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Autore: edoardo811    15/07/2017    2 recensioni
Quello che sembrava un tranquillo viaggio di ritorno alla propria terra natale si trasformerà in un autentico inferno per i Titans e i loro nuovi acquisti.
Dopo la distruzione del Parco Marktar scopriranno ben presto che non a tutti le loro scorribande nello spazio sono andate giù.
Tra sorprese belle e brutte, litigi, soggiorni poco gradevoli su pianeti per loro inospitali e l’entrata in scena di un nuovo terribile nemico e la sua armata di sgherri, scopriranno presto che tutti i problemi incontrati precedentemente non sono altro che la punta dell’iceberg in un oceano di criminalità e violenza.
Caldamente consigliata la lettura di Hearts of Stars prima di questa.
[RobStar/RedFire/RaeTerra] YURI
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The Good Left Undone

V

QUANTUS

 

Passarono pochi secondi, o forse ore intere. Non potevano saperlo con certezza. Fatto stava che la luce bianca svanì all’improvviso e i ragazzi, si ritrovarono sdraiati sul pavimento della sala comandi, con gli occhi che bruciavano e la testa che girava.

«Ultravelocità terminata: ingresso in Sistema di Breegus» esordì la voce robotica della nave, prima di cadere di nuovo nel silenzio.

Robin si rimise in ginocchio tossendo, poi si guardò intorno allarmato. «State tutti bene?»

«Più o meno...» brontolò X mettendosi a sedere, per poi aiutare Amalia a fare lo stesso. «Tu come ti senti?»

«Sto bene...» assicurò lei massaggiandosi la schiena, per poi avvertire diverse fitte provenire da essa e fare una smorfia di dolore. Non seppe nemmeno dire con certezza se fossero causate dall’urto con la parete o dalla gravidanza.

«Amalia!» esclamò lui accorgendosene.

«Sto bene!» rimarcò lei infastidita, allontanando le sue mani con un gesto rabbioso. Il ragazzo la fissò ammutolito e si guardò per bene anche solo dallo sfiorarla ancora.

Cyborg mugugnò mentre si rimetteva in piedi, poi corse dalla consolle per controllare la situazione. Gli altri, poco per volta, lo imitarono. Il robot ricominciò a premere tasti come se non avesse mai smesso, mentre gli altri facevano da spettatori. La situazione sembrava essersi calmata. Intorno a loro non c’era più alcuna traccia delle navi di Slag, nessun raggio laser e Torpedo kamikaze, perciò tutti quanti supposero che il peggio fosse passato. Un pianeta si trovava non molto distante da loro. Questo, a differenza di Tabora, era completamente verde, più chiaro in alcuni punti e più scuro in altri, segno che la vegetazione su di esso fosse rigogliosa, a differenza del pianeta desertico.

«Cyborg, puoi spiegarmi cos’è successo con esattezza?» domandò Robin mettendosi accanto all’amico.

«Beh, la nave ha usato l’ultravelocità per fuggire dalla flotta di Slag. Siamo entrati in un tunnel che ci ha praticamente teletrasportati qui, nel... Settore Breegus, o una roba del genere. Abbiamo percorso milioni di chilometri in un lampo.»

«Quindi... abbiamo accorciato il viaggio di ritorno?» domandò Robin, speranzoso.

Cyborg annuì. «Praticamente sì... solo che...»

«E non potevamo farlo prima?» sbottò Red X, accigliato. «Oppure puoi farlo di nuovo! Così nel giro di un lampo saremo di nuovo a casa!»

Il robot sbuffò dal naso, spazientito. «Se magari mi fai finire di parlare...»

X roteò gli occhi e sollevò le mani. «Scusa, capo...»

«Bene. Allora, abbiamo usato l’ultravelocità, ma...»

«Ragazzi!» esclamò qualcuno all’improvviso, alle loro spalle. Tutti si voltarono di colpo, con Cyborg che sembrava voler mandare al diavolo tutto e tutti per essere stato interrotto una seconda volta, e videro BB, sull’ingresso della sala, con un enorme bernoccolo in testa.

«Che... che cavolo è successo?» domandò lui massaggiandosi la contusione, per poi sbadigliare. «Stavo dormendo, poi mi sono ritrovato sbattuto come un uovo alla parete, e poi...»

