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Autore: calock_morgenloki    09/07/2017    11 recensioni
Pur di conseguire il suo obbiettivo di diventare consulente investigativo, Sherlock Holmes, studente al terzo anno della facoltà di chimica, si ritrova a fare il lavoro più ingrato e imbarazzante sulla faccia della Terra, per di più in un posto che praticamente incarna l'Inferno: il barista da Starbucks.
Sherlock odia tutto di quel posto- chiunque abbia coniato il termine "Frappuccino" applicandolo ad una sottospecie di disgustoso frullato merita la galera a vita, a sua detta- e soprattutto detesta i clienti che lo obbligano a preparare quegli intrugli.
Anche se... Okay, diciamolo pure: per John Watson, quinto anno a medicina, si sente quasi in grado di fare un'eccezione.
{Johnlock; Uni!lock AU}
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Frappuccino For Two

 

1.
 

C'erano tante cose- forse anche troppe- che Sherlock Holmes detestava a proposito del genere umano: non sopportava le risatine da oche di alcune ragazze che frequentavano la sua università, reputava irritanti e inopportuni i pettegolezzi, i giornali scandalistici non erano altro che spazzatura, la politica era inutile e noiosa, l'etichetta e le buone maniere erano semplicemente irritanti e, molto più in generale, trovava che all'incirca l'ottantasette virgola cinque per cento dei suoi conoscenti avesse un quoziente intellettivo troppo basso addirittura per un essere senziente come un lombrico, figurarsi un essere umano. Davvero, si sarebbe potuto riempire un libro con tutte le cose che Sherlock, vent'anni di acidità e sarcasmo concentrati in un secco spilungone di un metro e ottantatré con una massa di capelli ricci costantemente scompigliati e un paio di occhi grigi perennemente torvi, trovava deplorevoli e incredibilmente moleste nelle persone, ma a dirla tutta, a monte di tutto c'era soltanto un elemento che il ragazzo odiava a morte, più di ogni altra cosa e avrebbe volentieri raso al suolo a colpi di kalashnicov: il suo posto di lavoro. Più precisamente, Starbucks.

Sherlock Holmes era probabilmente il peggior barista che un locale avrebbe potuto avere, l'incubo di qualsiasi gestore: scontroso con ogni cliente, si divertiva a dedurre la loro vita semplicemente guardandoli, mettendoli in ridicolo davanti a chiunque fosse nei paraggi. Normalmente- e questo era il meno- si dilettava nello scrivere in modo volutamente sbagliato il nome della clientela sui bicchieri di carta e, quando era in vena particolarmente creativa, poteva addirittura arrivare a scrivere qualsiasi cosa gli passasse per la testa, il problema era che nella migliore delle ipotesi lo faceva in latino, greco antico o sanscrito. E davanti alle facce perplesse dei clienti, ecco che partiva una nuova sequela di commenti al vetriolo e battutine sarcastiche, intervallate qua e là da imbarazzanti deduzioni.

Era una giornata triste e grigia, quella: l'autunno dai mille colori era finito da un pezzo, lasciando campo libero a quella parte della stagione caratterizzata da alberi spogli, temperature in caduta libera e pioggia pressoché incessante. Il fatto che poi avrebbe dovuto passare buona parte della sua giornata stipato in quel buco dove era costretto a servire orridi intrugli di caffè dai nomi ridicoli a persone ancora più stupide, non faceva altro che innalzare il livello di nervosismo di Sherlock. Era venerdì e lui, dato che quel giorno non aveva lezioni, aveva avuto il meraviglioso turno di apertura, dalle cinque e mezza fino alle dieci e mezza: questo voleva dire che avrebbe dovuto interagire di prima mattina con tutti gli studenti diretti in università e poi di nuovo con loro durante le pause di metà mattina; diciamo pure che non era un fatto di grande attrattiva.

Nonostante ciò, arrivò in negozio in perfetto orario, giusto in tempo per dare un'ultima sistemata prima di aprire. Era un tipo puntuale, Sherlock, affidabile: aveva tanti difetti, ma si poteva contare su di lui, se prendeva un impegno. E visto che per portare avanti il suo "piccolo hobby dell'investigazione", come lo chiamava suo fratello Mycroft, aveva bisogno di soldi- la sua famiglia non approvava e, dunque, non sganciavano nemmeno un centesimo-, si poteva dire che fosse quasi costretto a farlo.

"Buongiorno, Sherlock!" lo salutò allegramente Molly, non appena si fu chiuso la porta alle spalle. Molly Hooper aveva la stessa età di Sherlock e studiava per diventare medico legale. Sherlock la considerava qualcosa di simile ad un'amica, insieme a quelle altre due povere anime che erano in grado di sopportarlo senza staccargli la testa a morsi, ma non le aveva mai dato molta confidenza. Aveva l'impressione che la ragazza avesse una cotta per lui- ed era un'impressione che durava da circa due anni, quando avevano iniziato a lavorare da Starbucks-, quindi meglio tenerla a debita distanza: non avrebbe saputo come comportarsi nel caso gli avesse fatto una straziante dichiarazione d'amore, più che altro non sapeva come avrebbe dovuto risponderle senza rischiare di ridurla in lacrime. Aveva già provato a dirle che non era il suo tipo, che le ragazze in generale non lo erano, ma lei sembrava non aver capito. Non era mai stato bravo in quel genere di cose, Victor, il suo migliore amico e coinquilino, lo diceva sempre.

Sherlock ricambiò il saluto con un cenno del capo e un grugnito, dirigendosi nel frattempo verso il retro del negozio. Ripose sull'appendiabiti il cappotto, stando bene attento a riporre con cura sciarpa blu e guanti nelle tasche, poi prese il proprio berretto dal gancio dove l'aveva abbandonato il giorno prima e osservò il suo riflesso nel vetro della locandina pubblicitaria del locale incorniciata e appesa alla parete. Come sempre, si sentì un perfetto idiota: la t-shirt verde con il logo dell'azienda sul petto gli stava innaturalmente larga e quel maledetto cappellino con la visiera, dello stesso colore dell'ingrata maglietta, gli schiacciava i capelli contro la testa, facendolo sembrare una sorta di barboncino mal tosato. Quando poi abbassò lo sguardo verso il pavimento, la situazione non fece altro che peggiorare: le scarpe nere antiurto erano tremendamente pesanti, scomode e antiestetiche e... Dannazione, quei pantaloni erano tremendi. Erano beige e lui odiava il beige, che razza di colore era? Quella divisa era un insulto al genere umano a suo parere, niente da fare.

Tornò in negozio con uno sbuffo, raggiungendo Molly dietro al bancone. Quello Starbucks in particolare non era molto grande, per coprire un turno bastavano due persone e Molly in un modo o nell'altro faceva sempre in modo di affiancare Sherlock, un po' perché nessun altro voleva farlo, un po' perché in fondo lavorare gomito a gomito per cinque ore con la sua cotta non era affatto male. Il fatto che la suddetta cotta non se la filasse di striscio era un altro discorso, ma Molly era una ragazza tenace e non si sarebbe data facilmente per vinta, con somma disperazione di Sherlock.

"Dormito bene?" chiese, sorridendo. Sherlock arricciò il naso e rispose:

"Non ho dormito, dovevo lavorare."

"Hai trovato un secondo lavoro?" domandò Molly, sgranando gli occhi. Il ragazzo roteò gli occhi, irritato.

"Non essere stupida, Molly, stavo lavorando all'esperimento sulle cornee. L'acido che ho utilizzato non ha dato risultati soddisfacenti, la corrosione non è come la volevo io."

"Hai provato con l'acido cloridrico?"

Sherlock si irrigidì, spalancando gli occhi; poi, lentamente, sorrise.

"L'acido cloridrico. Sì, potrebbe andare bene! Devo assolutamente fare una prova, potrebbe essere la volta buona!" esultò e Molly sorrise lievemente.

"Lieta di esserti stata utile... Ho già fatto io l'inventario della mattina, c'è tutto e ho preparato già le macchine per i caffè, cappuccini... Oh, è arrivata la nuova miscela per il frappuccino, questa è all'Eggnog. Sai, per Natale."

"Manca ancora un mese e mezzo a Natale."

"Beh, Halloween era settimana scorsa, ora che hanno ritirato il latte alla zucca e i pipistrelli di zucchero devono iniziare con i drink per le feste. Entro fine mese dovrebbero arrivare anche le nuove divise natalizie, a quanto pare quest'anno il cappellino sarà a punta, di panno verde e rosso e con un campanellino in cima. Chissà se ci daranno anche le bretelle rosse e bianche, come quelle dell'anno scorso, te le ricordi?"

"Purtroppo sì e non ci tengo a rivederle. Sono le cinque e trenta, vai ad aprire la porta." disse Sherlock, iniziando a disporre i dolci per la colazione nell'espositore. Molly sospirò e roteò gli occhi, cercando di non farsi scoraggiare dall'atteggiamento scontroso del ragazzo, poi si diresse verso la porta e girò il cartello attaccato al vetro, rendendo visibile la scritta "Open!".

Sherlock e Molly si conoscevano da due anni, ormai. Avevano iniziato a lavorare da Starbucks praticamente insieme e dopo qualche giorno Sherlock aveva dedotto che la ragazza avesse bisogno di denaro per pagarsi gli studi, l'affitto, cibo e bollette, vestiti e qualsiasi altro bene di prima necessità: a quanto pareva la sua famiglia viveva lontano e non era in grado di supportarla economicamente, perciò Molly, pur di inseguire il sogno di diventare medico legale, si era resa indipendente, facendosi in quattro pur di guadagnare qualche soldo. Sherlock non glielo aveva mai detto, ma in fondo l'ammirava molto: quella ragazzina bassa e minuta, sempre disponibile a dare una mano e un sorriso a chiunque, aveva una tempra d'acciaio e una determinazione non comune; era gentile e cortese con tutti, ma non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, nemmeno quando si era trasferita a Londra completamente sola, a diciott'anni. Era ammirevole, lo pensava davvero.

Molly tornò dietro al bancone, calcandosi meglio il berretto verde sulla testa e aggiustandosi la coda di cavallo mentre Sherlock lanciava un'occhiata torva ai primi clienti della giornata, già intenti a discutere su quale frappuccino provare. Sin da quando aveva iniziato a lavorare in quel posto dimenticato da Dio, Sherlock si era sempre chiesto quale mentecatto avesse partorito quel nome francamente privo di senso. Forse era perché quegli intrugli disgustosi, in cui il ghiaccio galleggiava in mezzo a ondate di orrenda schiuma, nelle sue intenzioni dovevano essere una sorta di strano miscuglio tra un cappuccino e un frappé, due cose che non avevano nulla a che fare con l'altra, oppure perché in preda ad una crisi creativa senza precedenti aveva utilizzato un generatore casuale di nomi e voilà, ecco il nome del nuovo prodotto. Sherlock non avrebbe saputo dire quale fosse l'alternativa peggiore.

