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Autore: Mirajade_    28/07/2017    1 recensioni
Raccolta di one-shot, in ordine cronologico, che vede protagonisti Angela Ziegler e Genji Shimada (subito dopo essere diventato un cyborg).
Le storie racconteranno il percorso della relazione tra i due dal loro primo incontro.
[GenjixMercy]
***
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Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genji Shimada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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My heart's an artifice

I feel you keeping me alive
You are my salvation
Hold me, heal me, keep me near

(Salvation - SKILLET)

-Pronto?- fu la prima domanda della giornata da parte di Angela.
Da quando aveva messo piede nella stanza, aveva iniziato a mangiucchiarsi nervosamente l’indice destro, aspettando impaziente il risultato dell’ultimo intervento.
Genji era lì, in un classico letto d’ospedale, con un vassoio poggiato sulle cosce e la faccia di un bambino che non vedeva l’ora di spacchettare i regali di Natale. Prese le bacchette tra le dita e con l’aiuto della mano libera afferrò la piccola ciotola di ramen, la prima di quella fila di sapori che gli si presentava davanti.
Con maestria prese una bacchettata di spaghetti e carnefremendo all’idea di poter risentire il gusto salato al contempo speziato di quella pietanza giapponese che tanto lo aveva estasiato. Il primo boccone fu messo in bocca e, con lo sguardo vigile della dottoressa, aspettò. Gli sembrò di percepire qualcosa vibrare, agitarsi con estasi… il suo corpo sentiva, aveva riconosciuto, seppur il sapore non fosse così forte e deciso come se lo era aspettato.
-Allora?- l’ansia la stava masticando internamente; Angela la sentiva.
-È buono- enunciò il ninja, guardandola per la prima volta in quella giornata: sembrava così felice per lui, così premurosa e vera – Ma è molto… smorzato- continuò ponderando le parole adatte.
Angela con un gesto veloce segnò qualcosa sul tablet –Spero che sia temporaneo; una conseguenza del riadattamento del tuo corpo- spostò lo sguardo sul prossimo alimento. Caffè.
Genji saggiò pure quello, lasciando il liquido scuro prendere possesso della sua bocca, ingoiando poi con disgusto percependo un lieve riflesso di vomito – Amaro- tossì –Troppo, sembra veleno-.
-Strano, mi ero assicurata di averci messo un cucchiaino di zucchero-
-Le poche volte che bevevo caffè, lo prendevo senza. Fidati, è disgustoso-.
La vide prendere un altro appunto sul tablet, un sorriso divertito le illuminava il volto e, senza volerlo, Genji si ritrovò a ricambiarlo.
-Direi di passare al prossimo allora- zucchero filato; Angela gli aveva recapitato dello zucchero filato per quel “test” di degustazione. Insolito. –Ehi… era l’unica cosa, altamente zuccherata, che ho trovato. Dovresti esserne felice-
-Non ho mai affermato il contrario- sogghignò, staccando un pezzo di quella nuvola zuccherata color rosa pastello e lasciandola sciogliere sulla lingua. Dolce.
Vivido e forte gli aveva invaso le papille gustative, quasi ebbe la pelle d’oca mentre con il sapore riviveva altri ricordi: lui, suo fratello e suo padre; una delle rarissime volte in cui erano usciti insieme, non come l’anziano e i discendenti del clan Shimada, ma come un padre con due figli, sotto un albero di ciliegio del piccolo parco di Hanamura e tre porzioni di zucchero filato.
-Com’è?- la voce di Angela tremò, come se avesse capito tutto senza che lui abbia avuto bisogno di aprire bocca.
-Buono, è dolce, proprio come dovrebbe essere-
-Davvero?- chiese la dottoressa con uno strano luccichio negli occhi.
-Si, perché?-
Angela percepì chiaramente una vampata di calore salirle attraverso la colonna vertebrale –Si… insomma, ho saputo che ti piacciono i dolciumi quindi non posso che esserne felice- arrossì, volgendo lo sguardo allo schermo luminoso sulle sue mani, concentrandosi sul modulo da compilare.
***
Quando rimise piede nel quartiere generale un sospiro di sollievo vagò oltre le sue labbra, mentre i primi dolori muscolari si facero sentire sotto la grande tuta valkyrie come fuoco sotto pelle. Le ali, ancora luminose, erano state lievemente danneggiate, ma nulla che non potesse risolvere da sola senza disturbare quello scorbutico di Torbjorn.
