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Autore: killian44peeta    29/07/2017    0 recensioni
Prologo - Gli Elementi - Secondo libro della prima trilogia di ''i sei predestinati'' -
La luce sciamava appena tra le sottili mura di quella che per aspetto poteva apparire una stanza come tante, provenendo da una piccola lampada accesa e appesa alle pareti, la cui fiamma bramava ossigeno per la bassa quantità che c'era nella stanza.
I sibili e gli schiocchi delle lingue di fuoco si ripetevano a lungo, come un tabù tra quel pesante silenzio, dando a Luxor una sensazione di ripetitività insopportabile ed insostenibile.
Se ne stava lì, sul letto, le mani congiunte e chiuse in una stretta ferma e rigida, rigida come la stessa mascella del giovane, talmente tanto serrata che sembrava stesse stringendo i denti per non urlare di rabbia, per non sputare ogni emozione negativa soppressa.
I suoi occhi gelidi fissavano la porta chiusa dall'esterno con ira folle e insistenza.
Dentro stava perlopiù boccheggiando, era una settimana intera che era rinchiuso in quella stanzetta come un animale in gabbia, cercando una ragione per non iniziare rabbiosamente a sbattere il proprio corpo sull' uscita per cercare di buttarla giú.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli Elementi- saga'
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Luxor

Uno dei diversi nemici mi si buttó addosso, la spada ben impugnata pronta ad infilzarmi e trapassarmi da un lato all' altro.

Mi avvicinai a lui alla stessa velocità, fermando la spada tra i due palmi delle mani, congelandone la lama, per poi, approfittando dello stupore provocato, distruggerla con una leggera pressione.

Pezzi di ghiaccio iniziarono a cadere verso terra, spaccandosi nuovamente, provocando un tintinnio continuo che sembrava congelare l'aria, già abbastanza sospesa di suo per poter essere definita normale.

Prima che potesse fare qualcosa, gli mollai un calcio dritto in mezzo alle gambe, facendolo contorcere dal dolore con dei ridicoli gemiti che, se avessi potuto distrarmi, mi avrebbero sicuramente trascinato in una risata divertita, cosa che mi trattenni a fatica dal fare, sapendo che non era il momento.

Avrei finito solo per distrarmi e rischiare un attacco andato a buon segno.

Rhy intanto aveva approfittato della distrazione di quello che la stava tenendo ferma per sferrargli un pugno sul naso e infliggergli così, dal rumore raccapricciante che fece, una probabile rottura di esso, correndo poi dai suoi genitori.

Degli altri uomini tentarono di attaccarmi, senza peró raggiungermi, o almeno, senza riuscirci.

No, non ci riuscirono proprio visto che sotto di loro si formó un leggero strato di ghiaccio creato da me che li fece scivolare entrambi a terra, portandoli a mollare le spade che andarono ad incastrarsi nel pavimento con un sonoro schiocco che risuonó tra le pareti tanto da provocare una serie di echi continui e un po' da ansia.

Quattro altri ebbero più o meno la stessa fine, trovandosi in men che non si dica a terra, stesi, svenuti, completamente privi di sensi e gli ultimi due rimasti non riuscirono nemmeno ad alzare i piedi, perché erano attaccati al terreno da uno strato ben poco sottile di ghiaccio, perciò mi avvicinai a loro e lanciai una gomitata dritta sulla loro testa, che li fece svenire ad uno ad uno.

Rimaneva solo il capo del gruppo, che stava lí ad osservarmi immobile.

Sogghignai appena, incrociando le braccia e guardandolo fisso con il mio solito sguardo di sfida.

-Non sei uno stregone e non fai parte dei sei Elementi ... cosa sei allora?-

"Sbagliato, sono il settimo Elemento, caro mio"

Allargai il sorriso, soddisfatto dal suo improvviso cambio di portamento.

-Ti ho già detto... che non te ne deve fregare- ridacchiai divertito, facendo uscire involontariamente quella che avevo trattenuto poco prima, cosa che portó il Capo del gruppo ad indietreggiare di un passo.

Quando smisi di ridere, vidi e lessi l'espressione inorridita dei due genitori di Rhy, ma non ci feci particolarmente caso, riponendo l' attenzione all' uomo che aveva cercato di riprendersi dall' attimo in cui, poco ma sicuro, era indietreggiato per paura.

Scrolló le spalle, assumendo un sorriso mellifluo e finto, così finto che mi faceva venire il voltastomaco.

