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Autore: JoiningJoice    27/07/2017    3 recensioni
Quando entra nel salotto e una figura che quasi non riconosce gli corre incontro per abbracciarlo e soffocare il proprio pianto isterico, quando si guarda attorno e il suo sguardo scorre i volti sconvolti dei suoi migliori amici, quando il nodo allo stomaco si stringe e la voce nella sua testa inizia a urlare quei nomi – solo allora Jimin scopre che un momento può iniziare con una domanda, e non terminare mai.
- Dove sono Taehyung e Jungkook? -

Taeminkook, angst
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Park Jimin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Park Jimin non si è mai domandato quale sia la reale estensione di un singolo momento; ha sempre dato per scontato che un momento, per definizione, duri un singolo istante – non più lungo di un battito di ciglia, e altrettanto insignificante.


All’età di 21 anni scopre che la durata di un momento può prolungarsi per minuti, ore, intere giornate. E’ un limbo di sensazioni confuse e sorde, una condanna al silenzio che ha inizio nel momento in cui scende le scale dell’appartamento e sente la voce del manager Sejin piegata da un dolore le cui cause non comprende; è un nodo allo stomaco che non vuole saperne di sciogliersi, mentre posa il piede sull’ultimo gradino e vede Seokjin ritirarsi dall’arco della porta della cucina, l’intero corpo scosso da singhiozzi così forti da sembrare quasi dolorosi.

C’è una voce che mormora parole che non vuole ascoltare, troppo debole perché possa sentirla attraverso la sensazione pulsante del sangue che blocca anche i suoni esterni e li fa giungere alla sua mente ovattati, come acqua che scivola sulla sua pelle e che non avverte: è una voce preoccupata, che non contiene il proprio terrore. Comprende finalmente cosa stia dicendo nel momento in cui le sue parole e quelle di Sejin si accavallano, diventando una cosa sola. Del discorso percepisce solo alcuni frangenti, come se il suo cervello fosse diventato una radio che non prende bene, che si rifiuta di ascoltare.

Incidente, sente; e poi: morti entrambi nell’impatto.


Park Jimin non si è mai domandato quale sia la reale estensione di un singolo momento.

Quando entra nel salotto e una figura che quasi non riconosce gli corre incontro per abbracciarlo e soffocare il proprio pianto isterico, quando si guarda attorno e il suo sguardo scorre i volti sconvolti dei suoi migliori amici, quando il nodo allo stomaco si stringe e la voce nella sua testa inizia a urlare quei nomi – solo allora Jimin scopre che un momento può iniziare con una domanda, e non terminare mai.

- Dove sono Taehyung e Jungkook? -


The Length of a Moment



I giorni passano, ma lui rimane fermo in quell’istante: congelato nel momento della realizzazione, col peso della verità sulle spalle.

La parte peggiore è non avere nessuno da accusare: non l’autista, non Taehyung e Jungkook rimasti negli studi a esercitarsi fino a notte fonda, non il camionista che ha perso il controllo del mezzo e che, come loro, è deceduto nell’incidente. Non esiste un colpevole, un capro espiatorio a cui rivolgere la rabbia che prova.

Quando urla, urla contro il cuscino e lo prende a pugni fino a sentirsi stanco; quando piange, piange in silenzio – e per i giorni successivi alla loro morte piangono tutti, e spesso. Nei rari momenti di lucidità non fa altro che osservare la reazione degli altri, il loro modo di affrontare il lutto. Di tutti, Namjoon è quello più abile a contenersi – sempre attento agli altri, sempre presente per sostenerli nei momenti peggiori, soprattutto per quanto riguarda Seokjin. E se Hoseok si chiude in silenzi in cui sembra allontanarsi da tutto ciò che lo circonda, lo sguardo grave perso in un punto distante, il silenzio di Yoongi è l’esatto opposto: furioso e presente, il caldo contrasto alla freddezza di Hoseok.

