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Autore: Gem    27/07/2017    1 recensioni
Questa è una raccolta di storie slegate tra loro e scritte per Promptember. Appariranno molti personaggi, ma la maggior parte delle fanfic sono AU e dedicate a Milo e Camus. Moltissimi generi presenti: storico, commedia, fantascienza etc.

«Vedi Cappuccetto?» il cacciatore, vestito interamente di nero, si sistemò un’arma in spalla spostando i lunghi capelli biondi dietro la schiena. Poi si avvicinò verso la creatura senza vita. «Tutti i bambini vogliono diventare cacciatori, non corrieri…»
«Smettila di chiamarmi Cappuccetto, Milo.» sentenziò severamente il corriere. «Non ho tempo per te. Il locandiere mi aspetta a Newark.»
Il bambino sbirciò il cacciatore.
Quel Milo si chinò accanto al corpo e, prese delle funi dalla cinta, iniziò a legare gli arti al corpo. Non si degnò di rispondere.
Il corriere allora avanzò di un passo. «Ci vediamo.»
«Se ti chiamo Camus resti?»
«Quando lavoro sono Corriere Rosso 11.»
«Dai, Cappuccetto è più simpatico.» il cacciatore iniziò a trascinare il corpo della bestia.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Gold Saints, Scorpion Milo, Un po' tutti
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Debito
Rating: verde.
Tipologia: one-shot.
Genere: generale, post-apocalittico.
Pairing: //
Personaggi: Milo, Camus.
Avvertimenti: POV di Milo, AU.
Parole: 1772
Note dell’autore: il seguito di “Sopravvivenza”.
Prompt:
 
Imagine Person A rescuing Person B from being held captive. They untie Person B, pick them up, and then run as fast as they can while an exhausted/injured Person A just looks at Person B’s face in awe. by @otp-imagines-cult
 
“I’ve been perfectly happy living alone and only having to worry about myself, but you had to come rescue me from my imminent death and now I’m indebted to you by my own personal code. I really, really loathe you for that.” AU
@auideas
 