Solamente in quel momento tutti loro realizzarono che il mutaforma aveva bellamente dormito per tutto il tempo, anche mentre Slag faceva piovere fuoco su di loro e la nave era in preda a scossoni e boati. Doveva essersi svegliato solo quanto il velivolo era schizzato in avanti per via dell’ultravelocità. Non sapevano se ammirarlo o arrabbiarsi con lui, per quel suo sonno di ferro.

Alla fine non fecero nessuna delle due, perché la voce robotica registrata ritornò alla carica: «Capacità serbatoio critiche, livelli sotto il 5%»

I ragazzi drizzarono la testa sorpresi, udendola, poi sentirono Cyborg imprecare sommessamente ed intuirono che, qualsiasi cosa significasse quella frase, non era un buon segno. I guai erano ancora molto lungi dall’avere fine.

«Cyborg, che significa?»

Il robot sospirò e si rimise a pigiare tasti. «È quello che cercavo di dirvi. L’ultravelocità ha prosciugato le ultime riserve di carburante della nave, che era già poco di suo al momento della partenza. Per questo Mr Zurkon mi aveva detto di non usarla mai, saremmo rimasti a secco. Ma ormai è accaduto.»

Il sangue gelò nelle vene di tutti i presenti. Nessuno di loro era entusiasta all’idea di rimanere senza carburante, perfino BB che ancora non aveva capito cosa fosse successo.

«Non... non c’è carburante sulla nave?» domandò Robin, cercando di non far spegnere del tutto la speranza.

Cyborg scosse la testa, con aria severa. «Abbiamo già controllato, ricordi? Ci sono solo le casse di cibo. Ci toccherà... atterrare da qualche parte e sperare di trovare il modo di rifornirci.»

Diverse occhiate nervose aleggiarono nella stanza. Nessuno sembrava entusiasta all’idea.  

Rendendosi conto di essere l’unico che a quanto pare non voleva assolutamente vivere altre sgradevoli avventure su pianeti alieni, X esclamò contrariato: «Cosa?! Non vi è bastato Tabora?! Volete davvero atterrare su un altro pianeta abitato da chissà chi e chissà cosa?!»

«O quello, o restare a fluttuare nella galassia fino a quando non moriremo di fame o la flotta di Slag non riuscirà a rintracciarci» replicò Cyborg, mentre faceva rotta verso il pianeta verdeggiante. «Decidi tu, io nel frattempo uso il poco carburante che ci rimane per salvare le tue chiappe e la madre del tuo futuro figlio.»

A quelle parole, non appena Amalia venne tirata in ballo e con lei ciò che portava in grembo, X strinse i pugni, ma si calmò all’istante, non appena proprio lei lo prese per mano, scambiandogli un’occhiata significativa. Il tocco vellutato della ragazza e il suo sguardo lo avrebbero tranquillizzato in qualsiasi contesto. Capì che, se a lei andava bene atterrare in quel pianeta sconosciuto, anche lui avrebbe accettato la cosa, volente o nolente.

«Perlomeno, su quel pianeta non sembrano esserci deserti...» osservò Beast Boy, ottimista.

Si sollevarono diversi mugugni tra i ragazzi. Il tentativo di calmare le acque di BB non era servito a niente.

E, senza aggiungere altro, tutti quanti osservarono quel globo verde farsi sempre più vicino, sperando che il destino non riservasse loro altre brutte sorprese.

 

***

 

Quantus, così si chiamava il pianeta stando alle informazioni riportate dal computer della nave. Costituito per praticamente il cento percento da foreste e vegetazione, fatta eccezione che per alcuni fiumi e laghi. Dotato di atmosfera e di conseguenza di aria respirabile. Ma a parte quello, non essendo un pianeta di proprietà del Dominio, non c’erano altre informazioni a riguardo. Toccava ai Titans scoprire cosa si celava in quel luogo, chi lo abitava e se, soprattutto, c’era un luogo tra tutte quelle foreste in cui poter rifornire la nave.

Cyborg la fece atterrare nel primo spiazzale abbastanza grande da contenerla che trovò. A causa dell’enorme spostamento d’aria generato dalla nave l’erba si appiattì e gli alberi si piegarono come fuscelli. Sembrò quasi una scena irreale sentire la nave arrestarsi sotto i loro piedi e vedere quegli alberi al posto del cielo nero e stellato dello spazio.