Jimin non si preoccupa di nascondere le proprie crisi di pianto, e gli altri fanno lo stesso con lui. Più e più volte si ritrova tra le braccia di Namjoon senza avere la più pallida idea di come ci sia arrivato, o di cosa abbia scatenato in lui quella reazione. Dopo un po’ giunge alla conclusione che non esista una vera e propria causa scatenante: tutto ciò che lo circonda – o meglio, tutto ciò che manca – non fa altro che ricordargli cosa è accaduto.

Il mondo è una macchia grigia priva di sfumature, un’esperienza che non sembra più meritevole di essere vissuta.


-


Qual è stata l’ultima cosa che ha detto loro?

La domanda lo tiene sveglio la notte più di quanto già non facciano gli incubi. Una sera, mentre tutti dormono, si alza e in silenzio cammina fino alla camera che Taehyung divideva con Namjoon, ormai vuota. Nessuno ha ancora sistemato il suo letto, nessuno ha pensato di cancellare quella traccia di Taehyung dal mondo: Jimin si ferma ad osservare la forma sollevata della coperta, l’ombra sul cuscino – tentando di immaginarlo lì, ad occhi chiusi, intento a rivolgergli uno dei sorrisi con cui lo svegliava. “Jiminie, è ora di alzarsi.”

Quando allunga il braccio per afferrare il suo cuscino la mano gli trema così forte da spaventarlo. Non si guarda indietro, dopo averlo preso: cammina rapidamente, correndo quasi, fino alla stanza di Jungkook; questa volta non si ferma ad osservare lo stato del suo letto – vi si getta sopra e basta, scivolando sotto la coperta e stringendo a sé il cuscino che ha rubato e quello già presente nel letto. Quando chiude gli occhi il loro odore lo circonda, così distintivo per entrambi – così forte e reale.

Jimin sente lacrime calde scendere sulle sue guance. Ricorda di essere stato l’ultimo a separarsi da loro, la notte dell’incidente – di essere tornato indietro con una stupida scusa solo per salutarli con un bacio e di aver esitato, sulla porta della sala da ballo, guardandoli scherzare e impegnarsi senza vederlo. Ricorda di non aver dato alcun peso alla questione, non con la certezza che li avrebbe visti la mattina dopo – non con la certezza che sarebbero stati loro a baciare lui sulle guance per dargli il buongiorno, contemporaneamente, solo per schiacciarlo tra loro e infastidirlo e scoppiare a ridere poi per i suoi versi di protesta e le sue minacce a vuoto.

Qual è stata l’ultima cosa che ha detto loro?

Niente. Non ha detto niente; niente di importante, almeno. Ci sono miliardi di cose che vorrebbe aver avuto l’occasione di dire, miliardi di insulti che si rimangerebbe. Può sussurrarli ai cuscini che non hanno per niente la loro forma, che sono i fantasmi di ciò che erano – chiudere gli occhi ancora più forte e scivolare in un sonno esausto, sul petto la sensazione delle loro braccia intrecciate mentre lo abbracciano assieme.


-


Ci sono messaggi di solidarietà ovunque, sostegno da parte di chiunque li conosca personalmente o dalle fan; Jimin lascia correre lo sguardo sulle parole e le comprende, ma è come se stesse osservando un velo d’acqua – i suoi occhi scivolano oltre la carta delle lettere, oltre lo schermo dei computer, e si posano sull’immagine di un dolore che nessuno, a parte i suoi più cari amici, può comprendere. Alcune volte il dolore ricambia lo sguardo. Sono i momenti peggiori.

- Cosa sarà del gruppo? - Diventa una domanda ricorrente che nessuno, almeno per i primi giorni, ha il coraggio di porre ad alta voce. Sembra tutto così superfluo, in quei momenti; Jimin non riesce a pensare a un singolo motivo per cui dovrebbero continuare ad esistere.

Poi arriva la realtà, e si abbatte su di loro con la violenza di un’onda troppo alta e forte – e il velo d’acqua si fa sporco e agitato, e osservare il dolore sincero è difficile attraverso tutti gli impegni, le questioni a cui uomini con meno sentimenti e più soldi di loro pensano. Arriva il funerale, e Jimin non è neanche sicuro di esserci stato realmente; crede di sì a causa del fortissimo odore d’incenso che pervade i suoi sensi e lo stordisce per ore, ma non ricorda nient’altro.

