Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Restart    27/07/2017    0 recensioni
2003
Sarah Habbott ha vent'anni ed è all'inizio del suo ultimo anno alla Queen Mary.
Non ha ancora deciso che lavoro fare, che vita cominciare.
Ha un'ipotetica vita da favola, ma in realtà non è tutto rose e fiori. Soprattutto quando viene a sapere che al posto della sua adorata professoressa di letteratura è arrivato uno sfigato epico, uno che va a giro in bicicletta, che ha un ridicolo accento scozzese e aspetto piuttosto insipido.
Nessuno sa il suo nome, si conosce solo come Il Professore.
Ma in lui c'è qualcosa di molto più profondo, che Sarah scoprirà man mano che il tempo passa.
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sarah: Janis Joplin, Piece Of My Heart

27 agosto 2003

Mi infilo velocemente sotto la doccia e apro il getto freddo. L'acqua gelida mi scivola addosso e io sento tutta la calura provata nella giornata andarsene quando una fresca sensazione prende il suo posto. Poi mi bagno anche i capelli e li lavo col nuovo favoloso shampoo di Holly. Non è possibile che io non riesca mai a comprare i prodotti per il bagno che siano quantomeno passabili. Per questo motivo è lei a fare la spesa, sempre.
Alla fine rimango dentro la doccia più del necessario, forse per schiarire un po' le idee o forse perché mi piace fare un po' la melodrammatica con la testa appoggiata al muro, lo sguardo afflitto e l'acqua che scorre sulla schiena. Tengo anche le labbra socchiuse in modo che le goccioline d'acqua scivolino accanto e dare quel tocco in più. Insomma, è tutta una scusa per fare la diva per cinque minuti.
«Che stai facendo Sarah?» la voce di Holly mi arriva forte e chiara nonostante l'acqua goccioli anche nelle orecchie.
Che epocale figura di merda.
Tiro su la testa di scatto e mi volto a guardarla. È appoggiata con la schiena al muro di fronte al mio, le braccia secche conserte e un ghigno malefico sul viso che è solita fare quando mi scopre fare qualcosa di sbagliato o immensamente imbarazzante. Come adesso, appunto.
Le faccio una faccia mortificata, quella che mi aveva insegnato la mia migliore amica dell'asilo, Karen. Chissà che fine ha fatto...
Comunque, ritorniamo alla mia orrenda recitazione. Mentre io sono qui a sforzarmi di fare un'espressione che renda l'idea che non me ne può fregare un fico secco di quello che pensa Holly di me, quella sciagurata ha cominciato a ridere a crepapelle, con tanto di mano sulla pancia e lacrime agli occhi. Alla fine rido anche io, perché, diciamocelo, sono enormemente patetica.
«Sei ridicola. Neanche una quindicenne in piena crisi ormonale è come te.» È questa la profonda riflessione di mia sorella quando riesce a smettere di ridere. E solo in quel momento (giuro, prima non me ne ero accorta), noto che è nuda. Le punto il dito contro con un sorrisetto di scherno e le chiedo:
«Che fai conciata così?»
«Ma come, non lo vuoi più fare il bagno insieme alla tua sorellina?» tira fuori il labbro inferiore e finge un pianto infantile.
Dal canto mio, sono senza parole. Una diciassettenne –in dirittura d'arrivo per i diciotto e quindi la maggiore età – può essere così cretina?
«È da quando abbiamo sei anni tu e otto io che non facciamo il bagno insieme, che ti sei bevuta? Non ti sarai mica fatta una canna, vero?» le chiedo fingendo il falso (pensate che attrice) tono preoccupato che assume mia madre ogni volta che ci vede un po' scombussolate. Cioè tutte le volte che andiamo da lei, nel weekend, uno sì, uno no. E noi arriviamo a casa di nostra madre con gli occhi ancora socchiusi e iniettati di sangue per il poco sonno (giustamente il venerdì sera, si esce, di conseguenza si fanno le ore piccole).