Quando uscirono dalla nave si sentirono quasi degli animali spauriti che entravano in un mondo a loro sconosciuto, cosa che non era nemmeno troppo lontana dalla realtà. Rimettere i piedi sull’erba fu la sensazione più strana ed insolita che potessero provare, visto che non vedevano un prato da almeno due settimane. Rivedere il cielo azzurro, udire versi in lontananza di quelli che dovevano essere uccelli, sentire i propri volti accarezzati dolcemente dai raggi del sole e non colpiti con violenza da essi come su Tabora, tutte cose di cui tutti quanti, chi più chi meno, avevano avuto nostalgia.

«Devo dare una controllata alla nave, non vorrei che, oltre ad essere rimasta senza carburante, si sia danneggiata senza che ce ne fossimo accorti» disse Cyborg a Robin, una volta che tutti furono fuori dal velivolo. Il leader gli diede carta bianca e il robot cominciò a girare intorno alla nave per esaminarla.

«Mh... siamo sicuri che qui ci sia civiltà?» domandò BB poco convinto, guardando quell’enorme foresta che tutto poteva significare, meno la presenza di tecnologie o stazioni di rifornimento.

«Possiamo solo sperarlo» sospirò Robin, mettendosi le mani sui fianchi e contemplando a sua volta la radura. «Questo era l’unico pianeta abbastanza vicino alla nave. Con meno del 5% del carburante, non potevamo correre rischi inutili continuando a volare.»

«E neanche con metà dei propulsori distrutti e uno squarcio enorme nella chiglia...» rantolò Cyborg sotto la nave, mentre realizzava quanto la situazione fosse critica. La flotta di Slag aveva arrecato danni e non pochi, al loro velivolo. «Dovrò ripararla, oltre che rifornirla, se vogliamo rivedere casa nostra...»

«Magnifico!» sbottò BB calciando una zolla di terra. «Di bene in meglio! Di nuovo bloccati su un pianeta sconosciuto e pieno di chissà quali insidie! Ho una strana sensazione di déjà-vu.»

«Non dovrò mica difendervi tutti come ho fatto in quel deserto, vero?» domandò sottovoce Terra a Corvina, le quali avevano entrambe ascoltato lo scambio di battute tra Cyborg, Robin e BB. Nessuna delle due era entusiasta di essere lì, ma sicuramente erano meno intimorite di quando erano su Tabora. Forse perché non rischiavano di essere cotte dal sole, la temperatura era più gradevole e con loro c’erano anche Amalia e Stella, il cui contributo non sarebbe stato indifferente. O forse perché ad entrambe bastava essere insieme, non importava dove e come.

«Sicura che non sarai tu quella ad aver bisogno di aiuto, questa volta?» replicò Corvina.

«Dubito...» ribatté Terra, sventolando la chioma dorata con fare altezzoso.

«Tiratela di meno...» sbottò la maga roteando gli occhi, ottenendo come scherzosa risposta una linguaccia dalla bionda.

Amalia andò a sedersi sotto la chioma di un albero, appoggiandosi al suo tronco. Osservando meglio quell’arbusto notò che differenze tra quello e i suoi simili e quelli terrestri o tamaraniani non erano molte. Anzi, sembravano pressappoco identici. Ciò non toglieva l’eventualità che le sue foglie potessero essere orticanti o ultravelenose. Sospirò e si lasciò scivolare con la schiena lungo la superficie ruvida, cercando anche di trovare una posizione più comoda sul manto erboso. I forti odori della vegetazione si insinuarono nel suo naso e realizzò che era da davvero molto tempo che non li sentiva, non in quel modo, almeno. L’odore dell’erba, delle foglie, l’aria fresca e pulita e non quella contaminata delle città o quella chiusa della nave spaziale, perfino diversi profumi che non riuscì a catalogare. Fu gradevole risentire queste cose. Si concentrò anche sui versi lontani, provenienti dagli animali segregati nella boscaglia. Erano molti e quasi tutti totalmente diversi tra loro, ma non sembravano minacciosi, tutt’altro. Semplici versi di animali che comunicavano tra loro. Osservò i ragazzi di fronte a lei spartiti in piccoli gruppi, ognuno indaffarato a parlare con l’altro, dicendosi chissà cosa. Il suo sguardo cadde su Corvina e Terra e quando vide le due parlottare nulla poté impedirle di lasciarsi scappare un sorriso. Chiuse poi gli occhi e cercò di rilassarsi per quei pochi istanti in cui sarebbero rimasti in quella radura, prima di avventurarsi nei boschi alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarli. Inspirò ed espirò grandi boccate d’aria, per cercare anche di smettere di pensare ai dolori alla schiena che ancora non avevano cessato di infastidirla.

