Libri > Guida galattica per gli autostoppisti
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Autore: GinChocoStoreAndCandy    20/07/2017    1 recensioni
Che cosa accadrebbe se invece dell'Umanità, ci pensasse Madre Natura a far fuori i Giganti?
(Si consiglia di aver letto o visto o conoscere almeno un'opera di Douglas Adams)
Genere: Avventura, Commedia, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: Cross-over, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Oltre alla Guida Galattica per Autostoppisti, edita dalla casa editrice Orsa Maggiore, sul quel piccolo pianeta azzurro alla periferia della Via Lattea esisteva un'altra guida abbastanza popolare, non quanto la Guida Galattica, ma mostrava del potenziale emergente per essere il libro rivelazione dell’anno. Pochi lo sapevano, ma l’impresa di avere il premio per il Tomo Più Utile Dell’Anno era stata vinta dalla trilogia sul Sistema per la Manovra Tridimensionale, mentre al secondo posto era arrivato il libro Tutti i Miei Mostri scritto da Terry Angiosp, un medico veterinario appassionato di paleontologia, che passava metà del suo tempo a scavare buche per cercare ossa.
Il libro nacque come ripicca per tutti quelli che gli dicevano: “Abbi un po’ di spina dorsale!” e lui di spine dorsali ne aveva tantissime, tutte tenute ordinate nella sua cantina e sentirsi dire di non averne una tutta sua lo metteva di pessimo umore, costringendolo a scavare buche per scaricare lo stress e trovare altre spine dorsali per tornare felice, nonostante indossasse degli occhiali da sole.
Decise dunque, di pubblicare il libro Tutti i Miei Mostri, farlo leggere a più persone possibili e dimostrare di avere la spina dorsale.
Il libro risulta per lo più un manuale simil-enciclopedico che raccoglie una vasta quantità di ricostruzioni di forme di vita animale risalenti ad un periodo che l’Umanità aveva presto scordato per colpa dei giganti. Ovviamente, quest’ultimi si dissociarono apertamente da tale accusa, purtroppo per loro, altamente veritiera.
La cosa che rende però unica questa guida simil-enciclopedia e che in parte la fa assomigliare alla Guida Galattica, è la scritta a caratteri maiuscoli rossi sulla prima pagina: Attenzione! Questo libro potrebbe farvi sentire tristi.
A detta dell’autore, quello era più un dato di fatto che un avvertimento, visto che tutti quelli che lo leggevano, arrivati in fondo alla guida simil-enciclopedia si sentivano estremamente tristi. E il motivo fu oggetto di studio di quei medici che i Vogon tendono a chiamare: omini nel cervello, cioé gli psicologi. Dopo attente analisi, ricerche e altre cose da psicologi,questi scoprirono che la causa per cui, chi leggeva Tutti i Miei Mostri era triste, era per via del contenuto della guida simil-enciclopedia. In particolar modo i picchi di tristezza raggiungevano livelli altissimi sulla voce dimensioni. Il picco massimo fu raggiunto da una casalinga del quartiere di Shinganshina quando lesse il capitolo relativo alle bestie terribilmente titaniche e scoprendo che queste erano tutte erbivore.
La tristezza fu diagnosticata perché chi leggeva, notando i numeri e facendo dei calcoli veloci, poteva facilmente pensare che se quelle bestie carnivore fossero state ancora vive avrebbero potuto tranquillamente spedire i giganti da dove erano arrivati e farceli restare per il resto della loro vita; avrebbero potuto farlo anche le bestie erbivore calpestando tutti i giganti o colpendoli perché magari gli stavano antipatici.
Tuttavia, questo era impossibile per motivi legati all’estinzione e quindi, chi leggeva sprofondava in un forte stato di tristezza che lo costringeva ad andare dello psicologo a fargli domande sul perché della vita, domanda a cui lo psicologo non sapeva rispondere.
Almeno fino a quella mattina, quando sul giornale apparve un titolo alquanto improbabile.
 
 
 
 
 
