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Autore: MaxB    25/07/2017    6 recensioni
Non avete mai pensato, giocando con un videogame, leggendo un libro o guardando un film: "Questi due mi ricordano tantissimo i protagonisti di ***"?
Ecco come nasce questa raccolta di crossover: una rivisitazione di storie che hanno per protagonisti personaggi che mi ricordano da matti Gajeel e Levy. Alcune sono semplici sostituzioni di persona con dettagli cambiati, altre saranno leggermente stravolte.
Le ambientazioni saranno le più disparate, ma avranno come unico filo conduttore l'amore dei nostri due meravigliosi Gajeel e Levy.
1. Il Trono di Spade
2. Mulan
3. Uncharted
4. Titanic (...meno terribilmente triste dell'originale... circa)
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Pantherlily
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note pre-lettura: non odiatemi, vi prego. Sappiate solo che è meno angst di Titanic (volevo addirittura evitare la parte della morte, cosa che ho... più o meno fatto, ecco). Scusate se ho toccato una pietra miliare nella storia del cinema e dei feels, ma... be', se volete sentire i miei deliri ci vediamo alla fine. Buona lettura!


Titanic

Personaggi sostituiti
Jack Dawson: Gajeel Redfox
Rose DeWitt Bukater: Levy McGarden
Fabrizio De Rossi: Panther Lilyvan
Caledon Hockley: Zeref


 
Che freddo.
Correre è… meraviglioso.
Basta, sono stanca.
Non respiro, è troppo stretto.
Fa tanto freddo.
Mi bruciano gli occhi.
Andate via, non guardatemi.
Sto urlando, qualcuno lo sente?
È tutto buio… sono già morta?
Il respiro è pesante, non voglio più sentirlo.
Che freddo, fa troppo freddo…
I pensieri confusi ed esagitati si bloccarono di colpo quando la ragazza colpì con forza il parapetto del più basso ponte della nave. Sotto, solo onde nere, schiuma bianca, gelo ed eliche mortali.
Vi prego, salvatemi.
L’implorazione della ragazza era rivolta a tutti e a nessuno, ma la giovane supplicò le stelle quando alzò lo sguardo ed osservò la magnificenza di quel cielo brillante di piccole luci.
Voglio diventare una stella.
Prendetemi con voi, sorelle.
La ragazza alzò il piccolo piede, calzato in una scarpa suicida che costava una follia per poi recare gioia solo agli occhi. Anzi, nemmeno a quelli, dal momento che la gonna del lungo vestito le copriva interamente.
Che senso ha spendere tanto per un paio di scarpe che mi fanno male e poi non si vedono nemmeno?
Forse io sono come loro. Costo tanto, sono un oggetto ornamentale, desiderato e richiesto, ma mai realmente visto.
Nessuno mi vede.
Nessuno mi sente.
La gonna le si impigliò nella punta della scarpa e lei diede uno strattone che la sbilanciò, bloccandole il respiro nei polmoni. Il suo cuore accelerò come le pale delle eliche sotto di lei.
Calmati, cuore, tra poco non batterai più.
Con fatica, sudando nonostante l’aria tremendamente fredda e l’impiccio di quella pesante stoffa che la fasciava come le bende di una mummia, la ragazza riuscì a scavalcare la ringhiera protettiva, protendendosi verso il mare.
Una raffica di vento le scompigliò i capelli sciolti, spettinandoglieli, e la giovane si sentì libera.
Non obbedirò più alle aspettative altrui.
Una lacrima le scese lungo la guancia morbida, pronta a gettarsi nell’oceano, libera anch’essa.
Basta.
- Fossi in lei non lo farei.
La ragazza rantolò quando una voce profonda, indubbiamente maschile e ruvida, priva di tatto, interruppe le sue elucubrazioni.
Voltando di scatto la testa scorse un ragazzo, pochi passi indietro rispetto a dove lei stava appesa tra la vita e l’annegamento. Era un giovane massiccio, dal fisico tonico eppure asciutto. Era davvero alto, con lunghi capelli argentati sotto la luce della luna, che gli scendevano sulla schiena legati in una coda. Aveva la faccia ricoperta da ornamenti metallici, sul naso, sulle sopracciglia, sul mento, persino sulle orecchie.
Lui sì che è libero.
Portava pantaloni vecchi, larghi e usurati, scarponi pesanti e laceri, un cappotto consunto e slavato ed era palese che non avesse un soldo valido per comprare anche solo un bordo del vestito che lei indossava.
Eppure lo invidiò, lo invidiò profondamente.
- No-non si avvicini – balbettò, terrorizzata, preoccupata, eccitata e confusa, quando il suo interlocutore mosse un piccolo passo verso di lei. – Non si avvicini o mi butto.
Il ragazzo, più vecchio di lei di qualche anno, aveva il volto segnato dalla fatica di una vita che non fa sconti, ma le rivolse il ghigno impertinente tipico di un bambino dispettoso.
Lentamente si portò una mano alla bocca e ne estrasse uno stuzzicadenti, che probabilmente si era rigirato tra i denti e lei non aveva notato. – Posso? – chiese, mimando il gesto di buttarlo in acqua.
La giovane lo fissò esterrefatta quando si avvicinò e buttò il piccolo pezzo di legno in acqua, osservandone il volo. C’erano solo pochi centimetri a separarli.
- Ho l’abitudine di gingillarmi infilando in bocca strani oggetti, dai chiodi ai fili d’erba seccati dal sole, ma il mio amico continua a ripetermi che prima o poi mi si rovineranno tutti i denti – commentò, voltandosi verso la giovane e sorridendole nuovamente, mettendo in mostra dei canini appuntiti e dei denti perfettamente dritti e bianchi che la stupirono.
Aveva gli occhi rossi, si rese conto, e non per l’alcol.
Il suo viso si fece immediatamente serio quando tornò a scrutare l’acqua.
- Ha davvero intenzione di buttarsi, signorina?
La ragazza sbatté più volte le palpebre, cercando di trovare un senso a tutto quello. Pochi attimi prima era pronta a buttarsi e ora stava conversando con un poveraccio che con ogni probabilità voleva stuprarla prima di aiutarla a suicidarsi.
- Non sono affari suoi – mormorò, smettendo di fissarlo e spostando lo sguardo davanti a sé.
Concentrati. Puoi ancora essere libera.
Un sospiro la distrasse e, voltandosi, notò che lo sconosciuto si stava slacciando gli scarponi. – Ma cosa fa?
- Mi preparo a seguirla – rispose lui laconicamente, lanciandole una breve occhiata. Ogni traccia di ilarità era sparita dal suo viso. – Non voglio averla sulla coscienza.
- Non mi avrà sulla coscienza signor…
- Redfox. Gajeel Redfox.
- Signor Gaj…
- No, solo Gajeel. Nessun signore, grazie.
Basita, la ragazza continuò. – Gajeel, non mi avrà assolutamente sulla coscienza. Questa decisione è mia e ne ho tutti i diritti, quindi mi faccia il favore e la smetta di giudicare…
- Io non sto giudicando nessuno – la interruppe lui, calciando via gli scarponi e iniziando a togliersi il giaccone, mostrando quanto freddo facesse. – Mi stavo solo chiedendo cosa potrebbe mai spingere una figlia di papà a volersi suicidare nel gelido abbraccio dell’oceano. Curiosità, non verdetto.
Le sembrava di avere il cervello congelato, si muoveva a rilento nel mare tumultuoso dei suoi pensieri, densi come una granita. Boccheggiò in cerca delle parole adatte, ma non ce n’erano.
- Senti, piccoletta…
- Mi chiamo Levy, Levy McGarden, e gradirei che la smettesse di trattarmi come una sua simile – sbottò Levy.
Gajeel ridacchiò, per nulla divertito. – Poi ero io quello che giudicava, no, signorina Levy?
La ragazza lo fissò in silenzio, unica cosa che poteva fare dal momento che il suo sistema nervoso sembrava aver smesso di funzionare.