Per un attimo trattenne il respiro, poi alzó il sopracciglio -Devo ammettere che la tua capacità di congelare qualsiasi cosa si trovi nella tua portata, mi piace, merita la mia attenzione...- inizió, ma non lo lasciai procedere

-Oh, fermo, fermo, fermo... so cosa stai facendo. 
E sappi che con me non attacca, davvero- sbottai, innervosito- Già una persona ha tentato di utilizzare il mio potere per il proprio volere e non é durata, affatto.
É durato un po', ma... non abbastanza per concludere i propri scopi, quindi ti consiglio vivamente di andartene da qui, altrimenti non ci sarà parte del tuo corpo che abbia ancora la sua normalità, sul serio, smamma che é meglio.
E non farti assolutamente più rivedere- feci un gesto con la mano, incitandogli di andarsene, assumendo nuovamente un espressione beffarda -E porta via i tuoi compagni-.

L' uomo smise di fingere di sorridere e mi parve come un gatto indispettito, che aveva cercato di fare le fusa per ingannare e che, venendo respinto, stava leccandosi il pelo, pronto a soffiare e graffiare pericolosamente l' avversario che l' aveva rifiutato, ovvero... me.

Rosso di furore e probabilmente troppo codardo per fare altro, scosse il capo, lanciando un occhiata disgustata agli stessi componenti della propria squadra e inizió a camminare, velocizzando il passo a ogni secondo che passava, quasi lo stessero prendendo a calci o avesse la coda tra le gambe.

Uscí dalla casa quasi di corsa, umiliato, ma prima che mettesse piede fuori casa, lo sentii borbottare un -Non la farai franca la prossima volta che ci vedremo-

Alzai il sopracciglio, ridacchiando ancora, mentre tra me e me la soddisfazione cresceva fino a diventare un ovvietà.

Tutti quelli che dicevano cose simili, perdevano comunque, la vendetta non andava quasi mai completamente a buon fine.

E se ci andava, se era qualcosa che ti aveva distrutto, ti rodeva l' anima.

O almeno, così capitava alle poche persone che non erano abbastanza forti o decisamente in grado di reggere.

Ero soddisfatto di me stesso, anche da solo potevo cavarmela, avrei preso tutto quello che necessitavo o desideravo.

Anche le vite altrui.

Anche la sua vita, non mi importava più di nulla di lui, gliel'avrei fatta pagare, avrebbe spezzato il nostro accordo e io ne avrei approfittato, uccidendolo.

Un ghigno leggero mi attraversó le labbra, che scomparve poco dopo, quando tirai un sospiro di sollievo e iniziai a prendere i nemici e a accatastarli alla parete, appoggiandoli uno sull' altro con ben poca grazia e se uno di loro brontolava, segno che stava riprendendo i sensi, si beccava un bel calcio in faccia, che lo faceva immediatamente ri-perdere i sensi.

Fatto ciò, tornai dove ero prima, per poi guardare i tizi sdraiati e svenuti e dire un semplice: -Tutti vostri- in direzione di quelli che mi avevano brevemente accolto, o più che altro, quelli che mi avevano salvato la vita.

Aspettai tre secondi prima di girarmi e vedere l' espressione scioccata di Rhy.

I suoi genitori invece sembravano essersi improvvisamente congelati.

Tacemmo brevemente, guardandoci, io spostai lo sguardo ad uno ad uno, sapendo cosa probabilmente pensavano.

-Penso che sia meglio che tu parta, subito- soffió il padre, serio, con un espressione illeggibile

"Ecco, appunto" asserí una voce nella mia testa, mentre continuavo a rimanere in silenzio, cercando di non finire a fissare il pavimento.

Mi costrinsi a mandare giù la saliva e evitai di mordermi il labbro, serrando la mascella

-Proprio così- continuó invece la madre, mentre rizzava meglio la schiena e le spalle -Prendi un animale a scelta, quello che vuoi, ma vattene al più presto-

Annuii semplicemente, capendo che il loro improvviso cambio di atteggiamenti era motivato dalla paura di ciò che riuscivo a fare, cosa che sapevo già dentro di me, in un certo senso.

Tutti avevano paura di ciò che non ci si riusciva a spiegare.

O almeno, tutti tranne pochi.