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Era mattina presto nella stanza della casa popolare nei pressi del quartiere paddock 9. Il nome del quartiere era puramente evocativo, non aveva alcun significato concreto, se non che quella era la nona porta d’accesso se le si iniziava a contare dal campanile della stazione numero sei della Guarnigione, escludendo le porte delle sporgenze attira-titani, non contando le porte che dal Wall Rose davano sul Wall Sina e lasciando perdere quelle che erano in linea d’aria dal Wall Maria.
Insomma, quello era un qualunque padiglione, simile a tutti gli altri padiglioni, con lo stesso tessuto stradale, le stesse case, gli stessi prati, gli stessi terreni coltivati, se non che in mezzo al niente più noioso, sorgeva la caserma dei Reparti Speciali, un edificio basso e bianco, con un sacco di finestre, una sala d’aspetto vagamente rotonda, dei laboratori grigi e dei modesti uffici.
I soldati vivevano nelle case popolari della vicina città di Milliway, conosciuta per essere una delle zone più lontane dal centro e per essere sorta in circostanze puramente banali, come ad esempio una macchia di caffè scambiata per una città nel piano regolatore.
In uno dei condomini c’era la nuova casa di Levi, una casa ordinaria su un solo piano, con un’eccessiva quantità di stanze e una vicina di pianerottolo troppo invadente.
Levi se ne stava in piedi davanti alla porta d’ingresso, cercando di trovare una scusa per non andare al lavoro quella mattina, compito molto difficile perché non gli veniva in mente nulla se non il numero 47,867 u ± 0,001 u che per ragioni che non conosceva, era convinto che fosse legato al titanio. Dalla finestra della stanza entrò una sua sgradita conoscenza, che gli fece venire in mente di mettere delle grate alle finestre.
—Ehilà! — disse allegramente Annie.
—Mi spieghi perché continui ad invadere la mia privacy? — disse Levi senza muoversi da davanti alla porta.
—Perché è divertente! — disse Annie e si mise accanto a Levi —Allora come è andata l’altro ieri?.
—Se sono qui secondo te come è andata?
—Così male, accidenti! In questo caso direi che ho vinto la scommessa!
Levi decise che doveva andare al lavoro. Per fortuna era già in divisa, doveva solo prendere il sistema per la manovra tridimensionale e andarsene; fece per fare quelle cose, quando si sentì tirare il mantello.
—Dove pensi di andare, se il mio schiavo adesso.
—Davvero? Non me lo ricordavo.
—Ho appena deciso che tipo di schiavitù applicare su di te!
—Sei proprio una persona originale — disse Levi che aveva già capito dove sarebbe andata a finire, o meglio come sarebbe andata a finire, il che per lui rappresentava una serie infinita di problemi: primo fra tutti con la legge, dato che Annie era minorenne; poi c’era il problema delle relazioni interspecie che tutti sapevano non funzionare mai; c’era il problema del fare tardi al lavoro; quello della colazione; quello della vicina di casa che riusciva a sentire ogni minimo movimento, anche a diversi piani di distanza; infine, c’era quello rappresentato dall’adolescenza, che rendeva i ragazzini letteralmente senza freni e Levi non era sicuro di poter reggere il ritmo. Fra tutti i problemi, c’era quello poi che Levi non aveva la minima intenzione di affrontare tutti i problemi che scaturivano da quella situazione. Decise quindi di provare un’altra strada.
—Dico davvero, dopo quella cosa della cera, che proprio non me l’aspettavo, ora avrei pensato a qualcosa di più originale, tipo farmi pulire con uno spazzolino da denti tutta la casa o rivelarti i piani segreti dell’Armata Ricognitiva, oppure costringermi a rapire Eren, beh, questo preferirei evitarlo per un bel po’ di motivi; insomma sei un po’ una delusione — disse Levi cercando di apparire risoluto.
—Sì, ma adesso voglio provare quello che ho in mente, dato che tu sei un adulto con grande esperienza, da quello che si dice in giro — disse Annie allegramente.
A quel punto Levi non sapeva se sentirsi lusingato o incuriosito per quello che si dicesse in giro di lui e soprattutto chi fosse a dirlo. Pensò fosse Erwin e quel pensiero gli fece venire in mente un’altra cosa da dire per liberarsi da quella situazione.
—Ok, come vuoi, ti spiace se mentre mi fai quello che hai in mente io penso a un’altra persona, non c’è bisogno che ti dico chi — disse Levi sperando che funzionasse. Per sua fortuna funzionò anche troppo bene.
Tra tutte le capacità che Annie aveva, c’era che aveva una spiccata immaginazione. Perciò, quando iniziò ad immaginare Levi e Erwin, la sua fantasia ci diede dentro di brutto: fece apparire un letto rosa pieno di pizzi e merletti, un’orchestra che suonava qualcosa di mieloso e degli unicorni rosa che saltellavano in mezzo a degli arcobaleni. Ovviamente nella sua visione Levi ed Erwin non è che stessero fermi e quello fu il colpo di grazia.
—Oh Mio Dio! Quest’immagine non se ne andrà per settimane! — strillò Annie disgustata dall'idea di adulti che facevano sesso.
— Allora che vogliamo fare? — disse Levi soddisfatto del suo operato.
—Va bene, lasciamo perdere quello che avevo in mente!
—Ora mi lasci il mantello, non voglio arrivare in ritardo il primo giorno del nuovo lavoro.
—Dopo quello che ho visto, ho bisogno di qualcuno che mi dica che va tutto bene!
Annie diede uno strattone al mantello e Levi sospirò. Avrebbe fatto tardi al lavoro perché avrebbe dovuto dire a una pazza psicopatica omicida va tutto bene e cercare di convincerla che era vero, prima di poter uscire da quella camera, andare da un fabbro e ordinare delle grate per le sue finestre per poi andare al lavoro.
 
