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Autore: Echocide    21/07/2017    7 recensioni
[Sequel di Miraculous Heroes e Miraculous Heroes 2]
La minaccia di Maus è stata sventata, ma non c'è pace per i nostri eroi: il mistero dell'uccisione degli uomini del loro nemico non è stato risolto e un nuovo nemico trama nell'ombra...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quantum Universe'
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Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 4.067 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo di Miraculous Heroes 3 e una piccola informazione per tutti voi: qualche giorno fa ho completato la scaletta dei capitoli che mancano ancora, riuscendo a dare così un numero totale di capitoli di questa storia: Miraculous Heroes 3 si concluderà con il suo 67esimo capitolo circa (Il circa è basilare, perché non è un'affermazione sicura al 100%, ma ha dalla sua parte un buon 90%) e quindi sì, mancano ancora una quindicina di capitoli, prima che io metta fine alla trilogia che mi sta accompagnando da un anno e mezzo.
Il presente è un capitolo un po' sottotono rispetto ai precedenti, ma in verità mi serviva per due punti in particolare e per collegare quello che lo precedeva con quello che lo succede, senza caricare troppo quest'ultimo di avvenimenti e situazioni, spezzettandolo troppo.
Detto questo, devo dire, che non ho nient'altro con cui disturbarvi e quindi si passa tranquillamente alle solite informazioni di servizio.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Vi ricordo che domani sarà il aggiornata Scene, con il capitolo Per la mia famiglia.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

Lasciò andare il respiro, accorgendosi solo in quel momento di aver trattenuto l’aria, mentre entrava nell’edificio che fungeva da consolato italiano: si guardò intorno, osservando i pochi impiegati che ciondolavano nell’atrio, adocchiando in un angolo quella che sembrava la reception; alzò il mento, avvicinandosi a passo deciso e sorrise alla donna dall’altra parte del tavolo, facendo vagare lo sguardo sul viso che non aveva niente di eclatante e i vestiti ordinari.
Una classica segretaria, come ne aveva viste molte nella carriera del padre.
«Ho un appuntamento con il signor Rossi» mormorò, sistemandosi la cinghia della borsetta sulla spalla e regalando un nuovo sorriso allo sguardo dell’altra donna che passava in rassegna la sua mise e il suo aspetto: «Sono sua figlia, Lila.»
La donna strinse le labbra, prima di annuire e allungare una mano verso l’apparecchio telefonico, alzando poi la cornetta e digitando un breve numero: «Sì, Tommaso?» domandò la donna, non appena qualcuno rispose dall’altra parte: «C’è una ragazza qui. Dice di essere la figlia di Ruggero…ah. Perfetto. Allora, la mando su» annuì ancora una volta, scostandosi poi la cornetta dall’orecchio e posandola nuovamente, alzando alla fine lo sguardo su di lei: «E’ attesa.»
«Lo so» disse Lila, sorridendo appena e trattenendosi dall’alzare gli occhi al cielo, mentre la donna le indicava un corridoio alla sua destra con un cenno del capo; si voltò nella direzione indicata e stranamente sentì le gambe pese, compiendo il primo passo con molta lentezza e fatica.
Più copriva la distanza che la separava dall’ufficio del padre, ogni passo sempre più difficoltoso dei precedenti.
Si fermò davanti una porta che ben conosceva, ricordando l’ultima volta che era stata lì: il giorno della sua partenza da Parigi aveva voluto incontrare il genitore prima di lasciare il suolo francese, trovando solo una porta chiusa e un impiegato che la informava che il deputato era partito poche ore prime.
Abbassò lo sguardo, osservando Vooxi fare capolino dalla borsetta e fissarla con i penetranti occhi violetto, mentre lei alzava la mano e stringeva le dita tremanti a pugno, abbassandolo poi sul legno della porta e colpendola, ascoltando il rumore sordo e poi ripetendo l’intera operazione una seconda volta: «Avanti» la voce dall’altra parte la bloccò con la mano a pochi centimetri dalla porta e il suo cuore accelerò i battiti, mentre l’irrequietudine s’impadroniva di lei.
Voleva entrare.
Non voleva entrare.
Voleva vederlo.
Voleva andarsene il più lontano da lì.