E poi, oh, poi c'erano i clienti: Sherlock li detestava tutti, dal primo all'ultimo. Detestava le ragazzine in età prepuberale che gli rompevano incessantemente le palle per avere il loro nome su un bicchiere, solo per farsi un ridicolo selfie- grazie a Dio la duckface era passata di moda, altrimenti si sarebbe volentieri sparato il caffè bollente dritto nelle orbite pur di non vederle- da postare su Instagram; detestava i vecchietti che non riuscivano a leggere i tabelloni con i menù e chiedevano a lui cosa potessero prendere e "Ma quanto caffè c'è in questa bibita? Ah non c'è caffè? E cosa c'è?" e a quel punto partivano in una infinita sequela di malattie e disturbi per cui non potevano mangiare questo o quello; detestava gli uomini e le donne d'affari che prima gli mettevano fretta perché "Giovanotto, ho un meeting tra ventitré minuti, sbrigati con quel ginseng" e poi lo facevano aspettare un'eternità per ritirare il loro ordine perché nel frattempo avevano ricevuto una importantissima chiamata che proprio non potevano rimandare e quindi lui restava lì, fermo come un pirla con quel dannato ginseng in mano.

Infine c'erano loro: i suoi compagni di università. Fashion bloggers, secchioni, zotici sportivi, bohémiens, gente a cui importava solo sbronzarsi e fare feste... C'erano tutti. E ognuno di loro aveva le sue preferenze, rispettivamente: frappuccino alla vaniglia con panna e fragole, categoricamente con latte scremato e senza zucchero, calorie zero perché la linea prima di tutto; caffè nero lungo, per restare svegli ore e ore con una sola sorsata; latte al cioccolato variegato al caramello con panna e granella di nocciole, rigorosamente accompagnate da dolcetti al cioccolato che grondavano burro e glassa di zucchero; tè e tisane alle erbe, in alternativa smoothies alla frutta rigorosamente green; agli alcolisti anonimi, invece, andava bene tutto, l'importante era che fosse pesantemente corretto con un alcolico e di solito Sherlock rifilava loro i fondi del caffè con un po' d'acqua spacciandoli per vodka aromatizzata, facendola franca solo perché erano troppo ubriachi per rendersi conto di cosa stessero bevendo. Sherlock odiava tutti loro, davvero. Tutti, tranne uno.

Normalmente, dopo aver aperto, Sherlock passava le prime ore di turno fissando l'orologio, aspettando con ansia le otto e cinque, l'ora in cui, ogni mattina, lui entrava in negozio, faceva la fila e ordinava sempre le stesse cose, un dolce alla cannella e un latte macchiato al caramello, d'estate sostituito da un frappuccino allo stesso gusto. Chiunque altro avesse ordinato un latte macchiato o un frappuccino al caramello con panna doppia e glassa si sarebbe guadagnato l'odio perpetuo e completamente ingiustificato di Sherlock nei suoi confronti, ma... Semplicemente, non lui. Sherlock ci aveva provato, davvero, aveva provato a farselo stare antipatico e a detestarlo, come faceva con chiunque altro, ma per qualche strana ragione, non ci riusciva. E lo spaventava.

Dopo due ore e mezza passate a servire a clienti irritanti bevande altrettanto moleste, il campanello della porta d'ingresso tintinnò di nuovo e Sherlock sollevò di scatto lo sguardo, puntandolo come un cane da caccia verso l'uscio. E come ogni mattina, per qualche attimo si scordò come respirare: eccolo lì, l'unico ragazzo che Sherlock non aveva mai odiato- a parte Victor, ma Victor meritava un discorso a parte-, che in qualche modo... Gli piaceva. Dio, quel ragazzo gli piaceva davvero tanto e sinceramente non sapeva nemmeno spiegarsi razionalmente il perché.

Si chiamava John Watson, aveva ventidue anni e frequentava il quinto anno alla facoltà di medicina: voleva diventare medico, salvare vite umane dalla morte e aiutare le persone a stare bene. Un nobile intento, che denotava una personalità altruista e gentile, sempre pronta a dare una mano a chi ne aveva più bisogno. Aveva i capelli biondi e gli occhi blu, John, del colore dell'oceano profondo; le labbra erano sottili e sempre distese in un sorriso, il naso un po' a patata, ma Sherlock non riusciva a odiare nemmeno quello. Lavorava lì da tre giorni, quando l'aveva visto per la prima volta: l'anno accademico era appena iniziato e Sherlock aveva già capito che i suoi professori non avrebbero potuto insegnargli nulla che già non sapesse e che quindi, se voleva ottenere la laurea, avrebbe dovuto passare gli anni seguenti ad annoiarsi a morte, cercando di trovare altrove stimoli per tenere occupato il suo cervello sovreccitato. Quel giorno in particolare, Sherlock stava sfogliando annoiato il libro di testo, classificandolo quasi immediatamente come mortalmente noioso e banale. Quel pomeriggio avrebbe avuto lezione, ma stava già ponderando di chiudersi in un laboratorio e portare avanti le ricerche e gli esperimenti per conto suo.

I corsi erano cominciati da poco, quindi gli studenti non invadevano ancora in massa il locale prima dell'inizio delle lezioni e i dipendenti avevano ancora un po' di tempo libero e di respiro, concessioni che a breve sarebbero state brutalmente strappate via dall'orda di clienti. Quella mattina Molly si era offerta di occuparsi dei pochi clienti presenti, lasciando a Sherlock campo libero per farsi gli affari suoi. Verso le otto, Holmes aveva sentito delle voci di ragazzi avvicinarsi rumorosamente all'ingresso e mentalmente si era già preparato una sequela infinita di battute al vetriolo e commenti sarcastici, ma non appena la porta si aprì, facendo tintinnare il campanello, e lui ebbe alzato lo sguardo, ogni proposito bellicoso gli era morto sulle labbra. C'erano tre ragazzi: uno basso, un po' robusto, dall'espressione gioviale e gli occhi chiari nascosti dietro ad un paio di occhiali da vista; un altro più alto e atletico, i capelli scuri gli coprivano la fronte ma non gli occhi castano scuro e si stringeva in un luogo trench scuro per ripararsi dal vento fresco di inizio autunno; l'ultimo... L'ultimo era semplicemente lui. Sherlock non era riuscito a pensare ad altro se non È lui, anche se tutt'ora faceva fatica ad attribuire un senso a quel pensiero.

Ricordava distintamente ogni particolare del John di quel giorno, come se avesse una sua fotografia impressa a fuoco dietro le palpebre: i capelli dorati erano più lunghi all'epoca, sparati un po' per aria e qualche ciocca minacciava di coprirgli gli occhi blu, mozzafiato sin da quel giorno; le labbra sottili erano piegate in un sorriso divertito mentre scherzava con gli altri due ragazzi e ai lati della bocca si formava l'ombra di una fossetta; Sherlock non aveva potuto fare a meno di ammirarlo da lontano, incantato. John aveva sempre avuto qualche cicatrice dovuta all'acne adolescenziale sulle guance, ma non abbastanza da rovinare il suo aspetto. No, per quello bastavano gli orrendi maglioni che indossava, un combo terrificante con quelle camice a quadri dai colori francamente inabbinabili tra loro. Sherlock aveva amato da subito anche quel particolare di lui: quel giorno, quella primissima volta, indossava jeans, un maglione color vinaccia e una camicia color crema con dei rombi rossi o comunque qualcosa del genere. Orrenda, davvero. Molly aveva preso la sua ordinazione e quando l'aveva chiamato per ritirare il suo frappuccino al caramello, Sherlock aveva udito forte e chiaro il suo nome: John.

Da quel giorno, ogni giorno, Sherlock l'aveva osservato da lontano, senza mai interferire nella sua vita: John era così vitale e allegro e generoso e... Cosa mai avrebbe potuto dargli un tipo come lui? Un tizio strambo fissato con la chimica, detestato da tutti e senza alcuna attrattiva per attività sociali di qualsiasi tipo? Nulla, Sherlock lo sapeva. Sapeva che John Watson era decisamente fuori dalla sua portata, probabilmente non si era nemmeno mai accorto della sua esistenza, ma alla fine a lui andava bene così. Non avrebbe sopportato il conoscerlo solo per vederselo strappar via subito dopo, era meglio osservarlo da lontano, dedurre come andasse la sua vita e... Sì, continuare a fantasticare su ciò che non sarebbe mai stato. Perché, sebbene si spacciasse per uno stronzo insensibile, Sherlock ce l'aveva, un cuore. E ogni volta che vedeva John Watson, batteva un po' più forte, per poi spegnersi lentamente ogni volta che se ne andava.

Quel giorno John era da solo, registrò Sherlock quando il ragazzo si chiuse la porta alle spalle: lanciando un'occhiata veloce al l'orologio appeso alla parete, notò che John era in anticipo di cinque minuti rispetto al solito. Strano, non è da lui pensò. Aveva i vestiti spiegazzati e in disordine, i capelli sparati in tutte le direzioni e sembrava stanco, giù di corda; Holmes iniziò a dedurre alla velocità della luce informazioni che potessero aiutarlo a capire cosa gli fosse successo.

Occhiaie profonde, non ha dormito; aria sciupata e contrariata, problemi che lo affliggono e lo hanno tenuto sveglio; non ha libri con sé, quindi non si tratta di un esame imminente, ma di una questione personale; non è un problema di natura economica, non sarebbe venuto a fare colazione in un bar e quindi spendendo denaro che avrebbe potuto risparmiare facilmente; non è in compagnia, di solito lo è sempre e oggi è anche in anticipo, dunque vuole restare da solo ed è venuto qui prima pur di non incontrare nessuno; se avesse litigato con un amico, sarebbe stato arrabbiato con lui, ma John non è un codardo, quindi non avrebbe cercato di evitarlo pur di non affrontarlo; famiglia e professori non c'entrano, altrimenti evitare gli amici non avrebbe avuto senso, ergo si tratta di qualcuno che conoscono bene anche loro; sguardo triste e sofferente, sta soffrendo e non si tratta di un litigio, altrimenti sarebbe solo arrabbiato e di nuovo, evitare gli amici non avrebbe alcun senso. Conclusione: ha rotto con... Oh. Ha rotto con Mary.