«Tutto bene?» le domandò qualcuno. Amalia riaprì un occhio e vide Red X sedersi accanto a lei, divaricando le gambe e appoggiando i palmi a terra, sospirando esausto.

Smise di concentrarsi sui suoni della foresta e si voltò verso di lui, serrando la mascella. «Me l’hai già chiesto dieci minuti fa’, sai? Sulla nave. Per ben due volte di fila.»

Il ragazzo sembrò rendersene conto solo quando lei glielo fece notare. «Oh... sì, è vero, scusa. È che... sono sovrappensiero.»

«No, tu ti preoccupi per me cento volte più di quanto faresti normalmente solo perché sono incinta» corresse la ragazza, quasi con tono di rimprovero. Sapeva che l’amato teneva a lei, ma fino ad un certo punto. Stava cominciando a diventare fastidioso, comportandosi in quel modo. Per colpa della gravidanza di lei si era quasi messo a litigare con Cyborg e prima ancora, quando lei aveva avvertito uno di quei dolori alla schiena, l’aveva fissata terrorizzato, neanche stesse morendo davanti a lui. Per non parlare del terzo grado che le aveva fatto poco prima di tutto ciò.

Certo, prima era stato gentile con lei, il modo con cui l’aveva rassicurata sulla nave era stato stupendo, però dal momento della notizia data da Corvina, X guardava Amalia con occhi diversi. Non la considerava più la ragazza tosta di cui si era invaghito, ma una più fragile. Il che forse era anche vero, Amalia era cambiata radicalmente da quando si erano conosciuti la prima volta, ma di sicuro non era una ragazzina impaurita e bisognosa del supereroe di turno.

«Beh...» X esitò. «... voglio solo accertarmi che tu stia bene. Dopo quella botta che ci siamo presi ho avuto paura che... beh... puoi immaginare.»

 «Sono incinta da tre settimane, non da otto mesi! Non mi serve la balia!»

«Non voglio fare la balia!» protestò il ragazzo.

«Bene, perché so perfettamente badare a me stessa.»

«Si è visto...» brontolò il ragazzo tagliente e con tono sarcastico, distogliendo lo sguardo da lei.

«Come prego?!» domandò Amalia alzando la voce, sporgendosi verso di lui.

Il ragazzo la guardò sottecchi, facendo una smorfia. «Niente.» Si alzò in piedi spolverandosi con gesti rabbiosi, più che altro colpendosi con le mani che strofinandosele addosso, poi le diede le spalle. «Riparliamone quando ritrovi le buone maniere.» Detto quello la lasciò sola, allontanandosi e brontolando.

Amalia si piantò le unghie nelle ginocchia, ringhiando di rabbia, e distolse lo sguardo dalla sua schiena, sbuffando di disappunto. Probabilmente credeva perfino di essere nel giusto, ad essere appiccicoso in quel modo. Anzi, sicuramente lo era. La amava, era comprensibile la sua preoccupazione, in quella circostanza più che mai, ma lei non digeriva comunque la cosa. Era una guerriera tamaraniana, non una bambina. Solo perché era incinta e rischiava molto non significava che al minimo colpetto rischiasse di morire tra atroci sofferenze, o perdere addirittura il loro futuro figlio. Essere al centro di pensieri e preoccupazioni solo per via di un feto ancora ben lungi dall’essere un vero bambino la faceva imbestialire. Era sempre lei, maledizione! Era Amalia, la stessa ragazza che aveva usato Metalhead come palla demolitrice! Perché X sembrava averlo dimenticato?

«Forza gente!» esclamò Robin all’improvviso, interrompendo i suoi pensieri, facendole drizzare la testa. «Andiamo.»

La tamaraniana sospirò e si rimise in piedi. I ragazzi accerchiarono Robin, anche Cyborg, il quale aveva concluso le analisi sulla nave e per primo aveva avvertito il leader che potevano andare.

«Da che parte?» domandò Stella guardandosi intorno, verso le numerose vie che la radura forniva loro.

Robin esitò. Tutte le strade sembravano uguali, era impossibile dedurre quale fosse quella giusta. «Beh...»