«Puoi farcela» mormorò il piccolo kwami, nascondendosi poi nella borsa mentre lei scivolava con la mano fino alla maniglia, stringendo il freddo metallo nel palmo e abbassandolo, spingendo in avanti la porta e osservando l’interno della stanza: non era cambiato poi molto da quando era andata lì l’ultima volta, qualche anno prima, osservando i mobili di legno scuro che risaltavano contro le pareti color crema, il pavimento di marmo nero e, sulla parete opposta rispetto alla porta, la grande vetrata che donava luce all’intera stanza.
Lila fissò l’uomo chinò sulla scrivania, che non aveva alzato la testa quando lei era entrata e rimase ferma sulla soglia, indecisa su cosa fare: palesare la sua presenza? Rimanere in silenzio finché suo padre non avesse alzato la testa e scorta? Sapeva che era lì, sapeva che aveva bussato e che era entrata eppure, come sempre, il lavoro veniva prima di tutto: «Puoi entrare» mormorò l’uomo, riscuotendola appena e alzando un attimo lo sguardo, prima di abbassarlo nuovamente sulle carte che aveva davanti a sé: «Finisco di controllare questo resoconto e poi parliamo.»
Lila annuì, guardandosi attorno e lasciando andare un sospiro, mentre puntava una delle due sedie poste davanti la scrivania del padre e si accomodò su una di esse, sistemandosi la borsa in grembo e lisciandola appena, quasi trovando conforto in quel gesto: dentro c’era Vooxi ed era certa che il piccolo kwami le stesse dando tutto il supporto possibile e immaginabile, mentre suo padre continuava a mettere il lavoro prima di tutto.
Prima della moglie scomparsa.
Prima della figlia che non vedeva da qualche anno.
Rimase in silenzio e immobile, come aveva imparato fin da piccola mentre studiava la fisionomia del padre: era invecchiato, i capelli scuri avevano fili d’argento che erano in maggioranza e lo sguardo era contornato da profonde occhiaie, le spalle erano curvate in avanti e gli abiti stropicciati.
Tutto dava un aspetto generale di stanchezza e di un uomo che si riposava veramente poco.
«Come stai?» le domandò, facendole notare anche la nota stanca che aveva la voce dell’uomo, mentre l’osservava chiudere il fascicolo di foglie che aveva davanti e piegare le labbra in un sorriso, che non arrivava agli occhi: «Perdonami, per quanto tua madre mi faccia ammattire devo mandare avanti il lavoro.»
«Non ci sono problemi.»
Ruggero annuì, lasciandosi andare sulla poltrona e osservando la figlia, socchiudendo appena le palpebre: «Ti trovo bene» mormorò, annuendo con la testa e riaprendo gli occhi: «Rispetto all’ultima volta che ci siamo visti.»
«L’ultima volta che ci siamo visti mi hai intimato di andarmene da Parigi.»
«Eri diventata incontrollabile, Lila.»
«Immagino i brividi di paura, quando sono tornata l’anno scorso.»
«Sì»
Lila inspirò profondamente a quell’affermazione secca del genitore, lasciando andare l’aria e voltandosi di lato, stringendo le labbra: «Non so se sono dispiaciuta o meno di aver deluso le tue aspettative» commentò, scuotendo il capo e posando nuovamente lo sguardo sul padre: «Torno e me ne sto tranquilla tranquilla: vado a scuola, frequento i miei amici…»
«Ti iscrivi a Scienze politiche» disse Ruggero, intrecciando le mani sull’addome e sorridendo: «Tale padre, tale figlia.»
«Solo perché le materie erano facili e non avevo tanto da studiare. E’ per questo che ho scelto quella facoltà.»
«Vuoi convincere me o te, Lila?»
«Vogliamo parlare della mamma? Tua moglie. Sparita nel nulla.»
«Ho ricevuto una chiamata proprio stamattina» dichiarò Ruggero, sorridendo appena: «E’ andata in una spa e tornerà questo fine settimana.»
«Quindi perché sono venuta qui?»
«Perché volevo vedere mia figlia» dichiarò spiccio Ruggero, continuando a tenere il sorriso in volto: «Non ci vediamo da parecchio, Lila.»