- Chi crede di essere lei per venire qui e rallentare il naturale corso delle cose? Lei può fare ciò che vuole, tutti possono fare ciò che vogliono e, be’, ne ho il diritto anche io.
Gajeel scrollò le spalle e si affacciò di nuovo al parapetto. – Mi chiedevo solo come porre fine alla propria vita mediante un annegamento, sempre che non sopraggiunga prima l’assideramento, posso essere considerato naturale corso delle cose, Levy. E risparmiami i formalismi.
Levy deglutì. – Assideramento?
- Uh-uh. Quanti gradi pensi che abbia l’acqua, qui sotto? Il gelo ti paralizzerà le ossa e ti congelerà le membra, rendendoti doloroso persino respirare. Non potrai nuotare, ma il tuo corpo non affonderà. Ti trasformerai in una bambola di porcellana più fredda della neve e più dura del granito.
Il ruggito del vento e delle onde, che litigavano come due contendenti, fu l’unico suono udibile quando Gajeel tacque. Levy ringraziò il freddo che le bloccò le lacrime prima che scendessero.
- Perdonami, Levy, ma credo che siano davvero poche le vite così schifose e indegne di essere vissute da poter giustificare una fine come questa. E ci sono tante persone che muoiono senza motivo e senza la possibilità di vivere quella vita che tu ora vuoi buttare via come un rifiuto. Quindi fai pure come vuoi, non ti giudico, ma per rispetto nei confronti della vita stessa io ti seguirò. Io non ti avrò sulla coscienza, ma tu sarai disposta ad avere me sulla tua?
Le parole di Gajeel scesero in profondità dentro di lei, come una lama affilata che penetra fino al cuore infuocato di un iceberg, incrinando tutto il ghiaccio. Le lacrime tracimarono dagli occhi di Levy, che scosse il capo.
- Penso che anche i giorni più brutti abbiano in sé un po’ di bellezza. Bisogna vivere per quella. Forza, vieni di qua, al sicuro, ora.
Levy sospirò e annuì, stringendo forte le mani attorno alla ringhiera.
Fraintendendo il suo gesto, Gajeel le disse: - Quell’acqua è puro dolore. Così fredda da trafiggerti la pelle fino all’osso come migliaia di minuscoli aghi. Non è questo il modo in cui morirai.
Levy annuì ancora e staccò con lentezza una mano, assicurandosi di avere stabilità. Quando iniziò a ruotare il busto per affrontare Gajeel faccia a faccia, però, il piede le si impigliò nella lunga gonna e, con un urlo, Levy precipitò.
Riuscì ad afferrare per puro miracolo una delle ringhiere bianche e gelide del parapetto, così fredde da ustionarle la mano.
- Aiutami, aiutami Gajeel! Tirami su! – urlò, piangendo, mentre il freddo le colpiva impietosamente il viso e le agitava la veste.
- Resisti, Levy!
Senza esitazioni, Gajeel si sporse e allungò le braccia, afferrando le sue, stringendola forte. – Ci sono io, Levy, aggrappati!
L’istinto di sopravvivenza prese il sopravvento e Levy si avvinghiò con le unghie alle sue braccia forti, incurante del dolore che poteva provocargli o della disperazione che sapeva stava trapelando dai suoi occhi.
Gajeel strinse i denti, puntò i piedi e tirò con tutte le sue forze. Riuscì ad issarla, la tirò fino all’orlo del parapetto e lei gli si gettò addosso, terrorizzata e singhiozzante.
Preso in contropiede, il ragazzo si sbilanciò a causa della stretta e perse l’equilibrio cadendo all’indietro. Trascinata giù con lui, Levy si ritrovò schiacciata sul ponte, con la mano di Gajeel che le proteggeva la nuca e il suo corpo a farle da scudo.
I due tacquero e si osservarono per un tempo interminabile, e Levy ringraziò il freddo e l’agitazione che camuffavano l’origine dell’erubescenza sulle sue gote. Gentilmente, nonostante lo sguardo severo e inflessibile, Gajeel le asciugò le lacrime e Levy capì da quel gesto dolce che il ragazzo era sollevato.
- Allontanati da lei, topo di fogna!
- Togliti o ti gettiamo in cambusa con i ratti per tutta la durata del viaggio!
Levy sentì mancare sopra di sé il peso caldo e morbido di Gajeel, e delle braccia decise ma gentili la aiutarono ad alzarsi. Una presa possessiva e troppo stretta la strattonò di lato subito dopo, e la ragazza riconobbe il profumo pungente e costoso del suo futuro marito, Zeref Dragneel.
Distrattamente si rese conto che, come nel caso delle sue scarpe e di quel profumo acre, le cose più care a volte sono le più sopravvalutate e le meno valenti.
- Rinchiudetelo – comandò seccamente Zeref, stringendo ancora di più Levy.
- No! Aspettate! Ahia, Zeref, mollami, mi fai male!
Dimenandosi, Levy riuscì a liberarsi dalla presa del fidanzato e rischiò di cadere nuovamente a terra a causa della spinta datasi.
- Fermi, lui mi ha salvata! Avete frainteso! Stavo… stavo cadendo in acqua perché volevo vedere le… le… - balbettò confusa, senza sapere come continuare. Presa dalla frenesia del momento, aveva rischiato di rivelare cosa fosse realmente accaduto, e ora non sapeva più come sbrogliarsi da quell’impiccio. Mosse le mani formando piccoli cerchi, sperando che il movimento potesse dare dei suggerimenti ai presenti per poi aiutarla a continuare.
- Le eliche, Levy – la incalzò Gajeel, con le braccia strettamente tirate dietro la schiena da due guardie, il busto piegato in avanti.
- Signorina Levy – la corresse Zeref, asciutto.
- Le eliche, sì. Penso di… soffocavo, faceva troppo caldo nella sala da pranzo e mi mancava il respiro. Sono venuta a prendere aria ma… la differenza di temperatura tra dentro e fuori era troppa e mi sono sentita mancare. Se non fosse stato per questo gentile signore, ora sarei dispersa nelle acque… gelide… dell’oceano.
Le parole si affievolirono verso la fine, quando si rese conto completamente della terribile sciocchezza che era stata sul punto di compiere.
Guardando Gajeel dritto negli occhi, aggiunse in un soffio: - Devo tutto a quest’uomo. Senza di lui, ora sei morta trafitta da migliaia di aghi di ghiaccio.
Le parve di vedere l’ombra di un ghigno sul viso adombrato del ragazzo tenuto prigioniero, ma fu solo un attimo fugace che si sciolse come un fiocco di neve.
Zeref ordinò ad uno dei suoi accompagnatori di coprire Levy perché non prendesse freddo, anche se lei in quel momento non sentiva nulla.
- Oh – lo udì dire, con la voce piena del disprezzo che riservava alle persone di rango inferiore, cioè tutte, a suo avviso. – Temo dunque che questo sia solo un terribile malinteso. Signor…
- Gajeel Redfox – rispose il diretto interessato, muovendo le braccia appena liberate dalle guardie.
- Signor Redfox, la ringrazio per la sua presenza su questo ponte, allora. Ecco, penso che un pezzo da venti basti a dimostrarle la mia gratitudine.
Levy parve svegliarsi da un incubo e balbettò qualche confuso vaneggiamento prima di fermare Zeref, che aveva già la mano sul portafoglio. – Tesoro, è questo il prezzo da pagare al salvatore della donna che ami?
Zeref la guardò, sorrise in quel modo sinistro che le faceva accapponare la pelle, dolce all’esterno ma che non raggiungeva gli occhi, facendo assumere loro una curiosa vena di pazzia, e disse: - Levy è scontenta questa sera. Allora la attendiamo domani sera a cena, signor Redfox.
Gajeel non lasciò trapelare nulla sul suo volto impassibile e severo, ma lo sconcerto fece ritardare di qualche attimo la risposta.
- Senz’altro – rispose, asciutto, dopo un’insistente occhiata del suo benefattore, che lo squadrò da capo a piedi con sarcasmo.
