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Autore: Gaia_dc    20/07/2017    0 recensioni
"Ora ho capito... Sono io il veleno di Addison"

Il sange e infetto, e Addison è troppo cocciuta per dare ascolto a Mark e fermarsi... Ma un soffio al cuore diagnosticato da bambina complicherà le cose... A tutto questo aggiungeteci un desiderio incontrollabile di essere amata e di avere una vera famiglia, un Mark Sloan disperatamente innamorato e un'Amelia troppo fragile per sopportare anche la perdita della sua "sorellona" e per affrontare da sola il suo cuore spezzato...

Questa è la mia prima fanfiction su Grey's Anatomy, e spero davvero tanto che vi piaccia. Come avrete capito non sono una fan degli slexie, e questa è una fan fiction decisamente MADDISON, ma NON SOLO!!!!
Fatemi sapere che ne pensate.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Addison Montgomery Sheperd, Amelia Shepherd, Mark Sloan, Owen Hunt, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
Capitoli:
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Amelia
 
 
Mark dice di stare tranquilla, che tutto si sistemerà, e che Addie non morirà. Vorrei credergli… Lo vorrei davvero, con tutte le mie forze, ma è più forte di me. Sono come una calamita per le tragedie, e ogni volta che Dio ha bisogno di qualcuno lassù, credo che le persone che amo siano le sue predilette. E ora mi domando se esista o no questo Grande Capo di cui tutti parlano… E se esiste, inizio a dubitare della sua grande bontà. Prende con sé le vite di bambini appena nati, innocenti puri, con un cuore bianco ed una vita che dovrebbe essere ancora scritta, e lascia sulla terra assassini, stupratori e alcolizzati… Oppure riporta in vita dopo 3 minuti quei ragazzi così stupidi che non tengono alla loro vita e si drogano fino a rimanere soffocati nel proprio vomito… Quei ragazzi come me.
 
Perché? Perché tutto ciò? Non sarebbe stato più semplice per tutti se invece di prendere le vite di mio padre, mio figlio e ora di mia sorella (l’unica che possa considerare davvero sorella… e l’unica che non ha il mio sangue),avessi preso direttamente la mia quando ne hai avuto la possibilità?! Cos’è tutto questo? Una punizione? Perché se volevi punire me, allora prendi me…
 
“Cazzo, prendi me, non lei!”
Urlo sbattendo le mani sul bancone del bar fissando quel bicchiere di Vodka-tonic che è ancora pieno, e che mi sento troppo in colpa per bere.
 
Devo aver attirato l’attenzione di un malpelo. Mi guarda con aria interrogativa… Starà per chiedermi se va tutto bene solo per attaccare bottone e portarmi a letto. Come se non si vedesse che qualcosa non va… E probabilmente io sarei così ingenua da accettare solo per poter liberare la mente e pensare ad altro che non sia Addison o quella Vodka che mi guarda come a farmi ricordare ogni secondo quanto io sia debole e stupida. La mia vita è uno schifo.
 
Poggio le braccia sul bancone e lascio cadere la mia testa su di esse.
 
“Dio non è un uno strozzino. Lui non è per quella storia della vita per una vita. Non c’è bisogno che gli chiedi di prendere la tua per salvare lei…”
Il rosso si è seduto accanto a me. Non lo guardo neanche negli occhi. Resto nella mia comoda posizione da cane bastonato perché è così che mi sento.
 
Non ha tutti i torti. Dio non chiede una vita per una vita. Dovrei solo pregare… Ma lui non sa tutta la storia. La mia fede in questo Lui è svanita giorno dopo giorno. Tragedia dopo tragedia. Non sono un’atea, non sono una credente… Non sono niente. Sono solo una specializzanda 24enne che ormai non ha più nessuno.
 
“Non ha senso torturarsi in questo modo. Non hai bisogno di avere un bicchiere pieno davanti per testare la tua forza. Se non lo vuoi, non lo berrai comunque. E se non lo berrai, lo sai già.”
Non gli rispondo. Ma anche questa volta ha ragione. Solo che quel drink era decisamente l’ultimo dei miei pensieri.
 