«E non certo perché l’ho voluto io, papà» decretò la ragazza, enfatizzando l’ultima parola e scuotendo il capo: «Mi avete mandato via e, quando ero dalla nonna, mi telefonavate raramente. Sono tornata a Parigi e quando mi avete contattato tu e la mamma? Te lo dico io: mai. Mamma l’ha fatto non appena ha saputo che avevo un ragazzo e vivevo con lui…» si fermò, inspirando profondamente e lasciando andare l’aria: «Per cosa poi? Offenderlo e provarci con lui.»
«Mi dispiace…»
«Ti dispiace di cosa, papà?»
«Di tante cose, Lila» mormorò Ruggero, scrollando le spalle e socchiudendo gli occhi: «Io ero in una situazione delicata e tu venivi continuamente akumatizzata da Papillon: volevo proteggerti, ma tua madre premeva per l’incarico qui al consolato. Farti tornare in Italia è stata la decisione che mi sembrava migliore e poi…» l’uomo si fermò, lasciando andare un sospiro: «Non ho mai pensato a come ti sentivi e a quello che avresti provato.»
«L’ho notato.»
«Lila, io…»
Lo squillo del cellulare fermò Ruggero dal continuare e rimase in silenzio, osservando la figlia aprire la borsetta e prendere il cellulare, lasciando andare un sospiro dopo aver visto lo schermo: «E’ una chiamata che non posso rifiutare» mormorò Lila, stringendo la presa sull’apparecchio e lo sguardo fermo su di lui: «Io…»
«Vai pure. Ci saranno altre occasioni per parlare» Ruggero si fermò, socchiudendo gli occhi e sorridendole: «Ammetto di aver usato la sparizione di tua madre come scusa per rivederti, Lila.»
Lila piegò le labbra in un tenue sorriso, scuotendo la testa e alzandosi dalla sedia, spostandosi poi dietro di essa e poggiando le mani sulla spalliera, continuando a tenere il telefono squillante fra le dita della sinistra: «Sei pessimo, papà.»
«Ogni cosa per incontrare nuovamente mia figlia.»
«Potevi farlo prima.»
«Avevo paura.»
«E di cosa?»
«Di non essere perdonato da te, Lila.»


«Alla buon’ora» esclamò la voce di Alex nell’orecchio di Ladybug, mentre questa atterrava su uno dei palazzi che si affacciavano sulla piazza antistante la bianca chiesa di Sacre Coeur: «Volpina, cosa stavi facendo? E soprattutto con chi, dato che Tortoise ha risposto subito alla chiamata. Per quanto lui possa rispondere subito, considerato il suo datore di lavoro.»
«Ero da mio padre» sentenziò lapidale la ragazza, facendo ridacchiare la coccinella che, scambiatasi una breve occhiata con Bee, scosse poi il capo: «E non ti azzardare a fare commenti, Mogui.»
«Sai che fare commenti è il suo talento naturale» sentenziò Bee, lasciando andare un sospiro e portandosi poi la mano all’orecchio destro: «Ma ci siamo solo noi?» domandò, affacciandosi dal tetto e osservando Tortoise nella strada sottostante: «Peacock e Chat Noir? Hawkmoth?»
«Hawky non ha risposto, penso non gli abbiano permesso di andare al bagno» sentenziò Alex, mentre alle orecchie di tutti arrivava il rumore di mani che lavoravano alacremente alla tastiera: «Peacock e Chat dovrebbero essere vicini.»
«Chat potrebbe tranquillamente rimanere dove si trova» bofonchiò Ladybug, storcendo le labbra e incrociando le braccia al seno, attirando lo sguardo dubbioso di Bee mentre Volpina atterrava alle loro spalle e, aperta la mano, evocò il lungo flauto.
«Ero convinta che voi due non litigaste mai» decretò l’ape, voltandosi indietro e cercando appoggiò nell’amica che ridacchiò, scuotendo il capo e facendo sospirare l’altra: «Potresti darmi una mano, Volpina.»
«Che posso dire? Ci son problemi anche in paradiso.»
«Non ci sono problemi in paradiso» decretò la voce di Chat Noir, intromettendosi nella conversazione e facendo girare le tre, osservando il felino e Peacock atterrare sul tetto: «Semplicemente qualcuno che tiene il broncio.»
«Io non tengo il broncio.»
