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Autore: edoardo811    26/07/2017    1 recensioni
Quello che sembrava un tranquillo viaggio di ritorno alla propria terra natale si trasformerà in un autentico inferno per i Titans e i loro nuovi acquisti.
Dopo la distruzione del Parco Marktar scopriranno ben presto che non a tutti le loro scorribande nello spazio sono andate giù.
Tra sorprese belle e brutte, litigi, soggiorni poco gradevoli su pianeti per loro inospitali e l’entrata in scena di un nuovo terribile nemico e la sua armata di sgherri, scopriranno presto che tutti i problemi incontrati precedentemente non sono altro che la punta dell’iceberg in un oceano di criminalità e violenza.
Caldamente consigliata la lettura di Hearts of Stars prima di questa.
[RobStar/RedFire/RaeTerra] YURI
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The Good Left Undone

VII

LA SALVATRICE

 

 

Alla fine quel paese non si rivelò molto grosso. Rispetto a Jump City o alla metropoli di Tabora, sembrava una formica. Non avrebbe contenuto neanche un decimo degli abitanti di quelle due città. La strada che stavano percorrendo doveva essere la via maestra, perché tutte le sue derivanti erano molto più corte, piccole e strette e quasi sempre non conducevano a niente se non a qualche altro complesso di edifici, vicoli ciechi o campi. Presto poterono scorgere la fine di quel ciottolato: arrivava fino ad un grosso cancello chiuso, dietro il quale cominciava una ripida scalinata di marmo che conduceva in cima ad una collina, oltre la quale era impossibile scorgere altro, se non proprio la coltre di fumo verso la quale si stavano dirigendo. Si fermarono lì, anche perché non avevano molti altri posti dove andare. Il cancello aveva alle proprie estremità due spesse mura, che circondavano tutta la base della collina. Non sarebbe stato un problema, per loro, scavalcarle, ma non lo fecero. Rimasero immobili, ad osservare la spessa barriera di ferro e cemento.

«Chiunque stiamo cercando, è oltre questo cancello» osservò Robin appoggiandoci sopra una mano.

«Dunque che facciamo?» domandò Beast Boy.

Il leader si strinse nelle spalle. «Non credo abbiamo molte alternative. Scavalchiam-»

Si interruppe di colpo, quando lui, come tutti gli altri, udì diversi rumori, simili a quelli di porte e finestre che sbattevano, seguiti poi da uno scalpiccio loro molto familiare. I rumori si accavallarono tra loro, giungendo dagli edifici come un eco fastidioso. I ragazzi si voltarono tutti quanti sorpresi, per poi strabuzzare gli occhi. Dalle vie secondarie delle città, quelle che fino a poco prima avevano ritenuto deserte e poco importanti, si riversarono nella strada principale decine e decine di individui, che cominciarono poi a camminare verso di loro con passo spedito e pesante. Gli abitanti di quel luogo. E da come si dirigevano verso i ragazzi, sembrava sapessero perfettamente che loro fossero clandestini.

Non appena il gruppo di eroi riuscì a vederli meglio, si sentirono ancora più sbalorditi. Era ovvio che quel pineta fosse abitato da alieni, ma quelli erano... davvero strani. Erano creature antropomorfe, non troppo grandi, tutte molto simili tra loro. Il corpo era quello di un umanoide, camminavano su due gambe, ma le somiglianze terminavano lì. Le mani erano molto simili alle zampe di un rapace, i volti erano rosa brillante, i nasi grossi e da animale, gli occhi erano gialli, le teste erano prive di capigliature dotate però di quelle che avevano le vaghe sembianze di antenne ed avevano corna ricurve girate verso il basso. Vestivano con strani abiti, simili a tuniche, però più malandate e la maggior parte di loro aveva intorno al collo collane decorate da strani cristalli azzurri, simili a pietre preziose. Tramite i tratti fisici, tra loro si potevano distinguere chiaramente donne, bambini, anziani. In testa al loro gruppo c’erano quelli che invece dovevano essere gli uomini, erano molto più grandi e robusti degli altri e tenevano in mano un grosso bastone, con incastonata nella cima un altro di quei cristalli azzurri, molto più grosso di quelli delle collane.