 
 
 
 
 
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All’interno del suo ufficio, calmo e tranquillo, Erwin stava ammirando il sole mattutino che illuminava allegro il panorama; era la prima volta dopo tanto che era al lavoro e Levi non c’era e la cosa lo rendeva stranamente di buon umore.
—Se non ti conoscessi bene direi che stai gongolando — disse Mike mentre entrava nell’ufficio.
—Mi sto godendo la giornata — disse Erwin.
—Dov’è Levi?
—L’ho trasferito ai Reparti Speciali, lì si troverà bene.
—Ah, ho capito.
—Che cosa?
—È per quella storia della settimana scorsa, non te la starai prendendo troppo?
—Me la sto prendendo nel giusto modo; non puoi dirmi dopo tre anni che ti piaccio e poi pensare che non mi senta a disagio.
Mike rimase in silenzio per qualche istante, cercando di capire se quello che aveva sentito era quello che aveva sempre pensato.
—Era a Levi che piacevi tu e non il contrario? — chiese Mike incerto.
—Sì, era a lui — rispose Erwin aspro.
—Ho sempre pensato il contrario.
Erwin lo fissò con aria scettica.
—E perché?
—Che ne so, è che tu sei uno così sensibile e affettuoso, sempre con tutti quegli abbracci e discorsi pieni di sentimenti da adolescente. Per carità, non c’è niente di male, uno ogni tanto fa piacere, ma quando diventano troppi inizi a pensare cose strane.
Erwin fissò scioccato Mike.
—Mike, perché sei qui?
—Per dirti che il trasferimento del cristallo del gigante femmina alla sede dei Reparti Speciali è stato eseguito con successo.
Erwin tornò a fissare scioccato Mike.
—Il cosa di che?
—Il trasferimento del gigante femmina ai Reparti Speciali é avvenuto senza intoppi; nessuno ha fatto domande durante la strada, alcuni sono stati addirittura felici che se ne fosse andata, ad altri non è interessato.
—Ma io non ho autorizzato nessun trasferimento!
—Eppure questa è la tua firma — Mike esibì il foglio del trasferimento con tanto di firma e quando la vide, Erwin esibì il suo solito sorriso da pazzo che faceva pensare, a chi lo vedeva, che quell’uomo necessitava di una lunga vacanza da tutto quello che lo circondava.
Accadde anche un’altra cosa, che invece accadeva talmente di rado che quando accadeva di conseguenza succedevano cose a dir poco meravigliose. Per quanto riguarda la cosa che accadeva di rado, fu che Erwin affermò con certezza che il vero lavoro che Emma Summerstone praticava era la compravendita tramite previa trattazione e firma di ricevuta, del proprio corpo a molti uomini, aggiungendo poi una serie non ben definita di aggettivi (tutti dispregiativi) che, altri non erano, che sinonimi di una sola parola: meretrice.
Per quanto riguarda la cosa meravigliosa comprendeva un ascensore, una festa di compleanno e un’instancabile madre di famiglia.
Il fatto è che questa serie di avvenimenti si sarebbe verificata in un tempo e in un giorno lontani dal momento in cui si erano generati e solo un attento scrutatore degli eventi avrebbe trovato la connessione diretta.
Intanto, dopo lo sproloquio, Erwin e Mike erano corsi nella piazza antistante la sede centrale, dove Emma Summerstone stava discutendo con Hansie.
—Ciao Emma — disse Erwin in tono talmente falso che a stento si riconobbe da solo —Come sta tua nipote?
—Ciao Erwin — disse Emma allegramente —Io non ce l’ho una nipote, solo nipoti.
—E tuo marito come sta?
—Benissimo, l’ho accompagnato qui come tutte le mattine.
—Ti ho accolta in casa mia! È così che ricambi i favori?
—Ma l’ho ricambiato, ho fatto la colazione per tutte quelle persone e il gatto.
—Mi riferivo all’autografo.
—Ah, ma certo, non avevo altri fogli e casualmente ti ho dato un modulo di trasferimento.
—Non ci provare a rigirala al caso, lo hai fatto apposta. E scommetto che non ti sei fermata solo a quello vero?
—Ho solo detto che uno come Levi mi avrebbe fatto comodo, anche se non ci sopportiamo; il resto lo hai fatto tutto tu.
—Vorresti quindi dire che mi hai fatto un favore? — disse Erwin esasperato.
—È molto probabile — disse Emma sorridendo allegramente.
Hansie e Mike si guardarono tra loro; entrambi conoscevano bene Erwin e se c’era una cosa che non sopportava, era farsi fregare. Sapevano esattamente quello che sarebbe accaduto, pertanto iniziarono a pensare a come svicolarsi da quella situazione, cercando di non ferire i sentimenti di nessuno. Trovarono la cosa altamente complicata che lasciarono perdere poco dopo aver iniziato a pensare. Quindi si misero l’anima in pace e si prepararono a quello che sarebbe accaduto, che per una serie di improbabili coincidenze, non sarebbe stato niente di quello che avevano pensato.
—Sappi che mi riprenderò ciò che è mio a qualunque costo — disse Erwin con un’espressione di spaventosa e anche scontata risoluzione.
Emma si limitò ad alzare le spalle. In realtà non aveva ben capito quale delle due cose Erwin si sarebbe ripreso con tutta quella foga.
—Scusa Emma, ma come pensi di fare con il cristallo? — chiese Hansie che aveva già capito quale delle due cose si sarebbe ripreso Erwin e non voleva sapere come.
—Problema risolto! — disse Emma esibendo un sorriso tipico dei geologi quando fanno qualcosa di grandioso.
—Problema risolto? — disse Hansie.
—Problema risolto? — disse Mike.
—Problema risolto? — disse Erwin.
—Già, non ci è voluto molto in realtà. Vedete mi sono fatta delle domande sulla disposizione interna del reticolo cristallino. Quindi ho pensato, che poteva esserci solo un modo per aprirlo, ovvero rompere il cristallo con qualcosa di più duro e la cosa più dura del mondo è il diamante; vedete la sua durezza Mohs… Ma non è che vi sto annoiando? — chiese Emma ai tre soldati.
—No, ma se potessi arrivare al dunque te ne saremmo davvero grati — disse Hansie nel modo più gentile possibile.
—Certo, allora ho preso un diamante, l’ho attaccato alla superficie del cristallo e poi ci ho dato una forte martellata sopra. E il cristallo si è rotto tutto e Annie è caduta sul pavimento di faccia, credo si sia fatta male.
Hansie voleva dire qualcosa, aprì la bocca, ma il suo cervello era così impegnato a cercare qualcosa da dire che le fece richiudere la bocca subito. Eppure Hansie qualcosa si sentiva in dovere di dirla, quindi riaprì la bocca e provò a dire qualcosa, ma l’unica cosa che disse fu un "AH" poco convincente.
—Bene, è stato un piacere ragazzi! — disse Emma salutando e salendo nella carrozza, lasciando i tre soldati a riflettere sul perché a loro non fosse venuto in mente di usare un diamante, lasciando che la risposta fosse ovviamente, perché non avevano un diamante, con la conseguente altra domanda e perché non abbiamo un diamante? ed alla finale consapevolezza che se non avevano pensato al diamante e non avevano un diamante, era per il semplice motivo che nessuno di loro era un geologo.
 