Holly sorride alzando solamente gli angoli della bocca.
«Sei uguale a lei, lo sai? Ho trovato delle foto in soffitta...»
«Che coraggio ad andare in soffitta con questo caldo» la interrompo e lei mi fulmina. Lo so che è una cosa che odia essere interrotta, ma commentare ogni cosa che fa e dice ce l'ho nel DNA dal 1985.
«Sì, lo so. Ma non sapevo che fare e quindi sono andata in soffitta. Ho trovato questo baule bellissimo, tutto in legno, come quello dei pirati, ed era pieno di cose di mamma quando era giovane. C'erano un sacco di fotografie di lei e papà quando avevano forse neanche vent'anni e tu sei identica a lei» dice indicandomi con l'indice secco.
«Wow che complimento» commento sarcastica, anche se so che quello che mi sta facendo è un vero complimento. Mia madre, come me d'altra parte, ha tanti difetti, ma non si può dire che non sia bella. E quando conobbe mio padre lo era sicuramente. Io, come lei, ho i capelli quasi neri, le labbra carnose e gli zigomi alti. Sono magra, ma con le mie forme, e piuttosto alta. Il che mi rende molto simile a Jane, tranne che per la forma del viso e gli occhi (presi da Ron) e il naso alla francese (grazie nonna Margaret).
Ho sempre pensato, un po' con vanità, un po' con dispiacere, che Holly invidiasse il mio aspetto. Lei assomiglia soprattutto a nostra nonna Maggie: alta, fisico asciutto, molto asciutto, zero seno, mascella e mento pronunciati, occhi scuri e capelli castani. In pratica uno sconosciuto non penserebbe mai che noi due siamo sorelle. Come nei film, che prendono due attori che si assomigliano come una banana e una fragola, per interpretare i ruoli di due fratelli. Ecco queste siamo io ed Holly.
Nel frattempo Holly si è già lavata e asciugata. Mi chiedo come faccia ad andare sempre alla velocità della luce e fare tutto con estrema precisione.
Forse è una mutante. Devo indagare su ciò, al più presto. Stasera mando una e-mail al Professore X per sentire se l'accetta nella sua scuola in America, almeno me la levo di torno.
Chiudo l'acqua e allungo la mano fuori dal box per afferrare l'accappatoio, ma, mio malgrado, scopro che mia sorella se ne è già impossessata. Mi asciugo alla meglio con l'asciugamani e poi faccio uno scatto fino a camera mia con il quale potrei vincere la medaglia d'oro nei Giochi Olimpici delle Mezze Stagioni, specialità salto della mattonella. La sensazione di fresco sulla mia pelle si è già esaurita e ho iniziato a sudare, di nuovo. Mi stendo sul letto ancora spossata per la giornata pesante, ma nemmeno il tempo di chiudere gli occhi che il telefono suona. Faccio squillare un po’, sperando che qualche buon anima risponda, ma al quinto squillo ci rinuncio.
«Pronto?»
«Pronto, Sarah, sei tu?» è lui. L'accento inglese che inizia a sparire, lasciando al posto ad uno americano che odio tanto. Ma non glielo dirò mai.
«Ciao Michael, come stai?» ho poca voglia di parlare. Ma ad una conversazione con lui non rinuncerei per niente al mondo. Mi manca così tanto che ogni tanto mi viene da piangere. Qualche anno fa non avrei mai pensato di ridurmi in una situazione così miserabile. Eppure mi manca il suo profumo, i suoi occhi, il suo sarcasmo, la sua spiccata intelligenza. Sono passate quattro settimane da quando lui è venuto qui a Londra e sembrano mesi. La prossima volta che riuscirò a vederlo sarà a novembre e quindi tra un'eternità.
«Benone» e sbadiglia. Ha la voce ancora impastata dal sonno. Dormiglione. «Tu, Wendy?»