Sherlock dedusse tutto nell'arco di pochi attimi, il tempo necessario affinché John si mettesse in coda e avanzasse di qualche posto. Mary era la ragazza storica di John: quando l'aveva conosciuto- o meglio, visto la prima volta, loro stavano già insieme da tempo, fatto che lo fece deprimere seriamente per giorni e giorni. Da quanto aveva appreso, lei e John avevano la stessa età e studiavano entrambi medicina, l'unica differenza era che lui lo faceva per diventare dottore, lei infermiera. Era sempre stata carina, con un paio di luminosi occhi verdi e i capelli biondi - inizialmente corti, lisci e molto chiari, poi lunghi fino alle spalle, ricci e di un corposo color grano. Sembrava una ragazza in gamba, sveglia e affabile, sempre allegra e sorridente; qualche volta aveva anche scambiato con Sherlock qualche parola e lui, nonostante tutto, non era riuscito a detestarla come avrebbe voluto. L'aveva invidiata sempre e comunque, sin dal principio, ma odiata mai.

Tutto sommato, si ritrovò dispiaciuto per loro: li aveva sempre visti bene insieme, nonostante in passato avesse tanto voluto essere al posto di lei. Però, se John era felice, a lui andava bene lo stesso e con Mary lo era stato davvero e anche tanto. Era da un po' che effettivamente non li vedeva più insieme e più volte nei corridoi aveva sentito qualcuno parlare di un loro recente litigio, ma, non avendo mai avuto esperienze concrete, pensava che in una coppia quella fosse l'ordinaria routine. A quanto pareva, aveva completamente sbagliato.

"Sherlock!"

La voce di Molly lo richiamò alla realtà e per la sorpresa, Sherlock quasi lanciò nell'espositore il muffin ai mirtilli che teneva in mano con l'apposita pinza da diversi minuti a quella parte. Rivolse uno sguardo irritato a Molly e chiese, secco:

"Cosa c'è?"

"Potresti occuparti tu dei prossimi clienti, per favore? Ce ne sono solo due e io devo servirne ancora quattro." rispose lei, indicando con un cenno del capo i due clienti rimasti. Uno di loro era John. Cazzo. Boccheggiò per qualche istante, poi balbettò:

"I muffin, io... D-devo metterli ancora a posto e poi ci sono quelli al caramello e i dolci alla cannella, non... Sì, ecco, devo ancora ordinarli e-"

"Sherlock, per favore!" lo implorò lei e il ragazzo, dopo un attimo di esitazione, annuì con un sospiro. Molly sorrise e abbandonò la postazione in cassa, avvicinandoglisi e stampandogli un bacio sulla guancia mentre raggiungeva il bancone.

"Grazie." mormorò e lui rispose con un grugnito, avviandosi con passo da condannato al patibolo verso la cassa. Non aveva spiccicato parola con John per due anni, l'aveva spiato come uno stalker maniaco per tutto quel tempo senza mai avere il fegato di dirgli un singolo ciao e ora... Ora avrebbe dovuto fare un'intera conversazione con lui, per quanto asettica ed elementare fosse. E l'avrebbe fatto proprio nel giorno in cui John aveva appena rotto con la sua ragazza. Che tempismo di merda.

"Buongiorno, benvenuto da Starbucks, cosa posso servirle?" chiese meccanicamente Sherlock al primo cliente, un ometto stempiato sulla cinquantina con occhiali e un completo dozzinale, senza però mai staccare lo sguardo da John, momentaneamente occupato a fissare il pavimento con aria vacua. L'uomo in giacca e cravatta disse qualcosa, ma Sherlock, troppo distratto a osservare John, non ascoltò una parola.

"Scusa? Hai sentito quello che ho detto? Yu-huu, c'è nessuno?" esclamò il tizio, sventolandogli una mano davanti al naso. Sherlock sbatté le palpebre, rivolgendogli un'occhiata infastidita.

"Mi scusi, stavo-"

"Non mi interessa, ragazzino, mi stai facendo perdere tempo! Credi di essere in grado di prendere un ordine o cosa?" chiese quello, inviperito. Se non fosse stato sul luogo di lavoro, Sherlock l'avrebbe disintegrato, ridotto in lacrime come un bimbetto. Sfortunatamente però aveva bisogno di quell'impiego: di lì a pochi giorni avrebbe dovuto acquistare dei nuovi acidi per i suoi esperimenti, quei soldi gli servivano. Strinse le palpebre e ringhiò, cercando di controllare l'impulso di rispondere a tono a quell'idiota e farlo pentire di essere entrato in quel dannato bar:

"Sono desolato, mi scusi, se ora volessimo proseguire-"

"Voi baristi siete uno peggio dell'altro, non avete un minimo di professionalità! Vi fate gli affari vostri e se un cliente onesto vi fa notare le vostre colpe, fate i santarellini e vi scandalizzate, come se-"

"Ehi, amico, non so se abbia sentito, ma le ha già chiesto scusa per ben due volte. Non le sembra di esagerare?" proruppe una voce alle sue spalle e quando l'uomo si voltò per capire chi diavolo avesse osato parlare, Sherlock vide con stupore che John stava fissando in cagnesco il tizio con un'espressione irritata in volto, le braccia conserte sul petto. Quello sbatté un paio di volte le palpebre con fare incredulo, poi sbottò, oltraggiato:

"Ma come ti permetti, ragazzino, tu non sai con chi hai a che fare! Io sono un diretto collaboratore del Capo della Polizia!"

"E io sono uno studente di medicina perfettamente in grado di prenderla a calci in culo nel caso continuasse a trattare questo ragazzo di merda: sta facendo il suo lavoro, lei lo stronzo e non penso proprio rientri nei compiti della sua professione." rispose John, facendo una smorfia. Il diretto collaboratore del Capo della Polizia strinse le palpebre e sibilò:

"Potrei farti arrestare per questa tua brillante uscita, giovanotto."

"E io potrei spaccarle tutte le ossa del corpo chiamandole per nome. Come la mettiamo?" ribatté John, secco e l'uomo spalancò lievemente gli occhi, sgomento. Sherlock, dal canto suo, stava fissando John letteralmente a bocca aperta: l'aveva difeso, si era esposto per lui. E non lo conosceva nemmeno. Era una sensazione strana, ma sentì un lieve calore scaldargli il petto. Era piacevole, in fin dei conti. L'uomo dopo qualche attimo tornò a guardare Sherlock e ringhiò, mantenendo a stento un tono di voce civile:

"Un caffè americano venti (1), per favore."

"Vuole qualcosa da mangiare?"

"Te l'ho chiesto?"

"No, ma se non chiedo non mi pagano. Dunque?" domandò candidamente Sherlock e il poliziotto lo fissò in cagnesco.

"Una girella al cioccolato." disse, digrignando i denti. Sherlock annuì e inserì l'ordine nel computer.

"Sono quattro sterline e ottantanove."

"Eccone cinque, tieni il resto."

L'uomo gli passò una banconota da cinque sterline e Sherlock la mise in cassa. Subito dopo chiese:

"Nome?"

"Prego?"

"Il nome, a nome di chi devo fare l'ordine?" chiese nuovamente, alzando gli occhi al cielo. Il poliziotto storse il naso, poi disse, secco:

"Bill."

"Bene, Bill, ecco il suo scontrino. Quando il suo ordine sarà pronto, la chiameremo al bancone."

"Quanto ci vorrà?"

Sherlock fece un sorrisetto.

"Il tempo necessario, signore." rispose soltanto e Bill, più scazzato che mai, si fece da parte borbottando. John lo seguì con lo sguardo e Sherlock giurò di vedere una nota di pura soddisfazione brillare nei suoi occhi. Subito dopo, il ragazzo tornò a guardare davanti a sé e avanzò, fino a fermarsi esattamente davanti alla cassa. Inclinò un tantino la testa di lato, poi chiese, gentile:

"Tutto okay?"

"Certo. Sì, certo, sto... Bene."

"Mi fa piacere."

Sherlock annuì e abbassò lo sguardo, poi mormorò:

"Quello che hai fatto... È stato gentile da parte tua. Non necessario, ma gentile."

John si strinse nelle spalle e rispose:

"Non mi sono mai piaciuti i bulli: tu stavi facendo il tuo lavoro e quel tizio non aveva nulla da rimproverarti, capita a tutti di distrarsi. In più ti sei anche scusato, quindi era davvero un'angheria bella e buona, gratuita ed insensata. Non ne vado matto."

"Sei una sorta di paladino della giustizia, dunque." commentò Sherlock, prima di riuscire a controllare ciò che gli usciva di bocca. A volta faceva fatica ad applicare un filtro a ciò che pensava e, più frequentemente di quanto fosse opportuno, capitava che dicesse letteralmente tutto quello che gli passava per la testa. Tipo quella volta: non appena si rese conto della profonda nota di sarcasmo che gli era uscita, Sherlock desiderò ardentemente morire. Il ragazzo per cui aveva una cotta da tempo immemore non solo gli aveva parlato, ma l'aveva difeso, si era esposto per lui con un ufficiale di polizia. E lui cosa faceva? Lo sfotteva. Idiota, Sherlock, sei un povero idiota pensò, mantenendo lo sguardo fisso sulla cassa solo per impedirsi di prendere a testate il bancone e uccidersi.

"Qualcosa del genere, sì... E tu, invece? Sembra tu abbia una bella lingua lunga, come mai non gli hai risposto a tono?" disse John, divertito. Sherlock alzò di scatto lo sguardo su di lui, basito. John sembrava sinceramente incuriosito e per Dio, non se l'era presa. Anzi, era come se ci stesse ancora ridendo su. Si schiarì la voce e rispose, sfiorando con le dita il bordo del bancone:

"L'avrei fatto, ma... Ho già avuto esperienze del genere in passato. Ho reagito e diciamo pure che il mio capo non ha gradito avere ragazzini piangenti e donne urlanti nel suo ufficio a lamentarsi. Mi ha dato una sorta di ultimatum, del tipo 'fallo ancora e ti licenzio' o qualcosa del genere, non ricordo le parole esatte."

"Simpatico, il tuo capo."

"Non ne hai idea." commentò Sherlock con una smorfia e John rise. Sherlock sorrise di riflesso, osservando il modo in cui il viso del biondo cambiava quando rideva: sembrava una persona totalmente diversa da quella che era entrata poco prima nel locale e il barista si sentì un po' più leggero nel constatare che, almeno momentaneamente, John sembrasse tornato quello di sempre. Il ragazzo tornò a guardarlo, osservandolo con attenzione. Sherlock sentì il proprio cuore iniziare a battere all'impazzata sotto l'esame di quelle iridi blu e l'ombra di un sorriso che ancora piegava le labbra del ragazzo davanti a sé.

"Sai..." iniziò John e Sherlock dovette fare uno sforzo enorme per starlo a sentire e non fissargli le labbra come un maniaco, "Hai una faccia familiare, ho come l'impressione di averti già visto... Anche se ad essere onesto non ricordo dove."

Sherlock sospirò e rispose, arricciando il naso in una lievissima smorfia:

"Suppongo siano cose che capitano quando lavori qui da due anni e sei qui a servire caffè ogni mattina o pomeriggio."