Gli occhi di Levy furono l’ultima cosa che vide prima di dirigersi alla sua cabina, l’unico premio che avesse mai voluto per quel salvataggio che non gli era costato nulla, ma gli aveva permesso di trovarsi faccia a faccia con una dea.
 
Levy rise e Gajeel sentì che il mondo era un posto migliore.
Il giorno successivo al salvataggio Levy l’aveva cercato in lungo e in largo lungo i ponti di quella mastodontica e labirintica nave, per ringraziarlo non tanto per il salvataggio quanto per la sua discrezione. Da quel momento e per le tre ore successive non aveva mai smesso di ridere e godere della compagnia di quel giovane ragazzo spiantato e senza radici che le aveva raccontato storie inverosimili e fantastiche sulla sua vita, spacciando favolette per esperienza vissuta.
- Non ci credo, questa se l’è proprio inventata! E non neghi, persino il più fantasioso e credulone dei bambini fiuterebbe la menzogna dietro le sue parole – lo accusò ridendo.
Gajeel era burbero, austero, aveva freddi occhi rossicci e tratti del viso affilati, lunghi capelli neri e lucenti che sembravano non sporcarsi mai, più sani e curati di quelli delle signore di nobile famiglia di mezzo Titanic. Gli amici e i conoscenti che incontrava camminando gli rivolgevano rispettosi e amichevoli saluti a cui lui rispondeva con un secco cenno del capo, scoraggiando ogni tentativo di approccio sociale. Sorrideva poco e non sembrava affabile, ma Levy non lo temeva, anzi.
Ne era quasi affascinata.
- La sua mancanza di fiducia nei confronti dei miei trascorsi mi reca biasimo, Levy – disse, cercando di sfoggiare quel gergo signorile che ogni tanto sentiva usare da qualche vecchio nobile convinto di essere al cospetto della regina.
Levy rise nuovamente scuotendo la testa.
- Che ragione avrei di mentire? – le chiese di punto in bianco, tornando al suo tono abituale. Si fermò e si appoggiò con la mano ad un cavo sospeso che sorreggeva una delle poche ed inutili scialuppe di salvataggio.
Levy si voltò verso di lui e lo guardò schermandosi il viso con la mano, per riuscire a vedere qualcosa nonostante il sole.
Gajeel si spostò un po’ e la protesse dalla luce, facendola sorridere leggermente, riconoscente.
Pantera Liliano, il suo amico italiano che si era imbarcato in quella folle impresa insieme a lui, lo aveva preso in giro per ciò che era accaduto la sera prima, insistendo nel dire che era stato uno stupido ad accettare l’invito a cena e ad innamorarsi di una donna più irraggiungibile di una stella.
Gajeel gli aveva detto di non esserne innamorato, ma di fronte al sorriso e agli occhi dolci e pieni di vita, nonostante tutto, di Levy, non poté mentire a se stesso. Era una forza della natura quella ragazza, così bella e luminosa, così gentile e incurante dei ranghi sociali, così… vogliosa di vivere.
Per l’ennesima volta si chiese cosa mai avesse potuto spingere una simile creatura ad anelare alla morte.
- Non lo so, magari vuole solo colpirmi e dimostrarmi che la sua vita è migliore della mia – disse lei, strappandolo alle sue disquisizioni mentali.
Gajeel sbuffò una piccola risata. – Il mondo è abbastanza pieno di gente finta, senza bisogno che io mi unisca alla coda. E poi, le mie storie sono così assurde che devono essere vere per forza, no? Perché deve ammettere, di grazia, che reggono, che bussando ad ogni singola parete delle vicende che le sto raccontando i muri si dimostrano di solida roccia. Un paradosso, ma è così.
Levy sorrise di nuovo e lo guardò di sottecchi, sorprendendosi nuovamente per la sua mole imponente. – Allora le credo, mi ha convinta – concesse, annuendo con vigore.
Dio se era bella. Il vestito giallo e bianco le stringeva la vita sottile e lo scollo poco generoso invogliava a scoprire quali morbide curve si celassero sotto di esso. I capelli cerulei erano legati in uno chignon poco curato che lasciava oscillare nella brezza ciocche arricciate. Eppure, quella pettinatura sembrava proprio fatta così, creata per essere ribelle e delicata, ricercata, tutto insieme.
Ancora, Gajeel si chiese cosa l’avesse spinta a pensare alla morte come unica via di fuga.
Di certo non era la ricerca di attenzioni. Si era recata in una parte della nave che sembrava quasi desolata, e in quelle ore di dialogo a senso unico non aveva mai colto l’occasione per parlare di sé. Aveva solo voluto sapere tutto di lui.
Allora perché?
- Perché?
Levy sbatté gli occhi e l’ombra del sorriso sereno che le incurvava le labbra si ritirò come le onde che battevano contro le paratie.
- Come, prego?
- Perché? Perché volevi farla finita, ieri sera? Ci penso e ci ripenso, ma non trovo una risposta sensata a questa domanda. Non trovo un motivo valido per cui una giovane ragazza avvenente a cui non è stato negato mai nulla debba voler rinunciare a tutto e morire. Credere senza ombra di dubbio che non ci sia nemmeno una piccola via d’uscita…
Le parole asciutte e severe del ragazzo di fronte a lei la colpirono come uno schiaffo in pieno volto, più profondamente di un qualsiasi sermone o implorazione. I suoi occhi rossi la fissavano senza lasciarle scampo, scavando nella sua anima alla ricerca della verità, della risposta.
Fu a causa di quegli occhi duri ma sinceri che la sentì montare, pronta ad esplodere, l’ondata di risentimento e disgusto che provava ogni giorno per la sua vita. La stanchezza nei confronti di un’esistenza inesorabilmente imposta e programmata, soffocante, che non lascia scampo.
Una tortura.
Chiunque sia sotto tortura perpetua implora la liberazione eterna.
Esistono carceri peggiori della morte.
A volte la morte stessa è una via d’uscita. L’unica.
Solo con la morte posso essere libera.
- Tutto! – sbottò di colpo, facendo voltare alcune signore che la guardarono con sorpresa a causa della sua uscita poco contenuta. Probabilmente Levy le conosceva, ma in quel momento aveva altre cose per la mente, più importanti dell’offesa arrecata a delle povere sciocche. – Ogni singolo minuto di questa vita mi induce a volerla fare finita. Sono in gabbia, Gajeel, sono un povero uccellino in gabbia a cui vengono mostrate le meraviglie del mondo mentre gli si strappano brutalmente le ali. È tutto ingiusto…
Gajeel riuscì appena in tempo a soffocare una risata di fronte all’immagine dipinta da Levy. Più che un uccellino in gabbia, lei era una vera e propria tigre.
- Fuggi, no? Ribellati?
- E come? Zeref mi ritroverebbe di sicuro! Ha abbastanza danaro da poter comprare i cittadini e chiunque altro, non c’è luogo in cui mi possa nascondere. No, io devo stare qui, recitare la parte della perfetta signorina di corte, essere affabile, fargli fare bella figura, dargli figli intelligenti senza possibilmente rovinarmi l’aspetto e attenderlo a letto! Io…
- Lo ami? – la interruppe lui, asciutto.
Levy boccheggiò, un po’ per lo stupore un po’ a causa delle tumultuose emozioni soppresse per anni che stavano ora uscendo come dopo aver sfondato una diga. Chissà, magari le emozioni non sono altro che onde nel mare del cuore, e una tempesta che le fa imbizzarrire produce solo un crollo, una breccia nell’anima. Forse è per questo che a volte le persone perdono il controllo.
Non si può fermare un fiume.
- Come? – fu solo in grado di ribattere.
Gajeel sbuffò con il naso, una specie di risata soffocata. – Lo ami? – ripeté lui, semplicemente.
Levy non fece nemmeno caso al fatto che non usava più il tono di velato riguardo nei suoi confronti. Le dava direttamente del tu, come ad un pari. - Che razza di… come si permette? Questa domanda è inopportuna.
- Come, scusa? – chiese lui, ridacchiando, appoggiato comodamente contro la nave.