«Alla grande, Peter» mi manda un bacio telefonico e io ricambio. Mi piace quando mi chiama Wendy. Con la sua voce calda sembra più bello di quanto sia. Solo lui può chiamarmi così, solo lui e nessun altro. E solo io posso chiamarlo Peter. È una cosa nostra; Wendy e Peter sono la parte più divertente e intima di noi. Sono i bambini che sono in noi, quelli che non cresceranno mai. Proprio come in Peter Pan, facciamo parte dei Bambini Sperduti.
«Manca troppo tempo a novembre, Pete» gli sussurro in un momento di silenzio. Lui aspetta qualche secondo prima di rispondere.
«È l'ultimo anno Wendy, solo nove mesi e poi non dovremo più stare a contare i giorni che ci separano come il mare. Solo un ultimo fottutissimo anno» la voce gli si spezza alla fine della frase e solo in quel momento mi accorgo di avere gli occhi lucidi.
«Solo nove mesi» ripeto per rassicurarmi. Questo sarà l'anno più bello e più brutto della mia vita.
«Hai pensato dove stare?» mi chiede improvvisamente e io mi sento avvampare. Ho paura che lui voglia rimanere negli Stati Uniti e io per nulla al mondo rinuncerei all'appartamento che ho trovato a Chelsea. Carino, piccolo e a buon prezzo. Il mio rapporto di amore – odio con Londra è forte e non voglio lasciarla. Sebbene New York mi attiri, la vecchia Londra rimane nel mio cuore per sempre.
«Michael, ho trovato un appartamento a Chelsea, che ne dici?» mi mordo il labbro per il nervoso e per il terrore che lui declini la proposta.
«Quando vengo andiamo a visitarlo» la me interiore sta esaltando. Sento la gioia esplodere ed emano felicità da ogni singolo poro della mia pelle. «Ti devo dire una cosa bella, Wendy. Volevo dirtelo più in là, ma sai che io non riesco a trattenere niente. Ho trovato un lavoro. Lì, a Londra» La gioia provata prima non era niente a confronto a quella che provo ora. Ma una parte di me si sente comunque mancare perché Michael ha già trovato lavoro, guadagnerà soldi, mentre io? Io che farò? Che lavoro sceglierò? Poi ho un flash di una me trentenne isterica e depressa, circondata da marmocchi, mentre lui, veterinario super affermato, è a farsi la sua amante nel suo studio. E allora mi sento avvampare dal terrore. Mi devo rimboccare le maniche.
«È fantastico Pete, ma come...»
«Mio zio Daniel. Anche lui fa il veterinario e gli manca pochi anni alla pensione e mi ha offerto il lavoro. Certo per i primi anni la paga sarà la metà del normale, ma a noi due basta. Vero? O hai intenzione di.... Mh?»
«Oddio no, no. Per l'amor del cielo, no. Non prima dei trent'anni almeno»
«Bene» la sua voce ha assunto un tono sollevato. Lo capisco. Io ho quasi più paura di lui di avere figli.
«Michael ti devo lasciare, Gwendolyn sta urlando da dieci minuti buoni che la cena è pronta. Devo andare»
«Okay, ci sentiamo domani, ti amo» e manda un altro bacio telefonico. Io chiudo gli occhi immaginandomi le sue labbra scoccare sulle mie come faceva ogni sera prima di addormentarci.
«A domani, ti amo» gli mando un bacio. E chiudo la telefonata. Finalmente un po' di pace.
Finalmente.
Quando sto per rilassarmi quasi completamente, abbandonandomi alla voce di Janis Joplin e una delle mie canzoni preferite, Piece of my heart, il telefono squilla di nuovo.
No, per favore, placatelo.
Sbuffando e con malavoglia alzo nuovamente la cornetta.
«Pronto?»
«Sarah? Sarah? Ci sei?» la voce squillante della mia migliore amica per poco non mi rompe un timpano.
«Cat devi smetterla di urlare al telefono»
«Scusa, ma solo elettrizzata»
«Vai spara» mi raddrizzo presa da un’improvvisa scossa di adrenalina. Adoro quando Cat preannuncia un succulento pettegolezzo con quelle tre parole.