 
 
 
 
 
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Giunta alla sede centrale dei Reparti Speciali, Emma venne raggiunta dalla sua assistente che le fece l’elenco delle cose da fare, le portò il caffè e le disse che c’era un ragazzino, piuttosto agitato, che la stava aspettando vicino al suo laboratorio. Tale ragazzino aveva portato con sé uno stano qualcosa. Tale ragazzino era Jean che se ne stava seduto in una scomoda poltrona stringendo tra le mani un grosso fagotto bianco da cui spuntava una coda tozza.
—Comandate Summerstone, sono Jean Kirschtein — disse Jean alzandosi e tentando di fare il saluto con in mano il pesante fagotto.
—Ciao Jean, che cos’hai lì? — chiese Emma storcendo il naso, dato che il fagotto emanava un odore cattivo.
—È una cosa che ho trovato in giro, penso si venuto da fuori le mura.
—Perché l’avresti portato qui?
—Questi sono i Reparti Speciali.
—E tu pensi di essere speciale?
—Non io, ma la cosa che ho trovato.
Emma fece un sorriso tirato, in fondo dare un’occhiata non le sarebbe costato nulla, quindi aprì la porta del laboratorio e lasciò che Jean depositasse il maleodorante fardello su un tavolo liscio e lucido di metallo. Il ragazzino si girò, fece un nervosissimo sorriso cercando di creare suspense nelle due donne.
—State per vedere il cane più brutto della vostra vita — detto ciò Jean scoprì il telo, mostrando il cane più brutto che le due donne avessero mai visto. E per essere brutto era brutto. Aveva la testa grossa e lunga, le zampe all’infuori del corpo e la spina dorsale che si stendeva troppo furori dalla pelle; poi c’era la coda, lunga e viscida dall’aria inutile tanto quanto la freccia che sbucava da ambo i lati della testa.
—Questo è il cane più brutto che io abbia mai visto — disse l’assistente di Emma.
—E la freccia? — chiese Emma Summerstone.
—L’abbiamo usata per ucciderlo, aveva quasi azzannato delle persone — disse Jean.
—Io non credo che questo sia un cane.
—E allora cos’è?
—Non ne ho idea.
 
 
 
 
 
 
 