«Che ne dite di andare di là?» Beast Boy indicò un punto nel cielo. I ragazzi pensarono li stesse prendendo in giro, ma quando si voltarono verso il punto da lui indicato capirono che forse era la prima cosa sensata che diceva da settimane. Nel cielo azzurro, intenta a far breccia tra la vegetazione, si stava sollevando una cappa di fumo grigio chiaro, poco inquinato, tipo quella di un falò di rami secchi. Era difficile che si fosse acceso da solo.

Robin sorrise, ammirato. «Bel colpo BB. Se c’è un fuoco, c’è anche chi lo ha acceso. E non sembra nemmeno essere lontano. Forza!»

 

***

 

Lo scalpiccio dei passi sul terreno disseminato di foglie e rametti risuonava nell’aria. Il gruppo procedeva in fila ordinata, capitanato da Robin. Subito dietro di lui c’era Stella, che camminava tenendo appoggiate entrambe le mani sulle sue spalle, per rassicurare più sé stessa che lui. A seguito, tutti gli altri. Corvina, chiudi fila insieme a Terra, aveva di nuovo recuperato alcune provviste dalla nave, casomai ce ne fosse stato il bisogno, mentre BB svolgeva il suo classico ruolo di vedetta. Procedevano a passo moderato, senza troppa fretta. Il clima sembrava quello della foresta amazzonica, afoso e tropicale, ma grazie all’ombra degli alberi non era troppo opprimente. E sicuramente non era torrido come quello di Tabora.

Avevano deciso di procedere a piedi, per non essere avvistati in cielo dalla popolazione locale e rischiare di allarmarla. Soltanto BB, grazie al suo camuffamento da uccello, procedeva per via aerea.

Creature aliene per il momento non ne avevano incontrate, se non qualche volatile che, percependo il gruppo di ragazzi come una minaccia, si alzava in volo dall’albero su cui riposava e si allontanava con un frusciare di ali.

Quantus sembrava innocuo. Sembrava.

La foresta di diradò lentamente e quando sembrarono non esserci più alberi intorno a loro percorsero una breve discesa, che li condusse sulle rive di quello che sembrava essere un lago, anche se il liquame al suo interno non sembrava proprio essere acqua. Era di un colore azzurro brillante, quasi elettrico, e sembrava avere la consistenza della bava di una lumaca. Nessuno ebbe il coraggio di berla o anche solo toccarla. La superficie non era molto grande, avrebbero benissimo potuto girarci intorno, oppure usare le enormi foglie che vi galleggiavano sopra per attraversarlo. Erano simili a quelle su cui le rane si sedevano usualmente, ma erano molto più grosse e spesse, avrebbero sicuramente retto il peso dei ragazzi. Peccato che non appena le videro, tutti loro ebbero uno sgradevole presentimento. Se le rane di quella zona erano di grandezza direttamente proporzionale a quelle foglie, allora c’era da preoccuparsi. Oltre il lago vi era un’altra lieve salita e la foresta si rifaceva fitta.

Robin decise di accerchiare il lago e, sopratutto, di allontanarsi da li al più presto. Quel luogo non lo convinceva per niente. Anche su Tabora avevano trovato una zona totalmente diversa dal deserto circostante, un mucchio di rovi e detriti che si era poi rivelato essere la tana di un orrendo mostro, non voleva certo che la situazione si ripetesse anche su quel pianeta.

Sentì il rumore di un tuffo improvviso e sobbalzò, girandosi di scatto. Qualcosa era caduto nel lago. «Cos’è stato?»

Gli sguardi allarmati di tutti i ragazzi caddero su Red X e sulla pietra che aveva in mano. La situazione fu presto chiara.

«X! Che diavolo ti salta in mente?!» sbottò Robin lanciandogli un’occhiataccia.

Il ragazzo in nero scrollò le spalle. «Non posso lanciare pietre in un lago?»

«Ma non qui!» esclamò il leader quasi incredulo. Non gli sembrava vero di star rimbrottando l’ex rivale e non Beast Boy. «Non sappiamo cosa c’è li dentro!»

X roteò gli occhi, gettando a terra l’altra pietra. «Ti prego! Cosa vuoi che ci sia in un lago pieno di...»

Un fragoroso ruggito scosse tutta la zona, i ragazzi sentirono battere i denti e perfino gli alberi tremarono. Red X diventò più bianco di quanto già non fosse.