«My lady, per favore, lo tieni da due giorni buoni» dichiarò il felino, incrociando le braccia e fissandola in volto: «Da quando siamo andati a fare la spesa.»
«Questo perché qualcuno fa piani idioti.»
«Ancora con questa storia? Ti ho detto che…»
«I panni sporchi si lavano in casa» decretò Alex, intromettendosi nella conversazione e attirando su di sé l’attenzione generale: «Signori e signore, adesso avete da fare il vostro lavoro di supereroi e sconfiggere…» si fermò, inspirando profondamente e lasciando andare poi l’aria: «Beh, l’urlo di Munch.»
«Questa cosa è irreale» commentò Peacock, avvicinandosi al bordo del tetto e osservando la piccola figura che camminava mesta nella piazza antistante: era un piccolo esserino che si aggirava nell’erba e risaltava con l’abito scuro che gli copriva l’intero corpo serpentiforme, quasi senza scheletro, privo di capelli, deforme e con la pelle grigia; si teneva il volto fra le mani e un’espressione di spasmo gelata nel viso: «Che facciamo? E soprattutto come lo sconfiggiamo?»
«Evocherò il Lucky Charm» decretò Ladybug, scuotendo il capo e fissando il resto del gruppo: «Mentre voi distraetelo e studiate le sue mosse.»
«Agli ordini, boss» sentenziò Peacock, balzando giù dal tetto e atterrando accanto a Tortoise: il piccolo essere si voltò verso di loro, inclinando il capo e lasciando andare un verso agghiacciante e un’onda d’urto si propagò nella distanza che divideva il nemico da loro, spedendoli entrambi contro il muro dell’edificio.
La creatura rimase a osservare il proprio lavoro, prima di immagazzinare nuovamente aria e prepararsi a lanciare una seconda onda sonora contro i due malcapitati: Tortoise balzò in piedi, sistemando velocemente il proprio scudo avanti a sé e proteggendo così se stesso e Peacock da un secondo attacco.
«Il tuo scudo può fermare anche quello?» domandò Peacock incredulo, scostandosi una ciocca scura dagli occhi e fissando l’amico con un ghigno in volto: «C’è qualcosa che non ferma?»
«Una donna in quel periodo del mese, credo.»
«Questa non è male. E spero che Bee non ti abbia sentito, altrimenti sei morto» dichiarò Peacock, sorridendo e rialzandosi, storcendo la bocca in una smorfia di dolore e portandosi una mano all’addome, punto in cui era stato colpito in pieno dall’attacco nemico: «Mi verrà un bel livido.»
Ancora ferma sul tetto, Volpina si portò il flauto alle labbra, suonando alcune note e creando delle copie di tutti loro, spedendole contro la creatura di Quantum e osservandola lanciare onde sonore contro di queste, distruggendo ogni cosa era nel suo raggio, mentre Bee e gli altri due balzarono a terra, affiancando i due eroi: «Sto bene» decretò Peacock, sorridendo allo sguardo pieno di rimprovero di Bee e massaggiandosi la pancia, mentre l’ape scuoteva la testa: «Davvero.»
«Oh. Stai bene? Dopo essere stato sparato contro un muro tu stai bene.»
«Sì, Bee. Non è niente di che.»
«Non è niente di che…»
«Abbiamo già una coppia in lite» dichiarò Tortoise, sorridendo appena e indicando i due al suo fianco: «Perché non pensiamo a sconfiggere quel piccoletto, piuttosto che litigare?»
Ladybug annuì, stringendo il proprio yo-yo nella mano e lanciandolo poi per aria, attivando così il proprio potere speciale e osservando la magia della creazione mettersi all’opera, materializzando un piccolo sacchetto rosso a pois neri, che cadde fra le sue mani: «Biglie?» domandò, guardando dubbiosa gli altri che l’avevano circondata: «E come dovrei usarle?»
«Ah. Non lo so» Chat Noir scosse il capo, sorridendole: «Sei sempre stata tu l’artista dei piani.»
«Oh. Quindi ammetti che i tuoi piani sono pessimi?»
«Nemico. Sconfiggere» sentenziò Tortoise, indicando il piccolo essere che aveva annientato tutte le illusioni di Volpina e, in quel momento, si stava voltando verso di loro: «E’ il momento di mettere in moto il cervello, Ladybug.»
