorno prima Victor aveva pensato bene di interrompere la sua "seduta sigaretta" lanciandogli in faccia un mucchio di neve fredda e bagnata, con il solo risultato di fargli la doccia e distruggere la sua Marlboro, inzuppandola completamente. Sherlock l'aveva rincorso per mezzo campus con la minaccia di ucciderlo brutalmente e occultare il suo cadavere all'interno di un pupazzo di neve. Nel complesso, l'atmosfera era gioiosa, allegra e spensierata, erano tutti felici. Tutti tranne Sherlock, che, invece, fremeva: detestava tutta quella situazione, lo starsene fermo a fare nulla, impotente. Lo stop alle lezioni sarebbe iniziato di lì a pochi giorni e John, com'era ovvio, sarebbe tornato a casa dalla sua famiglia, ma soprattutto lontano da lui. In quelle settimane aveva sviluppato un profondo attaccamento al ragazzo, con lui stava bene come con nessun altro e... Dio, amava averlo attorno. John, dal canto suo, sembrava provare lo stesso, Sherlock non aveva mai dedotto nulla che potesse fargli pensare il contrario. Appena avevano un momento libero si precipitavano dall'altro, il giovane Holmes aveva ormai perso il conto di tutte le ore che nelle ultime settimane John aveva trascorso o insieme a lui in laboratorio, aiutandolo con gli esperimenti e le sue indagini- e si era anche rivelato sorprendentemente utile, doveva ammetterlo- o appollaiato accanto al bancone di Starbucks, facendo compagnia e chiacchierando con Sherlock per tutta la durata del turno. All'inizio il moro aveva avuto l'impressione- e poi la certezza- che Molly non gradisse affatto l'avere praticamente sempre John attorno, ma poco a poco era riuscito a conquistarla, facendosela amica. Sherlock non se n'era affatto sorpreso: John era fatto così, veniva naturale affezionarglisi.

Quella mattina di metà dicembre, Sherlock non doveva lavorare, avrebbe avuto il turno del pomeriggio e John, sfortunatamente, avrebbe avuto lezione fino a quel momento. In un impeto di compassione per lo stato pietoso in cui versava il suo amico, il buon Victor Trevor pensò bene di trascinarlo di peso verso il primo centro commerciale vicino.

"Io devo comprare i regali di Natale e tu," aveva detto quella mattina, cercando di districare Sherlock dal bozzolo di coperte e piumone in cui si era avvolto, "hai bisogno di uscire e cambiare aria, altrimenti va a finire che ti trasformerai in Van Gogh."

"Diventerò famoso e geniale?" aveva mugugnato Sherlock dal piumone. Victor aveva risposto con una smorfia.

"No, pazzo e depresso."

"Tranquillo, non c'è pericolo: non ho intenzione di mettermi a dipingere, men che meno di tagliarmi un orecchio. Mi serve."

"Nel dubbio preferisco non rischiare, quindi muovi il culo e alzati da questo dannato letto!"

E così, dopo un'altra buona mezz'ora di lotta greco-romana per convincere Sherlock ad alzarsi e vestirsi, Victor era riuscito a portarselo dietro al Primark Store del centro commerciale vicino all'università, con la minaccia di distruggere le sue colonie di batteri in caso contrario. Sherlock non l'aveva mai odiato così tanto, perché no, non bastava che l'avesse praticamente rapito, doveva pure portarlo dritto all'Inferno, in un negozio di vestiti. Femminili, per lo più. Dio, l'avrebbe avvelenato.

"Che ne dici di questa qui? Potrebbe andare bene per mia sorella, no?" chiese Victor, estraendo da un espositore una gruccia con un'orrenda maglietta rosa con un unicorno bianco nel mezzo e la scritta "You may have stopped believing in unicorns, but they have never stopped believing in you!". Sherlock notò solo dopo qualche attimo il baloon accanto allo pseudo -cavallo con le parole "You're the best!" al suo interno. Era la cosa più idiota e ridicola che avesse mai visto.

"Se fossi in tua sorella e mi regalassi quella... cosa, non ti rivolgerei mai più la parola." commentò, secco e Victor emise un gemito esasperato.

"Andiamo, è la ventesima che mi bocci! E poi lei ha quattordici anni, che cosa accidenti dovrei regalarle?!"

"Non un unicorno, Victor!" sbottò Sherlock e Victor roteò gli occhi. Rimise a posto la gruccia e chiese, ricominciando a scartabellare tra le magliette:

"Tu invece? Che cosa hai comprato a Eurus e Mycroft?"

"Una penna."

"Una penna?!"

"Una a testa, ovvio. Non possono certo condividerne una sola." mormorò Sherlock e Victor lo squadrò come se fosse ad un tratto impazzito. Sherlock lo fissò a sua volta, per nulla intimidito e dopo qualche attimo Trevor riportò lo sguardo sulle magliette con un borbottio confuso.

Victor e Sherlock avevano la stessa età e Holmes ormai lo considerava qualcosa di più simile ad un fratello che un semplice amico e coinquilino, anche se non glielo aveva mai detto. Sherlock non negava di essersi invaghito di lui in un primo momento, ma era tutto scemato abbastanza in fretta, un po' perché si era reso conto che Victor gli avrebbe dato molto di più come amico che come compagno, un po' perché... Beh, aveva conosciuto John. E poi, Victor era robustamente etero: aveva subito dimostrato di essere molto interessato al sesso femminile facendosi beccare mentre pomiciava- in modo anche abbastanza spinto, oltretutto- con un'altra matricola sulla scrivania della loro stanza, questo dopo nemmeno una settimana di convivenza. In seguito aveva più e più volte palesato il proprio disinteresse verso la prospettiva di avere una relazione con un ragazzo: il fatto che una persona potesse trovare attraenti e desiderabili sia fisicamente che romanticamente qualcuno del medesimo sesso non gli creava problemi, anzi; solo che lui non era interessato e mai lo sarebbe stato, semplicemente questo. In ogni caso, Sherlock aveva capito immediatamente che provarci con lui non avrebbe avuto alcun riscontro positivo, quindi aveva subito lasciato perdere per questo e quel motivo. Stranamente, con John questo discorso aveva avuto valenza praticamente nulla, ma Sherlock cercava di non pensarci.