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Levi arrivò in tremendo ritardo. Aveva passato metà della mattinata a convincere Annie che quello che stava vedendo era solo nella sua testa e che non era mai accaduto nella realtà, anche se in un certo senso era accaduto un paio di volte nella realtà, se per realtà si intendeva la mente di Levi in preda all’inconscio del sonno. Aveva poi dovuto spiegare la differenza tra la realtà corrente e quella che c’era nella sua testa, che di per sé non si poteva definire realtà, ma solo immaginazione, anche se quell’immaginazione era avvenuta nella realtà.
Quella serie di ragionamenti gli aveva fatto venire un gran mal di testa e aveva quindi dovuto passare del tempo steso per farselo passare, tempo che lo aveva portato ad arrivare in tremendo ritardo dal fabbro e al lavoro.
Giunto alla sede del suo nuovo lavoro, salì le scale ed entrò nella sala d’ingresso che trovò vuota. Andò negli uffici, che trovò vuoti. Passò per i laboratori che trovò vuoti. Allora pensò di aver sbagliato posto.
Proprio quando stava per andare nel cortile di raduno, incontrò l’assistente di Emma, una tipa tirata e dall’espressione troppo seria.
—Ho avuto un contrattempo — disse Levi.
—Non siete in ritardo, qui le attività iniziano alle nove mezza della mattina — rispose in tono formale, un tono di voce usato dagli assistenti.
— Sul serio, avete proprio un gran da fare — commentò Levi sarcastico —Insomma, non mi pare che vi ammazziate di lavoro, noi iniziavamo alle sei della mattina e non si sa a che ora della notte si finiva; per non parlare delle missioni e delle ricerche. Qui come siete messi invece? Tanto per sapere.
—Siamo messi che si inizia alle nove e mezza e si finisce alle cinque e mezza, come in tutti i più comuni uffici. Le missioni vengono fatte solo nel fine settimana se necessario e le ricerche sono affidate ai ricercatori e non ai soldati o ai generali, come in tutti i più comuni uffici — rispose l’assistente in tono formale, un tono usato dagli assistenti.
—E io che cosa dovrei fare? — chiese Levi che più parlava e più si sentiva frustrato.
—Lei, signor Levi, sarà il nostro soldato olistico.
—Eh??
—Soldato olistico. Le verrà affidata una squadra e con loro farà delle cose che influenzeranno il futuro in modo esatto.
—Cioè, in pratica, dovrei fare fuori dei giganti a casaccio?
—Se le fa piacere interpretarla in questo modo, sì, dovrà far fuori dei giganti a casaccio, ma che in realtà, grazie alle interconnessioni del destino, saranno esattamente quelli che dovevano morire.
C’era gente che considerava quelli dell’Armata Ricognitiva dei pazzi rivoluzionari. In un certo senso avevano ragione perché solo dei pazzi avrebbero cercato di rovesciare un governo senza un degno programma propagandistico e qualcuno da mettere al posto dell’attuale re. O come la pensava Levi, dei pazzi che volevano rovesciare il governo senza un esercito armato fino ai denti e di cannoni a mitraglia portatili.
Tuttavia, adesso che era entrato a far parte dei Reparti Speciali, la sua idea di pazzia fu totalmente rivoluzionata dal ruolo che gli avevano appena affibbiato dato che solo un pazzo giustificherebbe una strage insensata con una cosa chiamata olismo.
—Se mi vuole seguire, la presenteremo al resto dei Reparti — disse in tono formale l’assistente, un tono tipico degli assistenti.
Levi la seguì in una piccola anticamera, dove trovò il Comandante Summerstone che si sistemava il trucco, che quando lo vide fece un sorrisetto sardonico.
—Signor Levi, che bella acconciatura — disse Emma indicando la parte posteriore dei capelli di Levi, tutti scompigliati.
—Per la fretta di arrivare in tempo non ho potuto sistemarli dopo che mi ero alzato dal letto — ed era vero, Levi se ne era accorto dopo aver sentito la parola "uffici".
—Certo, certo, non devi mica vergognarti ad avere una donna, dopo quello che hai passato è normale — disse Emma in tono comprensivo.
—Io non ho una donna, al momento; ho fatto tardi perché il gigante femmina mi ha intrappolato in una crisi adolescenziale — disse Levi esasperato per il fatto che quella tizia sapesse della sua crisi con Erwin e fregandosene del segreto appena rivelato e di tutte le sue conseguenze.
—Hai già fatto la conoscenza della nostra nuova recluta, mi fa piacere che facciate amicizia, ma finché è minorenne ti sarei grata se ti limitassi a quella.
Levi sbatté le palpebre una decina di volte prima di realizzare tutto quello che era successo in meno di dieci secondi. Pensò ad una domanda: perché? Non pensò alla risposta. Iniziò a sentirsi come un orologio la domenica pomeriggio, iniziò a sentirsi come le lancette che unendosi tra loro segnano l’inizio della lunga e oscura pausa caffè dell’anima, che nella testa di Levi si concretizzò non come la fine della settimana, ma come la sua consapevolezza che finché non avesse trovato una risposta decente al perché era in quella situazione, la sua lunga e oscura pausa non sarebbe terminata. Quanto sarebbe durata questa pausa nessuno lo sapeva.
—Va bene, ma dillo anche a lei — disse Levi.
—Tranquillo, ho il suo diario segreto e se prova a fare qualcosa lo pubblico in un istante — disse Emma.
—Non oso pensare all’imbarazzo.
—In realtà non è poi così imbarazzante.
—Le truppe sono allineate Comandante — disse l’assistente.
Emma e Levi salirono un piccolo palco. Le truppe contavano duecento persone allineate perfettamente in file da dieci. I due ufficiali si misero uno accanto all’altro poi Emma iniziò a parlare.
—Bene, miei cari, come sapete, grazie alla gentile concessione dell’Armata Ricognitiva, adesso disponiamo di un gigante tutto nostro che useremo per prendere il meteorite che si è schiantato la settimana scorsa vicino alla foresta di sequoie. L’oggetto in questione ha un diametro di… — Emma iniziò a sparare cifre assurde sulla grandezza di un sasso che nemmeno aveva mai visto se non da un cannocchiale, continuando a parlare della storia di come i sassi cadessero sulla terra più spesso di quello che si pensava, un discorso che fece materializzare nella mente di Levi la parola NOIOSO appena dopo cinque minuti che aveva prestato attenzione.
La sua mente vagò per un po’ sui ricordi del periodo passato, su quante probabilità ci fossero che Erwin e gli altri suoi amici stessero pensando a lui, se gli mancava e se loro mancavano a lui. Rifletté sul fatto che non aveva la più pallida idea di che cosa facesse un soldato olistico, o se olistico significasse davvero qualcosa, oppure pensò a come sarebbe stata la sua vita da quel momento di pausa, sarebbe stata uguale, sarebbe stata noiosa, sarebbe stata divertente, sarebbe stata felice, sarebbe stata facile, sarebbe stata difficile, pensò ad un sacco di sarebbe stata, lasciando solo una piccola consapevolezza, cioè che Erwin gli mancava tantissimo, assieme a tutte le sue stranezze.
—…quindi ragazzi vediamo di darci dentro! — Emma sembrava aver finito il discorso; meglio pensò Levi, tutti quei pensieri lo rendevano indeciso perché non aveva mai pensato cose simili.
—Proprio come ha fatto sta mattina il Caporale Maggiore Levi con la sua donna!
A quelle parole una ola degna solo del più grande ippodromo delle mura si levò dal fondo delle fila per giungere in prossimità del palco. Nello sconcerto più totale a Levi sembrò di vedere uno striscione con sopra scritto: Levi sei tutti noi, urla e grida di giubilo giunsero da ogni dove e la standing ovation giunse solo quando Emma chiese chi voleva far parte della squadra del Caporale.
In tutto quel marasma, che somigliava all’esplosione del Big Bang, l’unico pensiero che attraversò la mente di Levi fu: no, non posso ammazzarla davanti a tutta questa gente.
 