Arrivarono a pochi metri di distanza dai ragazzi, circa una quindicina, e li scrutarono in silenzio. Era impossibile intuire cosa stessero pensando. Robin e gli amici si ritrovarono centinaia di occhi gialli piantati addosso, e cominciarono a sentirsi davvero a disagio. Capirono presto che erano rimasti nascosti nelle case e li avevano guardati passare nel loro villaggio, per poi accerchiarli attorno al cancello. Ecco cos’era quella sensazione che Corvina aveva provato. Restava solo da capire come mai non avesse percepito le loro presenze.

I due fronti si scrutarono attentamente, senza muovere un solo muscolo, poi Robin si fece coraggio e mosse un passo avanti. «Salve, noi siamo...»

Gli alieni in testa al gruppo si misero in posizione da combattimento e puntarono al leader i loro bastoni come se fossero dei fucili, grugnendo di rabbia. «Shtilkayt!» ordinò uno di loro, con in testa un bizzarro copricapo nero.

I ragazzi non capirono cosa disse, ma da come sembrava arrabbiato, intuirono che non fosse qualcosa di gentile. Si guardarono tra loro perplessi, non avendo la più pallida idea di cosa fare, rimpiangendo tremendamente l’assenza di Mr Zurkon, poi gli alieni avanzarono verso di loro, senza smettere di puntare i bastoni e senza mutare di una virgola le loro espressioni minacciose.

Robin sollevò le mani in segno di resa, non sapendo che altro fare, e cercò ancora di ragionare con loro: «Non siamo vostri nemici, vogliamo solo...»

«Taci!» gridò di nuovo quello con il copricapo, sorprendendo tutti quanti i ragazzi. «Siete entrati abusivamente in un territorio sacro, nel nome di re Alpheus III, il sommo Orvus e gli Zoni, vi dichiaro in arresto!»

«Cosa?» domandò BB con la voce più alta di un’ottava.

Red X ringhiò, letteralmente, mentre gli strambi alieni gli accerchiavano puntando loro quegli altrettanto strani bastoni. «L’avevo detto io che atterrare su un altro pianeta era una pessima idea...»

 

***

 

Furono condotti proprio nel luogo verso il quale si stavano dirigendo. Alcuni di quegli alieni aprirono il cancello, poi vi condussero il gruppo di ragazzi, spingendoli, strattonandoli e puntellandoli con i loro strambi bastoni. Per un momento, alcuni avevano pensato di combattere e di ribellarsi a loro, ma non appena si erano accorti di come Robin avesse preferito mantenere la calma, lo avevano imitato. Anche Red X, seppur con molta riluttanza, aveva deciso di tenere le lame nella cintura e di non cavare gli occhi a quelle sottospecie di alieni capra.

«Dove ci state portando?» domandò Robin mentre cominciavano a salire la gradinata. Si accorse presto che solamente gli individui armati continuarono a scortarli, mentre tutti gli altri, i cittadini, rimasero ai piedi della scalinata, a guardarli quasi intimoriti. I bambini erano perfino nascosti dietro le proprie madri, le quali li abbracciavano protettive e fissavano i ragazzi come se fossero delle bestie pericolose.

«Silenzio!» esclamò l’alieno con il copricapo, sbattendo a terra l’estremità del bastone.

«Per favore, noi non abbiamo cattive intenzioni! La nostra nave è...» Robin cercò ancora di parlare, di far ragionare l’alieno, ma quello lo interruppe di nuovo bruscamente, puntandogli il bastone, la cui gemma cominciò ad illuminarsi di azzurro: «Ho detto di tacere!»

Il leader vide quella pietra accendersi come una lampadina ed intuì che forse era meglio obbedire. Qualunque arma fosse, quel bastone non prometteva nulla di buono. Si guardò intorno pensieroso, vide tutto il gruppo di amici camminare poco dietro di lui, accerchiato da una decina di alieni armati. Red X si guardava intorno con una smorfia nervosa stampata in faccia, sembrava un lupo ferito braccato dai cacciatori, un misto tra la rabbia e la sofferenza. Terra, Stella e BB sembravano più impauriti, mentre Cyborg, Corvina e Amalia erano più perplessi che altro. E poi c’era lui che si stava arrovellando per trovare una soluzione a quella situazione lievemente incasinata. Se solo lo avessero lasciato parlare, avrebbe spiegato chiaramente la situazione, ma quei tizi non sembravano proprio volergli dare una possibilità. E il motivo gli era stato ben chiaro fin dall’inizio: avevano paura di loro e cercavano di nasconderlo mostrando un’aria più determinata. Bastava vedere come si erano comportate le donne con i loro figli. Fecero quasi pena al ragazzo.