«Abbiamo un nuovo professore di letterature moderne. Si chiama Paul, è scozzese e Valentine dice che è molto sexy»
Generalmente i pettegolezzi di Cat mi caricano sempre, ma non so come, ma questa volta mi sento sprofondare. No, no, no, no.
No.
Vi spiego i motivi del mio chiaro disappunto:
Uno: Odio i cambiamenti.
Due: la mia (a questo punto dovrei dire ex) professoressa di letterature moderne, la signora Cunningham era la migliore insegnante che avessi mai avuto e ancora non mi spiego perché l’abbiano sostituita.
Tre: la mia avversione per gli scozzesi deriva dall’odio profondo che nutro nei confronti di mio cugino Neil, scozzese fiero e stronzo innato.
«Sarah sei sempre lì?»
«Insomma»
«Dai che sarà fantastico»
«Mh»
«Non fare la scorbutica, che arriva la parte migliore»
«Mi è passata la voglia del gossip, Katie»
«Mrs. Cunningham andava a letto con uno studente»
«Cosa?» ecco, ora mi ha rovinato un mito. Mrs. Cunningham è sempre stata molto gentile e io credevo che non fosse andata a letto con nessuno al di fuori del matrimonio con suo marito Bob Cunningham, professore di Matematica e, ovviamente, rettore della Queen Mary.
«Come hai fatto a saperlo?» Di solito Cat era sempre molto vaga sulle sue fonti, non le rivelava mai a nessuno, nemmeno alla sua migliore amica. La sento ridacchiare prima di rispondere: «Non lo saprai mai»
«Sei una merda»
«Grazie, anche tu» mi manda un bacio e io sorrido tra me e me. Il legame che c’è tra me e Cat è più forte di qualunque legame che ci possa essere tra me e Michael. Noi condividiamo segreti, figuracce, pianti, abbracci che ci tengono unite da sedici anni.
«E si sa chi era l’alunno?»
«Buio totale. Lo scoprirò neanche fosse l’ultima cosa che faccio»
«Ottimo lavoro, Holmes»
«Grazie Watson»
«Comunque credo che sia George Jensen, è strano quel ragazzo»
«Ma la professoressa odiava George»
«Poteva essere una tattica»
«Già». Per un po’ rimaniamo in silenzio, forse per soppesare la gravità della situazione. Poi finalmente Catherine riprende parola: «Tu me lo diresti se ti scopassi un professore?»
«Katie ma che dici?»
«Senti, devi essere sincera con me. Io se mi scopassi un prof, te lo direi»
«Anche io. Ma non lo farei mai. Anche perché i professori uomini alla Queen Mary sono tutti ultrasessantenni con i baffi e portano tutti la stessa giacca di velluto ogni giorno. Quindi non ci sono problemi»
«Dimentichi il professore nuovo. Val dice che ha poco più di trent’anni e che ha un sorriso che toglie il fiato»
«Dimentichi che è scozzese. La sua versione della giacca di velluto a coste marroni è il kilt con i calzettoni bianchi e avversione per la biancheria intima. In più avrà i capelli rossi come Neil». Cat dall’altra parte ride a crepapelle. Non posso fare a meno di sorridere anche io nel sentire la sua risata particolare.
«Beh vedremo»
«Vedrai, non vedremo. Perché io non ho intenzione di guardarlo»
«Se, se, vedremo… Senti Sarah, io devo andare, manda un bacio a Gwen e Holly»
«Va bene, ci vediamo domani, un bacio» riattacca senza neanche farmi finire di parlare. Mi stendo nuovamente sul letto e sorrido appagata nell’apprendere che la temperatura della stanza ha iniziato a calare e ora il caldo è sopportabile. Chiudo gli occhi e riaccendo lo stereo. La voce di Janis Joplin riempie di nuovo la camera e io mi sento finalmente rilassata.
2014
Michael mi apre la porta dopo qualche minuto che ho suonato al campanello.