"No, no, aspetta: tu lavori qui da due anni?!"

"Eh già."

"Tanto per sapere, non è che magari frequenti anche l'Università?"

"Terzo anno, facoltà di chimica."

John lo fissò sconvolto, poi disse, stringendo lievemente le palpebre:

"E quindi stai dicendo che, nonostante tu sia qui da due anni, in tutto questo tempo non ci siamo mai parlati? Seriamente?"

"Io non... Non sono un tipo molto socievole." E poi, a dirla tutta, quando venivi qui io mi eclissavo dietro al bancone, quindi...

"Oh. Beh... È un peccato." mormorò John e stavolta fu Sherlock a rivolgergli un'occhiata perplessa.

"Stai scherzando o...?"

"Dovrei?"

"Sì: di norma chiunque abbia a che fare con me ringrazia tutti i santi del paradiso per il mio non essere socievole, dato che in questo modo hanno a che fare con me il meno possibile."

"Beh, però io non sono chiunque, no?" mormorò John, tranquillo e Sherlock cercò di ignorare il fatto che il suo stomaco avesse appena fatto una pericolosa capriola nel suo addome. Si schiarì la voce e gracchiò, cercando (senza successo) di apparire sicuro di sé:

"Se pensi che il trovarmi simpatico ti renda in qualche modo speciale, ti avverto: sei totalmente fuori strada."

"Me ne farò una ragione." mormorò John in risposta e Sherlock, deglutì, senza sapere cos'altro aggiungere. Pensa in fretta, non dare a vedere il tuo... disagio? Forse no, è solo imbarazzo e- Per Dio, non farglielo vedere! Sherlock si schiarì la voce e chiese, rivolgendo un cenno del capo al menù appeso dietro di lui:

"Allora, cosa prendi? Il solito?"

"Perché, avrei un solito?"

"Latte macchiato al caramello con panna doppia e glassa in inverno, frappuccino al caramello con panna doppia e glassa in estate, in entrambi i casi accompagnati da uno di quei dolcetti alla cannella, quelle cose svedesi. Ti piace proprio tanto, quella roba." commentò Sherlock con una smorfia e John lo fissò in silenzio, scioccato.

"Fate così con tutti i clienti?" chiese dopo qualche attimo, cauto. Sherlock cercò di restare tranquillo e rispose, stringendosi nelle spalle:

"Solo con quelli che lo meritano."

"Non so cosa significhi, ma... Va bene. Okay, senti, facciamo così: voi conoscete bene i vostri clienti, giusto?"


"Fossi in te non generalizzerei, non è da tutti."

"Però da te sì."

"Sono bravo a decifrare le persone. Molto bravo."

John sorrise, poi disse, appoggiandosi al bancone:

"D'accordo, Mr. Mentalista. Ti propongo una sfida."

"Una sfida? Di che tipo?"

"Beh, se sei davvero così bravo a decifrarmi come dici... Dammi ciò che voglio prima ancora che io sappia di volerlo."

Sherlock sbatté un paio di volte le palpebre, perplesso.

"Mi stai dando carta bianca sulla tua colazione, in pratica." osservò e John annuì lentamente, arricciando appena le labbra.

"Come l'avevo messa io era più intrigante, ma... Sì. Sì, in pratica è questo."

John gli allungò una banconota da dieci sterline, che Sherlock fissò in trance per qualche secondo. Quando riportò lo sguardo sul ragazzo, John sorrise e affondò le mani nelle tasche della giacca, arretrando di qualche passo.

"Nel caso tu non sappia il mio nome, sono John. Ora datti da fare, Houdini: stupiscimi." disse, facendogli l'occhiolino. Dopodiché, si allontanò del tutto, andando a sistemarsi ad uno dei tavoli liberi. Sherlock fissò la banconota, ancora un tantino sotto shock. Poi serrò la mascella e iniziò ad inserire l'ordine nel computer, stampando uno scontrino e ritirando il resto. Ripose tutto nella tasca dei pantaloni, pronto a restituirlo a John non appena avesse preparato bevanda e dolce. John l'aveva sfidato: pensava che non sarebbe riuscito a stupirlo? Bene. Gli avrebbe dimostrato il contrario, poteva scommetterci. Era la sua occasione per impressionarlo, Sherlock lo sapeva benissimo e, che Dio lo fulminasse in caso contrario, non se la sarebbe lasciata scappare.

Molly, intenta a versare in un bicchiere venti un frappuccino al caffé ad una certa Zoey, gli rivolse uno sguardo a metà tra la confusione e il disagio. Sherlock era consapevole di avere uno sguardo allucinato negli occhi e un'espressione esaltata in viso, ma sinceramente non gli importava granché di come sembrasse dall'esterno: non si era mai sentito così vivo, non da quando aveva iniziato quell'insulso lavoro.

"Stai... bene?" gli chiese lei e Sherlock annuì, scartabellando freneticamente tra i vari barattoli e contenitori alla ricerca di quello che cercava.

"Dov'è la miscela per la cioccolata?" chiese, mentre faceva partire la macchina del caffè per l'Americano di Bill il poliziotto. Molly gli rivolse un'occhiata stranita, mentre consegnava a Zoey, una ragazza con i capelli verdi e blu, il suo ordine.

"L-la cioccolata?"

"Sì, Molly, esatto, lieto che tu ci senta, dove diavolo è quel barattolo?!"

"È sulla mensola, quella in alto a destra. Ti servono le spezie?"

"Caramello."

"È lì, guarda, accanto al frullatore."

"Che ci fa il caramello di fianco al frullatore?!"

"Non lo so, forse l'ho lasciato io lì poco fa. Mark e Steven!" chiamò Molly e due tizi, uno alto e magro dai capelli rossicci, l'altro più basso e tarchiato con i ricci neri, si avvicinarono al bancone, reggendo tra le mani plichi di quelle che sembravano sceneggiature. Molly sorrise e disse, porgendo loro due bicchieri tall colmi di cappuccio:

"Ecco i vostri cappuccini, ragazzi, buona giornata!"

I due salutarono Molly e si avviarono verso l'uscita con i loro bicchieri, mentre la ragazza tornava lentamente accanto a Sherlock, le mani incrociate dietro la schiena mentre lui armeggiava con latte, composto per cioccolata, caramello e alcune spezie che Molly non distinse. Era concentrato, raramente l'aveva visto così. Fece un sorriso nervoso e chiese, indicando con un cenno del capo il preparato:

"Sembra ottimo... Per chi è?"

"Un cliente."

"Okay..." mormorò Molly, esitante.


 

La giovane Molly Hooper gettò un'occhiata alle sue spalle, chiedendosi cosa accidenti stesse succedendo a Sherlock. Vide solo due persone intente ad aspettare il proprio ordine: l'uomo con cui Sherlock sembrava aver discusso poco prima e... oh no. John Watson. Molly non poté fare a meno di irrigidirsi. Conosceva John, non si poteva dire fossero amici, ma lo conosceva. Conosceva un po' meglio la sua ragazza, Mary: ogni tanto si incrociavano nei corridoi ed era capitato che si fermassero a fare due chiacchiere. In ogni caso, Molly era a conoscenza della fama del ragazzo: a medicina era una specie di rockstar, il migliore del suo corso; era popolare, amato da tutti, affabile, umile e gentile, praticamente il ragazzo perfetto. Era anche il capitano della squadra di rugby dell'Università, come se non fosse sufficiente.

Girava voce che prima di mettersi con Mary avesse anche passato i primi tre anni di università a fare il Don Giovanni e anche con discreto successo. Era carino, Molly non lo negava di certo: aveva la faccia onesta e gentile, pulita, quella del classico bravo ragazzo, ma aveva sentito dire che, oltre ad impersonare praticamente la fantasia di fidanzato ideale che ogni madre sognava per la propria figlia, ci sapesse decisamente fare anche sotto alle lenzuola. E che in quelle situazioni, avesse davvero ben poco del bravo ragazzo: non che fosse violento o chissà cosa, certo che no, ma dai racconti di alcune sue vecchie fiamme più che il ragazzo della porta accanto sembrava il Dio del Sesso.

Tuttavia, non erano le avventure del buon vecchio John con il gentil sesso a preoccuparla: da quanto ne sapeva, stava con Mary da due anni e prima di lei aveva frequentato seriamente solo un paio di altre giovani, limitandosi per il resto ad avventure di una notte e storie di solo sesso, ma voci di corridoio sostenevano che il giovane e aitante aspirante dottore non amasse solo la compagnia femminile. Molly aveva sentito dire che John fosse equamente interessato a ragazzi e ragazze, ma non aveva mai avuto conferme in proposito e fino a quel momento, ad essere onesti, non le era nemmeno mai interessato averne.

E Sherlock... Molly lavorava con lui da due anni, tutti i giorni lo vedeva e lo osservava. Era quindi impossibile non rendersi conto che John gli piacesse e anche tanto. Le bruciava? Sì e parecchio, se proprio doveva dirla tutta. Era da un po' che stava seriamente considerando di mettersi il cuore in pace e cercare di farsi passare quella imbarazzante cotta per Sherlock, andare avanti, ma alla fine aveva sempre rinunciato e continuato a farsi castelli in aria. Forse quella sarebbe stata la volta buona, anche se non stravedeva per quell'opzione. Aveva sempre saputo che Sherlock fosse interessato a John, ma il moro aveva sempre cercato di stargli alla larga, come se non volesse farsi coinvolgere o gli bastasse vederlo da lontano. E Molly, interpretando il suo comportamento come un ferreo (e anche un tantino disperato) tentativo di toglierselo dalla testa, aveva sempre pensato che prima o poi sarebbe arrivato il suo momento, che sarebbe riuscita a conquistarlo.

Quando aveva chiesto a Sherlock di occuparsi dei clienti non aveva visto John tra loro e quando aveva sentito quel tizio discutere con lui aveva udito anche qualcun altro intervenire, ma un cliente impaziente si era piantato davanti al bancone e le aveva ostruito la visuale, impedendole di vedere. Se si fosse accorta di John prima, dannazione, avrebbe fatto tutto da sola, anche a costo di tagliarsi in due per riuscirci. E invece aveva spinto Sherlock, il suo Sherlock, dritto nelle braccia di John Watson. L'unica consolazione che aveva era che, se non altro, John stava con Mary e, conoscendo Sherlock, non avrebbe mai fatto il terzo incomodo. Forse c'è ancora speranza, Molly. Tieni duro pensò, mordendosi appena il labbro mentre rivolgeva un'occhiata inquieta a John.






Sherlock guardò Molly con la coda dell'occhio, intenta a fissare un punto imprecisato alle sue spalle. Sembrava tesa, a disagio e Sherlock provò a dedurre il perché. Quando però vide cosa- o meglio, chi la ragazza stesse guardando, decise di rinunciare: era già tutto chiaro.