Ciò non toglieva che Victor fosse esteticamente molto attraente e non solo per una singola caratteristica del suo aspetto, Sherlock poteva elencarne diverse: luminosi occhi verde-azzurro armati di uno sguardo ammiccante, liscia chioma biondo ramata che faceva finta di non curare, ma a cui in realtà riservava attenzioni tali da rasentare la psicosi, naso dritto e regolare evidenziato da tratti armoniosi, ben definiti ma allo stesso tempo delicati, labbra sottili sempre piegate in un sorrisetto sornione e un fisico esile e slanciato, ma comunque compatto e dalla muscolatura ben delineata sotto la pelle. Era più alto di Sherlock- non di molto, ma quei sei centimetri erano sufficienti a evidenziare il distacco. Tuttavia, nonostante fosse senza alcun dubbio un gran bel ragazzo, a Sherlock piaceva non per motivazioni puramente estetiche, ma per il suo essere, la persona che Victor era in realtà. A detta di chiunque li conoscesse, i due ragazzi erano come il giorno e la notte, sotto certi aspetti caratterialmente agli antipodi: Sherlock nel tempo libero tendeva a starsene per conto suo o al massimo con un'altra singola persona, preferendo la compagnia di libri, ricerche, esperimenti e indagini a quella umana, Victor invece amava stare tra la gente, cercava di interagire sempre con il maggior numero possibile di individui; erano entrambi dotati di una cospicua dose di sarcasmo, ma quello di Sherlock era sempre più cupo, cinico e asciutto rispetto a quello dell'amico, più scherzoso e meno caustico; Victor era socievole, vulcanico e sempre allegro, non era raro che spronasse il coinquilino ad uscire di più dal suo guscio e mollare quel suo atteggiamento da eremita inacidito, strepitandogli dietro ad ogni occasione mancata "Hai vent'anni, Cristo Santo, non centotrenta: esci da questo buco e fatti una vita sociale!", frase a cui Sherlock puntualmente replicava con un commento velenoso e piccato, rifiutandosi poi di rivolgergli la parola minimo per le tre ore successive.

A dispetto di tutte le loro differenze- e anche di quello che Sherlock pensava all'inizio-, avevano sviluppato un legame non comune, indistruttibile: riponevano cieca fiducia l'uno nell'altro, avrebbero fatto di tutto per il bene dell'amico e probabilmente si conoscevano meglio di loro stessi, fatto alquanto sconvolgente quando si aveva a che fare con uno come Sherlock Holmes. Il moro aveva dei fratelli di sangue, ma nessuno dei due lo conosceva bene quanto Victor- forse Mycroft sì grazie alle sue dannate spie ed Eurus avrebbe potuto dedurlo e decifrarlo senza sforzo, ma non era la stessa cosa: Victor lo capiva e prima di lui nessuno l'aveva mai fatto. Era una bella sensazione. E poi... Beh, Victor era uno dei pochi in grado di urlargli contro e metterlo a tacere quando lo meritava. Non era da tutti.

"Hai deciso cosa prendergli?" chiese Victor ad un tratto, distogliendo Sherlock dalle sue riflessioni. Gli rivolse uno sguardo confuso, poi domandò:

"Deciso cosa prendere a chi?"

"A John. Cosa gli regalerai per Natale?"

Sherlock sbatté un paio di volte le palpebre, poi mormorò, cauto:

"Perché, dovrei comprargli qualcosa?"

"Beh, non dico un solitario con diamante, ma una cazzata magari sì. Sai, giusto per augurargli buon Natale."

"E cosa dovrei comprargli?"

"Ma non lo so, qualcosa come una maglietta, un portachiavi, una saponetta... Roba normale, niente di costoso o troppo impegnativo, ma che... Ecco, qualcosa che per te abbia un significato. Capisci quello che intendo?"

"Sì, io... Credo di sì." sussurrò Sherlock, piano e Victor si voltò a guardarlo. Si mise a braccia conserte, squadrandolo in silenzio per qualche istante.

"Che c'è?" chiese Holmes e lui disse di rimando:

"Non gli hai ancora parlato, non è vero? Di quello che provi per lui, non gli hai ancora detto nulla. O mi sbaglio?"

Sherlock boccheggiò per qualche attimo, per poi abbassare lo sguardo sul pavimento e rispondere:

"Beh, ecco..."

"Oh, Cristo." gemette Victor, affondando il viso nella t-shirt che aveva in mano. Sherlock trattenne a stento un sospiro, mentre Victor continuava a mugugnare frasi indistinte nella stoffa. Continuò così per quasi un minuto, poi rinvenne dal tessuto e rivolse all'amico uno sguardo esasperato.

"Sei un idiota." disse soltanto e Sherlock non riuscì a risparmiarsi un'espressione totalmente oltraggiata.

"Non è vero, non-"

"Sì, invece. Dio santo, ti credi tanto intelligente ma in realtà sei un povero idiota... Anzi, no, siete due idioti, perché tu sei senza speranza, questo è poco ma sicuro, ma anche quell'altro non è da meno: siete sempre appiccicati, avete un rapporto quasi morboso, tu sei totalmente ossessionato da lui e John Watson viceversa, perché ormai è più di un mese che me lo ritrovo costantemente tra i piedi! Non lo so, si può sapere cosa accidenti state aspettando a parlarne e ufficializzare la cosa?!"

"Non c'è nulla da ufficializzare, Victor. A John io... Io non gli piaccio, non in quel senso. Siamo solo amici."

"Ma solo amici dove, che a momenti tu gli srotoli la lingua davanti stile tappeto rosso appena ti passa accanto e lui ti guarda con gli occhi da trota ogni volta che gli dai le spalle!" sbottò Victor, rosso in viso per l'eccessivo impeto con cui aveva parlato. Sherlock, rosso per altri motivi, notò due ragazze poco lontane fissarli con aria interrogativa e non poté fare altro che incassare la testa nelle spalle e dirigersi a passo di marcia verso il settore dei pigiami. Victor se ne rese conto solo dopo qualche istante e lo seguì, raggiungendolo proprio mentre Sherlock, scuro in volto, iniziava a scartabellare tra le camicie da notte con foga.