- Lei è un gran maleducato. Certe domande non si fanno, Gajeel.
Il nervosismo la fece ridere angosciosamente. – Non posso credere che sia così impertinente!
Gajeel era alquanto divertito dalla situazione. – Basta dire sì o no.
Levy lo fulminò con un’occhiataccia così profonda che per un momento fece rimescolare le viscere al ragazzo. – Hai degli occhi meravigliosi, sai? – si lasciò sfuggire senza pensare.
Suo malgrado, lei arrossì e distolse lo sguardo, colpevole di essere così intenso e attraente. Le si posò direttamente su un piccolo quaderno che Gajeel portava con sé da tutta la mattina e, presa dalla foga del momento, glielo sottrasse in modo poco carino. – Cos’è questo stupido oggetto che si tiene appresso?
Gajeel represse un piccolo ghigno e attese una sua reazione, che non tardò ad arrivare. L’espressione di Levy si addolcì mano a mano che leggeva le parole scritte fittamente e ordinatamente in quelle pagine sporche di inchiostro e fumo, che recavano l’odore delle grandi città, dei bar e della musica in esse contenute.
- Le ha… scritte lei? – mormorò, sedendosi su una sdraio libera poco distante, ipnotizzata dalla pagina.
- Uh-uh – grugnì lui, assentendo.
- E le canta?
- Le canto e le suono. È così che mi guadagno da vivere. Un taccuino per l’ispirazione, matita e musica. Non mi serve altro.
Levy scorse la pagina e accarezzò con le dita un sonetto d’amore che sembrava più una poesia che una canzone.
Diverse pagine di magia dopo si rese conto che Gajeel era seduto accanto a lei, con il braccio premuto contro il suo, e la osservava in silenzio da chissà quanto tempo.
- Allora – esordì, incurvando le labbra in un ghigno quando la vide alzare gli occhi in cerca dei suoi. Brillavano d’emozione. – Non mi assumeresti come menestrello personale, Levy?
La ragazza dovette deglutire prima di parlare, per riuscire a inghiottire il grumo di cotone seccato che aveva in gola. – Sì…
Quella flebile ammissione lo fece gongolare, e in un accesso di confidenza Gajeel le diede una spintarella con il braccio. Inaspettatamente, lei contraccambiò, sorridendo timidamente.
- Sì, Gajeel, ti assumerei come menestrello personale, lo ammetto.
Al ragazzo non sfuggì il fatto che anche lei aveva cominciato ad usare un tono più intimo e familiare.
- Quando vuoi posso dedicartene una, se ti va. E dal momento che ti avrò come nuova musa ispiratrice, non ti farò pagare il prezzo della canzone.
Levy arrossì sentendosi rivolgere quelle parole. Gajeel sapeva incantare, quello era fuori discussione, ma il senso profondo della sua asserzione era innegabile e la giovane si sentì importante.
Sentì che, forse, la sua stessa esistenza era importante per qualcuno. Non solo come oggetto da rendere idoneo al matrimonio per salvare una situazione economica dal tracollo finanziario.
Forse Gajeel poteva aver bisogno di lei… lei. Di lei per com’era, per la sua anima.
- Un penny per i tuoi pensieri – le propose lui, dopo un inquantificabile lasso di tempo.
Levy sorrise e, notando che Gajeel le stava davvero allungando un penny, scosse la testa e gli allontanò la mano. Lui, però, contrariamente ad ogni buon senso, gliela trattenne e la strinse nella sua. Il contatto simultaneo con la fredda moneta e la calda e morbida mano di Gajeel, insieme al vento sferzante del ponte scoperto, fecero rabbrividire Levy.
- Promettimi che un giorno mi porterai a fare… tutto. Tutto quello che mi hai raccontato. Cavalcherò all’amazzone, una gamba per lato, scalerò una montagna, nuoterò nell’oceano nuda, da un punto in cui nessuno potrà vedermi. E poi…
- Questo sarebbe un invito, Levy? – la interruppe lui, guardandola con uno strano lampo di serietà negli occhi.
Qualsiasi fosse il tipo di invito cui Gajeel si stava riferendo, Levy capì che li avrebbe accettati tutti.
- Una promessa. Non una richiesta. Una promessa. E poi, devo accertarmi che tu abbia davvero fatto le cose che mi hai raccontato, non ti pare? Sarebbe scortese da parte tua non darmene una dimostrazione.
Gajeel ghignò e scosse le spalle con noncuranza, accettando con facilità quella proposta tanto solenne quanto inauditamente priva di logica. – Quello che vuoi. Faremo quello che vuoi.
Levy sorrise ancora, annuì, e strinse la mano del ragazzo, sapendo che non aveva nessun senso ciò che stava facendo. Però non le importava. La sua vita non aveva avuto proprio alcun senso fino a quel momento, per lo meno non per lei. Che male ci sarebbe stato a fare, per una volta nella sua vita, una cosa corretta per lei e illogica per altri? Era la sua vita, ne aveva a disposizione solo una.
Non aveva alcuna intenzione di buttarla alle ortiche. Nemmeno per sua madre.
- Ma guarda che ore sono! – esclamò quando uno chaperon di guardia sul ponte annunciò ai passeggeri di prima classe che era quasi giunta l’ora di cena. – Devo andare a prepararmi e… anche tu devi, Gajeel.
Levy gli restituì il blocco delle canzoni scritte dal cantautore e riacquistò l’aria da nobildonna che indossava come uno scomodo vestito.
– Sai già dove dirigerti per l’incontro di questa sera? – domandò alzandosi e rassettandosi la gonna.
Gajeel la guardò dal basso, perso per un attimo nei giochi di luce che il sole calante intesseva nella sua chioma cerulea scompigliata dal vento. Levy era una creatura selvaggia, ogni cosa, ogni piccolo dettaglio in lei lo urlava. Un orlo della gonna mal piegato, i capelli ribelli nonostante le elaborate acconciature, gli occhi guizzanti e dinamici, bramosi di fare, la cintura di gioielli cascante o il cordoncino della collana in bella vista sulla gola invece che dietro al collo.
- Lo so, Levy. Vai a prepararti, non vorrei mai che ti scambiassero per una passeggera di terza classe. Ne hai tutta l’aria.
Lei gli lanciò un’occhiataccia prima di aprirsi in una risata sincera e spensierata.
- Ci vediamo presto?
E sembrava una supplica.
Gajeel annuì, serio e impassibile, e si alzò sovrastandola.
- Ci vediamo presto.
Ed era una promessa.
 
- Gajeel fermati ti prego, mi duole la pancia dalle troppe risa – implorò Levy dopo l’ennesimo giro di ballo senza senso o ritmo in cui il ragazzo l’aveva trascinata.
- Mi duole la pancia – la scimmiottò il ragazzo, ridacchiando. – Ma sentila, Lily, questa nobiletta che vuole parlare forbito.
Gajeel e Lily, un armadio di uomo di carnagione scura che l’aveva paralizzata dalla paura a prima vista, scoppiarono a ridere, facendo infuriare Levy.
La ragazza smise di ridere e gonfiò le guance in un gesto indispettito. – E come dovrei dire, di grazia?
- Che ti stai sganasciando, scompisciando, pisciando addosso dal ridere – la corresse Gajeel passandole un braccio attorno alle spalle, facendo ridere anche gli altri compagni di camerata al loro fianco.
Levy si unì alla risata e inspirò a pieni polmoni quell’aria pregna di legno scadente, alcol e fumo che le dava alla testa. In modo del tutto positivo.
La cena si era trascinata tranquillamente e senza intoppi, almeno finché sua mamma non aveva deciso di umiliare Gajeel di fronte a tutto il tavolo di uomini e donne influenti.
Il ragazzo era riuscito a rimediare un completo elegante da un’amica di Levy, una signora imponente dell’alta borghesia che si era arricchita con il commercio del pesce e ora con i suoi soldi faceva invidia anche agli storici nobili che sedevano a tavola come se quel posto fosse loro dovuto dal retaggio del loro sangue da ereditieri. Una goccia del loro sangue non valeva proprio nulla in confronto alla bontà e alla schiettezza di quella buona donna. Zeref non aveva nemmeno riconosciuto Gajeel quando, vestito di tutto punto e atteggiato da riccone, l’aveva salutato con un cenno della testa.