 
 
 
 
 
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La zona dell’impatto si estendeva per circa tre chilometri. Era caratterizzata da un grosso buco dalla forma vagamene circolare, una voragine all’interno del buco, la foresta di sequoie a trenta metri di distanza dalla voragine e una catapecchia dove viveva un uomo considerato un’eremita, me che in realtà era l’uomo che governava l’Universo. L’uomo viveva assieme al suo gatto e passava le giornate a scarabocchiare su pezzi di carta.
La squadra di studio primario giunse nei pressi della voragine senza intoppi; non c’erano giganti nei paraggi, solo in lontananza se ne videro alcuni, ma nessuno ci fece caso perché presi dalla sistemazione delle attrezzature, né fecero caso alla pianura attorno disseminata di parti di giganti fumanti, né al dettaglio altamente trascurabile che i giganti in lontananza avevano dei lunghi colli e delle corte code e si muovevano in branco.
La squadra dei ricercatori scese nella voragine per fare il campionario dei reperti che avrebbero trovato. Levi era più che certo che si chiamasse campionatura dei reperti e che il campionario avesse più a che fare con i vestiti, ma non disse nulla; per esperienza sapeva che non bisognava correggere uno scienziato o si sarebbe offeso e non avrebbe rivolto parola a chi lo aveva offeso per almeno una settimana. Decise allora di parlare con la sua nuova squadra.
Le quattro persone che gli stavano davanti avevano tutt’altro che l’aria di gente che aveva voglia di sacrificare la propria vita per la patria o la libertà. Una era una ragazzina minuta con delle piccole piume colorate attaccate ai capelli; l’altro un tipo dall’aria allampanata e che poteva tranquillamente essere il gemello della ragazzina con le piume; un altro era un tale che aveva la pelle stranamente tirata indietro, Levi aveva l’impressione non battesse mai le palpebre. Infine c’era un signore brizzolato con degli spessi occhiali neri.
I quattro lo fissavano come in attesa di una qualche reazione. Era più di mezz’ora che se ne stavano all’ombra delle sequoie aspettando che qualche gigante saltasse fuori per essere ucciso, tuttavia l’unica cosa che era saltata fuori era l’uomo che viveva nella catapecchia e che sosteneva che non si poteva essere certi che i giganti esistessero perché non se ne poteva avere una chiara percezione nel tempo che di per sé era una semplice invenzione.
—Salve — disse Levi nel modo più cordiale che conosceva, che assomigliava ad una frase da inizio interrogatorio —Immagino sappiate parlare, sembrate sapere chi sono io, mentre voi chi siete?
—Oh, io sono Ashley — disse la ragazzina con le piume.
—Belle piume — disse Levi.
—Io invece sono Alexandré, ma tutti mi chiamano Alex — disse il tizio allampanato.
—Posso immaginare il perché — disse Levi con ovvietà.
—Invece io sono Brian e vengo da Betelgeuse — disse l’altro tale.
—Non ci sono mai stato — disse Levi.
—Molto piacere, io sono Gordon Erich III, sono dalla cinta interna — disse il tizio con gli occhiali.
—Non avevo dubbi — disse Levi disgustato.
Passato quel momento, Levi decise che se c’era un modo per conoscere bene i suoi compagni di squadra, era vedere come combattevano in campo aperto. Data però la penuria di giganti si sarebbero dovuti addentrare nella foresta, il che era anche meglio per vedere come se la cavavano perché gli alberi erano l’ideale per sfruttare il sistema per la manovra tridimensionale.
—Allora, siccome non so quali sono le vostre capacità effettive, ora faremo una gara a chi uccide più giganti.
Brian alzò la mano.
—Sì, che cosa c’è? — disse Levi irritato.
—Che si vince?
—Niente.
—Ma bisogna vincere qualcosa, è la regola.
Levi avrebbe voluto rispondere che essere vivi sarebbe stata già una vittoria, ma sentiva che non sarebbe servito a nulla, allora la prima cosa che pensò divenne il premio.
—Si andrà in un posto a festeggiare e lo sceglierà chi ha vinto — disse Levi senza darci troppa importanza.
Una cosa che contraddistingue certi esseri da altri è l’innata capacità di questi di prendere decisioni sbagliate. Sembra che tale capacità nasca dal desiderio inconscio di creare situazioni favorevoli. Peccato che nella maggior parte delle volte ciò avvenga solo nella loro mente, perciò, quando la decisione che prendono appare giusta, nella realtà è completamente sbagliata.
Come per il pianeta Kaitos, dove l’impiegato della ditta Farla Spedizioni Transoceaniche aveva deciso che alla cena di gala con i rappresentanti del bellicoso pianeta Gollanta, non avrebbe portato lo stappa bottiglie. Proprio quella sera c’era in corso lo sciopero degli stappatori di bottiglie contro le fabbriche di bottiglie che usavano materiali scadenti per i tappi che si spezzavano sempre, costringendo gli stappatori a stappare più volte il tappo. Quindi quella sera, quando fu il momento di aprire la bottiglia di spumante Vandana, il migliore in circolazione, nessuno aveva uno stappa bottiglie. Questo fece molto arrabbiare i rappresentanti del bellicoso pianeta Gollanta, che dichiararono guerra al pianeta Kaitos, guerra che portò alla distruzione parziale delle due civiltà.
Dopo circa quattro ore la gara finì. Durò così tanto, perché i soldati impiegarono tre ore solo per trovare un nido di giganti e impiegarono l’ora successiva per la gara effettiva.
—Sembra che a vincere sia stata Ashley — disse Levi ignorando le proteste degli altri due. La ragazzina sorrideva allegra, mentre stava in piedi davanti all’ultimo gigante che aveva ucciso che fumava per la decomposizione.
Alex continuava a protestare assieme a Brian.
—Non vale ha ucciso tutti giganti piccoli, il mio invece é grosso tanto quanto i suoi messi assieme!
—Vorrei ricordarti che la gara era a chi ne uccideva di più e non a chi uccideva quello più grosso — rispose Levi seccato.
—Il tuo è grosso, guarda il mio allora — Brian indicò il suo gigante. Levi e gli altri si sporsero a guardare. Era il gigante più strambo che avessero mai visto, era lungo circa nove metri, la pelle era dura, per qualche assurda ragione aveva la testa minuscola e pesantissima, altrimenti non si sarebbe spiegato il perché avesse la schiena in diagonale e con delle protuberanze simili a rombi e coni.