"Che stai facendo?" chiese Victor, esasperato. L'amico fece una smorfia e borbottò:

"Cerco un regalo per tua sorella, non siamo qui per questo?"

"Sì, ma stavamo parlando e sei praticamente scappato via."

"Non stavamo parlando, Vic, eri semplicemente tu a urlarmi addosso."

"Ti ho urlato addosso perché davvero non capisco, Sherlock: lui ti piace da matti, questo è evidente, come d'altro canto lo è che anche tu piaci a lui e-"

"Non per me. Per me non è affatto evidente."

"Per che tu sei più cieco dei tre topi bianchi di Shrek." ribatté Victor, stizzito e Sherlock gli rivolse uno sguardo vacuo.

"Cos'è uno Shrek?"

"Cosa?"

"Ti ho chiesto cos'è uno Shrek."

"È... È un orco. Quello della Dreamworks, hai presente?"

"Un orco? E cosa c'entrano i topi con un orco?" chiese Sherlock, sinceramente confuso. Victor roteò gli occhi con un sospiro.

"Senti, fai finta che non l'abbia citato, okay? Quello che volevo dire è che tu, per citare le tue stesse parole, vedi ma non osservi, brutto idiota: fidati se ti dico che John Watson stravede per te tanto quanto tu stravedi per lui."

"Ma lui questo non lo sa."

"Certo che non lo sa, tu sei un pirla: se non gli dici nulla come pretendi che possa farlo, con la telepatia?" chiese Victor, ironico. Sherlock restò zitto per qualche istante, poi mormorò:

"Ma se è davvero così evidente come dici tu, allora perché lui non lo sa?"

"Per lo stesso motivo per cui nemmeno tu lo sapevi."

"Cioè?"

"Non vorrei essere ripetitivo, quindi cercherò di trovare un altro insulto: è perché siete due cretini, Sherlock, ecco perché."

"E allora cosa dovrei fare? Dimmelo tu, mago del rimorchio, avanti!"

Victor gli rivolse un'occhiataccia, poi sbuffò e disse, passandosi una mano tra i capelli chiari e spostando un ciuffo ribelle dagli occhi:

"Potresti cominciare con il parlargli di quello che provi per lui: magari prova a buttarla sul flirt e guarda come reagisce; a quel punto, se è il caso, passa all'artiglieria pesante."

"Se è il caso...?"

"Dio santo, Sherlock, se ci sta: se non scappa via, se risponde a sua volta alle tue provocazioni, se ti lascia intendere di essere serio e di non stare semplicemente scherzando... Cose così. Credi di poterlo fare o è chiedere troppo?"

"Penso di sì... Alla fine è come dedurre, no?"

Victor sorrise davanti all'espressione incerta dell'amico e gli diede una sonora pacca sulla spalla.

"Esatto, amico, è esattamente come dedurre e tu sei un mostro con tutta quella roba."

"Okay. E dopo la deduzione cosa faccio?"

"Te l'ho detto, se ci sta inizi a fare sul serio."

"Victor, quante volte devo ripetertelo? Sii esplicito e parla chiaro, per l'amor del cielo, sai che ho esperienza zero in questo campo!"

"Lo so e fidati, il fatto che condivida la stanza con un quasi ventunenne vergine, nonostante tu abbia qualcosa come tipo cinque o sei persone a morirti dietro, mi dà i brividi, sul serio: fossi stato ace avrei capito questo tuo totale disinteresse, ma così... Bah. Per lo meno so che hai anche tu degli impulsi, è quasi rincuorante: mi sarei sentito una specie di animale fissato con il sesso, altrimenti." commentò Trevor e Sherlock gli rivolse uno sguardo dapprima perplesso, poi inorridito.

"Passando oltre al fatto che tu sei un animale..."

"Ma che carino."

"Come fai a sapere dei miei... impulsi?"

"Ti ricordo che dividiamo la stessa stanza da tre anni, Sherl. E ti svelerò un segreto: non sei poi così bravo a capire quando qualcuno sta dormendo veramente o ha solo gli occhi chiusi." disse Victor con un ghigno e Sherlock, osservando il suo volto, sbiancò.

"Non stai scherzando."

"Sfortunatamente no. Anche se devo ammetterlo, è stato quasi divertente sentirti cercare di soffocare il nome del tuo John nel cuscino. Sembravi piuttosto preso, accidenti, magari riuscissi io a farmi una sega con quei risultati." "Vic, per l'amor di Dio!"

"No, dico sul serio, è ammirevole! Per un attimo sono quasi stato tentato di scendere dal letto per andare a prendere un bicchiere d'acqua, giusto per farti venire un mezzo infarto, poi mi sono detto che non sarebbe stato carino interrompere il tuo appuntamento a luci rosse con le fantasie su John Watson e ti ho lasciato finire in pace. Insomma, già non scopi, se poi ti faccio pure saltare quegli sporadici e solitari lavori di mano con cui ti sfoghi va a finire che mi esplodi per l'eccessivo accumulo di tensione sessuale."

Sherlock era certo di essere diventato bordeaux e l'impulso di correre fuori da quel posto e gettarsi sotto un autobus era dannatamente forte. Non era mai stato così tanto imbarazzato in vita sua, mai. Victor, notando il suo mutismo, il colorito rosso fuoco e lo sguardo fisso sul pavimento, ridacchiò e disse, serafico:

"Non devi vergognarti, è normale. Fisiologico, oserei dire. Non puoi mica avere sempre qualcuno nel tuo letto per aiutarti a soddisfare i tuoi bisogni, quindi è giusto sbrigarsela da soli, a volte. Nel tuo caso sempre, fatto alquanto triste, ma spero che al più presto il buon John vi ponga rimedio. Secondo me un po' di sesso ti farebbe bene, diventeresti meno intrattabile. La verginità ti fa male, sei sempre con il muso... Un po' di moto ti tirerebbe su."