"Ti serve qualcosa, Molly?"

"Eh? Ah no, no, io stavo- no. Per chi è la cioccolata?"

"John Watson."

"Oh... Non lo facevo un tipo da cioccolata. Di solito prende sempre quella alla vaniglia Mary. Hai presente Mary, no? Mary Morstan. La sua ragazza, perché sai che John sta con lei, vero?"

"Stava, veramente." la corresse Sherlock e Molly si immobilizzò, gelata.

"Cosa? Si... S-si sono lasciati?" pigolò e Sherlock annuì.

"Sì, ma ti sarei molto grato se non lo urlassi ai quattro venti. È una cosa recente, probabilmente di ieri sera."

"E tu come lo sai? Cioè, che si sono lasciati, dico. Te l'ha detto John?"

"No, l'ho dedotto. Sai come funziona."

"Sì..." mormorò la ragazza, lanciando un'occhiata preoccupata in direzione di John.

Sherlock sentiva l'ansia e l'angoscia di Molly montargli addosso, attanagliarlo come una morsa e, quando notò un paio di persone alla cassa pronte ad ordinare, pensò che forse almeno loro sarebbero riuscite a tenere occupate Molly e la sua apprensione per un po'.

"Molly."

"Uhm?"

"Ci sono dei clienti in cassa, perché non vai a sentire cosa vogliono?" disse Sherlock,riempiendo un bicchiere di carta venti con il caffé americano di Bill il poliziotto. Molly annuì distrattamente, ma non si mosse di un passo. Dopo qualche attimo, Sherlock roteò gli occhi e sbuffò.

"Molly!"

La ragazza stavolta si voltò a guardarlo, confusa.

"Scusa, hai detto qualcosa?"

"La cassa, Molly. C'è gente in cassa."

"Oh, cielo, è vero, non me n'ero accorta!" esclamò la ragazza, correndo verso la clientela alla velocità della luce. E una è fatta. Sherlock tornò ad occuparsi del suo ordine. Il caffè di Bill era pronto e prese il pennarello per scrivere il nome del suo amico sbirro sul bicchiere, ma non era affatto soddisfatto. Quel tizio l'aveva messo in ridicolo, doveva pagargliela cara. Per qualche attimo ponderò cosa fare, magari del sale al posto dello zucchero sarebbe bastato; poi però gli venne un'idea migliore e si concesse un sorriso mefistofelico. Adesso mi diverto io, Billy lo Sbirro... pensò, scrivendo velocemente una scritta sul bicchiere.

Άντε γαμήσου, μπορείτε αιματηρή βλάκας

Rilesse più volte le parole scritte, controllando grammatica e sintassi, soddisfatto del risultato ottenuto. Alzando di nuovo gli occhi sulla saletta, si avvicinò al bancone e chiamò a gran voce il poliziotto.

"Bill!"

L'uomo si alzò e raggiunse placidamente il bancone, lanciando a Sherlock una sequela di occhiatacce. John, seduto poco distante da lui, sollevò la testa, incrociando lo sguardo di Sherlock. Il ragazzo cercò di non ridere e a quel punto John, incuriosito, si alzò a sua volta, raggiungendo il bancone con molta nonchalance e mantenendosi a distanza di sicurezza da Bill.

"Ecco il suo caffè e la girella, signore." disse Sherlock con un sorriso serafico, porgendo al cliente il suo ordine. Bill osservò critico per qualche attimo il proprio bicchiere, poi alzò lo sguardo su Sherlock e chiese, critico:

"Questo non è il mio nome. Che accidenti c'è scritto?"

"Dice: 'Grazie per la visita, torni a trovarci Bill'. È greco."

"Greco? A che serve il greco, perché non l'inglese?"

"È una campagna di sensibilizzazione verso le altre lingue e culture: Starbucks è in tutto il mondo, cerchiamo di diffondere i nostri valori in tutte le lingue e paesi." spiegò candidamente Sherlock e Bill serrò le palpebre, poco convinto. Sherlock notò con la coda dell'occhio John sporgersi appena verso l'uomo, quel poco che bastava per leggere a sua volta la scritta. Quando lo fece, lo vide girarsi di scatto e portarsi una mano alla bocca per impedirsi di scoppiare a ridere. Sherlock dovette mordersi l'interno della guancia per non fare lo stesso.

"D'accordo, come volete." borbottò Bill, portandosi il caffè alle labbra e bevendo un sorso, per poi avviarsi verso l'uscita e aprire la porta staccando un morso alla girella. Quando fu uscito, John scoppiò definitivamente a ridere, appoggiandosi al bancone con una mano e portandosi l'altra al petto, letteralmente piegato in due.

"Oh Dio, sto malissimo, non respiro... Ma come ti è venuto in mente?!"

"Perché, che cosa ho fatto di male?" domandò Sherlock, rivolgendo al biondo un finto sguardo ingenuo. John rispose con un ghigno e disse:

"Su quel bicchiere non c'era scritto per niente 'Grazie per la visita, torni a trovarci Bill'."

"Ah, no? E cosa c'era scritto?"

"Penso che 'Vaffanculo, maledetto idiota' (2) possa essere una traduzione piuttosto attendibile." rispose John e Sherlock spalancò lievemente gli occhi, piacevolmente sorpreso.

"Conosci il greco?"

"L'ho studiato un po' al liceo e qui i primi due anni: era greco antico, a dire il vero, ma capisco anche quello moderno. Aiuta parecchio con i nomi delle patologie e altri termini medici, è stato molto utile fino ad ora... Certo che quando si tratta di prendersi una rivincita su qualcuno, tu non lasci proprio scampo, eh?"

"Mi aveva urlato addosso, messo in imbarazzo e fatto passare per un idiota: se l'è meritato."

"La mia non era una critica." commentò John, rivolgendo a Sherlock un mezzo sorriso. Il ragazzo sentì le guance andargli in fiamme e si diede subito da fare per preparare l'ordine di John e consegnarglielo. Dopo pochi attimi, passò al ragazzo un sacchetto in carta cerata con la treccia svedese alla cannella (3) e un bicchiere Grande colmo di cioccolata bollente, il nome John vergato con una calligrafia elegante nell'esatto centro.

"La sua colazione, Dr. Watson: treccia svedese alla cannella, la sua preferita e cioccolata a sorpresa. Oh, qui c'è il resto." disse, consegnando a John cibarie e denaro. John aggrottò la fronte e commentò:

"Devo essere sincero, non mi aspettavo la cioccolata." Sherlock si umettò le labbra, riflettendo sulla risposta da dare.

"Dicono ... Dicono sia utile a trattare con un cuore spezzato. Non che io abbia mai avuto il piacere di provarci, ma... Sono voci che girano." rispose Sherlock e lo sguardo di John s'indurì, il suo viso si rabbuiò mentre abbassava gli occhi sulla sua cioccolata. Fece un sorrisetto amaro, scuotendo debolmente la testa, poi mormorò, facendo scorrere le dita sul bordo del bicchiere:

"Vedo che le voci girano in fretta. Ci siamo lasciati ieri sera ed è già notizia di dominio pubblico... Fantastico."

"No, non è di dominio pubblico."

"E allora tu come fai a saperlo?" chiese John, rivolgendogli un'occhiata stanca e Sherlock esitò qualche istante. Era indeciso, non sapeva cosa fare: da una parte, fremeva per la voglia di dirgli come l'avesse capito, quanto per lui fosse semplice osservare e dedurre di conseguenza; dall'altra, temeva che John l'avrebbe allontanato, nel caso avesse scoperto la verità. Nel corso della sua vita, erano state più le persone che lo avevano additato come "mostro" che quelle che l'avevano ammirato, una volta venute a conoscenza delle sue capacità. Normalmente Sherlock non se ne curava, ormai si era abituato a commenti del genere e ci aveva fatto il callo, ma con John... Con lui era diverso, anche se non sapeva perché. E in tal caso, sentirsi rivolgere l'ennesimo insulto sarebbe stato davvero troppo da sopportare.

Tuttavia, se davvero voleva in qualche modo entrare a far parte del mondo di John e viceversa, prima o poi avrebbe dovuto mostrarsi per quello che era, pregi e difetti. Se John doveva respingerlo per il modo in cui si comportava, il modo in cui pensava e ragionava, agiva, tanto valeva farlo subito e togliersi il dente. Per lo meno, se fosse andata male, sarebbe stato meno male che in futuro.

"Io l'ho... L'ho capito. Dedotto, a dire il vero." mormorò e John aggrottò la fronte.

"Che significa che l'hai dedotto? Come?" chiese e Sherlock sospirò, per poi esporgli con una certa riluttanza la catena di ragionamenti e osservazioni che l'avevano portato al risultato finale. Per tutto il tempo Sherlock si concentrò su differenti punti del locale, soprattutto tavoli vuoti e il bancone a cui era appoggiato. Non aveva il fegato di alzare lo sguardo e affrontare John durante il racconto, non era sicuro che sarebbe riuscito a restare concentrato. Quando ebbe finito, restò in silenzio per qualche attimo, imitato da John. Poi sospirò lievemente e mormorò:

"Ecco come ho fatto. Era piuttosto facile, tutto considerato."

"Facile... Io e te abbiamo concetti di facilità parecchio diversi."

"È possibile."

"È stato... Gesù, è stato-"

"Inquietante?"

"Strabiliante."

Sherlock sbarrò gli occhi e riportò di scatto lo sguardo su John, basito. Il giovane sembrava vagamente scioccato, ma non per l'orrore. Sembrava quasi piacevolmente colpito, fatto che confuse ancora di più il povero Sherlock.

"Cosa?" chiese, convinto di aver sentito male. John fece una risatina, grattandosi la nuca, poi disse, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi:

"È stato strabiliante. Non riesco a realizzarlo, insomma, nessuno normalmente riuscirebbe a capire tutte le cose che hai capito tu semplicemente guardando una persona, eppure ora che l'hai detto sembra così facile, così semplice e banale e... Davvero, è stato incredibile. Incredibile."

"Dici sul serio?" domandò Sherlock a fil di voce, cauto. John annuì con vigore, sorridendo.

"Certo che dico sul serio. Non te l'ha mai detto nessuno?" chiese lui di rimando e Sherlock scosse la testa.

"No. Non così." sussurrò e il sorriso di John scemò fino a spegnersi, trasformandosi in un'espressione a metà tra il dispiacere e la rabbia. Sherlock lo vide abbassare lo sguardo sulla sua cioccolata, probabilmente cercando le parole migliori da dire a quel punto. Probabilmente non ne trovò, perché dopo qualche attimo John prese lentamente in mano il bicchiere, portandosela alle labbra stando bene attento a coglierne il profumo. Assaggiò la bevanda e la assaporò con calma, Sherlock lo vide stringere un poco gli occhi mentre si concentrava per cercare di capire quali fossero gli aromi presenti.