«Gwen è un disastro oggi. Ha pianto continuamente» ha il viso stanco, molto più di quando torna da un turno completo di lavoro. Ha delle lunghe occhiaie scure e i capelli tutti scompigliati. «Ad un certo punto volevo drogarla» sorrido appena e lui mi guarda triste.
«Sono un cattivo genitore Sarah?» Lo abbraccio dolcemente e gli lascio un bacio sulla guancia.
«Facciamo schifo come genitori. Ma impareremo, prima o poi» si lascia scappare un sorriso e io gli vado dietro.
«Dov’è la peste?» gli domando gettando la borsa sul divano e guardandomi attorno.
«In cucina con Jackie. Ho chiamato lei perché ero nel panico e non sapevo più che fare»
«Potevi chiamare me» gli faccio notare, ma lui alza le spalle.
«No, quella era la tua ora sacrosanta. Io ho la mia, tu hai la tua e noi non possiamo disturbarci, ricordi?»
«Va bene, se la situazione stava degenerando fino a questo punto potevi chiamarmi» Non risponde, lo fa lasciandosi andare un piccolo sospiro. «La prossima volta». So che non si azzarderà mai. Da quando Gwen è nata ci siamo fissati un’ora ogni due giorni in cui ci dedichiamo a noi stessi, e per il momento sta funzionando alla grande. Io vado a correre e Michael va a giocare a tennis con Matt e siamo più felici.
Trovo Jackie dondolare lentamente Gwen mentre le canta una dolce cantilena: la piccola si è quasi addormentata e la ragazza sorride soddisfatta e sollevata.
«Non è stato facile» sussurra per paura di svegliarla. Dopo poco la posa nella culla e viene verso di me. «Oggi era agitata».
«Me lo ha detto Michael» lei abbozza un mezzo sorriso e si lascia fuggire un sospiro di stanchezza. «Non dovevi venire Jackie, non ti fa bene questo» la guardo preoccupata per le sue occhiaie scure e gli occhi stanchi.
«E’ stato un piacere per me. Se dovessi stare tutto il giorno a casa non saprei che cosa fare. Io e Gwen abbiamo una grande sintonia e sono sicura che l’avrà anche con lui» abbozza un sorriso e si appoggia la mano sul pancione.
«Sarà bello vederli crescere insieme» sussurro e lei finalmente sorride spontaneamente. «Vai a casa a riposarti»
«Sono da sola a casa, posso rimanere qui ancora un po’?» un velo di tristezza avvolge le sue parole. Quella che ho davanti è l’ombra della frizzante Jackie di un tempo: le occhiaie, i capelli trasandati, gli abiti tristi e anonimi che quando aveva vent’anni odiava con tutta se stessa.
«Eva è con Andrea?» annuisce silenziosamente. «Comunque certamente puoi rimanere qui. Stasera cucina Michael» le faccio l’occhiolino e lei sorride sollevata.
«Grazie Sarah»
«E’ il minimo dopo quello che hai fatto oggi con Gwen».  Lei mi ringrazia di nuovo con un cenno del capo e se ne va in cucina ad aiutare Michael.
Quando rimango da sola in camera mia, mi cambio togliendo gli abiti che ho portato tutta la giornata e indosso una tuta che avevo abbandonato sulla sedia chissà quanto tempo fa. Rimango a fissare la mia immagine allo specchio per troppo a lungo, senza accorgermi di farlo realmente.
«Sei una brutta persona» sussurro alla mia immagine, ma quella continua a fissarmi impassibile. «Michael non ti merita». Non so se quella a cui mi sto rivolgendo sia la mia coscienza sporca o meno, ma comunque sia quelle parole mi arrivano dal profondo, talmente profondo che forse neanche io credevo di avere dentro. Mi trascino dietro il peso della mia colpa da undici anni ormai e non so se mi confesserò mai. Potrei perdere Michael e so che è un pensiero altamente egoista, ma non lo sono stata per troppo tempo. Ora ho bisogno di pensare un po’ a me stessa.
 
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Restart