Sherlock fece una smorfia, poi disse:

"La perdita della verginità è un concetto sopravvalutato: non ho bisogno che qualcun altro mi porti all'orgasmo per sentirmi completo, raggiungere nirvana e pace dei sensi o per superare la soglia dell'età adulta, grazie mille."

"Lo stai facendo sembrare una sorta di rito di iniziazione a una qualche setta."

"La setta dei drogati di sesso, ecco quale, setta di cui tu sei il Capo Supremo."

"Oddio, mi sembrava di sentir parlare mia nonna e lei era tipo una puritana, una di quelle che distribuivano i volantini contro i preservativi davanti alla chiesa, perché 'la vita è un dono di Dio, Victor, solo lui può decidere quando darla e quando toglierla'."

"Beh, vedo che con te la sua propaganda ha fatto davvero centro."

Victor si strinse nelle spalle, poi tornò a guardarlo e disse:

"Per quanto adori disquisire sulla mia vita sessuale, mi sembra che ci siamo un po' allontanati dal problema di fondo, non trovi?"

"Non c'è nessun problema di fondo."

"Sì, invece: tu e la tua cotta, che con il vostro rapporto alla Romeo e Giulietta, tutto sguardi e sospiri, non vi decidete a fare il passo decisivo."

"Non siamo così patetici, in realtà, stai esagerando." bofonchiò Sherlock, assumendo una parvenza di broncio mentre incrociava le braccia sul petto. Victor, per tutta risposta, emise un gemito esasperato.

"Gesù, non fate altro che flirtare e lanciarvi sguardi languidi e flirtare di nuovo e scambiarvi occhiatine ammiccanti... Siete stucchevoli, Sherl."

"Noi non... N-Noi non flirtiamo affatto!" squittì Sherlock e Victor gli lanciò uno sguardo stizzito, subito prima di scuotere la testa e schiarirsi la voce.

"Quel cappuccino non era male, ma non aveva niente a che fare con i tuoi, quelli sono speciali!" civettò Victor con un sorriso stucchevole e una mano appoggiata all'avambraccio del moro, in un esagerata imitazione di John che fece arricciare il naso a Sherlock. A quel punto Trevor si mise a braccia conserte e chiese, rivolgendogli uno sguardo seccato:

"E quello come lo chiameresti, se non 'flirtare con la F maiuscola'?"

"Amichevole conversazione tra pari."

"Amichevole quanto una sega, Sherlock, ecco cosa... Mmh, questa non è malaccio, potrei regalarla a Carly." commentò Victor, osservando una maglietta con la scritta "My Daddy Calls Me Baby". Sherlock boccheggiò per qualche istante, poi sibilò:

"Potresti per favore smetterla di parlare così?! Quando ti ho chiesto di essere esplicito non intendevo questo, stai diventando irritante! E metti giù quella maglietta, è volgare!"

"Non è colpa mia se le tue pudiche orecchie da verginello innocente si scandalizzano per un nonnulla!"

"E quello tu me lo chiami un nonnulla?!"

"Amico, fidati: con te non sono mai stato volgare. Mai. Altrimenti ti avrebbero già ricoverato in un qualche reparto di psichiatria perché i tuoi fragili e delicati nervi non avrebbero sopportato il colpo e l'affronto e oh, cielo, quale oscenità, sarò condannato a bruciare all'Inferno per l'eternità come una salsiccia!" gemette Victor, coprendosi gli occhi con un braccio e lasciandosi cadere con aria affranta addosso all'amico.

"Perché proprio una salsiccia?" chiese Sherlock, confuso. Le labbra di Victor si piegarono in un ghigno malefico quando alzò lo sguardo sul volto di Holmes.

"Beh, stavamo parlando di pessime battute a sfondo sessuale: mi sembrava in tema."

"Oh, ma falla finita!"

"Certo, certo, come vuoi, Principessa. Comunque... Che stavo dicendo? Ah sì, ora mi ricordo. Ogni volta che vi vedo mi sento male per voi, dannazione, c'è così tanta tensione sessuale repressa tra voi persino quando analizzate roba al microscopio o parlate di malattie mortali, è... Diamine, è ingombrante." disse Victor, tornando in posizione eretta davanti a Sherlock. Lui sospirò e ribatté, passandosi una mano sul collo con aria stanca:

"Ingombrante o meno, non posso certo presentarmi da John e dirgli: 'Ehi, John, ti ho mai detto di avere una cotta per te da tipo due anni? No sai, perché secondo il mio amico Victor sarebbe meglio se andassimo a letto insieme, ridurrebbe la tensione e saremmo tutti e due più felici!'."

"Perché no? A me sembra un gran discorso."

"Vic, non so nemmeno se io possa... piacergli. Fino ad ora l'ho sempre e solo visto con una donna al suo fianco e io sono tutto tranne che una ragazza." mormorò Sherlock, amareggiato. Victor lo squadrò, allibito, poi commentò:

"Tu ai pettegolezzi non ci badi proprio, eh?"

"No. Dovrei?"

"Sì, perché a volte riguardano fatti succosi sul tuo caro John Watson."

"Del tipo?" chiese Sherlock, sulle spine. Victor sorrise e disse, le mani intrecciate dietro la schiena:

"Beh, si vocifera che il buon vecchio John, prima di mettere la testa a posto e diventare Mr. Morstan, fosse una sorta di playboy. E che non spopolasse solo tra le signore, non so se mi spiego..."

"Fermo, fermo: stai dicendo che non è etero?"

"È pensiero comune che non lo sia, no."

"Quindi è... Cosa, bisessuale?"

"Bisessuale, pansessuale, bicurioso, eteroflessibile, non ho idea di quale sia il suo vero orientamento, quindi mettila come preferisci. Sta di fatto che, a quanto pare, non è interessato esclusivamente al gentil sesso e questo, amico mio, ti dà libertà d'azione."

"E se fossero solo pettegolezzi, spazzatura inventata da chicchessia?"

"Se non provi, non lo saprai mai. Anzi no, lo saprai quando te lo ritroverai a gironzolare per il campus mano nella mano con un altro tizio."

"Fermati, ti prego."