Interdetto, Zeref aveva risposto stoicamente al saluto ed era passato avanti, sottobraccio con la suocera, la madre di Levy dall’espressione arcigna.
Poi era arrivata lei, il suo angelo dai capelli blu in un vestito rosso attillato, che la rendeva ancora più slanciata e attraente.
Gajeel sarebbe rimasto a guardarla per ore, perso in quegli occhi ambrati, se lei non avesse riso per poi trascinarlo via sottobraccio. Il ragazzo non aveva fatto altro che osservarla per tutta la serata, mentre lei lo aiutava a distanza a destreggiarsi tra tutte quelle posate inutili e quei piatti dalle porzioni ridicolmente minuscole che probabilmente valevano più di quanto avrebbe guadagnato in una vita intera.
Nessuno comunque si era scomposto o era sembrato schifato quando la Sig.ra McGarden aveva messo in evidenza la sua posizione sociale relativamente bassa. Gajeel incuteva timore e rispetto a causa del suo aspetto così rude e severo, ma al tempo stesso sembrava riuscire benissimo a passare per un affiliato al loro mondo grazie alla conoscenza accumulata come giramondo.
A fine serata si era congedato, non prima di aver fatto avere a Levy un invito ufficiale, vergato in una rapida e frugale calligrafia, ai bassifondi di quella nave da sogno.
- Le feste di terza classe sono decisamente più… briose di quelle di prima classe! – aveva dovuto ammettere quando Gajeel, presala sottobraccio, l’aveva scortata in gran segreto nel salone scarno e triviale.
La musica, suonata da un gruppetto sparuto di musicisti improvvisati, era incalzante e riempiva ogni angolo del piccolo locale. La birra da due soldi scorreva a fiumi, colava per terra e si mescolava al sudore degli uomini e delle donne che, spesso sporchi e vestiti con semplici canotte da lavoro, bevevano, ridevano, mangiavano e ballavano.
Gajeel non era sembrato a disagio quando Levy aveva strabuzzato gli occhi alla vista di quella baldoria senza ordine. L’aveva accolta come una di loro e l’aveva fatta sentire a suo agio quanto lei aveva fatto sentire lui al suo posto, durante la cena. Pantera Liliano, l’amico di viaggio di lunga data di Gajeel, di origini italiane, era stato la prima conoscenza che Levy aveva fatto.
- Se sorpassi indenne questa, il resto delle nostre avventure sarà una passeggiata – le aveva sussurrato Gajeel quando si erano avvicinati ad un muro umano.
Un uomo con cortissimi capelli neri come la notte e occhi dello stesso colore scuro, di cui il sinistro solcato da una chiara cicatrice a mezza luna, li aveva osservati con sguardo arcigno. Più di quello di Gajeel. Era un tipo abbronzato, muscoloso, rispettabile e… gentile.
- Così è lei la donzella di cui non fai altro che parlare. A causa sua mi sta assillando, signorina, glielo confesso. Ma sono lieto di poter fare la sua conoscenza – le aveva detto, sostituendo il cipiglio e la netta riga affilata della bocca con un sorriso caloroso e una poderosa stretta di mano.
La ragazza, vinta la paura, aveva riso notando un leggero rossore sulle gote di Gajeel, che aveva spintonato l’amico scherzosamente.
- Piantala di parlare come un fesso dell’alta società.
- Sto solo cercando di far sentire Miss McGarden a suo agio. Le sto mostrando che non tutti i passeggeri di terza classe sono maleducati e astiosi come te.
Levy era scoppiata a ridere e, afferrata una birra trasportata su un vassoio improvvisato da un passeggero, aveva bevuto più metà pinta in un sorso. Sotto allo sguardo esterrefatto dei due uomini, si era asciugata la bocca con il dorso della mano e poco ci era mancato che ruttasse sonoramente.
- Chiamami Levy, Liliano.
- Chiamami Lily, Levy.
La ragazza era poi stata seppellita in un abbraccio da orso da parte di quel gioviale e cordiale uomo che non faceva altro che far volontariamente ingelosire Gajeel, costringendolo a rapirla per allontanarla da lui.
Avevano ballato, riso, bevuto, e persino quando si erano stretti l’uno all’altra per via del ballo o della calca, Levy si era sentita a casa, non a disagio.
Nel giro di poche ore aveva capito come il calore umano stesso possa essere considerato una dimora, un luogo a cui tornare, e aveva realizzato che per lei Gajeel avrebbe sempre significato più di un passeggero che, in nave, le aveva salvato la vita. Avrebbe sempre significato libertà.
Libertà e amore. Libertà di amare e di vivere.
Libertà di essere se stessa.
Quando tornò al presente, Levy sentì il braccio di Gajeel sulle sue spalle in ogni contatto della loro pelle. Si perse la battuta di Lily, occupata com’era a congetturare su come sarebbe stato poterlo toccare ancora di più, ma rise lo stesso, imitata da Gajeel.
- Sarà meglio che ti riporti in cabina ora, Levy. Non vorrei che Zeref ti desse per dispersa e mandasse qualche guardia del corpo extrapagata a cercarti.
Il volto di Levy si adombrò all’istante sentendo nominare il suo fidanzato. Probabilmente Zeref la stava attendendo in camera per comportarsi con lei come avrebbe dovuto fare solo un uomo sposato con la propria moglie. Ma quelle pratiche prive d’amore rientravano integralmente nel pacchetto prematrimoniale per accaparrarsi i soldi del suo fidanzato.
No, non sarebbe andata in nessun’altra cabina ad eccezione della sua, quella notte. Era libera, seppur per poco.
- Non serve che mi accompagni, Gajeel. Potresti cacciarti nei guai. Ti ringrazio per la serata, non mi sono mai divertita così tanto, te lo assicuro. E grazie per tutto, Lily, ti assumerei come chaperon personale se non sapessi che uno spirito come il tuo non può essere incatenato.
- Per te farei un’eccezione con tutto il cuore, mia cara Levy. E, ti prego, sii meno amabile, o finirai per spezzare moltissimi altri cuori oltre a quello del mio amico qui presente.
Gajeel ringhiò e gli si avvicinò con tutta l’intenzione di scatenare una rissa, ma Levy rise e lo interruppe. – Non è colpa mia Lily, è Cupido che scocca le sue frecce in modo del tutto casuale e spesso bastardo.
- Ci vediamo domani? – le chiese al volo Gajeel, fermandola per il polso.
Levy tentennò, ma non ebbe alcun dubbio quando gli occhi del ragazzo si incatenarono ai suoi nel più dolce e desideroso dei modi.
- Certo. A domani. A domani…
La sua fuga si portò via l’eco di quelle parole in mezzo al marasma di corpi, musica e luci soffuse.
Aveva fatto troppe promesse quel giorno, e altrettante ne aveva pretese.
Sperava solo che quell’illusione non svanisse tanto presto da lasciarla inerte nel suo oscuro alito di esistenza.
 
 
- Gajeel, smettila, non è opportuno ciò che stiamo facendo.
- Stiamo parlando, Levy, solo parlando! – sibilò lui, irritato.
Approfittando di un momento di distrazione di Zeref, il giorno dopo, Gajeel aveva incantonato Levy in un angolo e la stava occultando alla vista con il suo corpo. La posizione era quanto di più equivoco potesse esserci, ma loro si stavano effettivamente solo sfiorando.
Era stato allora che Levy l’aveva spinto via, intimandogli di non farsi più vedere.
- Non possiamo parlare. Io sono fidanzata e tu sei un passeggero di terza classe. Capisco che quest’avventura con me possa dare una scintilla di eccitazione alla tua vita, ma…
Gajeel rise con cattiveria. – Alla mia vita? Levy, quella che ha vissuto per la prima volta, ieri sera, sei tu, non io. E quest’avventura, come la definisci tu, non dà un tocco d’eccitazione alla mia vita solo perché tu sei una riccona le cui scarpe più scadenti valgono più del mio patrimonio di trent’anni, ma perché tu sei tu.