La coccinella annuì, inspirando profondamente e guardandosi attorno mentre un sorriso le comparve in volto: «Bee, spedisci una sfera di energia contro di lui. Peacock, tu usa i tuoi ventagli quando te lo dico io. Tortoise, se prova a urlare di nuovo, parla l’onda con il tuo scudo e Volpina, quando Bee lancerà la sua sfera, tu farai lo stesso con i tuoi fuochi. Chat Noir, tieni pronta la tua mano distruttrice.»
Ladybug li osservò tutti annuire e, usando lo yo-yo, agganciò un ramo di un albero vicino e saltò sopra di questo, osservando Bee e Volpina eseguire le sue direttive e impedire alla creatura di urlarle contro; Tortoise si era posizionato avanti a tutti, lo scudo ben saldo nella presa della mano mentre Peacock seguiva ogni suo movimento, pronto a entrare in azione; Ladybug lo fissò e annuì con la testa, lanciando poi il sacchetto delle biglie e il pavone lo colpì con uno dei pugnali dei suoi ventagli, aprendolo e lasciando che le sfere si sparpagliassero davanti alla creatura di Quantum.
Un sorriso piegò le labbra di Ladybug, mentre osservava l’imitazione del famoso quadro scivolare sopra le biglie e ritrovarsi disteso per terra: saltò nuovamente l’avvolse con il filo del suo yo-yo, mentre Chat si avvicinò con la mano impregnata di potere della distruzione e la posava al centro del corpo della creatura, osservandola diventare polvere nera e venire spazzata poi via dalla brezza: «Anche questo è stato facile» commentò il felino, scuotendo il capo e osservando la sua compagna recuperare il Lucky Charm e lanciarlo per aria, in modo che la magia facesse il suo dovere e ripristinasse tutto: «E’ veramente strano.»
«Molto strano» commentò Ladybug, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro: «E’ tutto così facile.»
«Ho paura che prima o poi ci scontreremo con il vero potere di Kwon» commentò Tortoise, sistemandosi lo scudo sulla schiena e poggiando le mani sui fianchi: «E che allora rimpiangeremo questi nemici deboli.»
Peacock sospirò, poggiando il gomito contro la spalla dell’amico e fissandolo dal basso: «Ti prego, Torty, facci gioire di questi nemici che si battono con niente» decretò, sorridendo appena e allontanandosi: «Penso li rimpiangerò, appena Kwon si metterà a fare sul serio.»
«Come tutti noi, pennuto. Come tutti noi.»


Manon allungò il collo, osservando lo schermo del cellulare di Thomas e sorridendo alla vista delle poche righe scritte: «E’ andato tutto bene?» domandò più per confermare ciò che aveva letto e vedendo l’amico annuire con la testa e risistemare il telefono nella tasca della felpa, mentre si stravaccava meglio sulla panchina nel giardino della scuola e alzava la testa verso il cielo: «Immagino che avresti voluto essere con loro.»
«Sì.»
«La prossima volta…»
«Alle volte mi chiedo se sono davvero utile alla squadra» buttò lì Thomas, dopo una buona manciata di minuti di silenzio: «Se il mio intervento sia prezioso o meno: loro riescono a vincere anche senza di me, mentre io…»
«Loro hanno da più tempo i Miraculous e…»
«E voi due che fate qua soli soletti?» la voce di Jérèmie li fece sobbalzare entrambi, Thomas osservò l’amico che si era avvicinato in silenzio e li fissava con le labbra storte in un ghigno pieno di divertimento: «Ultimamente siete sempre assieme. Potrei essere geloso, Thomas.»
«Vedrò di tradirti con più discrezione» commentò Thomas, scuotendo il capo e incontrando lo sguardo di Manon, alzando le spalle e stirando le labbra in una linea: «Volevi qualcosa?»
«In verità no» Jérèmie si portò una mano al volto, massaggiandosi la mascella e inclinando il capo: «Vi ho visti qui, soli soletti, e volevo sapere se avevi qualcosa di cui informarmi.»
«Mh. No, niente.»
«Sicuro?»
«Sicurissimo.»
Jérèmie annuì, scuotendo la testa e lasciando andare un lungo sospiro, spostando tutta la sua attenzione su Manon e fissandola dall’alto: «Buona fortuna. Ne hai veramente bisogno con questo idiota.»