"Qualcuno di molto meno attraente di te, di mortalmente stupido e oh, Dio, così banale!"

"Piantala, Vic!"

"Pensa se fosse quel suo amico, quello di criminologia... Come si chiama, Graham? Oppure quello in sovrappeso che studia con lui medicina, quello sì che sarebbe divertente da vedere. O peggio ancora: Anderson."

"La vuoi smettere?!"

"Me lo immagino già a passeggiare romanticamente con lui dinanzi al tramonto, a sbaciucchiarsi sotto un ciliegio in fiore, per non parlare del ses-"

"Basta!" strillò Sherlock, la voce stranamente acuta. Victor si lasciò sfuggire un ghigno malefico.

"Ti ho solo illustrato alcune possibilità per il futuro nel caso tu non ti dia una mossa, Sherly caro. Ora è il tuo turno." commentò Trevor, soddisfatto. Sherlock lo fulminò con uno sguardo omicida e Victor si strinse nelle spalle.

"Dammi retta, Sherlock: anche se non ho esperienza diretta con un ragazzo, so come funzionano le relazioni. Quanto potrà mai essere diverso se invece di far la corte a una femmina la fai ad un maschio?"

"Cosa suggerisci di fare?"

"Potresti approfittare di una delle vostre uscite e parlargli di quello che senti: come ho detto prima, magari inizia con qualcosa di scherzoso per tastare il terreno, come se stessi giocando; poi, di nuovo, puoi abbandonare i piedi di piombo e fare sul serio. Devi cercare di essere esplicito ma allo stesso tempo non indiscreto, John deve capire quello che vuoi dirgli senza però sentirsi pressato, quello non piace a nessuno. Siete amici, state bene insieme e siete molto affiatati, è palese a chiunque: questa vostra complicità vi aiuterà ad affrontare più serenamente la questione, secondo me ti renderà più facile il lavoro. E John potrebbe sempre capire prima della fine del discorso e risparmiarti la fatica, oppure aiutarti nel caso ti veda in difficoltà: è un idiota, ma è anche una brava persona, sono certo che lo farebbe." spiegò Victor, tornando a dare un'occhiata agli indumenti appesi alle grucce. Sherlock si morse il labbro e restò in silenzio, osservando distrattamente i vestiti che Victor gli mostrava. L'amico si rese conto del suo disagio e sospirò, per poi dargli un colpetto sul braccio e chiedere:

"Che c'è che non va?"

"Nulla."

"Piantala di dire cazzate, Sherlock: ti conosco, non sarò un genio ma riesco a capire quando c'è qualcosa che non quadra. Quindi, qual è il problema?"

Sherlock non disse nulla per quale istante, sotto lo sguardo attento di Victor, poi fece un respiro profondo.

"È che... Ho paura di non esserne capace, Vic." disse, amareggiato, "Tengo troppo a lui, come non ho mai fatto prima. Non voglio rovinare tutto."

Victor annuì, meditabondo. Dopo qualche istante disse soltanto:

"Avevo capito male."

"Che vuoi dire?"

"Beh, voglio dire che pensavo fosse una semplice cotta, questa. Avevo capito male: tu sei davvero innamorato di lui." mormorò Victor, sorridendo lievemente. Sherlock sentì le guance farsi sempre più rosse e calde, però riuscì comunque a reggere lo sguardo dell'amico. Lentamente, annuì.

"Sì, lo sono. Non pensavo mi sarebbe mai successo, ma a quanto pare mi sbagliavo." mormorò Sherlock e Victor rise.

"Sembra che alla fine sia umano pure tu. Chi l'avrebbe mai detto?"

"Probabilmente Molly, lei è sempre così ottimista e fiduciosa... A volte è snervante."

"Non ne ho dubbi. Comunque, tornando a noi: aiutami a scegliere il regalo per quella santa di mia sorella, così poi io aiuto te con quello per John."

"Ancora una volta, perché dovrei prendergli un regalo? È davvero così importante?"

"Sherlock, sei dotato di un meraviglioso encefalo, quindi usalo: devi parlargli di voi due, dichiararti addirittura; non credi quindi che un regalo possa fare al caso tuo e aiutarti nell'impresa?"

"...tu credi?"

"Certo che lo credo. Ora, non dico che tu debba fargli una proposta di matrimonio, però potresti iniziare a portarti avanti così. Anzi, perché non lo chiami e lo inviti a uscire? Sarebbe più pratico, avresti già la data fissata e potresti iniziare a preparare il tuo discorso da premio Nobel."

"Non... N-non posso."

"È vero, hai ragione, ora ha lezione... Beh, puoi sempre scrivergli, così quando avrà finito leggerà il messaggio e voilà, fisserete il vostro appuntamento."

"No, Vic, non hai capito, non posso farlo, non ho-"

"Ora però stai facendo il difficile, cosa ti costa mandargli un messaggio?! Hai paura che costi troppo, sei davvero così tirchio?!"

"No, è che-"

"E allora perché non puoi, cosa-"

"È perché non ho il suo numero, Victor!" sbottò Sherlock e Victor si bloccò di colpo. Lo fissò per qualche attimo senza muoversi, completamente allibito.

"Aspetta, aspetta, fammi capire..." disse dopo un po', ancora incredulo, "Vi frequentate da quasi due mesi, vi vedete tutti i giorni, siete sempre appiccicati, eppure... Eppure non gli hai mai chiesto il suo numero?!"

"No. Non ce n'è mai stato bisogno."

"E come facevate a mettervi d'accordo per vedervi?"

"Ne parlavamo giorno per giorno e decidevamo quando e dove vederci in base ai nostri impegni."

"E non ti è mai passato per l'anticamera del cervello di chiedergli il numero per... Non so, altri motivi? Fargli capire che sei interessato a lui?"

"Veramente... No." mormorò Sherlock, pensoso. Victor si sbatté una mano in faccia con aria rassegnata, poi fulminò l'amico con lo sguardo.