-E ... io...- Rhy fece un passo verso di me ma venne interrotta dalla voce autoritaria del padre

-No. Tu resti qui-

-Ma prima avevi detto...-

-Era infatti "prima", nessuna discussione-

-Ma... perché?!- sbottó lei, esasperata, dando una manata leggera alla sedia

Uscii dalla casa, talmente tanto velocemente che in un attimo fui fuori.

Non volevo ascoltare altre parole da loro, volevo solo andarmene, così da poter raggiungere finalmente il mio creatore e concludere il gioco che io stesso avevo messo in atto.

Mi guardai appena attorno, notando la stalla immediatamente.

L' odore di animale era decisamente molto accentuato e asfissiante, perciò mi sbrigai nel cercare la bestiola che mi sembrava più adatta.

Osservai tutte le bestiole disponibili ma ce ne fu solo uno che mi colpí.

Era uno stallone bianco a chiazze grigie, dal muso mediamente sottile, i suoi occhi erano scuri e rotondi, le ciglia poco evidenti glieli contornavano, rendendoli stranamente dolci.

Aveva delle linee pure e ben modellate, zampe lunghe, snelle e con i muscoli evidenti sotto lo strato di pelo ben pulito, liscio e lucido e con un torso affusolato che si muoveva appena con i respiri dello stallone.

Il suo collo, flessibile ed elegante, era inarcato, mostrandone la criniera argento che già a vista sembrava morbida.

Era abbastanza robusto e dall' aspetto appariva anche resistente e agile, perfetto per lunghe cavalcate estenuanti.

Sulle sue briglie appariva una targhetta piccola e luccicante, su cui era inciso a caratteri cubitali un nome: Abdon.

Mi ci avvicinai e lo accarezzai con una mano, al cui contatto il cavallo non si ritiró, percependone la setositá del mantello che si dimostrava tale a come la immaginavi al solo vederlo.

Afferrai l' attrezzatura adatta per cavalcarlo e abbastanza rapidamente gliela infilai, vedendo il cavallo piuttosto arrendevole sotto i miei movimenti, mentre allacciavo cinghie e gli circondavo il muso, le zampe e la schiena.

Lo accarezzai un ennesima volta prima di aprire il cancello e trascinarlo fuori da esso, per poi salirvi in groppa cautamente.

Aspettai qualche secondo, poi, dando un leggero colpetto al suo fianco, lo lanciai al galoppo, prima in modo lento, poi più veloce.

Il mio corpo seguiva i movimenti del cavallo alla perfezione e intanto il mondo correva, scivolando via insieme ai secondi che si susseguivano insieme al paesaggio erboso che veniva attraversato da aria fresca.

Il cavallo correva ad una velocità assolutamente eccezionale, così rapidamente che dovevo concentrarmi per vedere il movimento delle sue lunghe zampe.

Il cielo era coperto da nuvole a nembostrati, dalle quali, quasi unite come degli scudi, fuoriuscivano minuscoli raggi di luce che illuminavano scarse porzioni di terreno.

L'erba verde smeraldo si agitava per via di una leggera corrente che la scuoteva, facendo cantare le canne, sparse qua e lá.

Cavalcai a ritmo continuo fino a che non sentii improvvisamente una strana sensazione attanagliarmi lo stomaco.

Mi morsi il labbro, sentendomi osservato, o più che altro, seguito.

Mi voltai appena, solo per lanciare un occhiata veloce a chi mi stesse seguendo.

Qualcuno, avvolto il una mantella blu con cappuccio calato, su un Sauro color zenzero, un probabile Purosangue.

Lo avevo già visto e sapevo perfettamente anche dove.

Non rallentai, ma piuttosto ordinai al cavallo di correre ancora più rapido.

Era vero, sapevo che chi cavalcava non era una minaccia, ma poteva tranquillamente tornarsene a casa, dove doveva stare.

Cavalcai, sentendo l' aria scorrermi fluida nel corpo.

Socchiusi gli occhi, percependola tiepida e gustandola.

Più tenevo gli occhi chiusi, e più si raffreddava.

E più si raffreddava più sentivo i miei poteri salire, li sentivo che mi scorrevano addosso come una cascata.

Una cascata di neve.

Un umano probabilmente ci sarebbe morto.

E non solo, forse anche qualcun'altro.

Sogghignai, riaprendo gli occhi e voltando la testa appena all' indietro.

Era ancora lí!

Lei era ancora lí.

"Ma perché?! Perché non mi lascia in pace! "

E non solo non lo faceva, anzi! Mi stava raggiungendo con il suo cavallo, continuando a dargli calcetti per galoppare ancora più rapido.