Gajeel lasciò che le sue parole si sedimentassero nel suo cervello, in modo che non le scordasse mai.
In modo che non scordasse mai quanto lei, in quanto Levy, fosse speciale. Non per i suoi soldi.
Le prese la mano e intrecciò le dita alle sue, non come il giorno prima, quando le aveva chiuso la mano nella sua mentre lei studiava le sue canzoni. In modo disperato, facendole capire che ora che l’aveva vicina non l’avrebbe mai più lasciata andare.
- Se fossi stata più povera di me, la luce che hai negli occhi non sarebbe stata diversa. Ed è quella luce che mi calamita come una falena di notte. Non lasciare che loro te la spengano, che la soffochino, Levy. Non lasciarglielo fare, o la ragazza di cui mi sono innamorato morirà sul ponte di questa nave senza mai aver vissuto.
A Levy si bloccò il respiro. Non aveva nemmeno la forza per stringere i denti e dimostrare che si sbagliava, perché mentire richiede forza, una forza che lei in quel momento non aveva.
Sentiva ancora la mano rude di Zeref sul viso, da quella mattina. Le mani di sua madre che le stringevano con disgusto e delusione il corpetto, fin quasi a farle male.
Lei non apparteneva al mondo di Gajeel. Poteva fingere per una notte, ma nessuno gliene avrebbe perdonata una seconda. Doveva tornare alla realtà e recitare il ruolo per il quale era nata.
- Devo andare, lasciami – gli intimò in un soffio.
- Promettimi che starai bene – la implorò lui, afferrandole il polso quando lei riuscì a liberare la mano dalla sua stretta.
- Non sono affari che…
- Promettimi che starai bene! – ringhiò.
La disperazione con cui le scavava l’anima le impedì di avere paura. La sua era una rabbia diversa da quella di Zeref. La sua era una rabbia che nasce dall’amore, non dall’arroganza, e quel tipo livore non può mai far male.
- Non sono così sciocca da fare promesse che non posso mantenere – gli confidò con le lacrime agli occhi.
- Allora permettimi di mantenere le mie!
- Lo hai fatto. Ieri sera mi hai fatta vivere. Ora lasciami andare, Gajeel. Sopravvivrò.
Senza attendere una risposta, si liberò dalla sua stretta e si rifugiò in un salone a cui a lui era precluso l’accesso.
Ci vollero diversi minuti perché si rendesse conto che quella storia era realmente finita, o forse non era mai iniziata.
Scuotendo la testa, si incamminò dalla parte opposta, con l’impressione di avere un macigno di piombo al posto del cuore.
 
Il ruggito del vento lo aiutava a non pensare.
Quel tardo pomeriggio era per lui l’unico conforto di tutta la giornata. Era rimasto fermo per ore sul parapetto più distante della nave e gli sembrava che i suoi arti si fossero fossilizzati fino a diventare cavi d’acciaio appartenenti alla nave stessa. Ma poco gli importava.
Non poteva essersi innamorato di quella ragazza a tal punto. Non poteva aver perso la testa tanto da pensare che la sua vita sarebbe stata vuota da quel momento in poi. Doveva dimenticarla e andare avanti, basta. Il fatto che lei avrebbe fatto lo stesso, magari con un po’ di brio in più, era l’unica cosa che lo aiutava a concentrarsi sul suo futuro.
Levy aveva rimuginato sugli stessi pensieri tutto il giorno, sforzandosi di vivere mentre partecipava ai pettegolezzi in voga nella prima classe. Ma il tè era scialbo e lasciava un cattivo gusto in bocca, le chiacchiere delle signore del suo rango le parevano solo volgari parole pronunciate solo per insozzare l’aria con del fiato pesante e tutto quel lusso sembrava solo una pacchianeria umiliante.
Non avrebbe trascorso così la sua vita. Non poteva.
Ciò che aveva ricevuto era un dono e il semplice fatto che non avesse chiesto lei di nascere le dava il diritto di scegliersi la sua strada.
Impiegò quasi un’ora per trovarlo, e quando ci riuscì tirò un sospiro di sollievo, sorrise e si sentì di nuovo completa. Era come se una fiamma prima sopita si fosse di nuovo accesa grazie alla vicinanza di Gajeel.
- Ciao… - salutò sommessamente, parlandogli alle spalle.
Levy pensava che il vento impetuoso avrebbe portato via le sue parole come una manciata di foglie secche, ma il ragazzo che teneva in mano l’orizzonte sussultò e si voltò lentamente, in volto quell’espressione seria che Levy aveva imparato a conoscere in soli due giorni.
In mano reggeva il quadernino delle canzoni e una matita, ma incastrò entrambe nel retro dei pantaloni quando si accorse di chi fosse la sua interlocutrice.
- Scrivevi? Posso capire come mai questo posto ti dia l’ispirazione – azzardò Levy, avvicinandosi a lui e appoggiando gli avambracci sul parapetto.
Avrebbe dovuto sentirsi a disagio, per mille validi e disparati motivi, ma la vicinanza e la mole imponente di Gajeel, che la sovrastava anche troppo, le davano solo un familiare senso di sicurezza e serenità.
- Come mai qui? – esordì lui, ignorando i suoi commenti.
Il suo tono era piatto, ma Levy non riuscì a percepire alcuna traccia di rancore, irritazione o astio. Era solo il modo del ragazzo di esprimere curiosità.
- Mi sentivo soffocare e… avevo bisogno di un po’ d’aria.
- Oppure ti sentivi morire e avevi bisogno di uscire per vivere un po’.
Levy sorrise con tristezza a quell’asserzione, e annuì.
Restarono in silenzio per un po’, a scrutare l’orizzonte aranciato che si specchiava nelle acque limpide dell’oceano, persi nei pensieri che in silenzio condividevano, anche se in modi diversi.
Spalla contro spalla, non sentivano la benché minima traccia di freddo e per loro il tempo sembrava essersi cristallizzato in quell’attimo eterno.
- Vieni qua – la chiamò Gajeel ad un tratto, rompendo l’incantesimo. Dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno nei paraggi, cosa alquanto possibile visto la bassa temperatura, le prese la mano e, scostandosi dal parapetto che terminava in una punta orientata verso il sole al tramonto, fece mettere Levy davanti a sé.
- Chiudi gli occhi – le sussurrò, il corpo premuto contro la sua schiena e le labbra a sfiorarle l’orecchio.
Il brivido che percorse Levy da capo a piedi non aveva nulla a che fare con il freddo.
La ragazza obbedì e annuì per comunicargli che poteva procedere.
- Metti il piede sul primo piolo. Piano… così, brava. Non sbirciare.
Levy ridacchiò mentre eseguiva i comandi, salendo lentamente sul parapetto, fino ad avere i piedi totalmente staccati da terra, sul secondo piolo. La mano di Gajeel sopra la sua le infondeva stabilità e la solidità del suo corpo contro il suo le dava coraggio.
- Ora dammi le mani…
Lentamente, dopo essersi accertata di avere Gajeel immobile dietro di sé, Levy staccò le mani dal parapetto, sentendosi ondeggiare a causa del vento. Ma subito le mani forti del ragazzo furono sulle sue, le dita intrecciate come corde strette con il nodo più duraturo.
Levy sentì che Gajeel si sistemava alle sue spalle, prima di salire anche lui sul parapetto. Erano entrambi staccati dal pavimento del ponte.
- Okay, ora… apri gli occhi… - le sussurrò gentilmente lui, direttamente all’orecchio.
La ragazza sbatté le palpebre alcune volte, per riuscire a focalizzare la vista e rendersi conto di ciò cui Gajeel la stava facendo assistere.
Levy stava fluttuando sull’orizzonte, senza catene né vincoli, libera e leggera con solo il corpo di Gajeel a ricordarle dove fosse. Da così in alto, esposta al vento ruggente che le faceva lacrimare gli occhi, Levy si sentiva invincibile, senza tempo, senza limiti. Davanti a lei, solo l’orizzonte. Ai suoi lati, solo l’orizzonte.