Ogni volta che va a dormire nel letto di Jungkook il loro odore è un po’ più flebile e il suo pianto un po’ più disperato.


-


Li vede per la prima volta esattamente sei giorni dopo l’accaduto. Entra in cucina e loro sono lì – Jungkook seduto sull’isolotto e Tae di fronte a lui, entrambi concentrati su un libro tra le mani di quest’ultimo.

- Qui dice di separare il tuorlo dall’albume. - La voce di Taehyung è reale. Non c’è riverbero, non un accenno di eco: è presente, palpabile come la sua immagine – e Jimin sente un gelo di terrore espandersi da un punto imprecisato dentro il suo corpo, congelarlo completamento. Taehyung alza lo sguardo su Jungkook. - L’albume è il bianco o il rosso dell’uovo? -

- È il bianco, scemo. - Risponde Jungkook. Si volta verso la porta della cucina per nascondere il dubbio sul suo volto e il suo sguardo si illumina; solleva una mano. - Ehi, Jimin-hyung! -


Il bicchiere d’acqua tra le mani di Jimin cade a terra e si rompe. È il rumore a svegliarlo da quella tremenda illusione, o forse è l’urlo di Yoongi – che praticamente salta gli ultimi gradini della scala per afferrarlo e spostarlo dal punto in cui si è fermato. Jimin guarda in basso, sbatte le palpebre tre volte prima di vedere realmente ciò che ha davanti: cocci di vetro galleggiano in una piccola pozza d’acqua sporca di sangue, luccicano dei raggi di luce che li attraversano, la naturale conseguenza del suo momento di assoluto panico. È certo che alcune schegge si siano infilate nelle piante dei suoi piedi – può sentire un dolore acuto che va facendosi ogni secondo un po’ più forte; in questo stato confuso, Yoongi afferra le sue spalle e lo scuote senza alcun riguardo. È come se la bolla di vetro in cui si erano rinchiusi entrambi si fosse infranta nello stesso momento in cui l’ha fatto il bicchiere tra le sue mani, e Jimin riesce solo a chiedere scusa – la voce piegata dalla paura – mentre Yoongi lo scuote e gli domanda che diavolo gli stia succedendo, capace di esprimere la propria preoccupazione solo attraverso gesti irruenti. Non sa quanto passi prima che gli altri intervengano, ma a un certo punto Hoseok li sta separando e Seokjin lo sta aiutando a sedersi per terra, ed è tutto così confuso che per un momento, un momento soltanto, Jimin lascia che la paura abbia la meglio e chiude gli occhi, perdendo i sensi.

Quando li riapre sono ancora tutti lì, ma è sceso il silenzio. Seokjin gli sta medicando il piede e Yoongi è seduto sull’ultimo gradino della scala, la testa tra le mani.

- Mi dispiace. - Mormora; Namjoon è l’unico che trova la forza di guardarlo in faccia. - Credevo… credevo che fossero… -

Non riesce a terminare la frase. Osserva le spalle di Namjoon abbassarsi, la sua espressione farsi più cupa.

- Abbiamo bisogno di aiuto. -


-


Il dolore è una lenta, costante erosione: è un’unghia sporca che scava a fondo in piccoli movimenti, infettandolo e insinuandosi in lui. Anzitutto si prende la sua pelle, il suo guscio, ciò che gli altri vedono: mangiare richiede uno sforzo incomprensibile, le nausee sono all’ordine del giorno. Gli altri continuano a incoraggiarlo, un paio di volte Seokjin o chi di dovere si preoccupa per lui al punto da fargli trovare una cena composta esclusivamente dai suoi piatti preferiti; ma non funziona. E se cercano di aiutarlo col cibo, possono fare poco per l’assenza di sonno – Namjoon quasi minaccia di far portare via il letto di Jungkook quando scopre che ormai vi dorme dentro regolarmente, ma non lo fa, e Jimin comprende che stringere il cuore è il suo personale modo per affrontare la questione. Non gliene fa una colpa, come non ha incolpato Yoongi di essersi sfogato con lui dopo l’incidente della cucina.