Stella cercò la sua mano, il leader se ne accorse quasi immediatamente, e gliela strinse. Non si guardarono, non dissero una sola parola, semplicemente rimasero così, a salire le scale e con le dita intrecciate le une nelle altre, per cercare di infondersi calore e sicurezza a vicenda. Robin giurò che qualunque cosa sarebbe successa da lì a poco, Stella non si sarebbe fatto ulteriore male. Avrebbe perfino combattuto contro quegli alieni, pur di proteggerla. Ma soprattutto, non avrebbe permesso a neanche uno dei suoi amici di venire sul serio arrestato ed imprigionato. Avrebbe prima chiarito la situazione con le buone, o lo avrebbe fatto con le cattive. Sperava caldamente che ad avverarsi fosse la prima opzione.

Finalmente i gradini terminarono e raggiunsero di nuovo la pianura. Si ritrovarono in un enorme cortile realizzato in porfido, di centinaia di metri di lunghezza per larghezza. Come le strade, anche quello sembrava essere stato realizzato con moltissima cura nella disposizione delle piastrelle, sembrava quasi un’opera d’arte su cui poter camminare. Le due estremità laterali erano delineate da due pinete lunghe quanto tutto il cortile, mentre esattamente nel centro si poteva scorgere la base di un falò ormai spento da ore, la fonte del fumo che i ragazzi stavano cercando. Pochi ramoscelli erano ancora integri nell’enorme cumulo di cenere rimasto ed erano tutti ormai secchi e abbrustoliti.

«Perché avete acceso un falò qui?» domandò di nuovo Robin, ottenendo come risposta l’ennesimo invito a tenere la bocca chiusa. Il ragazzo cominciò a spazientirsi.

Sospirò e sollevò lo sguardo, per poi notare al fondo del cortile un enorme edificio, molto più bello e fatiscente delle abitazioni verticali che avevano visto poco prima. Un enorme portone decorava la facciata, ornato poi da decine e decine di finestre, sparpagliate per il muro e su diverse torri.

«Un palazzo!» osservò Stella quasi incredula. «C’è un reale in questo villaggio!»

L’alieno con il copricapo grugnì. «È lui a governare questa piccola civiltà. E sarà lui a decidere cosa fare di voi, se imprigionarvi, esiliarvi o scaraventarvi nel Pozzo.»

«Il "Pozzo"?» domandò BB deglutendo. «Perché non sembra niente di buono?»

«Perché non è, niente di buono» replicò l’alieno, per poi sbattere di nuovo a terra il bastone. «Ma ho già detto abbastanza! Fate silenzio!»

Red X roteò gli occhi e sbuffò. «Perché non cambi un po’ repertorio, Palla di Neve?» Finì appena di parlare e si beccò una bastonata su un fianco, che gli mozzò il respiro.

I ragazzi accanto a lui gemettero sorpresi, Amalia si portò entrambe le mani di fronte alla bocca.

«Qualcun altro è in vena di battute?» domandò l’alieno che lo aveva colpito, guardando minaccioso gli amici del ragazzo in nero. Questo in testa aveva una piuma azzurra, attaccata alla protuberanza simile all’antenna. Non ricevendo risposte, annuì soddisfatto. «Bene. Seguite Galvor e tenete chiusa la bocca. Non appena vi porteremo al cospetto del nostro re potrete parlare quanto vorrete.»

Osservando X mentre si massaggiava il fianco dolorante, il gruppo di giovani supereroi, molto poco propenso a ritrovarsi nella medesima situazione, decise di obbedire.

Attraversarono il cortile e raggiunsero il portone. Qui trovarono altri due alieni armati di bastone, di guardia. Quello col copricapo, Galvor, a quanto pareva, si avvicinò a quello sulla sinistra e accennò con il capo ai terrestri e alle tamaraniane. «Dobbiamo portare gli intrusi al cospetto di Alpheus

La guardia annuì e cominciò ad aprire il portone, imitata dall’altra. Non appena terminarono, Galvor entrò nel palazzo e i ragazzi furono costretti a seguirlo.