 
Milo non aveva né orologi né calendari, tuttavia sapeva come interpretare l’andare del tempo.
S’erano confuse le stagioni, vero, ma gli bastava dare un’occhiata al cielo notturno per cercare Sirio, Procione e Betelgeuse, e capire che stava osservando il triangolo invernale.
Tuttavia in quel momento il Sole perpendicolare sulla sua testa rivelava il mezzogiorno astronomico.
S’avviò lentamente lungo un’ampia strada, forse una delle più importanti di quella città a giudicare dalle numerose corsie e auto abbandonate, e dai ponti che oltrepassavano l’adiacente fiume. I cartelli segnaletici erano usurati dal tempo, ma le lettere erano ancora riconoscibili.
Milo si sistemò lo zaino in spalla e si spostò verso l’ombra. Sebbene un venticello fresco si abbattesse senza sosta sulle sue guance, era meglio non camminare sotto il Sole e rischiare un’insolazione.
Camminò accanto alcuni palazzi diroccati. C’erano vari negozi, ma sembravano tutti d’abbigliamento, e per giunta semi crollati. Milo diede un’occhiata a uno di essi da una vetrina sporca, ma giudicò il luogo troppo pericolante per entrare.
Riprese a camminare.
Uno dei palazzi, però, attirò la sua attenzione particolarmente. Aveva un cortile interno che sembrava molto grande e soprattutto – residenziale. Magari in uno degli appartamenti avrebbe potuto trovare del cibo per pranzare…
Lentamente, sgusciò all’interno del cortile e camminò rasente le pareti, cercando di capire dove si trovasse la rampa di scale del palazzo. Notò invece la rampa di accesso a un garage.
Si fermò un attimo. Magari nelle cantine era stato stipato cibo ancora in buone condizioni.
Senza fare rumore corse verso lo scivolo e diede un’occhiata. Il garage non era allagato e nemmeno crollato. Beh, quella sì che era una fortuna!
Iniziò a scendere, reggendosi al corrimano, ma prima guardò ancora una volta il cortile.
Fu solo allora che notò un lampione contro cui v’era appoggiato un ragazzo dai capelli rossi, seduto a terra scompostamente.
Milo trasalì vistosamente e sentì le mani tremare. Non impiegò molto, poi, a riconoscere nient’altri che Camus, il ragazzo che si occupava dei bambini e a cui aveva rotto un braccio.
Si bloccò subito. Poteva essere una trappola: Camus sembrava svenuto ed era in canottiera e pantaloni, nonostante facesse freddo. Ed era anche sotto il Sole.
Risalì la rampa del garage e s’infilò sotto il colonnato del cortile, cercando di avvicinarsi.
Fa’ che non sia morto… pensò atterrito.
Raccolse da terra un piccolo sasso e lo tirò verso la gamba del ragazzo, ma quello non si mosse. Riprovò.
Solo allora Camus alzò la testa all’improvviso e si guardò intorno, spingendosi in avanti. Il movimento fu però bloccato dalle braccia, che rimasero intorno al lampione.
Milo capì che era stato legato.
«Ehi.» sussurrò. «Ehi, Camus.»
Quello aveva gli occhi socchiusi e il viso paonazzo. Altro che insolazione… Milo capì di dover fare in fretta.
«Camus!»
Finalmente quello si volse. Sembrava confuso.
«Ora ti libero.» disse in fretta Milo, portando la mano in tasca. Coltellino svizzero: pronto. «Chi ti ha legato?»
Camus tentò di alzarsi, ma ancora una volta non riuscì a muoversi.
«Quanti?» riprovò Milo.
«Tre… due uomini e una donna.» Camus indicò con la testa un angolo del cortile. «Sono andati lì…»
Milo morse il labbro. E va bene. Quella era una trappola, ma non tutte le trappole funzionavano.
«Torno subito.»
Si diresse, il più discretamente possibile, verso il punto indicato da Camus. C’era un locale, una sorta di magazzino, che s’affacciava proprio davanti al cortile; era pieno di scatole e imballaggi di plastica, perfetto per un nascondiglio.
Cercò qualcosa che potesse fungere da arma. Per terra c’erano alcune lastre di un controsoffitto crollato. Velocemente, si abbassò e ne raccolse una, nascondendosi poi dietro alcune scatole.
Finalmente scorse un uomo seduto per terra, stava tagliando un ananas in pezzi piccoli. Milo sgranò gli occhi: beh… quello era cibo. E davvero molto buono, a giudicare dal colore giallo vivido.
Come sempre, si ripeté che in altre circostanze sarebbero potuti andare tutti d’accordo, avrebbero potuto dividere l’ananas come amici e chiacchierare sul più e del meno davanti al fuoco. Tuttavia, il pensiero di Camus legato a un palo e sotto il Sole era sufficiente per far capire quanto poco amichevoli i tre estranei fossero.
Solo allora ebbe un fremito di nervosismo. E se… avessero preso i bambini di Camus?
Gattonò più vicino all’uomo. Al momento giusto, avrebbe potuto tramortirlo e correre nuovamente da Camus… con le tasche piene di ananas.
Notò poi una donna oltre altre scatole. Al contrario dell’uomo, non stava facendo nulla, osservava il cortile con aria persa.
Milo benedisse il cielo per non esser stato notato. C’era ancora un uomo che non riusciva a localizzare, ma pensò che tramortendone uno, la donna sarebbe probabilmente corsa dall’altro. Si accorse di quanto il suo pensiero fosse bieco, ma in quel momento loro erano i cattivi e Camus il buono, e non c’era tempo da perdere.
Diede una potente botta sulla nuca dell’uomo con la lastra. La donna, come previsto, corse via urlando.
Aveva forse solo qualche minuto prima di essere raggiunto dai due. Raccolse frettolosamente più pezzi di ananas possibile e li infilò nelle tasche, poi corse fuori da Camus.
Prese il coltello svizzero.
«Hanno i bambini?!» chiese concitatamente, iniziando a segare i lacci. «Dove sono?»
«No…» biascicò Camus, semisvenuto. «Non li porto in giro con me…»