—Questo affare che hai ucciso tu non sembra neanche un gigante — commentò Levi e poi gli venne in mente di andare a dire ad Hansie di quello strano esemplare che avevano ucciso, poi si ricordò che non lavoravano più assieme e lasciò perdere.
—Bene, dunque immagino si debba scegliere un posto dove andare a festeggiare — disse Gordon.
—Tu perché non hai fatto niente? — chiese Levi alzando un sopracciglio.
—Ho un problema alla schiena.
—E perché fai ancora il soldato?
—Per via delle mie conoscenze in campo letterario.
—Sì, certo, non se ne ha mai abbastanza di gente di lettere.
Il resto della giornata lo passarono a discutere sul posto dove andare a festeggiare. Tra una serie infinita di locali, scelsero un piccolo pub dall’aria modesta, con gli interni in legno, un tizio che suonava un pianoforte sgangherato, uno scaffale dietro il bancone pieno zeppo di boccali e liquori perfettamente allineati e lucidati. L’aria era allegra come le persone che stavano all’interno, nessuno di loro si stupì nel vedere entrare il piccolo gruppo di soldati, tanto meno il Caporale Maggiore Levi, anzi continuarono a farsi gli affari propri senza esclamazioni di ovvietà e indicando in modo sgarbato.
Il gruppetto si sedette a un tavolo, Brian andò ad ordinare da bere, portò i boccali e poi sparì per andare a salutare il tizio che doveva essere un suo amico. Gli altri passarono il tempo parlando del più e del meno. Ashley iniziò a farneticare sui suoi antenati che venivano chiamati nativi, vivevano in tribù e vantavano una specie di storia secolare; Gordon affermò che sarebbe stato interessante scrivere un libro su questi nativi; Alex disse che scrivere un libro su della gente che non si sapeva se esisteva o meno era una cosa insensata; Levi diede ragione a Alex.
Proprio in quel frangente, Levi si rese conto che quello che stava facendo era quello che, in genere, facevano le persone normali. La cosa lo sconvolse. Per molto tempo, si era sempre considerato uno un po’ sopra la norma, il che gli aveva creato dei piccoli problemi a livello sociale e di interazione. Il fatto che frequentasse poi degli squinternati che si trasformavano in giganti, sorridevano come dei pazzi, annusavano la gente o fossero entusiasti di ogni cavolata riguardo i giganti, non è che fosse d’aiuto per essere considerato uno normale. Però, adesso stava con gente normale, persone che lavoravano con orari da ufficio, vivevano in case popolari e andavano a bere ai pub. Essendo quindi tutto quello che faceva normale, era diventato automaticamente una persona normale, questo spiegava il perché nessuno lo avesse notato quando era entrato e in parte, si disse Levi, spiegava anche il desiderio di Erwin di vivere la vita di società. Fu una rivelazione che lo indusse a sentirsi in colpa per tutte le lamentele che aveva fatto a riguardo e dopo il terzo boccale di birra senza schiuma (la schiuma lo faceva sentire a disagio) iniziò a sentirsi incredibilmente triste.
Dopo quasi due ore, l’atmosfera divenne fumosa e il chiacchiericcio raggiunse un livello abbastanza alto perché si dovesse urlare per parlare. Dalla gente attorno al bancone emerse Brian, con gli occhi leggermente rossi e con l’aria di uno che ha bevuto sette Gotto Esplosivo Pangalattico.
—Ehi ragazzi, ci facciamo un tiro? — disse Brian porgendo ad ognuno di loro una cannuccia che sembrava contenere del tabacco.
—Questa roba chi te l’ha data? — indagò Levi osservando la sua cannuccia.
—Un tizio che mi doveva un favore — Brian alzò le spalle e accese la sua cannuccia, si sedette e iniziò a fumare. Gli altri lo imitarono. Levi li fissò di traverso, decise che non ci sarebbe stato nulla di male e accese la sua cannuccia. Dopo il primo tiro un odore pungente si espanse nell’aria, seguito da uno stato generale di rilassamento e benessere.
Il cervello di Levi comunicò che aveva appena raggiunto un livello che gli dava il permesso di comunicare senza tanti problemi al Mondo tutto quello che gli passava per la testa. Lo stesso valeva per gli altri suoi nuovi amici.
—Io credo che il mio spirito guida sia un unicorno — disse Ashley con ferma convinzione —Ecco perché ho chiamato la mia puledra principessa Castalia; se esistesse un regno io sarei la regina Castalia — continuò Ashley.
—Una volta ho ucciso un uomo — disse disperato Alex; prese il braccio di Brian e iniziò a stringere forte.
—No amico, io ero là — disse Brian annuendo.
—È stata colpa mia.
—No, è stata la scala ad inciampare, non tu.
Alex iniziò a piangere.
—Secondo me Erwin fa un sacco di preliminari — disse Levi perplesso —Insomma è sempre fissato con questa storia dell’essere romantici anche tra uomini. Io la trovo ripugnante — continuò Levi fissando Gordon.
—Vuol sentire il mio discorso per quando vincerò il premio letterario dell’anno? — chiese Gordon sistemandosi gli occhiali.
—Una volta mi ha abbracciato, all’inizio è stato disgustoso, ma poi ho iniziato a sentire del calore; roba forte, roba tipo: questo è cento volte meglio del caminetto.
—Vorrei innanzi tutto ringraziare le persone presenti che hanno scelto me per il premio letterario di quest’anno.
— È durato così tanto, è stato così intenso; stavo quasi per abbracciarlo anche io, forse avrei dovuto.
—All’inizio non pensavo avrei vinto, soprattutto non pensavo avrei mai ricominciato a scrivere, ma ora che sono qui, so di aver fatto la scelta giusta.
—È stato allora che ha iniziato a piacermi il fatto che Erwin mi abbracciasse, o meglio il fatto di essere abbracciato da Erwin, o meglio il fatto che mi piacesse quello che sentivo.
Levi fece una grande scoperta in quell’istante, scoperta che doveva assolutamente condividere con tutto i presenti. Si alzò in piedi, attirò l’attenzione degli altri e poi parlò:
—Io credo di aver appena scoperto, come è nato l’Universo — disse Levi e nella sala calò il silenzio —Immaginate di riempire una vasca con della sabbia; poi togliete il tappo e fate scorrere la sabbia via; ora pensate a questa cosa, però al contrario.
Nella sala ognuno pensò a quella scena. Quei pochi che ne capirono il vero senso sgranarono gli occhi e corsero fuori dal pub per divulgare la notizia, ma correndo pensarono al tragitto da fare e si scordarono tutto. La maggior parte non capì il senso e tornò a bere e chiacchierare. Per quanto riguarda le cinque persone sedute al tavolo di legno del pub, i loro cervelli decisero che era il momento di spegnersi per un po’.
 