"Com'è?" chiese Sherlock, mascherando a stento il nervosismo nella propria voce. John, bevve un secondo sorso, schioccò la lingua e rispose:

"Ha un gusto particolare: è caldo e corposo, speziato, ma c'è anche una nota fresca alla fine... Che cos'è?"

"Cioccolata al caramello aromatizzata con menta e cannella."

"È strana... Mi piace." disse dopo un po', rivolgendo a Sherlock un sorriso. Lui ricambiò di riflesso, quasi senza accorgersene.


"Te l'avevo detto che ero bravo a decifrare le persone."

"Adesso non te la tirare, hai azzeccato solo una cioccolata!"

"Per ora." commentò Sherlock con un ghigno e John ridacchiò, scuotendo lievemente la testa. Quando tornò a guardarlo, Sherlock perse un battito per colpa di quelle iridi, che lo stavano osservando con un interesse e un divertimento non trascurabile. Restarono in silenzio per qualche istante, semplicemente studiandosi a vicenda. Ad un tratto John si schiarì la voce, portando l'attenzione sul suo orologio da polso.

"Io... È tardi, tra poco ho lezione. È meglio che vada."

"Certo, tu... Certo. Buona giornata, allora."

"Anche a te. E grazie per... Sì, per tutto quanto."

"Non ho fatto niente."

John sorrise.

"Hai fatto molto più di quanto credi, invece. Bene, io... Ci si becca in giro, Mr. Mentalista."

"Ci vediamo, John."

John annuì e si voltò, avviandosi lentamente verso l'uscita mentre riponeva nella sua tracolla il sacchetto con la treccia. Sherlock lo seguì con lo sguardo, senza spostarsi di un millimetro. Quando raggiunse la porta, John mise una mano sulla maniglia, ma a quel punto si bloccò. Sherlock lo vide esitare qualche istante, come se stesse decidendo cosa fosse meglio fare a quel punto. Ad un tratto alzò lo sguardo, riportandolo sul ragazzo dai capelli neri. Alzò timidamente una mano in segno di saluto, rivolgendogli un sorriso appena accennato, ma sincero. Sherlock si ritrovò a fare lo stesso quasi senza accorgersene. Si scrutarono per alcuni attimi, dopodiché John abbassò la testa e uscì. Mentre varcava la soglia, Sherlock lo vide scuotere lievemente il capo, il suo sorriso farsi più ampio. Nonostante la tristezza nel vederlo andare via, fu un'immagine che riuscì a scaldargli il cuore.

Dopo che John fu uscito, a Sherlock sembrò che il locale fosse tornato vuoto, sebbene ci fossero ancora parecchi clienti. Erano quasi le otto e un quarto e di lì a poco Starbucks si sarebbe riempito di studenti diretti in università, ma a lui sarebbero sembrati tutti uguali, molesti, irritanti e uguali.

"Va tutto bene?" chiese Molly, appoggiandogli una mano sul braccio con fare materno. Sembrava sinceramente preoccupata e Sherlock si affrettò ad annuire.

"Sì, sì, tutto a posto. Ero solo- è tutto a posto. Hai finito con gli altri clienti?"

"Devo preparare ancora un Chai Tea Latte Grande (4), ma c'è già altra gente ad aspettare, quindi... Avrò ancora un po' da fare."

"Me ne occupo io."

Molly aggrottò la fronte, inclinando un tantino la testa di lato.

"Sei sicuro? Mi sembri un po'... Non so, scosso?"

"Sto bene. Ho solo bisogno di tenere la mente occupata con altro, il lavoro sembra una buona idea."

"Non pensi sarebbe meglio fermarti un attimo? Davvero, prenditi un attimo, io posso farcela da sola e-"

"Siamo nel bel mezzo del turno, Molly, non è il momento di riposarsi. Quindi per favore, dimenticati dei sentimentalismi e lasciami fare il mio lavoro." sibilò Sherlock, rivolgendo alla ragazza un'occhiata spazientita. Molly arretrò di un passo, colta alla sprovvista e sul suo viso apparve un'espressione ferita. Annuì e abbassò lo sguardo, torturandosi le mani mentre osservava la macchina del caffè.

"Hai ragione, forse è... È meglio che pensi al lavoro. Non volevo essere inopportuna. Perdonami." sussurrò, allontanandosi con aria affranta. Sherlock sentì un groppo alla gola guardando Molly andarsene a testa bassa: lei aveva cercato di metterlo a proprio agio, di supportarlo e lui l'aveva trattata malissimo senza alcuna ragione. Un improvviso senso di colpa sembrò quasi schiacciargli il petto. Emise un sibilo frustrato attraverso i denti, piegando le labbra in una smorfia.

"Molly, aspetta." disse di getto, prima che potesse ripensarci. Molly si voltò, sorpresa e gli rivolse uno sguardo cauto.

"Sì, Sherlock?"

Lui emise un respiro forzato, serrando e rilassando ritmicamente i pugni. Era come se stesse per fare qualcosa che gli richiedesse uno sforzo immane. Non che la verità fosse poi tanto diversa, riconobbe Sherlock con uno schiocco di lingua.

"Senti... Mi dispiace, okay? Ho fatto lo stronzo e non te lo meritavi, lo so. Scusa." bofonchiò, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni e disegnando con un piede figure immaginarie sul linoleum del pavimento. Molly non rispose e, quando lui sollevò timidamente gli occhi per guardarla, notò che lo stava fissando, basita. Sherlock roteò gli occhi con una smorfia esasperata, poi esclamò, stizzito:

"Per l'amor di Dio, Molly, non stare lì a fissarmi!"

"Sì, io... Okay, scusa. Non ti fisso più, d'accordo." rispose Molly, imbarazzata e Sherlock sospirò:

"Molly, non c'è bisogno di abbassare lo sguardo e fare la martire ogni volta che ti parlo."

"Non faccio la martire. È solo che... È più forte di me. Tu sei così sicuro di te e autorevole e io-"

"Ehi, scusate! Io vorrei ordinare!" esclamò una voce femminile alle loro spalle e Sherlock, voltandosi di scatto, ringhiò alla donna:

"Un attimo, non vede che siamo occupati?!"

"Ma io-"

"Ce la fa a contare fino a dieci?"

"Cosa?"

"Le ho chiesto: è capace di contare fino a dieci?"

"Sì, certo che-"

"E allora lo faccia." tagliò corto Sherlock, fulminandola con lo sguardo. La donna tornò quieta, a metà tra la rabbia e la vergogna, ma restò in silenzio. Sherlock tornò a guardare Molly e, quando incrociò di nuovo il suo sguardo, vide l'ombra di un sorriso divertito incresparle le labbra sottili e, suo malgrado, non poté fare a meno di fare lo stesso. Restò in silenzio qualche istante, poi mormorò:

"So di non essere sempre gentile e premuroso e amichevole e così via, però... Questo non vuol dire che tu debba sempre sopportare in silenzio. Devi imparare a reagire, Molly. Se la situazione lo richiede, anche a mandarmi al diavolo."

Molly ridacchiò, tirando su con il naso. Sherlock sorrise appena e inclinò lievemente la testa, cercando di incrociare lo sguardo della ragazza: aveva gli occhi lucidi, ma sembrava felice, tutto sommato. Era rincuorante.

"Quindi d'ora in poi, anche se il tuo primo istinto sarà quello di abbassare il capo e lasciar correre, rispondimi, tienimi testa. Ho un carattere di merda, ne sono consapevole, ma questo non giustifica il fatto che tu debba soffrirne. E se ti terrò il broncio pazienza, poi mi passerà."

"Lo so. Sei sempre stato eccessivamente melodrammatico." mormorò Molly e Sherlock inarcò le sopracciglia.

"Quando ho detto d'ora in poi, non intendevo adesso." disse e Molly alzò lo sguardo su di lui, divertita.

"Ormai la frittata è fatta, temo dovrai portarne le conseguenze tutta la vita. Adesso muoviti, vai a lavorare: i clienti aspettano."

"Chi sei tu, cosa hai fatto a Molly Hooper?"

"Sta bene, non ti preoccupare."

"Temo di avere appena creato un mostro."

"Fattene una ragione. Su, vai a guadagnarti lo stipendio, smettila di cazzeggiare."

"Non sto cazzeggiando!"

"Ah no?" chiese Molly divertita, dirigendosi verso la macchina del caffè. Sherlock fece una smorfia, poi esclamò:

"Sei di ghiaccio, Hooper!"

"Mai quanto te!"

Sherlock non poté fare a meno di ridere.

"Scusa?!" esclamò la cliente di prima e Sherlock, facendo una smorfia seccata, sbottò:

"Arrivo, arrivo, un attimo!"

Sarebbe stata una lunghissima giornata.



 

Sherlock passò il resto della giornata a pensare a John, alla loro conversazione e a tutto quello che c'era stato quella mattina. Non che fosse successo chissà cosa, ma era già stato un incontro superiore a tutte le sue più ardite aspettative. Trascorse il pomeriggio, le ore di lezione, persino tutta la notte a rimuginare sull'accaduto e ogni volta gli sembrava sempre più di aver fatto la figura dell'idiota. In cuor suo sperava che John non la pensasse così, ma probabilmente, si disse Sherlock con una vena di amarezza, nemmeno si sarebbe ricordato di lui.

Il giorno dopo aveva il turno serale, dalle otto e mezza fino alla chiusura, all'una: era sabato e nessuno, nessuno voleva lavorare il sabato sera. Lui non aveva mai grandi impegni, era raro che avesse qualcosa di irrimandabile da fare. Così, facendo la felicità di tutti i suoi colleghi, di solito si offriva sempre volontario per coprire quel turno ingrato. Ogni volta Victor gli diceva che era un pazzo squinternato a sacrificare così il sabato sera e per tutta risposta Sherlock gli tirava in testa un cuscino, mettendolo a tacere.

La residenza studentesca non era molto lontano da Starbucks, un quarto d'ora a piedi circa, quindi Sherlock se la prese comoda. Indossava già la divisa- con suo sommo disgusto- e mancava all'appello solo l'odiato berretto con visiera, perciò era praticamente già pronto a prendere servizio. Non avrebbe lavorato con Molly quel giorno, lo sapeva: qualche giorno prima gli aveva detto che quel week-end sarebbe andata a Liverpool dai suoi, perciò aveva chiesto un paio di giorni di ferie. Non aveva però idea di chi avrebbe avuto in turno con lui: tra tutti i suoi colleghi, Molly era una dei pochi eletti che riusciva a tollerare e la cosa era reciproca. Non era un pensiero entusiasmante.