Sotto la pelle ci sono i suoi muscoli, le sue ossa, quella parte di lui invisibile ad occhio nudo. Non è una deteriorazione fisica come quella che sta avendo la meglio sul suo volto scavato o sulle sue occhiaie pesanti, ma qualcosa di più profondo: sono i suoi gesti, le sue abitudini. Queste tornano lentamente, così come la vita di tutti i giorni – ma sono eseguite da un pupazzo privo di vita piuttosto che da una persona piena di passione. Riprende anche a ballare, dopo un po’: assicura gli altri che sia tutto a posto, che il dolore al piede sia passato e che può farcela, fisicamente ed emotivamente. E in parte è davvero così; ma non c’è grazia a guidare i suoi movimenti, non c’è amore o forza di volontà. Si muove per inerzia. A volte è liberatorio. Non sempre.

E infine, sotto la pelle e i muscoli e le ossa e tutto ciò che può percepire e comandare, almeno in parte, c’è la sua mente. Quando l’infezione giunge a quel punto è troppo tardi perché possa sperare di fermarla: fa parte di lui ed esistono pochi, dolorosi modi per cacciarla via da sé. Uno di questi, senza dubbio il più efficace, è lasciarli andare.

Jimin non è disposto a farlo.


Una notte li sente entrambi attorno a sé. Non è un sogno e non è la sua immaginazione, ma qualcosa di completamente diverso: più reale, per quanto etereo. Ha gli occhi chiusi quando succede, perso nel sonno che lo strema ma non riesce mai ad avere la meglio sugli incubi, e quando il tocco delle loro mani lo sfiora non li apre e non scatta – al contrario, si rilassa e si concentra nel conservare quella sensazione dentro di sé.

Saprebbe distinguerli dal semplice tocco, dal ritmo dei loro respiri. Taehyung è alla sua destra, le labbra contro la sua tempia e le mani grandi che stringono quella che Jimin ha posato contro il proprio petto; e Jungkook, alla sua sinistra, intreccia le gambe alle sue e bacia piano la sua fronte. Jimin non ha idea di quando sia stata l’ultima volta che ha pianto per loro, ma in quel momento – quel momento di assoluta delizia, di pace incrollabile – le lacrime non arrivano. Forse è meglio così. Non ha mai amato mostrarsi debole di fronte a loro.

- Mi mancate da morire. -

Jungkook si muove: solleva un braccio e carezza i suoi capelli con lenti movimenti delle dita, com’era solito fare per aiutarlo ad addormentarsi. Tae si stringe a lui, posando la fronte contro la sua testa e stritolando la sua mano. - Jiminie. - Sussurra, e Jimin sente il nodo alla gola che rendeva le sue parole rauche stringersi come un cappio, impedirgli di respirare. Se prima aveva paura all’idea di aprire gli occhi e scoprire di star sognando, ora ha la certezza che non lo farà mai – non finché gli sarà concesso di rimanere così. Poco importa che sia un’illusione o che stia succedendo realmente, contro ogni logica conosciuta: sta bene per la prima volta in due mesi. È nel posto che gli spetta, tra le due persone che più ha amato in tutta la sua vita.

Non ha idea di quanto tempo sia passato quando finalmente sussurra: - Vi amo così tanto. -

E non ha idea di quanto tempo passi prima che entrambi, a pochi istanti di distanza, rispondano: - Ti amo anch’io. -

-


Svegliarsi è una sorpresa. Gli occhi pesano come macigni e le sue labbra sono secche, la lingua impastata dall’assenza di salivazione. Jimin si solleva seduto piano, sbattendo le palpebre al sole che entra dalla finestra, una visione a cui non è abituato. Per un lungo, lungo momento è convinto di star sognando; poi, mentre si guarda attorno nel letto vuoto, si rende conto di cosa sia successo.