 “Sai ero nell’esercito. La mia compagna si chiamava Teddy. Era la mia migliore amica… O meglio, era qualcosa di più. Era la persona che avrei chiamato in caso di emergenza alle 4 di notte perché avevo fatto un incubo. Era la persona che mi spronava a fare di meglio ogni giorno. Era la persona che avrei voluto prendesse le decisioni giuste in caso di necessità, riguardo la mia vita.”
Non me ne accorgo nemmeno, ma la mia testa si alza e inizio ad ascoltare le sue parole, come se uscissero proprio dalla mia bocca... Perché Addison è per me esattamente quello che questo sconosciuto ha appena descritto.
 
Usa il passato. Mi dispiace per lui. Ma non provo compassione. So già che molto probabilmente tutto questo è solo un metodo per rimorchiare… Ma poco mi importa. Quelle parole, vere o no, mi hanno toccato. Voglio sapere di più su questo malpelo.
 
Lui mi guarda negli occhi. Non commenta… Credo abbia capito che vorrei che continuasse a raccontare. Forse semplicemente perché così mi sento meno sola in questo deserto che mi circonda.
 
A dispetto del suo aspetto, i suoi occhi sono ancora quelli di un bambino. Vedo un riflesso di tristezza e angoscia, ma probabilmente è solo la mia testa che mi fa brutti scherzi. Non so esattamente cosa farei se ora mi baciasse… Mi lascerei tutto alle spalle, mi ubriacherei di nuovo e seguirei quest’uomo nel bagno, e poi a casa sua, o lo allontanerei e rimarrei qui a rimuginare sulla mia stupida e inutile vita?
 
“Teddy era la mia compagna d’armi. Sono un medico di guerra. Ho visto i nostri soldati morire sotto il fuoco nemico. Brave persone. E ho dovuto operare quelli stessi nemici. È ingiusto lo so. Ma non prendertela con Lui. Né chiedigli uno scambio. Non si negozia col Grande Capo.”
È uno di noi… È uno come me… Questo… Questo cambia le carte in tavola…
 
“Scusa… Non volevo importunarti. Cercavo solo di aiutare… Ma non sembri il tipo in cerca di compassione…”
Si sta alzando… Ma non voglio che vada via. Voglio che resti con me… Lui… Sembrava che mi capisse… Non vuole me… Vuole solo aiutarmi.
 
Senza pensarci gli prendo il braccio
 
“Non andartene…”
Lui mi guarda, poi torna a sedersi senza dire niente. Solo per farmi compagnia. Per non lasciarmi sola. Non voglio essere più sola.
 
Il tempo passa, ma sembra cristallizzarsi intorno a noi e a quel bicchiere di Vodka che funge da separatore tra me e un burrone.
 
“Mio fratello non mi parla da quando sono morta per 3 minuti e lui ha dovuto rianimarmi. Mio padre è morto. Mio figlio è vissuto per 43 minuti. E ora mia sorella è in bilico tra la vita e la morte.”
Non so perché gli dico tutto questo… Credo che dovessi solo liberarmi di questo peso. Lui è uno sconosciuto. Non conosco il suo nome, ma è l’unica persona che adesso è qui. Ora che ne ho bisogno.
 
“Siamo tornati da Bagdad 3 mesi fa. La settimana scorsa Teddy è stata richiamata sul campo. Ed io sono rimasto qui. Sarei dovuto ripartire il mese prossimo. Ma ieri… Ieri è arrivata la notizia che Teddy è rimasta ferita durante un colpo… E poi uno dei ragazzi del fronte ha cercato di rianimarla. Non ce l’ha fatta. Ed oggi sono qui. Vorrei bere, come facevamo quando uno dei nostri moriva. Lei diceva che bisognava brindare per le vite che cadevano in guerra. Diceva che erano fortunate perché non avrebbero più dovuto vedere gli orrori di questo mondo. Considerava la morte come una medaglia al valore.”
Fa una pausa. Ed io mi perdo ascoltando la sua voce calda che ricorda le sue tragedie personali. Forse dovrei farlo smettere. O semplicemente alzarmi e andare via. Non lo conosco, e non dovrei sapere altro. In fondo è solo uno sconosciuto conosciuto in un bar.  Qualcosa però mi ferma. Qualcosa mi impedisce di muovermi, e l’unica cosa che sento di poter fare, è continuare ad ascoltarlo.
 