Già avvicinandosi alle vetrine, vide che il locale era deserto: sarebbe rimasto così ancora per un po', poi sarebbero arrivati gli ultimi clienti della giornata- di solito erano tutti studenti, era raro che ci fosse qualcuno sopra i venticinque- per il loro frappuccino serale. Per lo meno sarà una serata tranquilla. Magari riuscirò a leggere un po' pensò, un tantino rincuorato.

Quando varcò la soglia, per poco temette di trovarsi dinanzi a Philip Anderson e alla sua fidanzata Sally Donovan, di gran lunga gli esseri umani più irritanti che avesse mai conosciuto. Sally non lavorava lì, ma lei e Anderson erano sempre appiccicati, quindi dove andava lui c'era lei e viceversa. In ogni caso, o non c'erano o Sherlock aveva sempre entrambi tra i piedi. Lo detestavano, pensavano fosse una specie di mostro da quando aveva dedotto la loro tresca- all'epoca clandestina- due anni prima. Sherlock poteva affermare con sicurezza che il sentimento fosse assolutamente reciproco.

Quando invece vide Soo Lin Yao, secondo anno alla facoltà di archeologia, tirò un sospiro di sollievo. Soo Lin se ne stava sempre sulle sue, parlava raramente e quando lo faceva era per sciorinare nozioni su tazze di tè e antiche teiere cinesi, a quanto pareva erano la sua ossessione. Andavano d'accordo, lei e Sherlock. Più che altro perché non parlavano e nessuno dei due sembrava soffrirne.

"Ciao, Soo Lin."

"Ciao, Sherlock. Sei in turno tu stasera?"

"Sì. Perché, tu no?"

"No, me ne sto andando adesso."

"Ti prego, non dirmi che c'è Anderson o, peggio ancora, Dimmock."

Dimmock lo odiava: forse perché riconosceva che Sherlock fosse di gran lunga sveglio di lui. Era un tipo irritante, su questo non c'erano dubbi: non quanto Anderson e Donovan, ma anche lui riusciva a fargli saltare i nervi con estrema facilità. In più gli constava ammetterlo, ma quando lo metteva in ridicolo, Dimmock tendeva a non dargli grandi soddisfazioni. Con Anderson, invece, per lo meno si divertiva. "No, tranquillo: stasera c'è Sarah."

Sherlock dovette reprimere a stento l'impulso di correre fuori dal locale e non tornare più. Sarah Sawyer, come metà delle persone che in un modo o nell'altro entravano a far parte della sua vita, frequentava medicina e Sherlock aveva sempre fatto fatica ad ingranare con lei. Era troppo briosa e ficcanaso per i suoi gusti, troppo desiderosa di socializzare sempre e comunque. Inizialmente l'aveva semplicemente classificata come "molesta", ma non l'aveva mai reputata una grande minaccia. Poi venne a saperlo: l'anno prima del suo arrivo, Sarah aveva frequentato John per qualche tempo e non come semplici amici. La loro storia era finita poco dopo, senza urla e strepiti, in totale pace e armonia: erano rimasti amici, ma ogni volta che John entrava da Starbucks e lei era lì, Sarah iniziava a ciarlare e scherzare con lui, provocando in Sherlock un massiccio reflusso di bile.

Victor, dopo che Sherlock si era lamentato con lui riguardo alla questione, aveva provato all'inizio molto pazientemente- poi si era arreso e aveva perso ogni speranza al riguardo- a spiegargli che, nel mondo reale, le persone potevano anche sviluppare un legame d'amicizia a seguito di un rapporto romantico, che quello di John e Sarah era esattamente quel caso e che non c'era alcun bisogno che lui continuasse a comportarsi da pazzo isterico e iperprotettivo. Anzi, no: geloso. Perché lui era semplicemente quello: era geloso di John, pur non avendo mai scambiato nemmeno un saluto con lui. Non fino a quel giorno, per lo meno.

In ogni caso, lavorare con Sarah non gli era mai piaciuto e a fronte di quella novità lo faceva ancora meno. Entrò nel locale a testa bassa, dirigendosi digrignando i denti verso il retro. Sarebbe stata una lunga serata, ne era consapevole. Come sempre, eseguì il consueto rituale: si tolse sciarpa, guanti e cappotto, riponendoli con cura sull'attaccapanni; indossò il berretto con la visiera e si guardò allo specchiò, deprimendosi ancora una volta vedendo il suo riflesso. Detestava quel dannato cappello.

Tornò nel locale scuro in volto, trovando Soo Lin già pronta ad andarsene.

"Sarah dovrebbe arrivare tra poco, ti dispiace se io inizio ad andare?"

"No, va' pure. Me la sbrigherò da solo."

"D'accordo. Ah, qualcuno ha lasciato un messaggio in bacheca stamattina, me l'ha detto la ragazza nuova, come si chiama... Kathy qualcosa? Quella con i capelli rossicci che studia giornalismo, ha sempre le trecce."

"Kitty Riley."

"Sì, Kitty. Cielo, spero di ricordarmelo, prima o poi..."

"Sarà il solito cane smarrito."

"Non so, mi ha detto che l'ha portato un tizio biondo di cui non ricordava il nome ed era per 'il ragazzo moro che c'era qui ieri mattina'. Non è stata molto precisa, in effetti, ma pensò che prima o poi si scoprirà a chi si riferisse." disse tranquillamente Soo Lin, indossando trench e basco nel frattempo, ma a Sherlock bastò per avere un mezzo infarto. Un tizio biondo per il ragazzo moro di ieri mattina. Che sia... No, non ti illudere. Potrebbe essere una cosa tra clienti, tu che puoi saperne? pensò Sherlock.

La bacheca era appesa sulla parete opposta al bancone e ne occupava la maggior parte: era un tabellone in sughero ed era a disposizione per affiggere annunci, offerte di Starbucks, messaggi, a volte anche fotografie. Sherlock l'aveva sempre trovata una cosa stupida, ma in quel momento non riuscì a fare a meno di gravitarle attorno. Le si avvicinò lentamente, cauto, fino a trovarcisi davanti. La scrutò per qualche istante, alla ricerca di una new entry in mezzo a quella bolgia di fogli e cartoncini; dopo una manciata di secondi, vide poco distante da sé un foglio a righe piegato in quattro, con una scritta in penna blu- a giudicare dal tratto una semplice penna a sfera.

"To the black & curly haired guy who served me that amazing hot chocolate - aka Mr. Mentalist"

Sherlock sorrise, incredulo e staccò la puntina che teneva bloccato il foglio. Se lo rigirò in mano un paio di volte, sentiva il cuore battergli a mille e per un attimo temette che gli sarebbe esploso in gola. La calligrafia di John era chiara e tondeggiante, infondeva un senso di gentilezza e sicurezza... Ispirava fiducia ed era amichevole, per quanto una calligrafia potesse esserlo. La sua non era così, pensò Sherlock: nel complesso era elegante, aggraziata, ma non era piacevole come quella del biondo, era meno... gentile; le lettere non erano così distanziate come quelle di John, erano tutte attaccate, tra le parole c'era sempre uno spazio molto maggiore rispetto a quello che intercorreva tra i singoli caratteri e aveva un tratto secco, spigoloso e allungato. A volte, quando scriveva di fretta, faceva lui stesso fatica a decifrare cosa avesse annotato. Nel complesso, si poteva dire che il loro modo di scrivere riflettesse le loro personalità: John, gentile e affidabile, amichevole; Sherlock, scostante e freddo, altezzoso.

"Sherlock, io vado. Ci vediamo in settimana!" lo salutò Soo Lin, aprendo la porta con un sorriso e uscendo altrettanto velocemente. Sherlock emise un grugnito e fece distrattamente un cenno con il capo in segno di saluto, senza staccare lo sguardo dal foglio. Mentre Soo Lin si richiudeva la porta alle spalle, lo aprì lentamente, cercando di ignorare le dita tremanti. Righe di lettere e parole gli riempirono gli occhi e Sherlock, prima di mettersi a leggere, fece un respiro profondo per farsi coraggio: non sapeva cosa aspettarsi e sentiva uno strano mix di paura ed eccitazione a torcergli lo stomaco. Quando finalmente si decise, si appoggiò con la schiena al tabellone, immergendosi totalmente nella lettura.

Ciao, Mr. Mentalista,
ehi, sono John. John Watson. Probabilmente ti starai chiedendo "Chi?" e non posso nemmeno darti torto: vedrai centinaia di persone ogni giorno, pretendere che ti ricordi proprio di me sarebbe egocentrico da parte mia. Ci spero, certo, però a volte è utile essere realisti.

Sherlock sospirò: se John pensava che si sarebbe mai potuto dimenticare di lui, dei suoi occhi blu e il sorriso gentile, era davvero davvero fuori strada. Era più probabile l'opzione contraria, a ben guardare.

Se stai leggendo questa... cosa, probabilmente qualcuno dei tuoi colleghi ti ha detto che sono passato a cercarti- ovviamente senza buoni risultati. Se non sei tu, amico, molla l'osso e fatti gli affari tuoi. È una questione privata e preferirei restasse tale.
Comunque, dicevo: ieri pomeriggio, dopo le lezioni, sono passato a cercarti, ma un certo Philip- mi pare di averlo intravisto a medicina per il quarto anno, ma non ne sono sicuro-mi ha detto di non sapere chi fossi. Ho l'impressione che mentisse, la sua fidanzata ridacchiava lì accanto, ma voglio comunque credere che non lo sapesse davvero. Mi piace avere fiducia nelle persone, a volte ne ho anche troppa. Deformazione professionale, presumo.
La scena si è ripetuta identica stamattina, ma la ragazza a cui ho chiesto sembrava sinceramente confusa, come se non ti conoscesse per davvero. Quando dicevi di non essere molto socievole facevi proprio sul serio, eh?

Sherlock sorrise suo malgrado. Sapeva chi fosse Kitty, ma all'ultima riunione del personale, quella in cui il loro capo l'aveva presentata ufficialmente agli altri, lui aveva dato forfait e quindi non l'aveva mai vista di persona. Non che ne morisse dalla voglia, ben inteso.

Onde evitare di sprofondare in una specie di spirale senza uscita tutti i giorni ad ogni ora del giorno, ho deciso di lasciarti un biglietto. È più pratico e... Beh, posso riflettere meglio su cosa dire e come farlo.
Innanzitutto, volevo ringraziarti per ieri: ero un po' giù per Mary e la nostra rottura- anzi, più che essere giù ero proprio depresso. È stata una rottura "indolore", per così dire, di comune accordo. Ciò non toglie che abbia fatto comunque male. Sai come va in questi casi, no?

Sherlock fece una smorfia: no, non sapeva come andava in quei casi e prima di John non era nemmeno mai stato interessato a scoprirlo. Andò avanti a leggere, cercando di non far caso al senso di amaro in bocca.