"Ma dico io, sei impazzito?! No, non sei pazzo, sei solo un deficiente e quell'altro è pure peggio, perché nemmeno lui ha mai emesso una sillaba in proposito! Cosa diavolo avete nel cervello, la segatura?! Capisco te, che sei un povero piccolo verginello innocente, ma John dovrebbe essere un minimo più pratico, più specializzato nell'arte del rimorchio, però apparentemente siete entrambi due poveri imbecilli!" sbraitò Victor e Sherlock si limitò a sbattere le palpebre in silenzio, imbarazzato. Effettivamente, il suo amico non aveva certo tutti i torti, perché non l'aveva mai fatto prima? Si sentì incredibilmente stupido.

"Non è possibile, non è possibile... Senti," disse Victor, massaggiandosi la radice del naso con aria irritata, "devi darti una svegliata, Sherlock, dico sul serio. Quando lo rivedrai?"

"Domani pomeriggio: in mattinata io lavoro e lui ha lezione. Ci vedremo verso le cinque e mezza, dopo il mio corso di chimica."

"Ottimo. Prima di tutto, sistema questa cosa. Poi vedi di farti avanti, altrimenti giuro che piuttosto lo rimorchio io per esasperazione. Sono stato chiaro, William?"

"Non chiamarmi William, sai che lo detesto."

"Me ne frego, non è questo il punto. Hai capito?"

"Ho capito, ho capito... Cercherò di sistemare tutto." mormorò Sherlock, alzando gli occhi al cielo e Victor si concesse un sorriso soddisfatto.

"Bene. Ora, ho bisogno di un favore."

"Che tipo di favore?"

Victor afferrò una gruccia e mostrò a Sherlock una maglietta rosa, al cui centro spiccava il disegno di un gatto e la scritta, in caratteri dei colori dell'arcobaleno, "Ameowzing!'.

"Ho bisogno che qualcuno la provi." disse Victor sorridendo candidamente, "Io non posso, ho il torace troppo largo, ma tu... Saresti purrfetto con questa addosso."

"Scordatelo. Io quell'orrore non lo metto nemmeno se mi paghi: non mi renderò ridicolo davanti a tutti, non se ne parla."

"Dai, ti offro un frappuccino alla fragola, così anche se te lo rovesci addosso non si vede!"

"A me i frappuccini fanno schifo, lo sai."

"Lavori da Starbucks, amare i frappuccini non dovrebbe essere uno dei requisiti di assunzione?"

"Fortunatamente no. E metti giù quella maglietta, non me la metto!"

"Andiamo, Sherl, giuro che non manderò la foto a tanta gente, solo a tipo mezzo campus!"

"No!"

"Ti prego, non- e dai, amico, torna qui! Sherlock!"

 

 

 

"...non so, forse sarebbe meglio un latte macchiato. Però effettivamente anche il cappuccino non sarebbe male, anche se di solito non lo digerisco. E muffin o treccia? Sembrano entrambi ottimi. Tu cosa mi consigli?"

Sherlock fissò con sguardo truce la donna di mezza età davanti a lui, piccola come uno scricciolo e nascosta dietro ad un paio di occhiali talmente spessi da sembrare finti. Insegnava matematica, se non ricordava male, forse trigonometria. Sherlock non sapeva se fosse più inutile lei o la sua materia.

"Io opterei per il cianuro." mugugnò con un sospiro e la donna gli rivolse uno sguardo vacuo.

"Come, scusa? Temo di aver frainteso."

"Nulla, lasci perdere."

"Allora, credo proprio che prenderò..."

Sherlock distolse lo sguardo con una smorfia, mentre la donna ricominciava a blaterare su cosa fosse meglio ordinare, e finì per posarlo sui propri abiti. Avevano già le divise natalizie e lui le detestava: Molly aveva ragione, quell'anno gli avevano propinato di nuovo le bretelle a righe bianche e rosse e i cappellini di feltro a punta, rosso cangiante e con un maledetto campanellino in cima. Sherlock si sentiva un perfetto idiota vestito così, non vedeva l'ora che le feste passassero e tutto tornasse alla normalità.

La vista di quelle orrende bretelle gli diede la nausea e Sherlock si trovò quasi costretto a guardare altrove. Erano le undici passate e, complice il tempo nevoso, il locale era quasi deserto a quell'ora. Non avendo granché da fare- piuttosto che dare corda a quella pazza logorroica si sarebbe ammazzato-, il ragazzo osservò la strada coperta di neve, gli alberi e i lampioni imbiancati e le persone che passeggiavano sui marciapiedi armate del loro ombrello: sembrava una cartolina, un paesaggio di finzione. Sherlock si era sempre chiesto perché la gente li amasse così tanto: lui preferiva la realtà, era cento volte più interessante.

Ad un tratto, nel suo campo visivo entrò un ragazzo con un piumino arancione e un trapper (1) in testa, diretto verso l'ingresso del locale: era dall'altro lato della strada, ma ci avrebbe messo pochi istanti ad attraversare e raggiungere Starbucks. In ogni caso, Sherlock non aveva certo bisogno che si facesse più vicino per riconoscerlo: lo avrebbe fatto anche ad un chilometro di distanza, figurarsi a pochi metri. Quando varcò la soglia e si tolse il cappello, incrociò subito lo sguardo del barista e a quel punto Sherlock aggrottò la fronte.

"Che ci fai qui?" chiese ad alta voce, interrompendo gli sproloqui solitari della cliente. John lo raggiunse e rispose, appoggiandosi con i gomiti al bancone:

"C'è stato un cambio di programma, mi hanno sposato una lezione a questo pomeriggio e, ultime notizie, il coach vuole farci fare l'ultimo allentamento dell'anno stasera."

"Stasera? Ma il campo sarà coperto di neve, come farete a giocare?"

"Secondo me infatti non giocheremo affatto, ma fallo capire a quel testone, alla fine è sempre lui quello che decide."

"Suppongo quindi che oggi non ci vedremo." dedusse Sherlock e John fece una smorfia, passandosi una mano sul collo.

"Forse stasera, ma non ci giurerei... Sono passato per questo, per avvisarti e salutarti, non mi andava di aspettare fino a domani senza vederti." mormorò John e Sherlock sorrise.

"Gentile da parte tua."