Trattenni uno sbuffo arrabbiato mentre incitavo Abdon a fare lo stesso.

Dovevo distanziarla.

Non volevo però usare il Ghiaccio, avrei potuto non passare inosservato agli occhi altrui, sempre pronti a ficcanasare in vicende che non dovevano interessare loro.

-Yah ! Yah!- lo incitai ancora

Il cavalcare della bestiola era diventato forsennato e irregolare, il cavallo zig-zagava da destra a sinistra, sbuffando e respirando malamente, probabilmente con i polmoni che gli andavano a fuoco.

Eppure colei che era dietro di me, di noi, sembrava comunque in grado di restarci col fiato sul collo e inseguirci per ore e ore su lunghe distanze.

Era inutile, determinata com'era, provarla a distanziare non sarebbe bastato.

Sospirando amaramente, feci diminuire la velocità di corsa al cavallo, fino a fermarlo.

E con il mio, si fermò anche l'altro.

-Finalmente! Stavi scappando, eh? Non mi volevi tra i piedi- constató

-Finalmente ci sei arrivata- sbottai, guardandola male mentre si tirava giù il cappuccio, mostrando i suoi capelli neri olivastri, che le erano sparsi disordinatamente sulla faccia, i quali vennero ordinati con pochi gesti della mano-Rhy, dovevi startene a casa, dai tuoi genitori- obbiettai

-Mi dispiace Dan, ma non ho intenzione di farlo- disse seria, lo sguardo color oro che mostrava solo determinazione e testardaggine

La guardai, reprimendo la voglia di correggere il mio finto nome.

Non ero affatto abituato ad esso, ma ero più che deciso a tenermelo stretto.

Il mio nome avrebbe potuto capitare alle orecchie di qualcuno che magari mi conosceva quando ero con lui.

Soprattutto perché il mio nome non era uno di quelli più diffusi, anzi, raramente i bambini ricevevano "Luxor" come nome.

Forse in parte perché era abbastanza antico, forse perché la dinastia che il mio nome si portava a dietro era pieno di brutte fini.

Neanche cinquecento o seicento anni fa, Luxor il Grande, chiamato così per le sue fortune di guerra, era stato ucciso, tagliandogli la testa con un falcetto, per poi impalarla e utilizzarla in un campo di grano.

La sua faccia gli era stata strappata e data in pasto ai corvi, e il resto del suo corpo bruciato.

Era stata una stirpe a loro nemica, quella dei Robin, finti nobili collezionisti di specie di uccelli rari, compagni dei Falchi Azzurri.

-Come vuoi.- sbottai spazientito, capendo che tentare di ribattere sarebbe stato del tutto inutile, inutile come cercare di cavalcare più rapido di lei, facendo solo perdere forze al cavallo - Ma sappi che non faró mai niente per te, quando ho steso quei barbari, l'ho fatto per me e basta. - feci una breve pausa, assistendo alla sua espressione corrucciata - Io non alzeró un dito se non per dare ordini. 
Caccerai tu e farai tutto quello che ti ordino-

Non disse niente, ma annuí, rizzando la schiena e girandosi tra le mani le redini del cavallo in cui era in groppa con aria tanto sicura.

-Bene, da adesso andremo a galoppo medio fino all' uscita della spiaggia , oltre quella andremo a piedi, il più silenziosamente possibile e ci riposeremo solo quando lo dirò io-

Continuó a tacere contro le mie previsioni, mi sarei immaginato che brontolasse, che mi dicesse su o che sbuffasse, tralasciando almeno un po' di frustrazione che avrei potuto usare contro di lei.

Ma a quanto pareva o era più brava a nasconderlo o era la tipica figlia ubbidiente.

Anche se alla seconda ci credevo poco.

Misi in moto il cavallo, preparandolo al galoppo.

Esso rispose scrollando vivacemente la criniera con allegro nitrito, per poi eseguire la richiesta.

Abdon, avendo ripreso le forze, sembrava pronto a marciare ancora più a lungo.

Era strano che quel cavallo fosse così affabile nei miei confronti.

Nessuno lo era mai stato prima d'ora, nessuno.

E non capivo Rhy.

In effetti, c'erano fin troppe cose che non capivo, cose che davo per scontate.

Scrollai il capo, avevo passato tutti i miei anni tra gli Spettri credendo di sapere tutto, esternando le mie emozioni.