Prende la mia Vodka e la beve. Tutta in un sorso.
 
“Sappiamo entrambi che non l’avresti bevuta”
Io non ne sarei tanto convinta, ma credo sia meglio così.
 
“Venivamo qui tutte le sere da quando eravamo tornati”
C’è ancora dell’altro, ed io sarei rimasta ad ascoltarlo, ma vedo una mano, sento un colpo, ed il rosso vola giù dallo sgabello.
 
Non capisco cosa stia succedendo fino a quando non mi volto e vedo mio fratello con gli occhi arrossati ed il fiatone. Lui mi guarda. Non avevo sue notizie da quando lui mi ha salvato la vita. E rivederlo in questo stato, è come una cannonata dritta in pancia.
 
“Derek…”
Ho paura di sapere cosa stia succedendo al Seattle Grey’s. Ho paura perché l’unica volta che ho visto Derek in questo stato era al funerale di nostro padre.
 
“Ci ho provato. Ci ho provato, mi dispiace”
Urla. È ubriaco. Ha bevuto prima ancora di arrivare qua.
 
Sento le lacrime inumidire i miei occhi. Addison. E in un batter d’occhio sono fuori dal bar di Joe. Mi guardo indietro solo per un istante. Con lo sguardo cerco quel ragazzo che ho visto volare dallo sgabello, ma tutto ciò che vedo è Derek che scaraventa il bicchiere di vodka giù dal bancone mentre impreca in preda all’alcool.
 
Lo sapevo sin dall’inizio che Derek aveva smesso di amarla. Lo sapevo da quando Addison veniva a cercarlo a casa perché la notte non rientrava, o da quando a Natale l’albero rimaneva sempre spoglio da un lato, il lato che avrebbe dovuto decorare Derek, e lei lo addobbava la sera prima della vigilia per evitare che in casa si respirasse quell’aria di solitudine. Poi pian piano hanno iniziato a non parlarsi più… E Mark rimaneva con me. Anche lui lo sapeva. E poi alla fine è successo, e quando Derek li ha trovati, è stata per lui solo una scusa per poter andare via.
 Eppure adesso, nonostante tutto, è lì, ubriaco, a piangere per quella che è stata l’amore della sua vita per tre quarti di essa. Perché in fondo anche lui ci teneva. Tutti tenevamo a lei… E adesso la sento volatilizzarsi come sabbia tra le dita.
 
Mi volto e continuo a correre verso l’ospedale.
 
Arrivo in galleria e quel che vedo è esattamente quello che temevo. Sento il mio cuore sgretolarsi, e la mia vita è appena diventata il mio peggior incubo.
 
Mi appoggio al muro, e lentamente inizio a piangere e a cadere per terra. Webber mi viene incontro. Sa che Addison era tutto ciò che avevo, e adesso… Ora non ho più nessuno.
 
Lei è aperta sul tavolo operatorio, mentre l’elettrocardiogramma mostra una linea continua. Mark è seduto per terra con le mani tra i capelli, e una specializzanda ha in mano il cuore di mia sorella, mentre segue le indicazioni di un’altra specializzanda.
 
Questo è troppo. Scatto fuori dalla galleria, e Callie mi ferma.
 
“Non farlo. Ci stanno solo provando”
So che anche lei vorrebbe scendere in sala operatoria e richiudere quel che resta di lei, invece che assistere a questo spettacolo raccapricciante, ma le do ascolto. Corro in bagno e aspetto che Mark venga a comunicarmi l’ora del decesso.
 