"Io sono gentile. Sono così gentile che aspetterò il mio turno per fare due chiacchiere, non voglio certo rubare il posto alla professoressa Turner." disse John, rivolgendo un sorriso affabile alla donna accanto a lui. Lei rispose con uno soddisfatto, tornando a guardare Sherlock. Fece per aprire di nuovo la bocca, ancora incerta e lui la interruppe sul nascere.

"Senta, se per lei non è un problema, posso occuparmene io: credo di avere un'idea dei suoi gusti, posso improvvisare qualcosa."

"Oh, beh... Se per te non è un problema-"

"No, non è affatto un problema. Sono due sterline e dieci." disse Sherlock, stremato. La donna gli consegnò il denaro e lui, dopo averle detto che l'avrebbe chiamata a ordine fatto- la professoressa aveva lasciato "Pam" come nome per essere chiamata e Sherlock non riusciva a realizzare che in realtà avesse un nome-, passò al cliente successivo, ossia John. Molly gli si affiancò in quel momento, prima che i due potessero mettersi a parlare, e chiese:

"Vuoi che mi occupi io dell'ordine di Mrs. Turner?"

"Non hai altri clienti?"

"No, ho finito adesso con l'ultimo. Ciao, John."

"Ciao, Molly." disse John, rivolgendole un sorriso. Sherlock passò alla ragazza lo scontrino.

"Un Espresso Con Panna Venti da consegnare a Pam."

"D'accordo, me ne occupo io."

Molly tornò ad armeggiare con la macchinetta del caffè e Sherlock tornò a John, che nel frattempo si era messo a fissare con un certo divertimento il suo cappello a punta.

"Non commentare." sibilò Sherlock con una smorfia e John ridacchiò.

"Perché no? Ti sta bene, sembri un elfo troppo cresciuto."

"Staresti meglio tu, in fin dei conti l'altezza è giusta."

"Ha ha ha, molto divertente." ribatté John, stizzito e stavolta fu Sherlock a ridere.

"Il solito?" chiese e John annuì.

"Il solito, sì."

"La cioccolata o il Latte?"

"Tu cosa consigli?"

"Ti prego, non metterti a fare come la Turner."

"Vada per il Latte, allora." disse John, consegnandogli direttamente la quantità di denaro richiesta. Sherlock gli consegnò la ricevuta, poi si spostarono verso l'area di preparazione degli ordini.

"Come procede l'indagine?" chiese John e Sherlock si strinse nelle spalle.

"La presunta stalker era l'ex fidanzata di Keith: non aveva preso bene la rottura."

"E ora?"

"E ora non sono più affari nostri: il nostro lavoro è fatto e Keith lo sa, ora sta a lui mettere le cose a posto tra lui e la sua ex psicopatica." mormorò Sherlock e John annuì. Restarono in silenzio per qualche attimo e Sherlock osservò di tanto in tanto John di sottecchi: faceva finta di nulla, ma il suo nervosismo era più che palese. Era agitato e sembrava sempre sul punto di dire qualcosa, per poi fermarsi e rinunciare. Dopo un paio di istanti, ritornava alla carica. Tempo due minuti e crolla pensò, preparando la miscela per il Latte.

"Allora..." iniziò John dopo nemmeno trenta secondi e Sherlock, cercando di non sembrare troppo compiaciuto, voltò la testa verso di lui.

"Allora cosa?"

"No, mi chiedevo... Hai programmi per le vacanze?"

"Torno a casa, nel Sussex. Niente di particolarmente eccitante, a parte il fatto che mi hanno dato le ferie fino al sette gennaio. Tu, invece?"

"Torno a casa anche io, ma forse farò un salto a Brighton per Capodanno."

"Non per rovinarti i programmi, ma temo che fine dicembre non sia il periodo più adatto per andare al mare."

"Ci sono molte altre cose da fare a Brighton oltre ad una nuotata in mare."

"Del tipo?"

"Bere una birra in un locale, feste, passeggiate sul molo, incontrare persone nuove... Cose così." mormorò John e Sherlock cercò di restare impassibile davanti a quel "incontrare persone nuove". Non seppe dire se ci riuscì, ma dentro avrebbe solo voluto urlare: John non aveva bisogno di altre persone, aveva lui. Se glielo avesse chiesto, avrebbe fatto di tutto, sarebbe stato qualsiasi cosa John avesse voluto. Forse non sei abbastanza, Sherlock, forse
non sei alla sua altezza: magari è per questo che non te l'ha chiesto, ci hai mai pensato?
mormorò sibillina una voce nella sua testa e Sherlock sentì un groppo in gola a quella prospettiva. In fondo non aveva tutti i torti: John era così bello e gentile e speciale e lui era... lui. Provò pietà per se stesso per aver anche solo pensato di poter essere minimamente degno di qualcuno come John.

"Beh, ti auguro di trovare quello che fa al caso tuo, io cercherò di farlo per quanto riguarda il mio." disse a denti stretti, iniziando a riporre nel sacchetto di carta la treccia alla cannella. Probabilmente se lo immaginò soltanto, ma per un attimo gli sembrò quasi che John avesse sgranato gli occhi, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Fece un sorriso esitante, un sorriso che a Sherlock sembrò quasi nervoso, poi disse:

"Non che tu ne abbia bisogna, insomma... Hai già tutto: un lavoro, voti eccellenti, una grande mente... Una ragazza?"

John rivolse uno sguardo veloce a Molly, intenta ad osservarli con la coda dell'occhio e Sherlock fece una smorfia.

"No."

"No?"

"No: diciamo che le ragazze non rientrano nella mia area di interesse."

"...oh. Oh, okay, allora... Un ragazzo, magari?" buttò lì John con finta nonchalance e Sherlock inarcò un sopracciglio.

"Farebbe qualche differenza?"

"No, no, solo così per dire... A me va bene, non c'è nulla di male."

"Lo so."

"Ecco, appunto... Quindi?"

"Quindi che?"

"Quindi... Hai un ragazzo?"

"No." disse e John gli parve quasi... sollevato.