Si ritrovarono ben presto in un’enorme stanza, con il pavimento formato da lucide piastrelle nere, muri e soffitto di marmo grigio scuro, ornati di affreschi, quadri, candelieri e oggetti decorativi di ogni genere. Uno spazioso tappeto rosso ornava la sala, conducendo dall’ingresso ad una breve scalinata formata da tre gradini. Diversi altri tappeti, più stretti, sfociavano da esso e portavano in corridoi illuminati dalla luce delle finestre aperte, il cui fondo era impossibile da vedere. Poco più sopra la scalinata si trovava un’alta ed ampia sedia di legno, imbottita con dei cuscini rossi con due grossi braccioli, un trono. Accanto ad esso, una sedia molto più piccola e grezza. A chi fosse destinata quest’ultima, era difficile da capire.

Il portone si richiuse alle loro spalle, con un tonfo che riecheggiò in tutta la sala, facendo piombare i ragazzi nella penombra e nell’aria fredda che in quella stanza regnava sovrana. Nessuno disse più una parola. Gli alieni rimasero in silenzio, così come il gruppetto di supereroi.

Robin sentì la presa della mano di Stella stringersi intorno alla sua e lui non fece altro che ricambiarla, per tentare di tranquillizzarla. In testa non aveva altro che ciò che si era prefissato poco prima, ovvero difendere Stella e i loro amici a tutti i costi. Stella soprattutto. Cominciò a far vagare lo sguardo per la sala, cercando di trovare qualcosa che potesse catturare la sua attenzione e distrarlo un po’, ma tutti quei quadri di paesaggi e alieni come le guardie che li tenevano sotto controllo non erano un granché come distrazione. Non ci mise molto a capire che tutti quegli individui raffigurati sulle tele dovevano essere i precedenti re di quel piccolo villaggio.

Un altro alieno sbucò da un corridoio laterale, accanto al trono, e proclamò con tono solenne, prima di inginocchiarsi: «Inginocchiatevi dinnanzi al nostro grande sovrano, re Alpheus III!»

Tutte le guardie obbedirono, mettendosi in ginocchio. Anche i ragazzi furono presto invitati a farlo. O meglio, obbligati. Poi dallo stesso corridoio sbucò un alieno con indosso una tunica bianca, un pesante mantello rosso che rasentava il terreno e una corona. Non era molto difficile intuire chi fosse. Robin lo osservò attentamente, con la diffidenza di un felino, mentre andava ad accomodarsi sul trono, sospirando esausto. Sembrava piuttosto anziano. Le sue corna erano molto più lunghe di quelle delle guardie, arrivavano quasi all’altezza del collo, ed aveva anche trecce di peluria sul volto.

«Ebbene, la nave grigia che è stata avvistata poche ore orsono appartiene a questi individui?» domandò con voce roca e bassa.

Galvor annuì, rimettendosi in piedi. «Sì, vostra maestà. Li abbiamo arrestati mentre attraversavano la città. Orvus solo sa quali fossero le loro intenzioni.»

«Non vogliamo farvi del male!» esclamò Robin esasperato.

«Silenzio!» tuonò Galvor. «Non osare parlare con questo tono in presenza di re Alpheus! Chiedi subito...»

Alpheus alzò una mano, interrompendolo. «Calmati Galvor. Gridare in questo modo non ci porterà da nessuna parte.» Si voltò verso di Robin, osservandolo dall’alto in tutti i sensi. «Li avete portati da me affinché io decida la loro sorte, ebbene, per farlo devo prima sapere la loro storia.» Alpheus a quanto pare sapeva già tutto. Come fosse possibile, non era dato sapere. Rivolse ai ragazzi un cenno della testa. «Mi presento. Io sono il re Alpheus III, discendente di Alpheus II, sovrano indiscusso di questa ormai piccola comunità di fongoid, la nostra razza. Parlate, dunque. Cosa vi ha portato qui, nel mio regno?»

Gli sguardi si posarono su di Robin, che finalmente poté esporre la situazione. Si schiarì la voce, poi cominciò a spiegare con tono e modi di fare che si addicevano al colloquio con un reale: «Ci perdoni per la nostra intrusione, ma non abbiamo avuto altra scelta. Poche ore fa’ la nostra nave è stata attaccata da una flotta di pirati. Siamo riusciti a fuggire da loro, ma nel farlo abbiamo esaurito il carburante e la nave è rimasta anche danneggiata.»