Milo tirò un sospiro di sollievo. Tuttavia, quei dannatissimi lacci erano ancora intatti. Cambiò lama.
«Adesso preparati a correre.» aggiunse.
Camus lo fissò con uno sguardo di ammirazione, quasi supplichevole. Milo abbozzò un sorriso imbarazzato.
Quando sentì le corde cedere esultò. Non aveva considerato, però, che Camus cadesse in avanti, esanime.
Senza pensarci troppo, lo issò e se lo caricò in spalla, e tanta era l’adrenalina che quasi non ne avvertì il peso. Corse verso l’uscita da quel maledetto cortile e si guardò intorno, sperando di intravedere una via di fuga efficace.
Il viale che prima gli era parso così ampio divenne adesso sconfinato. Sembrava un campo minato.
Fece ciò che gli parve migliore, in quel momento. Corse verso un ponte, ma anziché attraversarlo scese verso la riva del fiume, muovendosi tra i ciottoli e la sabbia sporca. Quando giunse finalmente in un punto in cui la vegetazione era abbastanza alta da nasconderlo, fece scivolare a terra il corpo di Camus e si inginocchiò.
Gettò subito dell’acqua sul viso di Camus. Già si poteva vedere la pelle tendere verso un rosso innaturale, verso una scottatura che sarebbe rimasta visibile per alcuni giorni.
Camus si coprì il viso con una mano.
«Cos’è, i cannibali ti stavano cucinando?» seppe solo dire Milo, prendendo un pezzo di ananas dalla tasca. «Tieni.»
Camus aprì gli occhi e fece per alzarsi, ma Milo lo tenne giù.
«Aspetta ancora un po’.» disse. Poi gli infilò il pezzo di ananas in bocca.
Camus parve sconvolto.
«Dove l’hai presa…?» farfugliò, masticando. «Sembra fresca…»
Milo si sfilò il cappotto e lo appoggiò su Camus. Non rispose, ricordando l’aggressione che aveva poco prima messo in atto, ma si limitò a bagnarsi la mano e inumidire la fronte dell’altro.
«Ti verrà la febbre.» osservò. «Dovrai restare coperto.»
«Mi hanno rubato il cappotto…» sussurrò Camus, cercando di spostare quello di Milo, ma si bloccò. «E i guanti…»
La parola guanti ricordò a Milo i pugni che aveva sferrato a quel ragazzo che adesso stava salvando. Con un sospiro, infilò una mano sotto al cappotto e cercò il braccio di Camus.
«Che vuoi?» fece quello, sulla difensiva.
«Posso vedere il braccio?»
Camus alzò un sopracciglio. «Non fa nulla.»
«Ho alcune conoscenze mediche.» replicò piccato Milo. «Fammi dare un’occhiata.»
Camus parve ancora molto dubbioso, ma alla fine alzò l’avambraccio e roteò gli occhi.
Con delicatezza, Milo afferrò il gomito e il polso e cercò di mantenerlo dritto. La steccatura rudimentale era mezza distrutta, così Milo sfilò le bende lacere e osservò la pelle sottostante. La zona era gonfia, c’era un grande ematoma viola e qualche escoriazione incrostata, ma non si trattava di una frattura esposta.
«Adesso farà un po’ male.» lo avvisò.
Senza esagerare strinse una mano intorno all’ematoma e tastò le ossa.
«È proprio necessario…» mormorò Camus stringendo i denti.
Milo si fece sfuggire un sospiro di sollievo. Sia l’ulna e il radio sembravano intatti e decisamente non c’erano pezzi d’osso sparsi tra i muscoli.
«Senza una radiografia non posso essere del tutto certo, ma non sembra rotto. C’è tanto liquido però.» disse. «Riesci a muovere le dita?»
Camus, prontamente, le mosse tutte.
«Grazie.» sospirò Milo con un ampio sorriso.
«Grazie cosa?» replicò Camus. «Me l’hai dato tu, il pugno.»
«Che non è rotto…» rispose Milo, celando i propri sensi di colpa. Appoggiò il braccio di Camus per terra e si sedette meglio, alzandosi il cappuccio della felpa. Il vento alzava l’acqua del fiume. «Credo che sia una contusione ossea. Ne ho avuta una anche io, quand’ero piccolo.»
Camus alzò un sopracciglio, poi si issò sul gomito del braccio sano. «Fai a pugni con molti, vedo.»
«Veramente mia sorella mi diede un calcio mentre giocavamo…» rispose Milo, pensieroso. C’erano tante persone che un tempo s’aspettava di vedere ogni giorno, a casa. C’erano tante cose che dava per scontate…
Anche Camus s’accigliò e guardò verso il fiume.
«I bambini… sono i tuoi fratelli?» chiese allora Milo.
L’altro scosse la testa. «Ero il loro baby-sitter…» fece una pausa, enfatica. «Quel giorno
Ancora una volta il silenzio ebbe la meglio.
Milo fissò le guance e la fronte rossa di Camus. Non se la sentiva proprio di lasciarlo al suo destino, soprattutto non dopo aver instaurato quel minimo di socialità che gli aveva fatto ricordare di essere ancora umano. D’altra parte, però, sapeva che la difensiva dell’altro era quasi invalicabile.
«Io vorrei spostarmi verso sud.» rivelò. «Puoi… seguirmi, con i bambini. Io apro la strada.»
Camus gli gettò un’occhiata dubbiosa, poi si sedette. Si sistemò il cappotto di Milo sulle spalle.
«Non lo so. Devo pensarci.»
«Volevi lasciare soli i bambini? Non mi sembra furbo da parte tua fatti catturare e arrostire al Sole.» tentò ancora Milo. «Se non fossi arrivato…»
Camus alzò un sopracciglio. «Avevano detto che mi avrebbero lasciato andare stasera. E i bambini hanno la pistola e sono in un posto sicuro.»
Milo alzò le spalle, con una certa perplessità, e socchiuse gli occhi.
«Nessuno si sognerebbe di attaccare due uomini, sappilo.» commentò. «A meno che non vogliano salvare qualcuno in difficoltà… come ho fatto io.»
Camus roteò ancora gli occhi.
«Dovevo solo preoccuparmi di me e i bambini, prima.» mormorò. «Grazie! Adesso mi sento in dovere di ripagarti, in qualche modo.»
«Io avevo i sensi di colpa perché pensavo di averti rotto il braccio.» ammise Milo infine. «Vedi? Siamo ancora esseri umani, dopotutto.»
Con un sospiro, Camus si coprì meglio col cappotto di Milo. 
  
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