E dietro di lei, solo Gajeel, che le aveva dato la libertà dell’anima.
- Sto volando! – disse con voce estasiata ma fioca. – Sto volando, Gajeel! Sto volando! – esclamò poi, ridendo e sentendo che le lacrime di gioia si mescolavano a quelle causate dal freddo.
Gajeel ridacchiò e, a conferma della sua esclamazione, si mise ad ululare la sua gioia.
Alla fine risero entrambi, l’uno stretta all’altra, finché Levy, con le braccia allargate come ali pronte a spiccare il volo, sospirò. Abbassò gli arti, portando con sé quelli di Gajeel, le cui mani erano ancora incatenate alle sue, e li intrecciò sul suo grembo in una specie di doppio abbraccio: il suo nei confronti di se stessa, e quello di Gajeel.
Voltando il viso, Levy non scorse più l’acqua che veniva placidamente trafitta dai rotori di quella titanica nave, ma gli occhi rossi di Gajeel che la squarciavano dentro allo stesso modo, sbriciolando in frammenti simili a polvere quella corazza di nobiltà che aveva indossato come un corpetto, per poi resuscitare quelle briciole in una nuova vita.
Una fenice. Ecco in cosa l’aveva trasformata Gajeel.
Senza pensare, Levy fece l’unica cosa che sentiva giusta in quel momento. L’unica cosa giusta della sua vita: si sporse e baciò Gajeel come se fosse la cosa più naturale del mondo, come due amanti che si trovano dopo lungo tempo, come due amici intimi che, a distanza di anni, quando si rivedono riprendono esattamente da dove avevano interrotto la loro relazione, senza vergogna o imbarazzo, ma con semplicità e naturalezza.
Gajeel lasciò le sue mani per stringerle la vita, in un tentativo di stabilizzare entrambi in quella posizione precaria e di spingere ancora di più la giovane contro di sé. Levy alzò un braccio e afferrò dolcemente la chioma del ragazzo, affondando le mani nei suoi capelli per cercare un contatto maggiore, più profondo, più intimo.
Si baciarono per attimi interminabili, sentendosi come un neonato che respira per la prima volta, come un affamato a cui viene offerto cibo, un assetato di fronte ad acqua fresca o come un peccatore cui viene assicurata la redenzione.
Erano vivi, resi tali grazie all’amore.
Levy pianse, ringraziando il cielo per quell’immensa fortuna, l’unica della sua vita, e ringraziando Gajeel per non aver rinunciato a lei. Ringraziandolo per averle offerto una possibilità, una vita.
Sorrise contro le sue labbra, sentendolo sorridere a sua volta, capendo che, se fosse crollato il mondo in quel secondo, se fosse morta in quel preciso istante, la sua vita avrebbe avuto senso solo per quel momento.
Quell’istante fugace che, mediante il contatto di due anime sole, aveva ridato il colore alla sua nera esistenza.
 
- Di qua, di qua! – la incitò Gajeel, trascinandosi dietro una ridente anche se spaventata Levy.
La ragazza l’aveva portato nella sua cabina nel tentativo di farsi dedicare una canzone d’amore senza tempo, senza confini e senza limiti subito dopo il bacio. Da quel momento, non si erano mai lasciati la mano.
Levy non si era mai divertita tanto, e mai emozionata tanto. Disturbare Gajeel mentre componeva un “pezzo d’arte udibile”, come lui aveva definito la sua nuova poesia in musica, era un vero spasso. Vederlo irritarsi e perdere la pazienza, per poi riguadagnarla e ridacchiare quando i suoi occhi incontravano il volto spensierato e acceso di Levy, era una cosa esilarante.
Alla fine, per riuscire a lavorare, l’aveva presa per il polso, se l’era tirata addosso e l’aveva baciata con un trasporto da far invidia ai motori nuovi di zecca del Titanic, che non avrebbero avuto la foga e la forza di Gajeel nemmeno se spinti al loro massimo, tutti insieme. Leggermente stupita, quando Levy aveva iniziato a rispondere al bacio Gajeel si era scostato, si era asciugato le labbra e le aveva ammiccato con sguardo serio.
- Non ne avrai altri finché non sarà finita la canzone – l’aveva informata, tornando a lavorare.
Levy, basita e offesa, si era allontana leggermente alla ricerca del suo battito cardiaco e del suo respiro, realizzando lentamente le sue parole.
- E… quanto ti manca…? – aveva chiesto con nonchalance, terrorizzata all’idea di dover restare troppo tempo lontano da quella dipendenza che erano le labbra calde e avvolgenti di Gajeel.
Il ragazzo l’aveva ignorata per alcuni secondi che alla ragazza erano parsi un’eternità, poi aveva ghignato con soddisfazione e, gettando via il libretto con le sue canzoni, si era ripreso Levy e aveva continuato da dove aveva bruscamente interrotto il bacio.
Diverso tempo dopo Gajeel aveva iniziato a mettere in musica la canzone, uno spettacolo unico al mondo cui Levy non avrebbe mai pensato di poter assistere. Il modo in cui corrugava la fronte quando un accordo saltava, arricciava le labbra quando non era soddisfatto o annuiva con convinzione mentre prendeva appunti direttamente di fianco e sotto al foglio della canzone le fecero capire quanto fosse illogico definirsi innamorata di un uomo dopo a mala pena due giorni di conoscenza.
E le confermarono quanto profondamente lo fosse.
Levy non sentì mai quella canzone, però, perché un vociare infastidito li aveva avvertiti dell’arrivo di ospiti indesiderati. Veloce come il vento, Gajeel aveva rimesso a posto lo strumento musicale allungatogli da Levy, aveva nascosto nelle pieghe dei pantaloni il suo quadernino e aveva trascinato via la ragazza.
Gli scagnozzi di Zeref però non erano facili da fregare, così come Zeref stesso. Senza nemmeno rendersene conto avevano finito per giocare al gatto e al topo per tutta la nave, i due piccioncini e le guardie del corpo decisamente troppo pagate.
- Corri Levy, corri! – la supplicò di nuovo Gajeel, ridendo per allentare la tensione.
Arrivati all’ennesimo svincolo, il ragazzo si fermò, facendo sbattere Levy contro di sé. I loro inseguitori continuavano a guadagnare terreno a causa della gonna della ragazza, ampia ma decisamente non adatta alle corse. Rallentata da quel fastidio, la giovane faceva fatica a correre, e il suo fiatone ne era la prova.
- Gajeel cosa… così ci prenderanno – gli disse, in affanno.
In risposta, il ragazzo le diede la schiena e si abbassò un poco, allungando le braccia dietro di sé, verso di lei. – Sali – comandò.
Di nuovo, Levy obbedì senza fiatare, mossa dal suo corpo più che dalla sua volontà, dall’istinto più che dalla logica, proprio com’era accaduto sul ponte della nave.
Appena Gajeel le ebbe afferrato saldamente le gambe, corse via a velocità doppia rispetto a prima, senza sentire la fatica e senza quasi rendersi conto del peso di Levy contro di sé.
La ragazza, prima impaurita e poi stupefatta, iniziò a ridere per quella situazione assurda e gli indicò una porta che si stava chiudendo in quel momento e che conduceva alla sala macchine. Gajeel ci si fiondò come se Levy avesse dato il comando direttamente ai suoi muscoli.
Diversi minuti dopo, esausti e accaldati, i due scoppiarono a ridere e si infilarono nella stiva della nave, diversi gradi più fredda della sala macchine.
- Dici che qui ci troveranno? – indagò Levy osservando quell’ambiente bianco dove bagagli e vetture sembravano accatastati alla rinfusa.
Gajeel grugnì e scosse la testa. – Dubito, non ci hanno visto svoltare.
Levy annuì in silenzio e mollò la sua mano, dirigendosi verso una piccola macchina nuova, una di quelle che l’avevano portata fino all’imbarco.