-Spero finisca presto questa rivolta- si lasciò sfuggire  Mercy, negl’occhi la stanchezza di chi aveva visto vite distrutte e sopravvissuti morenti. Accanto a lei, Lena sorrise impegnata a sfilarsi via gli occhialoni.
-Non preoccuparti, tesoro, di questo passo la rivolta diventerà presto un brutto ricordo-
La dottoressa annuì, entrando nella base e sentendo chiaramente il trambusto che raramente caratterizzava quel luogo: era successo qualcosa, lo sentiva.
-Dr. Ziegler!- fu quasi un urlo quello di un giovane dipendente dagl’occhi chiari, correva perdifiato indicando con il dito indice ditro di sé –Dottoressa abbaimo dei feriti- enunciò quando fu davanti la giovane.
-Feriti?-
-La divisione Blackwatch ha subito un attacco-
Non seppe come, ma Angela corse.
Le gambe le imploravano pietà, le spalle avrebbero voluto staccarsi sotto il peso delle ali, eppure stava correndo con il cuore in gola e un pensiero fisso come un chiodo. Ansia e paura, non sapeva se per la situazione di allarme in cui era stata travolta o per chi poteva trovarsi in quella situazione, ferito o peggio… morente.
Genji.
Ingoiò saliva amara.
Sorpassò le porte che portavano al padiglione della divisione clandestina, mentre il classico puzzo di tabacco le invadeva le narici individuò Gabriel Reyes, inginocchiato sul pavimento, si apprestava ad annodare una striscia di stoffa intorno ad un braccio. Non il suo.
-Non pensarci Jesse- disse con tono di voce fin troppo alto, voltandosi poi verso la  dottoressa –Ragazzina- sembrava sollevato, forse le avrebbe sorriso se non fossero stati in quella situazione -Conto su di te-
Angela ingnorò il trambusto che l’aveva invasa, concentrandosi sulla figura dolorante di Jesse Mccree: il cappello che spesso portava sul capo era riverso sul pavimento e il sorrisetto egocentrico era svanito lasciando spazio ad una smorfia di dolore; forse era stata un sua impressione ma le sembrò di sentirlo sussurrare un “Angie”, come era solito il cowboy chiamarla.
Mccree non era solito fare visite o farsi visitare, ma le poche volte che lo faceva si presentava con un aria da galante sbruffone che strappava sempre una risata ad Angela, perdendosi poi in chiacchiere futili; era stato un criminale, Angela lo sapeva, ma di una cosa era certa.
Jesse Mccree era buono.
-Da quanto tempo è conciato così?- tra l’enorme quantità di sangue riusci a localizzare il profondo taglio verticale  sul radio, quasi ne intravide l’osso. Mccree aveva chiuso gli occhi, digrignato i denti e lasciato la giovane afferargli il braccio sinistro, ormai ridotto ad un pezzo di carne violaceo.
-Troppo- rispose Reyes –Ho dovuto evitare che dissanguasse- nello sguardo la consapevolezza di cosa sarebbe accaduto successivamente.
-Portiamolo al laboratorio, dobbiamo fare presto-
***
Sfilandosi il camice fu sicura di una cosa: aveva bisogno di una lunga doccia fredda, quantomeno per eliminare la sensazione del sangue di Jesse sulla pelle. L’avrebbero presa in giro se solo avesse detto che durante l’operazione si era sentita strana, quasi disgustata quando del radio di Mccree non era che rimasto un pezzo di carne su un vassoio di chirurgia. Eppure aveva visto di peggio; aveva fatto di peggio.
Reyes l’aveva informata che il giovane Shimada era rimasto ferito, “Una cosa da niente” aveva detto mentre il sangue della ferita sullo zigomo gli colava sulle labbra, tra le iridi scure aveva incastrati i momenti vissuti attimi prima e Mercy non gli aveva chiesto nulla, lasciandolo tra le quattro mura dell’infermeria.
Avrebbe dovuto visitare il ninja, comprendere cosa significasse letteralmente il “Una cosa da niente” di Gabriel Reyes, ma era così stanca e dolorante e l’ultima cosa che avrebbe voluto era presentarsi senza un minimo di forze.
Le docce erano vicine e il classico silenzio le fece intuire che non ci fosse nessuno a quell’ora della notte, ma quando fece per spingere la porta la maniglia le scivolo via dalle mani, rivelando un Genji fresco di doccia  con il famoso “Una cosa da niente” al livello del collo e della spalla sinistra.
-Dio mio- quasi urlò la bionda –Stai bene?- il taglio era stato da poco scoperto, man mano infatti stava ricominciando un lento sanguinamento. Angela gettò un veloce sguardo dietro la figura del cyborg, riuscendo a scorgere delle bende macchiate di sangue riverse sulle mattonelle bianche –Devo applicare dei punti- sorpassò il ragazzo diretta verso il medikit solitamente posizionato in ogni stanza.