Ed è strano: succede tutto improvvisamente, una doccia fredda sulla sua pelle secca e arida. Osserva le sue mani come le vedesse in quell’istante per la prima volta, le gira alla ricerca di una qualunque traccia della stretta di Taehyung – ma quando non la trova, il suo cuore non affonda. Quando scosta di lato le coperte e si alza in piedi, il suo corpo non vacilla; quando scende le scale e sente Seokjin e Hoseok parlare dalla cucina, e sente il profumo del caffè e la sua pancia brontola per la fame, non c’è nessun senso di colpa ad abbattersi su di lui.

Quando si affaccia alla cucina e da loro il buongiorno, sa di non essere solo.

Il dolore non se ne va nel giro di una mattinata; non è così semplice, e ne è perfettamente consapevole. Il macigno sul suo petto si sgretola piano piano, ogni volta che menziona i loro nomi senza averne paura, ogni volta che li ricorda e ricorda quanto li amasse anziché pensare a come li ha persi; ma sentirlo erodersi un poco alla volta è sempre meglio che ignorarne o negarne l’esistenza. Le crisi di pianto tornano, di tanto in tanto – ma trovare conforto è più semplice, quando lo si cerca. Una notte troppo dolorosa Hoseok, Seokjin, Namjoon e Yoongi si addormentano circondandolo sul divano del salotto, troppo stretto per tutti e cinque; non fanno altro che ricordargli che non è solo, nella gioia e nel dolore. Non fanno altro che volergli bene, e lui non può che ricambiare.

Comprende poco a poco che sopravvivere non è far loro un torto; che è esattamente ciò che avrebbero voluto per lui, ed era esattamente il motivo per cui li amava entrambi. L’energia che entrambi mettevano in ogni loro azione, in ogni decisione; non fa più male pensare alla spensieratezza di Taehyung e alla sua risata profonda e stupida, agli abbracci stretti e le prese in giro di Jungkook. Non fa più male pensare ai risvegli dolci e ai baci sulle guance e ai loro corpi stretti assieme mentre gli mormorano che lo amano entrambi; e quando invece fa male, va bene così. Ma non è la loro morte a definire le loro esistenze: è tutto il resto.


E per questo, continua a vivere. Nonostante tutto. Continua a sorridere, e a ballare infondendo in ogni gesto la stessa passione e determinazione per cui lo amavano, e a sognarli. Continua a provare dolore, quando necessario, senza soffocare una singola lacrima e senza smettere di immaginarli accanto a lui.

È solo una misura temporanea, dopotutto; è solo un lungo momento che si prolunga per minuti, ore, una vita intera.


E ogni volta che apre gli occhi e accetta di esistere, Jimin ha nel cuore l’assoluta certezza che quando sarà troppo stanco per andare avanti, alla fine di quella strada e al termine di quel momento, correrà loro incontro per abbracciarli un’altra volta.




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Questa è la mia prima fan fiction per il fandom dei BTS...sono un po’ nervosa :’) ormai seguo questi piccini da un mese ma hanno seriamente rivoluzionato il mio modo di ascoltare il k-pop e il mio modo di stannare band. Li trovo tutti così dolci...così tanto che quasi mi dispiace che il mio primo lavoro per loro sia qualcosa di così tremendo :’’)

Non credo di aver mai shippato una OT3 come shippo la Vminkook. DIO MIO, QUEI TRE DEFICIENTI… sono consapevole della situazione con le varie coppie nel fandom, ma per quanto mi riguarda non riesco a immaginare uno dei due senza il terzo. Amo tantissimo il loro rapporto.

Vorrei rivolgere un piccolo pensiero ad Andrea, la persona che mi ha trascinato nel fandom dei Bangtan MA CHE IO HO TRASCINATO NELLA VMINKOOK CON UNO SFORZO MINIMO :^} grazie per avermi fatto dato l’ispirazione necessaria a scrivere questa fic e grazie per avermi fatto conoscere i BTS (e grazie di esserci, in generale)

Spero che questa fic vi sia piaciuta, e se vorrete lasciare un commento ve ne sarò infinitamente grata! Grazie per aver letto :)

Alla prossima,

-Joice

   
 
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