Qualcosa si mosse sotto il lago, poi questo esplose, letteralmente, riversando il suo contenuto sui ragazzi come una pioggia torrenziale. I loro costumi si imbrattarono. Non solo quel liquido era viscoso e appiccicoso, era perfino maleodorante. Non poterono prestarci molta attenzione, tuttavia, perché qualunque cosa si stesse muovendo sotto quei liquami azzurri, adesso si stava sollevando in cielo, ruggendo di nuovo rumorosamente e apparendo dinnanzi ai loro occhi in tutta la sua grandezza.

Era un enorme serpente con il corpo azzurro fluorescente, stesso colore del lago. Il corpo all’inizio grosso si assottigliava lentamente, fino ad arrivare alla lunga coda da pesce. Era ricoperto di scaglie marroni, principalmente sul dorso, dove erano molto più acuminate, e sul volto, che era interamente ricoperto da esse. La bocca era ancora spalancata in quel fragoroso ruggito, rivelando due file di denti lunghi almeno venti centimetri e affilati come coltellacci. Gli occhi erano tre, tutti gialli. Volava, letteralmente, davanti a tutti loro, contorcendosi, continuando a ruggire e agitando la coda con rabbia, ma non aveva arti, tantomeno ali, semplicemente alcune protuberanze che ricordavano parecchio delle pinne.

Meraviglioso, ecco com’era. Non era come i Mostri Duna del deserto, che erano degli insetti giganti e orrendi di conseguenza. Era una creatura imponente, maestosa, leggendaria, simile ad un drago.

I ragazzi la osservarono rapiti, non sapendo nemmeno se la stavano ammirando o se la stavano temendo. Si dimenticarono perfino di uccidere X per averla attirata lanciando quella pietra.

«È... è un...» Stella era quella che più di tutti era affascinata dalla creatura, parlava a stento dall’emozione. «... un Basilisco Leviathan!»

Il serpentone sembrò riconoscere il proprio nome, perché si voltò verso tutti loro, smettendo di ruggire serrando la bocca. Non appena i suoi tre occhi si posarono sui ragazzi, un ringhio sommesso, ma comunque poderoso, fuoriuscì tra le file di denti.

Il gruppo di giovani intuì ben presto che quella creatura non aveva intenzioni amichevoli. Red X in particolare lo intuì. «Oh-oh» sussurrò con un fil di voce.

Il Basilisco ruggì di nuovo, inarcando la schiena all’indietro, e i ragazzi lo presero come un segnale che stesse per attaccare. Tutti quanti scattarono. Amalia si alzò in volo, illuminando mani e occhi, Cyborg preparò il cannone, i capelli di Terra cominciarono ad agitarsi, gli occhi di Corvina divennero bianchi, mentre Robin ed X stringevano i pugni e si mettevano in posizione.

«Fermi!» gridò Stella sollevandosi in aria e parandosi fra gli amici e il Basilisco. «Non fatelo!»

«Stella, che ti prende? Torna qui!» esclamò Robin preoccupato. «Allontanati da quel coso!»

L’aliena scosse energicamente la testa. «Fidatevi, sono innocui!»

«Quei denti non sembrano la definizione ideale di "innocui"...» osservò Corvina, senza abbassare la guardia.

Stella allargò le braccia a mo’ di scudo, di fronte al serpentone che dal canto suo continuava a ringhiare e a restare con la schiena inarcata. «Loro hanno paura di noi tanto quanto noi ne abbiamo di loro! Siamo entrati nel suo territorio, lui vuole solo proteggerlo! Non fate mosse brusche, non attaccatelo, non spaventatelo, e lui non ci farà niente.» Si voltò verso la bestia, abbassando le braccia e sorridendole rassicurante. «Vero? Vero che non ci farai niente?»

«Come fa quel coso ad avere paura di noi?» domandò Cyborg, senza abbassare il cannone.

Stella lo ignorò, avvicinandosi lentamente al B, tenendo le braccia allargate in segno amichevole. «Non vogliamo farti del male, stai tranquillo.»

I ragazzi sentirono i nervi a fior di pelle guardando quella scena, la loro amica che si avvicinava in quel modo a quella creatura enorme, ma nessuno trovò il coraggio di muoversi.

«Kori, quelle bestie sono imprevedibili, torna qui!» cercò di farla ragionare Amalia.

«Stella ti prego! Non farlo!» insistette anche Robin, con evidenti venature di preoccupazione nella voce.