-Per un taglietto?-
-Non mi pare un taglietto- prese ago e filo dalla scatoletta rossa, percependo poi una pressione sui polsi.
Genji la stava guardando come stranito non mollando la stretta delle mani –Dr.Ziegler, per quanto possa essere ignorante in materia, è seriamente nulla. Non ho bisogno di punti, fidati.- le disse come se stesse parlando ad un bambino capriccioso, poco dopo Angela comprese di aver fatto una scenata, una reazione troppo esagerata a quello che effettivamente era una ferita facilmente curabile con una fasciatura.
Doveva essere stata tutta quell’ansia accumulata nel laboratorio con un ferito anestetizzato a cui aveva appena rimosso un braccio, sostinuendolo con un ammasso cibernetico.
E se anche Mccree l’avesse odiata? Forse poteva evitare l’amputazione, infondo Reyes esagerava sempre con paroloni e termini… doveva fare più attenzione… doveva…
-Dr.Ziegler- e fu un richiamo sussurrato quello di Genji.
Angela ne intravide il colore naturale delle iridi oltre il bagliore rossastro; nocciola, gli occhi di Genji erano color nocciola.
-Scusa, è stata una giornata stressante- disse solo la svizzera, sostituendo ago e filo con una semplice benda –Lasciati medicare-
-Posso farlo da solo-
-Ti prego- sembrava così stanca e non fisicamente. Stanca di vedere solo morti in quegl’utlimi tempi, stanca di sentirsi la disgrazia per alcuni e stanca per non aver mai osato in vita, perché prevenire era sempre stato meglio che curare. E Genji non aveva detto nulla mentre prendeva posto in una panca di legno , posta accanto alle docce, solo capì che qualcosa turbava la sua dottoressa.
Angela stava tremando mentre con fare esperto passava la benda intorno alla spalla sinistra.
-Non sentirti in colpa- fissò le mattonelle umide –So che hai fatto del tuo meglio per salvarmi-
-Potevo fare di meglio- sussurrò la dottoressa, continuando la medicazione in un silenzio tombale. Quando ebbe finito l’idea di rinfrescarsi sotto lo doccia non le garbo più, stanca e stressata per com’era: fece per dirigersi verso la propria camera.
-Buonanotte Gen…-
-Mi dispiace- la interruppè il ninja –Mi dispiace di averti denigrata, non lo meriti di certo- in piedi com’era costrinse la dottoressa ad alzare di poco il viso.
-So che non era tua intenzione, in fondo- sorrise stanca –Sei arrivato qui nelle peggio condizioni, tradito da qualcuno che suppongo amavi- si sentì trafitta dal suo sguardo, ma fu piacevole –Hanzo- sussurrò –Chi era?-
Sebbene il cyborg avesse avuto molte ragioni per non rispondere a quella domanda sgradita, capace di fargli tremare il cuore umano, lo fece –Mio fratello. L’unica famiglia dopo la morte di mio padre- strinse un pugno.
La bionda non parlò, solo provò a immaginare il dolore di essere traditi dal proprio sangue. Pensò a sua sorella, era da molto che non le scriveva e quasi si sentì in colpa. Durante quel tempo l’ultimo suo pensiero era stato inviarle un’email.
-Nessuno merita un simile dolore- continuò il cyborg volgendo lo sguardo altrove.
Angela premette una mano sulla guancia incisa di cicatrici, ne accarezzo una con movimenti circolari del pollice, sentendo il suo paziente, dapprima rigido, ammorbidirsi.
Non capiva il perché di quel gesto sconsiderato, voleva solo toccarlo magari consolarlo… percepire il calore umano che ancora Genji sapeva trasmettere sotto il corpo bionico.
-Per quanto può valere- gli disse –Io non ti tradirei mai-
Genji non respirò quando comprese il pieno significato di quelle parole, quando con un braccio aveva cirocndato la vita della giovane, quando aveva premuto bisognoso le labbra segnate su quelle perfette della dottoressa. Tremò alla sensazione di puro piacere che un bacio sapeva dargli: gli era mancato sentirsi così umano e se dapprima aveva avuto paura di un possibile rifiuto , sorrise quando ad approfondirne l’essenza non fu che la biondina, schiacciata contro il suo corpo come se avessero dovuto fondersi.
Liti e sgridate svaniti come il loro respiro caldo nell’aria gelida.
Angela era rossa in volto.
Genji sorrise: era stato dolce, proprio come piaceva a lui.

   
 
   
 
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