Sorridendo felice, ne aprì la portiera e salì sul retro mentre Gajeel, in silenzio, si immedesimava nel ruolo di accompagnatore e saliva davanti.
- Dove la porto, signorina? – le chiese con voce ruvida, non proprio tipica dei tassisti di professione.
Levy abbassò il vetro che isolava la carrozza posteriore e si sporse verso Gajeel, appoggiando il mento sulla sua spalla. Finse di riflettere sulla risposta, e poi gli sussurrò: - Su una stella.
Ridendo, gli infilò le braccia sotto le ascelle e cercò di tirarlo indietro, dentro la carrozza con sé, fallendo miseramente a causa della differenza di peso.
Gajeel non ridacchiò come lei si era aspettata, ma si liberò dal suo abbraccio e si voltò autonomamente per raggiungerla, scavalcando il vetro che poi chiuse alle sue spalle.
L’ambiente era diventato improvvisamente stretto a causa della mole del ragazzo, rendendo difficile compiere anche i più semplici movimenti. A nessuno dei due però risultò difficile abbracciarsi e perdersi in un bacio dai mille sentimenti, lasciandosi affondare nei morbidi sedili della piccola vettura.
Levy chiuse gli occhi e desiderò che quell’attimo durasse per sempre. Dal momento che non era possibile, si ripromise di ricordarlo in eterno, secondo per secondo, come in un video scandito fotogramma dopo fotogramma.
- Non posso portarti su una stella, Levy – le rivelò Gajeel di punto in bianco, scendendo a baciarle il collo e stringendola fin quasi a farle male, come un salvagente in mezzo all’oceano.
Levy si scostò e, lentamente, iniziò a sciogliere i complicati nodi e intrecci di fiocchi che legavano il suo vestito. Si interruppe solo per togliersi le scarpe e poi, con gli occhi umidi, si liberò di ogni piccolo pezzo di stoffa che le copriva il corpo, insensibile al freddo, immune al tempo e inconsapevole dello spazio.
Gajeel bevve ogni suo movimento con il respiro bloccato, le palpebre severamente alzate e il cuore che sembrava volesse uscire il petto. Quando lei rimase nuda di fronte a lui, mostrandosi anima e corpo per ciò che era, lui continuò a scrutare i suoi occhi per paura di rompere quell’incantesimo.
Levy arrossì leggermente a causa del suo sguardo penetrante, ma non provò la benché minima vergogna quando salì su di lui e lo abbracciò, nascondendo il viso nel suo collo.
- Sei tu la mia stella, Gajeel. E ora, portami da te.
Fecero l’amore in silenzio, lentamente, mentre disperazione, amore, urgenza, desiderio, dolcezza, irruenza ed estasi si mescolavano insieme in un connubio che avrebbe fatto perdere i sensi e la cognizione della realtà a chiunque. Ma Levy assaporò ogni istante, senza perdere il minimo contatto dei loro corpi uniti, senza mai rimpiangere un gesto.
In quel momento, mentre amava Gajeel, amò se stessa, la sua insignificante vita e la sua esistenza. Amò quei diciassette anni di costrizioni e tormenti, perché l’avevano condotta a lui, l’uomo che le aveva dato la vita.
L’uomo che aveva dato un senso al suo passato. Al suo presente. E che le aveva offerto un futuro.
 
A distanza di ottant’anni, Levy ricordava ancora ogni particolare, ogni dettaglio di quelle brevi e intense giornate passate sul Titanic.
Con l’età i ricordi sbiadiscono, e le cose che giuriamo di non scordare mai sono in realtà quelle che, amaramente, ci abbandonano per prime.
Ma i ricordi di Gajeel, quei pochi che aveva, erano intatti, serbati nel suo cuore invece che nella sua memoria, e Levy attingeva ogni giorno a quella fonte d’amore che le aveva dato la forza giorno dopo giorno.
Gajeel era morto poche ore dopo la loro unione. Poche ore dopo essersi promessi che sarebbero fuggiti insieme, che avrebbero avuto una vita insieme e che sarebbero stati felici, in povertà e in malattia, ma insieme.
Gajeel non aveva potuto tener fede a quella promessa, ma Levy lo aveva fatto per entrambi, ricordandosi di lui in ogni gesto, ogni mattina al risveglio e ogni sera prima di dormire, ogni volta che qualcuno la chiamava Sig.ra Redfox invece che Sig.ra McGarden.
Aveva vissuto per entrambi, nel miglior modo possibile, attraverso gioie e difficoltà, tristezza e libertà.
Ora, con il vento che le sferzava i capelli bianchi e sottili, sotto il chiaro di luna che a distanza di ottant’anni era esattamente come quello di quella notte di molti anni prima, Levy capì che era finalmente giunto il momento di riunirsi a lui.
In silenzio, come un fantasma che dice addio al mondo, tornò nella cuccetta della nave che l’aveva imbarcata, alla veneranda età di novantasette anni, per raccogliere informazioni sul Titanic. Aveva condiviso per la prima volta in vita sua le memorie di ciò che era successo, le memorie dell’uomo che aveva amato e che le aveva insegnato ad amare, le aveva rivissute, ed aveva capito che era giunto il momento.
Sistemandosi sotto le coltri gelide come la stiva della nave, quella volta in cui si era offerta a Gajeel, Levy chiuse gli occhi per l’ultima volta. Morì sorridendo, in silenzio, senza dolore, con il pieno appagamento che deriva dal vivere una vita senza rimpianti. Una vita dura che tempra l’animo e insegna a godere delle cose belle.
Il suo ultimo pensiero andò a Gajeel, e il suo volto si materializzò nella sua vecchia mente come in una foto. I suoi occhi rossi le fermarono il cuore come avevano fatto in passato, e nel suo ultimo respiro Levy lo vide allungare una mano verso di lei.
E lei la strinse senza indugio.
 
- Sei arrivata, finalmente.
- Scusa se ci ho messo tanto.
Il ragazzo scosse la testa. – Ci hai messo il giusto. Ne è valsa la pena?
Levy sorrise e le lacrime le bagnarono le labbra, un riflesso di quelle che solcavano le guance di Gajeel.
- Sì. Ne è valsa la pena.




MaxB
Come per Mulan, vi prego di non uccidermi. Ho tantissime cose da dire e spero di essere breve.
Questo capitolo è uno di quei progetti che mi sorprendono. Mi era stato suggerito in una recensione da Pink Sweet (ciao cara :3) e l'idea mi ha subito colpita al cu0re.
Per confermarmi che era proprio un buon esperimento, nel giro di una settimana mi sono beccata due volte Titanic su Sky, per pure caso, ed ecco perché i dialoghi solo pressoché identici.
Era un capitolo che mi prendeva, che sentivo, ma che non decollava, testimoni le due settimane di assoluta distanza dal PC per mancanza di tempo o paura di questo piccolo mostriciattolo. Perché le storie mordono. E infine, più di metà capitolo scritto in due sere, tra ieri e domenica, complici i feels per la fine di FT, l'amore di Gajeel e Levy, una buona stella e il desiderio ardente di tornare a condividere.
Non mi piace dirlo e non ne vado fiera, ma io sono orgogliosa di questo capitolo. E' l'unica mia creazione ad avermi commossa mentre la scrivevo.
Per questo motivo ho dovuto includere lo strazio finale, di Levy che muore che in qualche modo torna da Gajeel, perché far finire la storia dopo la loro unione non mi bastava. E ho pianto ancora prima di scrivere le ultime righe.
Avevo anche pensato di farlo finire bene, di dare un futuro a questi due, ma non sarebbe stato rispettoso nei confronti di questo splendido film, che ho imparato ad apprezzare sul serio solo da poco.
Concludo dicendo che spero che vi sia piaciuto questo piccolo lavoro. A me è piaciuto scriverlo.
FT è finito e non sono ancora pronta per parlarne, ma di una cosa sono certa: è finito il manga, ma non le storie che esso reca con sé.
Alla prossima (vicinissima) avventura, nakama,
MaxB
  
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