Già, ogni emozione tranne le negative.

E mi andava bene.

Ma questo mi portava a essere tentennante verso quelle positive, sia mie che altrui.

Non le capivo.

Ma non aveva importanza.

Non adesso almeno, un tempo lo aveva avuto, quando avevo solo cinque anni.

E me lo ricordavo quasi fosse una cicatrice sulla pelle.

/////////////////

Girovagando tra i sotterranei della città di Brooks, uno dei tanti covi, alla ricerca dell' uscita, quasi inciampai, trattenendo una smorfia innervosita, non tanto per il dolore ma piuttosto per il rumore che feci che si diffuse con un eco ripetuto e soffuso e che di certo non sarebbe passato inosservato.

Ma nonostante questo, mi rialzai velocemente e trovai la maniglia, fregandomene dei guai in cui sarei potuto cacciarmi, uscendo con un sospiro in parte rassegnato e in parte felice.

Già da piccolo non ero stato minimamente fatto per le regole, anzi, il mio spirito ribelle non si era mai placato.

La luce mi pizzicò gli occhi, accecandoli quasi completamente quando fui davvero fuori.

Assistetti, meravigliato, al mondo che mi circondava, quel mondo che non avevo mai visto con i miei occhi e che mi sembrava così incredibile e speciale da togliermi il fiato.

Il rumore dell' acqua giunse immediatamente alle mie orecchie con un che di inizialmente sospetto, forse proprio per il mio essere 'nuovo' in quella situazione.

Era strano, molto strano.

Nel breve tempo da cui ero nato, ero sempre stato sottoterra, in compagnia di Lui o di altri esseri tra cui Spettri, Spiriti e Demoni, che peró mi giravano alla larga e non mi toccavano neppure con un dito solo perché colui con cui ero cresciuto gliene aveva impedito anche solo il minimo tentativo... forse perché ero stato giudicato la loro arma.

Camminai nel bosco, osservando ogni particolare di quello che avevo attorno .

Solo una parola aleggiava nella mia mente... una parola con cui riassumevo ogni cosa

"Stupendo"

Perché sí, tutto quello che vedevo mi faceva brillare gli occhi, ogni albero, ogni nuvola, ogni ramo che scricchiolava sotto le scarpe emettendo dei soffocati e lunghi schiocchi secchi simili a quelli che facevano quando accendevo un fuoco per riscaldarmi il cibo.

Io ero l' unico ad averne bisogno, gli altri esseri non mangiavano, tutti tranne, ancora ed ovviamente, Lui.

Non riuscivo a capirlo sinceramente, non capivo se avesse veramente bisogno di mangiare o lo facesse per il semplice gusto di deliziarsi con la caccia, assaporandone i frutti.

Camminando a ritmo spedito, raggiunsi la città di Brooks.

Era affollatissimarumorosa e piuttosto gioiosa, forse più di quanto mi sarei aspettato.

In fondo, per uno che aveva vissuto nel terriccio e nelle gallerie sudice, una città doveva sembrare un paradiso terrestre.

Un posto dove uomini e donne procedevano per la loro strada, incrociando sconosciuti o amici, diventando amici degli sconosciuti, dove bambini andavano a fare le proprie attività sciocchine, fregando con occhi da cerbiatto qualche mela al primo fruttivendolo di buon cuore.

Mi guardai attorno, estasiato, probabilmente con la bocca spalancata dalla sorpresa e dallo stupore che continuavano ad assalirmi.

Non avevo mai immaginato cose simili quando, ogni tanto, strappavo piccole informazioni dalle bocche degli Spettri e degli Spiriti prima o dopo gli allenamenti con Lui, non lo avevo mai creduto un posto simile, con tale energia.

Ma le idee positive, a quanto pareva, non erano destinate ad essere durature, non in me, non nel riguardo del mondo umano in cui avevo appena scoperto di vivere.

Avanzai ancora, continuando a spostare lo sguardo da un edificio all' altro, un po' spaesato, non essendo capace di orientarmi per nulla, camminando da una parte all'altra, un po' a zig zag, cercando di seguire con lo sguardo gli adulti che sparivano dietro di me, ma soprattutto i bambini della mia età, a cui avrei voluto unirmi, imparare le loro attività e... come si diceva?

I demoni lo sussurravano sempre con disgusto quando chiedevo loro dei ragazzini della mia età, ma loro dicevano tutto più o meno con tono schifato, quindi non era un problema.

Giocare.