Forse è anche per questo che, davanti agli insulti che ti ha rivolto quel tizio, ho reagito in quel modo. Non dico che normalmente non sarei intervenuto, se vedo qualcuno in difficoltà far finta di nulla non è nella mia natura- mia sorella Harriet dice che fare "il paladino delle cause perse" sembra essere la mia unica missione nella vita-, però probabilmente avrei gestito la cosa con più calma. E senza minacce di spedirlo fuori da Starbucks a calci nel sedere. A volte tendo a essere un po' troppo impulsivo, dovrei riflettere di più su ciò che faccio. In ogni caso, spero di non averti creato problemi; se così è stato, ti prego di scusarmi.

Sherlock serrò la mascella. Sentì la carta scricchiolare lievemente tra le dita mentre abbassava lo sguardo sul pavimento. Si è pentito.

Nel caso lo stessi pensando, no, non mi sono pentito. Quel tizio se l'è meritato e se fosse necessario, lo rifarei anche adesso. Okay, mi sono appena contraddetto, di solito non mi La mia unica preoccupazione è quella di non averti messo nei guai, perché ecco, sì, mi dispiacerebbe.

Sherlock sbatté un paio di volte le palpebre, incredulo. Poi, poco a poco, sorrise.

Avrei voluto dirti tutto questo di persona, ma non ti ho trovato. Ho provato a cercarti anche in università, ma sembra che nessuno ti conosca: uno dei ragazzi del terzo anno di chimica- perché è quella la tua facoltà, giusto? Oddio, non dirmi che ho chiesto nella facoltà sbagliata- se n'è uscito con un "di ragazzi mori e alti qui dentro ce ne sono tanti, non saprei". Bello, eh? Sono tipo un segugio. Un segugio incapace, però, uno di quelli che si perde a metà caccia e manda tutto in malora. Non sono stato nemmeno capace di trovarti chiedendo ai tuoi colleghi, figurati. Sto diventando patetico, lo so, scusami. È solo che... Dio, non ti conosco, non so nulla di te ed è parecchio frustrante. Ad un certo punto sono addirittura arrivato a pensare di averti immaginato- poi, grazie a Dio, ho chiesto al mio amico Mike se ti avesse mai visto e lui ha detto di sì, però non ti aveva mai parlato. Per lo meno so che esisti, ma è tutto ciò che conosco su di te. Non so neanche il tuo nome.

Sherlock si rese conto che era vero: non gli aveva detto come si chiamava. E a quel punto prima si diede del deficiente per non averci pensato prima, poi però sentì un piacevole calore al petto. Il motivo era semplice, facilmente intuibile: John l'aveva cercato. Dovette reprimere con forza l'impulso di sorridere come un idiota.

So che suonerà parecchio strano e forse anche un tantino inquietante, ma anche se non ci conosciamo, sei riuscito a risollevarmi la giornata. Per tutto il giorno, mi è bastato ripensare a quello che è successo ieri mattina per tornare di buon umore. E oltretutto, la tua cioccolata era davvero buona.
Insomma, quello che sto cercando di dire- in modo del tutto fallimentare, lo ammetto- è che mi piacerebbe conoscerti meglio. Ieri hai detto che praticamente tutti quelli che ti conoscono preferiscono starti alla larga, ma per me non vale lo stesso. Non so dirti perché, ma vorrei farmi perdonare: insomma, ti ho trascurato per due anni, penso proprio che sia arrivato il momento di rimediare, no?
Okay, okay, lo so, suonava malissimo. Sembrava un patetico tentativo di rimorchio, mi dispiace. Però è vero. Cioè, non che ti stessi rimorchiando e. Lunedì mattina magari passo ancora in negozio. Sai, per la colazione e così via. Spero di rivederti, sarebbe... fico? Diciamo che sarebbe bello, limitiamoci al bello. Ci vediamo- presto, spero.
John

Sherlock fissò quegli ultimi paragrafi senza riuscire a muoversi. Era come se fosse appena stato colto da una paralisi, non sapeva più come fare alcunché, nemmeno respirare. John voleva conoscerlo. Frequentarlo, addirittura e lui non riusciva a crederci, era più forte di lui. Per un attimo gli balenò in testa l'idea che John con quelle frasi avesse solo voluto prenderlo in giro, ma riflettendoci meglio decise che non era assolutamente così: il John Watson che vedeva quasi ogni giorno, che aveva imparato a conoscere da lontano, il ragazzo con cui aveva parlato la mattina prima era buono, gentile. Era una brava persona e non avrebbe mai fatto una cosa del genere, mettere in ridicolo e prendere un giro qualcuno solo per il gusto di farlo. Non era da lui, Sherlock lo sapeva.

Appoggiò la nuca contro il tabellone, sollevando la testa e facendo scricchiolare qualche foglio sotto il suo peso. Sentiva di avere parecchio da metabolizzare e non era affatto sicuro di essere in grado di farlo nel modo corretto, per lo meno non nell'immediato. In quel momento la porta si riaprì e Sarah entrò nel locale, avvolta in una nuvola svolazzante formata dai suoi lunghi capelli, lasciati ricadere sciolti sulle spalle.

"Ciao, Sherlock!" lo salutò allegramente e lui le rispose con un cenno. La ragazza iniziò a blaterare di faccende che a lui apparivano francamente senza senso, tipo un asciugacapelli rotto e schiuma per capelli esplosa, quindi Sherlock decise di tornare a riflettere sulla lettera di John e mettere Sarah in modalità silenziosa. Gli era sembrato stranamente impacciato, John, ma, in fin dei conti, anche molto tenero- Dio, non lo stava pensando per davvero, non lui! Victor avrebbe tentato di esorcizzarlo, già se lo immaginava... Oppure avrebbe riso fino a star male e quell'ipotesi a ben pensarci era ancora più probabile. E poi, santo cielo, gli pareva quasi surreale che John davvero avesse pensato a lui, fosse addirittura arrivato a pensare di essersi solo sognato la sua esistenza e il loro incontro. Sherlock avrebbe potuto rispondere che lui, di incontri del genere, ne aveva sognati anche fin troppi, quindi non sarebbe stato del tutto certo che quello fosse avvenuto per davvero, se non fosse stato per quel messaggio. Era una strana sensazione, terrificante ma allo stesso tempo esaltante.

"Che cos'hai lì?" domandò ad un tratto Sarah, riportandolo bruscamente alla realtà. Si era avvicinata e puntava pericolosamente alla sua lettera e Sherlock, in un impulsivo gesto dettato dalla gelosia, si affrettò a ripiegare in quattro il foglio e a riporlo nella tasca dei suoi pantaloni, sottraendolo dalle grinfie della ragazza davanti a sé.

"Nulla. Un foglio scritto, niente di che."

"Ah, capisco... È una lettera d'amore, vero?" chiese Sarah, divertita, mentre incrociava le braccia dietro la schiena e gli rivolgeva un sorriso furbo. Sherlock avvampò e rispose di getto, maledicendosi per la voce stridula che gli uscì: "No, certo che no, non essere ridicola!"

"Cielo, Sherlock, guardati: sei rosso come un peperone!"

"Non sono affatto rosso, ho solo... Ho solo caldo, questo posto è una dannata fornace!" "Guarda che non c'è niente di male, sai? Sia per il fatto di arrossire che per quello di avere un'ammiratrice... O un ammiratore, non saprei. È normalissimo, ci siamo passati tutti e-"

"Sì, certo, davvero molto interessante, ora scusami, ma devo riordinare i muffin nell'espositore per ordine crescente di apporto calorico, perdonami." tagliò corto Sherlock, dirigendosi a passo di marcia verso il bancone. Sarah lo fissò per qualche attimo, poi si avviò verso il retro, ridacchiando tra sé. Sherlock la fulminò con lo sguardo.

"Si può sapere che hai adesso da ridere?"

"Nulla, nulla, è che..." Sarah si fermò sulla soglia, pensosa; poi liquidò tutto con un gesto della mano e sorrise, scuotendo debolmente il capo, "La calligrafia della persona che ha scritto quel biglietto somiglia tantissimo a quella di un mio amico, John Watson... Sarà suggestione, ignorami."

Sherlock distolse velocemente lo sguardo mentre Sarah spariva nel retro: era certo di essere prima sbiancato, poi di aver assunto ogni sfumatura possibile ed immaginabile nello spettro del rosso e per uno come lui non c'era niente di più denigrante. Accidenti a te, John Watson, tutto per colpa tua! pensò con una smorfia. Subito dopo però la sua mano volò alla tasca dove aveva riposto il suo messaggio e, sfiorando la carta con le dita, si sentì subito più tranquillo, felice. E, dopo qualche altro secondo, non poté fare a meno di sorridere.





 

(1) documentandomi in rete, ho scoperto che, per quanto riguarda caffè e compagnia bella, le classiche taglie small, medium e large da Starbucks non esistono, hanno dei nomi tutti loro. Eccoli con la relativa "traduzione":

-Mini = mini (lo so, chi l'avrebbe mai detto?)
-Short = un po' più grande del mini, più piccolo del tall
-Tall = piccolo
-Grande = medio
-Venti = grande
-Trenta = extra large

Trenta e Mini non sono molto comuni e sono disponibili solo per determinati articoli, mentre gli altri tre sono di norma disponibili per tutte le bevande.
 

(2) la traduzione greco-inglese è: "Άντε γαμήσου, μπορείτε αιματηρή βλάκας = Fuck you, you bloody moron". Ringraziamo Google Translate per il servizio meravigliosamente reso
 

(3) in inglese è "Cinnamon Swedish Bun" e, sia basandomi sul nome che guardando la foto, ho cercato e i tradurlo come meglio potevo- non so se ci sia riuscita o meno, a voi l'ardua sentenza
 

(4) questo invece non avevo la più pallida idea di come tradurlo, quindi onde evitare di far danni, ho preferito lasciarlo così



Note:
Non so come sia nata questa long, di preciso. Come al solito doveva essere una oneshot, ma because of reasons... Beh. Non sono capace a scrivere shot, ci provo e inevitabilmente si trasformano in long. Comunque, una sera ho pensato che l'idea di uno Sherlock barista che scrive sbagliati i nomi sui bicchieri di proposito (e in lingue diverse) potesse essere divertente e da qui è nato tutto il resto. E poi era da un po' che volevo scrivere una teen/uni!lock, quindi combo.
Se volete farmi sapere che ne dite, segnalare qualche errore (quelli di battitura dovrebbero essere stati sterminati, spero valga lo stesso per quelli del correttore automatico) o semplicemente fare due chiacchiere, potete lasciarmi una recensione, sono sempre apprezzate :)
A settimana prossima con il capitolo 2, un bacio!
Cami

 

   
 
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