«Ehi, perché mi offendi ora?»
«Perché lo sei, idiota.»
«Io non sono idiota.»
«No, hai ragione: sei un idiota tardone e addormentato.»
Manon sbuffò, osservando Thomas alzarsi in piedi mentre alle sue orecchie arrivava lo scambio sempre più acceso fra i due amici, infilando la mano in tasca e recuperando il cellulare: sarebbero andati avanti per molto tempo, lo sapeva bene.
Thomas si sarebbe scaldato a ogni scambio, mentre Jérèmie si sarebbe semplicemente divertito.
Scrisse velocemente un messaggio a Marinette, congratulandosi per la nuova vittoria e poi aprì l’app su cui leggeva le sue amate fanfiction e notando immediatamente un aggiornamento della sua autrice preferita, lasciando perdere i due ragazzi con lei e il mondo circostante.
Aveva da leggere adesso e nessuno era più importante di ciò.


Osservò interessata l’ampio schermo rettangolare, che dominava la parete e sul quale erano trasmesse alcune scene di un inseguimento automobilistico; rimase a fissare l’auto scura che sfrecciava per strade deserte, con alle calcagna quelli che dovevano essere i buoni. O i cattivi.
Non aveva ben compreso chi inseguiva chi.
Era talmente intenta a cercare di comprendere ciò che vedeva, da non far più di tanto caso a chi la circondava e dovette usare tutto il suo autocontrollo per non atterrare l’innocente commesso che si era avvicinato e che, adesso, la fissava con un sorriso cordiale in volto: «Non è niente male, vero?» le domandò, facendo un nuovo passo verso di lei, quasi si sentisse fiducioso del suo silenzio: «E’ una televisione decisamente adatta per una  ragazza giovane come te: la possibilità di connetterla alla rete Wi-Fi ti permette di poter usufruire di servizi…»
«Come parlare al nulla, amico.»
Xiang si voltò, fissando Alex che sorrideva e si sistemava gli occhiali, scivolati lungo il naso, mentre fissava entrambi: «E’ già tanto se sa cosa è un televisore.»
«Io so cosa è un televisore» dichiarò Xiang, incrociando le braccia al seno e alzando il mento, quasi a sfidare l’altro a ribattere la sua affermazione.
Certo, sarebbe morta piuttosto che raccontare ad Alex come era stata la sua prima esperienza con quell’apparecchio: ancora adesso Felix la prendeva in giro per come era balzata e aveva sguainato la spada, cercando di uccidere l’elettrodomestico, la prima volta che l’uomo l’aveva accesa, mentre le mostrava le meraviglie dell’epoca moderna.
Tutto ciò era valso il divertimento dell’ex-Portatore del Miraculous del Gatto Nero e una presa in giro infinita, che aumentava ogni qualvolta lei si avvicinava a una televisione.
I toni di Felix si erano un po’ smorzati, dopo che Bridgette era andata a vivere con loro e lo aveva minacciato con la possibilità di un incontro con Marshmallow, il gigante di ghiaccio che evocava ogni volta che Thomas la trasformava in Coeur Noir.
L’uomo si era leggermente calmato, prendendola in giro solo quando Bridgette non era nei paraggi.
«Sapere e sapere usare sono due cose differenti» sentenziò Alex, strappandola dalle sue elucubrazioni, mentre si avvicinava e le posava una mano fra le scapole, spintonandola via dal commesso e dalla promessa di un acquisto fantastico: «E poi mi sembra che Felix abbia lo stesso modello in salotto.»
«Ah» mormorò Xiang, voltandosi appena e assottigliando lo sguardo, cercando di comprendere come Alex avesse fatto a capire che era dello stesso tipo di quella di Felix: a lei parevano tutte così simili, impossibili da riconoscere l’una dall’altra.
Erano tutte rettangolari e con le immagini in movimento.
«Hai preso ciò che dovevi prendere?» domandò la ragazza, cercando di portare la conversazione su argomenti più tranquilli e inclinando un poco la testa, in modo da vedere il volto di Alex: «Era un…»
«Cuffie con microfono incorporato» spiegò con pazienza il ragazzo, sorridendo appena: «Le mie hanno concluso un lungo e onorato servizio ieri, quando durante una sessione di gioco mi sono morte.»