 
 
 
È trascorsa una settimana. Dal giorno dell’intervento gli unici luoghi in cui sono stata sono la camera di Addie, e il bar di Joe. Ho conosciuto Meredith, la fidanzata di mio fratello… La stessa che teneva in mano il cuore di Addison, e la stessa che è riuscita a rianimarla quando tutti erano convinti che fosse morta. E Cristina. La specializzanda che diceva a Meredith cosa fare per salvare la vita dell’unica persona che ancora tiene a me, nonostante tutto.
 
Sono grata a loro due per avermi ridato mia sorella, anche se continuo a chiedermi come sia possibile che la fidanzata di Derek abbia salvato la vita della sua ex-moglie… Ma questa è solo una delle tante stranezze che ruotano attorno a  questo ospedale.
 
Callie è appena uscita dalla stanza di Addison, ed io sono sulla soglia della porta. Vorrei sedermi con lei e raccontarle delle tante cose che ho scoperto, o chiederle perché non mi avesse detto di aspettare un bambino da Mark… E di averlo abortito… Ma tutto ciò che faccio è continuare a guardarla, sperando che apra quei dannati occhi. Mi manca parlare con lei, mi mancano i suoi commenti e i suoi consigli… Che più da sorella maggiore sono quelli di una compagna di bevute. Vorrei dirle che è da più di 6 mesi che non bevo ormai, ma non avrebbe senso. So che parlare ai pazienti in coma è una buona abitudine solo che per me non ha molto senso parlare ad un corpo vuoto. Ma tutto ciò che desidero è che si risvegli, che torni da me… E così mi siedo, e inizio a raccontarle della rissa tra Mark e Derek di qualche ora fa, di come Callie si sta prendendo cura di lei, e di come cerco in tutti i modi di evitare Mark. Lo guardo di nascosto, cerco di stargli alla larga e credo anche che lui pensi che sia tornata a LA. Non so esattamente il perché, ma in questo momento non so cosa sia lui per me… Un padre, o un amante occasionale. E così mi nascondo in quel bar.
 
“Addison… Io non cela faccio più! Senza di te la mia vita è un tunnel infinito. Tu porti la luce… Ti prego svegliati… Ho bisogno di te”
 
Sono le 8 di sera e come ogni giorno vado da Joe. Non prendo niente, ma vedere altra gente, mi fa bene… Così dice Naomi.
 
Sono seduta al bar, con il mio solito bicchiere di Vodka-tonic e aspetto che il Rosso arrivi. Si chiama Owen, ma io continuo a chiamarlo Rosso. Durante questi giorni senza Addison, è diventato lui il mio compagno di bevute… Sarà il colore dei capelli che li rende ottimi ascoltatori.
 
“Ciao Rosso!”
Owen è arrivato e come ogni volta si siede accanto a me, e beve il mio bicchiere di Vodka. Oggi però sembra diverso. Vorrei chiedergli cosa succede, ma le nostre conversazioni non iniziano mai così. Ogni volta che io ero in ansia per Addison, lui me lo leggeva in viso, e sapeva che non era il caso di fare domande. Se avessi voluto, avrei parlato. E aspettava in silenzio finché io non proferivo parola. E così farò io. Ascolterò il suo silenzio…
 
“È una settimana. Una settimana che non c’è più.”
So cosa sta provando. I primi giorni non sono mai i più duri. È quando trascorre una settimana che ti rendi conto che quella persona non c’è più, ma il mondo va avanti lo stesso. E tu vorresti poter bloccare il tempo, vorresti averne abbastanza da piangere la sua morte, ma sai che non si può… E non perché non si possa bloccare il tempo, ma perché farlo ripartire poi sarebbe la cosa più difficile. Credo sia per questo che esistano i funerali. Durante le cerimonie, il tempo si blocca… Ma nessuno deve farlo ripartire. Sali in macchina, ti allontani dal cimitero, e tutto torna come prima. Non ti senti in colpa perché la tua vita va avanti… I funerali non sono per i morti. Sono per le persone che restano qui.
 