La tamaraniana rossa non ascoltò né la sorella né l’amato. Oramai si trovava all’altezza del volto spigoloso del Basilisco, che ancora non aveva smesso di ringhiare, e allo stesso tempo non sembrava intenzionato ad attaccare. Stella gli sorrise e allungò una mano verso di lui, lentamente, senza mosse azzardate. Il serpente si ritrasse diffidente, continuando ad emettere quel verso gutturale, ma ancora non attaccò.

«Non voglio farti del male» ripeté Stella, allungando le dita verso di lui e avvicinandosi ulteriormente, con quella sua voce calma e rassicurante che avrebbe placato chiunque. Pure il Basilisco sembrò subirne gli effetti, perché smise di ritrarsi. Continuò tuttavia a ringhiare e non appena Stella riuscì a toccargli una delle scaglie sul volto emise un verso molto più forte e minaccioso degli altri, come se la ragazza avesse toccato un punto dolente. Gli amici dell’aliena sussultarono quando lo udirono, ma mantennero comunque il sangue freddo. Robin e Amalia si sarebbero mangiati le mani dalla tensione, se solo non avessero avuto così tanta paura di muoversi.

Gli occhi verdi e luminosi di Stella incrociarono quelli gialli e opachi della creatura. Il sorriso della ragazza si allargò, cominciò ad accarezzare il muso duro e freddo del Basilisco e mormorò di nuovo: «Non aver paura. Io sono tua amica.»

La bocca della creatura si serrò, il suo ringhio si fece sempre più sommesso e poi svanì nel nulla. Fissò Stella senza più compiere alcun movimento, avendo chissà quali pensieri per la mente. E poi rilassò la schiena e cominciò ad agitare la coda. Si era calmato.

«Wow...» Terra rimase a bocca aperta. I suoi capelli smisero di agitarsi, mentre Stella cominciava ad accarezzare con più enfasi le guancie dure del Basilisco.

«Bravissimo piccolo bumgorf!» esclamò la tamaraniana, scalpitando nell’aria, per poi abbracciargli la testa, o più che altro il muso, sospirando di felicità e facendo scodinzolare ancora più forte il Leviathan.

«"Piccolo"...» commentò Corvina, brontolando, per poi accennare un lieve sorriso, che venne ben presto imitato da tutti gli altri. Quella scena era probabilmente la più comica e toccante allo stesso tempo che avesse mai visto. Una piccola e gracile tamaraniana che con il suo carattere dolce e gentile riusciva a rabbonire un vero e proprio mostro. X più di tutti riprese a respirare regolarmente. Se quel serpentone avesse divorato Stella le maggiori colpe sarebbero cadute su di lui, per ovvi motivi.

Robin tirò un sonoro sospiro di sollievo, per poi sorridere a sua volta. Stella. Avrebbe mai finito di sorprenderlo? La vide ridacchiare e continuare a stritolare la testa del Basilisco e capì che, no, quella ragazza non avrebbe mai smesso di dare lezioni a tutti quanti loro. Gli sembrò di innamorarsi di lei una seconda volta.

Stella continuò a ridere e ad accarezzare il Basilico, per poi dire: «Ti chiamerò Crotch! Ti piace?» Strofinò la guancia sulla scorza dura della creatura. «Secondo me ti piace!»

I ragazzi rimasero diversi istanti ad osservare la scena, godendosi quella piccola pausa, ma non poterono farlo molto a lungo. Un’altra creatura piombò improvvisamente dal cielo, lanciandosi contro il Basilisco Leviathan stridendo e sbattendo le ali con rabbia. Uno pterodattilo verde. Prima che potessero dire o pensare una sola cosa, il dinosauro aveva già cominciato ad accanirsi sulla schiena del Leviathan, che ruggì di rabbia e cominciò a contorcersi, costringendo Stella ad allontanarsi di scatto, interdetta.

Robin ci mise poco niente a capire la situazione. «Beast Boy, FERMO!» urlò tendendo disperatamente una mano verso di lui, ma ormai era troppo tardi.

Il Basilisco ruggì una seconda volta e si girò di scatto per fronteggiare l’aggressore, la sua coda frustò l’aria come una saetta e si abbatté su Stella per errore. La ragazza avvertì un dolore lancinante all’addome, come se le carni le fossero appena state strappate via e gridò con quanto fiato aveva in corpo, prima di venire violentemente scaraventata contro un albero.

E poi fu il caos.

 

 

 

 

 

 





Basilisco Leviathan:

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