«Menzogne!» gridò Galvor sbattendo di nuovo il bastone, per poi voltarsi vero Alpheus. «Vostra maestà, mi sembra evidente che questi futili intrusi stiano solo cercando di...»

«Silenzio Galvor» ordinò il re, per poi rivolgersi ai ragazzi. «Continua, prego.»

Robin annuì, ignorando Galvor, che nel frattempo sembrava sempre più furente. «Rischiavamo di rimanere senza carburante nel vuoto dello spazio e rischiavamo anche di farci trovare di nuovo dai pirati, così abbiamo deciso di atterrare sul vostro pianeta, che purtroppo era il più vicino, nonché l’unico. Non siamo venuti qui con cattive intenzioni, glielo posso giurare. Vogliamo solo rifornire la nave e ripararla, poi ce ne andremo.»

«Bugie!» esclamò di nuovo Galvor. «Anche l’ultima volta degli intrusi hanno chiesto il nostro aiuto! Noi gli abbiamo ospitati, curati, e loro ci hanno ripagato saccheggiando il paese, bruciando i campi e rubando la Reliquia! E noi dovremmo cascarci di nuovo?! Io mi rifiuto di...»

«Galvor!» lo richiamò il re, chiaramente spazientito.

La guardia ammutolì all’istante e chinò il capo, farfugliando delle scuse. Sembrava un bambino appena rimproverato.

Alpheus sospirò di nuovo, accasciandosi contro lo schienale, poi guardò Robin. Fu uno sguardo comprensivo e dispiaciuto, qualcosa di molto diverso rispetto a quelli rabbiosi o spaventati che aveva ricevuto fino a poco prima. «Perdonate la sua diffidenza, ma purtroppo è comprensibile. Come lui stesso ha già detto, non è la prima volta che una razza che non sia quella dei Fongoid mette piede su Quantus. E l’ultima volta che ciò è accaduto si sono verificati avvenimenti molto spiacevoli. Voglio essere sincero, in voi non vedo alcuna minaccia. Ma purtroppo non posso fidarmi. Gli avvenimenti di quel giorno lontano sono marchiati a fuoco nei ricordi di tutta la nostra comunità. Piangiamo ancora oggi i cari caduti durante quel conflitto. La mia gente a fatica è riuscita a risollevarsi, non posso rischiare che accada un’altra atrocità come quella.»

«Cosa? Ma... ma... ci serve aiuto!»

«A tutti serve aiuto, giovane terrestre. Ma non sempre lo si ottiene. In questo stesso momento, noi fongoid stiamo vivendo un periodo molto più difficile di ciò che sembra. L’ultima cosa che desideriamo, sono altri scocciatori. E, anche se volessi, non potrei comunque aiutarvi. La nostra è una razza che non fa uso di tecnologie, non abbiamo alcun carburante per la vostra nave, tantomeno degli addetti alle riparazioni. Il vostro è stato un viaggio a vuoto.»

Robin era incredulo. «In tutto il pianeta non c’è un carburante o...»

«Giovane terrestre, quella in cui ti trovi ora è l’unica traccia di civiltà rimasta in tutta Quantus. Oramai la giungla che avete sicuramente attraversato ha ricoperto tutta la superficie di questa terra.»

Il ragazzo chiuse la bocca e sgranò gli occhi. Quell’ultima frase era stata un gran bel colpo basso.

«Ma non temete...» riprese Alpheus, con un sospiro. «... vi permetterò di tornare alla vostra nave e andarvene facendo uso del poco carburante rimastovi. Non sarebbe corretto giustiziarvi o imprigionarvi non sapendo nemmeno se avete buone o cattive intenzioni. Ma prima di farlo lascerò che anche lo sciamano vi esamini coi propri occhi.»

«Lo sciamano?» domandò Beast Boy, ricevendo diverse occhiatacce dalle guardie per aver parlato senza permesso.

Il vecchio re annuì, ignorando la formalità mancata del mutaforma. «Lui è la figura autoritaria più alta, seconda solo a me, nonché il più saggio della comunità. L’ho mandato a chiamare nel momento esatto in cui mi avevano avvertito della vostra presenza nel palazzo. Tra poco ci raggiungerà. Saprà sicuramente cosa fare di voi, e so per certo che ci troveremo a concordare sul vostro esilio.»