“Non si può bloccare il tempo. Ma non devi andare avanti ora. Prenditi il tuo tempo.”
Come si fa a non andare avanti quando il tempo scorre lo stesso?
 
Quando mio padre è morto io andavo sulla ruota panoramica di Los Angeles. Ci andavamo sempre insieme. Poi un giorno ho smesso. E ho capito di essere andata avanti. Perché ho capito che dimenticare e continuare a vivere sono cose diverse.
 
“Io e Teddy venivamo sempre qua perché la prima volta vidi una ragazza e me ne innamorai. Si siede sempre al quarto posto del bancone, e non le ho mai parlato. Ha i capelli lunghi e neri, e prende sempre una bottiglia di Tequila che poi divide con la sua amica. Continuavo a venire qua perché essere vicino ad un ospedale mi faceva sentire più vicino ai miei compagni a Bagdad, mi ripetevo, ma lei lo sapeva che il motivo era semplicemente quella ragazza di origini coreane. Teddy mi diceva di andare a parlarle, offrirle un drink… Ma a me bastava guardarla.”
 
Ed ecco che il mondo mi crolla sotto i piedi un’altra volta. So di chi sta parlando: Cristina. Cristina Yang. La specializzanda che ha salvato Addison. La ragazza a cui devo tutto. Io la conosco. Dovrei dirglielo?
 
“La donna di cui parli… È Cristina. Cristina Yang. La ragazza che ha salvato mia sorella.”
E mentre pronuncio quelle parole il mio cercapersone inizia a suonare. Non lavoro al Seattle Grey’s perciò l’unica ragione per cui Callie mi ha appena mandato un 911, è Addison.
 
Si è svegliata? Oppure è… No. Decido di credere che si sia svegliata. Guardo Owen prima di correre fuori, e non mi accorgo neanche che lui è dietro di me.
 
Quando arrivo nella sua stanza, Addison non c’è. Sto per sedermi e piangere. Voglio solo piangere. Perché ho solo 24 anni e non ho più nulla. Ma prima che mi possa sedere, Owen mi prende per un braccio e inizia a correre verso la sala operatoria. Ed è proprio in quel corridoio che vedo Mark sulla barella di Addison mentre le fa un massaggio cardiaco. Callie e Naomi sono ai lati della barella, e Derek è immobilizzato dietro.
 
So che non mi vuole, so che non sono più niente per lui, ma non posso resistere e gli corro incontro affondando la testa nel suo petto. Lui mi circonda con le braccia e mi rassicura.
 
“Andrà tutto bene Amy… Vedrai… Andrà tutto bene…”
Anche lui è preoccupato... Cerca di essere forte per me, ma i risultati sono deludenti.
 
La barella si ferma prima di poter entrare in sala… È occupata da un emergenza dell’ultimo minuto. E Addison non ha il tempo di cambiare sala operatoria.
 
Vedo la Yang e la Grey correre per dare una mano mentre Mark continua con le compressioni nessuno sa più cosa fare. Poi d’un tratto Owen si avvicina, e con tutta la forza che ha tira un pugno sul petto di Addison, e mentre spero che non le abbia rotto nulla, il cuore riprende a battere.
 
“È un episodio di displenia. Dobbiamo aprire per capirne l’origine.”
Mark si sposta, e scende dalla barella per prendere la mano della donna che ama, e Cristina informa Owen.
 
“Ha un soffio al cuore, credo che la displenia sia il risultato di un’insufficienza ventricolare sinistra”
Il Rosso alza gli occhi e solo in quel momento la riconosce. Si guardano per una frazione di secondo. Credo che anche lei lo avesse notato al bar. Poi riportano la barella nella stanza di Addison, ed io la seguo.
 
“Ti prego resisti”
Dico in un soffio mentre la vedo sparire dietro quelle porte, e senza il coraggio di entrare.
   
 
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