 


 
6
 
 
 
 
 
 
Il cielo della notte si rifletteva nel fiume che attraversava il piccolo paese vicino alla breccia del Wall Rose. Il fiume fu attraversato da uno degli inquilini venuto da fuori.
L’inquilino se ne era stato tutto il giorno a dormire nella frescura della foresta, svegliandosi di tanto in tanto per mangiare e cambiare posizione per dormire. Verso sera aveva deciso di farsi una nuotata per sgranchirsi gli arti. Passato sotto il ponte, aveva deciso di riemergere vicino ad una grande pianura erbosa ai confini del piccolo paese, andando ad attraversare una barca che era stata ormeggiata proprio nel punto della sua emersione.
Quando attraversò la barca, fece un gran baccano, svegliando tutto il vicinato, così aveva proseguito per la sua strada senza voltarsi indietro. Certo, se fosse rimasto avrebbe dovuto spiegare il perché era riemerso proprio lì e non un paio di metri più avanti, si sarebbe aperto un contenzioso e si sarebbe addirittura giunti in tribunale.
Anche se, l’inquilino era certo che, per quanto buona volontà gli esseri umani ci avrebbero messo, non sarebbero mai riusciti a trovare un tribunale lungo più di dodici metri e alto abbastanza da contenere la sua spina neurale, l’inquilino era anche certo che nessuno parlasse la sua lingua.
Perciò se ne andò a bighellonare in giro, finché non trovò dei giganti fuori posto, ci bisticciò e poi se li mangiò. Infine, trovò un salice e si mise a dormire sotto la fronda, finché non fu svegliato due giorni dopo dal richiamo gracchiante di un Marvin.
 
 
   
 
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