«Le cuffie possono morire?»
«Il fatto che non siano vive, non significa che non hanno una vita.»
Xiang socchiuse gli occhi, sospirando appena: «Se cerchi di fare filosofia, ti posso assicurare che stai sbagliando approccio» decretò, sorridendo sicura della sue parole: «Stare troppo tempo con il Maestro Fu sta avendo un brutto effetto su di te.»
«Tu dici?»
«Io dico» dichiarò Xiang, sorridendo appena: «Le persone con cui trascorriamo la nostra vita ci influenzano: tu lo fai con me» si fermò, voltandosi e fissandolo in volto, allungando poi una mano e, con l’indice, sistemò gli occhiali che nuovamente gli stavano scivolando lungo il naso: «Sei importante per me, Alex, e sono contenta che proprio tu sia a influenzarmi e a rendermi, per dirla alla Felix, umana» si fermò, abbassando la mano e chinando la testa, mentre sentiva le guance diventarle improvvisamente calde.
«Non si possono dire queste cose così, però» decretò Alex, chinandosi per terra e intrecciando le braccia, poggiando i gomiti sulle ginocchia e nascondendo il volto, mentre Xiang si guardava attorno e sorrideva impacciata alla gente che li guardava e li superava, continuando la loro spedizione nel centro commerciale dove l’americano l’aveva portata.
«Alex?» mormorò piano la ragazza, chinandosi e poggiando le dita sulla mano di lui, vedendolo trasalire a quel piccolo contatto: «Scusami, io…»
«Quando devi fare queste sparate» Alex alzò il viso, fissandola imbronciato e con il volto completamente rosso, quasi avesse fatto uno sforzo immane: «Devi scegliere meglio il luogo in cui dirle: non puoi dire a un ragazzo – che stravede per te ed è cotto a puntino – che è importante mentre sei in un centro commerciale. Un po’ di romanticismo, Xiang.»
«Romanticismo?»
«Ma quando Sarah ti fa vedere i drama cosa vedi?»
«L’arte della spada? Di solito Sarah mi fa vedere quelli storici e…»
«Quando le migliori amiche non servono a niente.»


Bridgette osservò la sala che le era stata messa a disposizione nel complesso della Fondazione e sorrise, voltandosi verso la donna al suo fianco: «Hai fatto veramente un ottimo lavoro, Nathalie» dichiarò, battendo le mani e accentuando ancora di più l’espressione di felicità che aveva in volto: «Non so come avrei fatto senza di te.»
«Sarebbe stata capacissima anche da sola.»
Bridgette annuì, rimanendo in silenzio e catalogando le parole dell’assistente di Gabriel come una mera frase di cortesia, mentre faceva spaziare lo sguardo sull’allestimento e immaginandolo con le luci soffuse e le persone che affollavano la stanza, mentre le modelle e i modelli sfilavano al centro.
Sarebbe stato un successo.
Inspirò profondamente, girando nuovamente su se stessa e osservando la passerella che dominava il centro e il pesante tendone nero alla fine, che nascondeva il dietro le quinte dove si sarebbe svolta la parte più febbrile dell’intera serata: alcuni tecnici stavano aggiustando gli ultimi dettagli e un uomo risaltava in mezzo a tutti loro, con il completo grigio antracite e la pelle olivastra: «Maxime?» domandò Bridgette, attirando su di sé l’attenzione di Nathalie che, sistemati gli occhiali, si voltò nella direzione in cui lei guardava e rimase impassibile come sempre.
«Io non vedo nessuno» decretò l’assistente di Gabriel, facendo voltare Bridgette per un secondo: come poteva non vederlo? Era proprio al centro della passarella in mezzo agli elettricisti, si voltò nuovamente pronta a dimostrare la presenza del suo collaboratore ma tutto ciò che vide fu solamente gli addetti ai lavori che stavano finendo di completare il tutto.
Maxime.
«Era lì…» mormorò Bridgette, scuotendo la testa e indicando il punto in cui l’uomo era stato: l’aveva visto, n’era certa. Non poteva essere sparito nel nulla e non poteva assolutamente additare il tutto alla stanchezza dell’ultimo periodo: «Maxime…»

 

   
 
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