"Dunque sei single. Senza legami. Come me... Ottimo. Bene." mormorò, quasi più rivolto a se stesso che altro. Sherlock aggrottò la fronte, perplesso.

"John, cosa diavolo stai-"

"Niente, assolutamente niente. Stavo solo- niente."

"Io non direi. Sei strano."

"Fidati, non sono mai stato meglio... Il mio Latte?" chiese il biondo, ad un tratto molto più allegro. Sherlock gli rivolse uno sguardo diffidente, poi scrisse velocemente il suo nome sul bicchiere e versò la bevanda al suo interno, per poi consegnare il tutto a John.

"Eccolo. Ora hai lezione?" chiese Sherlock e John, mentre buttava giù due ampie sorsate, annuì.

"Cardiologia. Dio, saranno due ore infinite..."

"Pensa a me, io sarò confinato qui per molto di più."

"Non ti invidio."

"Immaginavo."

Lo sguardo di Sherlock cadde su un paio di clienti intenti ad aspettare di essere serviti e fece una smorfia: Molly era occupata, toccava a lui.

"Temo sia ora che ritorni al lavoro. Ci... Ci vediamo domani, allora."

"Forse anche stasera, non lo so... Dipende da come vanno gli allenamenti." mormorò John, bevendo quello che restava del Latte. Sherlock annuì, abbattuto, ma non ebbe nemmeno il tempo di deprimersi, perché John chiese:

"Prima che me ne vada, mi passeresti quel pennarello, per favore?"

"Il... Il pennarello? A cosa ti serve?"

"Tu passamelo, poi ti faccio vedere."

Sherlock aggrottò la fronte, titubante, poi però fece come John gli aveva chiesto. Il ragazzo tolse il tappo e iniziò a scrivere velocemente sulla superficie liscia. Dopo qualche attimo, restituì l'indelebile a Sherlock, passandogli qualche istante dopo anche il bicchiere. Il barista inarcò un sopracciglio.

"John, vieni qui da anni: sai che non ci occupiamo noi dello smaltimento rifiuti."

"Oh, lo so... Però penso che quel rifiuto in particolare possa interessarti." mormorò il biondo con un sorriso furbo, intrecciando le mani dietro la schiena e iniziando ad indietreggiare. Sherlock lo guardò stranito, poi si girò il bicchiere tra le mani fino a far entrare nel proprio campo visivo ciò che aveva scritto. Perse un battito, forse anche due o tre: sulla parte alta spiccava il nome di John, scritto nella sua calligrafia secca e spigolosa; più in basso però c'era una nuova aggiunta, una sequenza numerica opera della grafia più gentile e tondeggiante di John. Dopo l'ultima cifra, l'aspirante medico aveva aggiunto un "Text me ;)". Sherlock sollevò di scatto la testa, rivolgendo a John uno sguardo vagamente sconvolto. Lui, invece, sorrise.

"Mi sembrava di aver aspettato fin troppo, a te no?" esordì, poggiando la mano sulla maniglia della porta. Sherlock, ancora inebetito, annuì lentamente. John restò fermo a guardarlo per qualche istante, poi sorrise e scosse lievemente la testa, aprendo la porta nel frattempo.

"Mi aspetto di trovare un tuo messaggio alla fine di cardiologia."

"È... È-È più che probabile." ribatté Sherlock, senza riuscire a trattenere a sua volta un sorriso. John sembrò soddisfatto e alzò una mano per salutarlo, poi aprì la porta e uscì. "Ci sentiamo dopo!" esclamò, mentre richiudeva l'uscio alle sue spalle. Sherlock lo seguì con lo sguardo fino a che non sparì in mezzo alla neve; solo a quel punto riportò l'attenzione sul bicchiere, osservando con aria rapita la successione di cifre che John gli aveva lasciato. Quasi senza realizzarlo, estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e aprì la rubrica.

*Opzioni*
->*Nuovo Contatto*
-->*Nome Contatto: John*
*Numero: 0370 010 0222* (2)
--->*Salvare?: *
---->*Salvataggio In Corso...*
*Salvataggio Completato*






 

(1) i trapper sono quei cappelli di tessuto e pelliccia che coprono anche le orecchie, una sorta di colbacco- almeno, così sostiene Google. Per capire meglio, vi lascio qui un link con una foto:
https://www.winterstyle.com/images_wm/large/Tough_Duck_Canvas_Aviator_Hat_Brown_1665.jpg

(2) questo è il numero del servizio clienti della BBC, volevo un numero vero ma non sapevo inventarlo, quindi perché non utilizzare direttamente il numero di telefono degli Inferi?




Note:
Ed eccoci alla fine del capitolo 2!
Innanzitutto vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto, salvato e recensito la storia: non mi aspettavo un seguito così ampio e... Beh, sono felice che ne siate rimasti colpiti! Spero che questo capitolo vi abbia entusiasmato quanto il precedente- e soprattutto mi auguro vivamente di non dover litigare ogni volta con l'html, sta diventando una tortura.
Piccole precisazioni su Victor: nelle storie che leggo o scrivo Victor è sempre un personaggio diverso, più che altro perché alla fin fine è come se non fosse mai stato introdotto nella serie, non ha avuto una caratterizzazione definita e perciò è possibile giocare molto con lui, specialmente con carattere e personalità. In questa storia è uscito così, praticamente un "anti-Sherlock": molto cheeky, leggero, un po' irascibile, spudorato, sarcastico e con un sense of humor stracolmo di battute a luci rosse... Ammetto di avere un debole per questa versione. Onde evitare ulteriori drammi e complicazioni, ho preferito tenere Vic del tutto fuori dalla sfera di interesse di Sherlock e viceversa: uno è etero, l'altro gay e sono migliori amici. Punto. Per questa storia, il ruolo di Victor sarà esclusivamente questo: lo rivedremo più avanti, ma qui non avrà mai il ruolo di "fiamma", ci tenevo a specificarlo.
Come sempre, se volete fare due chiacchiere, segnalare qualche errore sfuggito alla revisione o farmi sapere cosa ne pensate, potete lasciarmi una recensione.
Un bacio, ci rivediamo al capitolo 3!
Cami

   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: calock_morgenloki