Il silenzio scese nella sala. Nessuno dei ragazzi trovò il coraggio di dire ancora qualcosa. Robin si mordicchiò l’interno della guancia. Le cose si mettevano male. Non c’era carburante su quel pianeta. Se quel fantomatico sciamano non avesse detto nulla, Alpheus li avrebbe lasciati andare, ma a quale scopo? La nave era danneggiata ed era a secco, non sarebbero mai arrivati ad un altro pianeta, Robin se lo sentiva dentro. In genere era il contrario, ma quella volta aveva presentimenti tutt’altro che positivi. Se fossero ripartiti sarebbero rimasti bloccati nello spazio e lì o sarebbero morti di fame, o sarebbero stati catturati da qualche cacciatore di taglie come Slag. Erano in un casino bello e buono, questa volta dubitava davvero ce lui e i suoi amici potessero uscirne. A quel punto, tanto valeva che lo sciamano li facesse arrestare.

Non passò molto prima che il soggetto in questione arrivasse. Il portone d’ingresso si aprì di nuovo e dallo spiraglio creato apparve un altro di quegli alieni. Anche questo aveva il collo circondato da collane ornate da quelle gemme azzurre, più un altro di quegli scettri. La testa era coperta da un bizzarro copricapo realizzato interamente in piume azzurre e blu. Le corna erano molto più corte di quelle del sovrano, ed erano sempre rivolte verso il basso. Attraversò la sala, passando accanto a tutti loro senza degnarli di uno sguardo, poi si inchinò davanti ad Alpheus. «Vostra maestà, mi cercava?»

«Alzati, Canoo.»

Lo sciamano obbedì e si rimise in piedi.

«Siediti accanto a me e ascolta ciò che questo terrestre ha da dire.»

Canoo annuì chinando la testa e salì le scale, per poi sedersi sulla sua sedia rudimentale e tenere appoggiato a terra lo scettro con una mano. «Questi sono gli intrusi?» chiese guardando per la prima volta i ragazzi. Era molto più giovane del sovrano, si notava perfettamente dal suo aspetto e sembrava anche molto più socievole delle guardie e dello stesso re. Lo si intuiva dal timbro della sua voce, era molto più gioviale. Aveva un’aria molto più rilassata, nonché alcune piccole rughe sotto gli occhi, segni che era uno abituato a sorridere spesso.

 Alpheus nel frattempo rispose con un cenno di sì.

Gli sguardi caddero di nuovo su di Robin e al ragazzo non toccò altro che spiegare di nuovo la loro storia. Non ne capì alcuna utilità, tuttavia. Che senso aveva continuare a parlare, se tanto non potevano aiutarli? Ma non poté nemmeno aprire bocca, che Canoo si era alzato di colpo dalla sedia, facendo un verso sorpreso e sgranando gli occhi.

«Canoo, cosa ti prende?» domandò Alpheus allarmato.

Lo sciamano schiuse le labbra. «È... è lei...»

«Come?»

Canoo sollevò lentamente una mano, poi, con il dito che vibrava a causa del tremolio, indicò il gruppo di ragazzi. «Guardi la sua fronte, maestà...»

I giovani supereroi faticavano a capire cosa stava accadendo, e soprattutto faticavano a capire chi stesse indicando.

Nel frattempo pure Alpheus sgranò gli occhi, sembrando rendersi conto solo allora di una cosa importantissima che gli era sfuggita. «Sommo Orvus...» sussurrò incredulo.

Anche le guardie emisero dei gemiti sorpresi, perfino Galvor. Indietreggiarono tutti quasi intimoriti dai ragazzi e nel giro di pochi attimi fu facile intuire dove tutti gli sguardi fossero posati e chi stesse indicando Canoo. Le iridi gialle di tutti gli alieni... erano puntate su Corvina.

«È lei...» proseguì Canoo abbassando di nuovo la mano, per poi aprire le labbra in un sorriso gioioso. «È La Salvatrice!»

«Ehm... cosa?» domandò Corvina, che tra tutti era senza dubbio la più sbigottita.

Nessuno le rispose. Tutti gli alieni, incluso lo stesso Alpheus, si gettarono a terra e si inchinarono davanti a lei.

 

 

 

Fongoid:

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