Ecco cosa volevo fare.

Volevo imparare a giocare, ad essere un bambino normale tra gente normale, anche se non lo ero.

E mentre mi fermavo a fissare dei ragazzini che tenevano in mano una palla, un uomo mi venne addosso, o più che altro, ci andammo addosso tra di noi.

Caddi a terra e egli si fermó a guardarmi insieme ad una donna vicino a lui che gli si attaccó al braccio, guardandomi obliqua.

-Guarda dove vai, pezzente... spazzatura! - sputó, proprio mentre stavo per scusarmi, pestandomi la mano con il tacco della scarpa laccata, strappandomi un gemito di dolore.

Tutti le persone si erano immobilizzate a guardarci, ma dopo qualche istante, ripresero a chiacchierare tra loro, allontanandosi.

Non uno, ma dico uno, venne a difendermi.

Non un bambino, non una madre, non un padre.

A nessuno importava.

La cattiveria della gente mi ferí la mente e mi fece realizzare che la bolla di perfezione che mi ero costruito nell' osservare ciò che avevo attorno, era piena zeppa di crepe.

Inizialmente non feci nulla, sentendo una sensazione orribile attanagliarmi lo stomaco.

Era qualcosa di più del dolore.

Era come se avessero spezzato l'unica certezza che avevo.

L'uomo mi guardó ancora, per poi spostare il piede e sputarmi addosso, sistemandosi la cravatta, con la donna affianco che si lasciava prendere da una risata.

E mentre si allontanava da me, mi sentivo completamente a pezzi.

Non dissi niente, mi alzai, pulendomi i pantaloni grigi un po' logori.

Avanzai di nuovo, cercando di trovare un posto appartato per sfogare quelle emozioni che mi albergavano dentro, riempendomi fino all' orlo.

Raggiunsi un parco con un pinco-panco, un altalena e qualche panchina.

Mi sedetti su una di quelle e piansi lacrime silenziose, che mi costrinsi ad asciugare immediatamente.

Lui non voleva che piangessi, diceva che le lacrime erano da inutili creature viziate.

Mi morsi il labbro e tirai fuori qualche pezzo di pane dalle tasche che avevo tenuto da due giorni per quella che per me sarebbe stata una "meravigliosa" uscita alla scoperta del mondo.

Tirai fuori uno dei due panini dal fazzoletto, prima di udire delle voci di dei bambini.

Una era sull'altalena, dai capelli azzurri e con i piedi nudi all' aria che rideva ed era parecchio vicina a me.

Si dondolava, salendo e scendendo, con le sue risate che le sfuggivano dalle labbra quando saliva, fissando il cielo con nuvole a sprazzi.

Gli altri erano quattro bambini dall' aria ben poco simpatica, molto più lontani, ma che arrivavano lentamente nel parco.

Non potei fare altro che cercare di non fissarli troppo, ma era impresa ben ardua visto che si avvicinavano a me, come se la panchina dove ero seduto fosse l'unica libera.

Sembravano ben poco affidabili per il semplice motivo che ghignavano, ridacchiavano e si lasciavano gomitate nei fianchi, come per incitarsi tra di loro.

Spalancai gli occhi e trattenni il respiro, trovandomeli davanti.

-Questa é la nostra panchina- disse uno dei quattro, sogghignando ancora

-E ora, scricciolo, o ti levi di torno, o ci dai i tuoi panini e tutti i soldi che hai-

Li guardai , aggrottando la fronte, inghiottendo la saliva e cercando di mostrarmi tranquillo.

-N-no- balbettai, prendendo una boccata d'aria e espirandola

-No?- disse un altro dei quattro, per poi fare un ennesimo passo verso di me, guardandosi momentaneamente le mani, per poi scaraventarla sulle mie gambe e buttare a terra il panino e infine pestarlo.

Iniziai a respirare più frequentemente e spostai lo sguardo sulla bambina dai capelli azzurri sull' altalena, ci fissava, immobile, a bocca spalancata.

La pregai con lo sguardo ma lei non si mosse ancora, anzi, nonostante all' inizio paresse aver voluto provare ad avvicinarsi, scese dall' altalena e indietreggió di qualche passo, per poi correre via in tutta fretta.

Ogni mia speranza era andata in fumo.

Spostai perciò nuovamente lo sguardo sui quattro bambini sorridenti, certo, sorridenti in maliziosa cattiveria.

Mi buttarono a terra, cominciando a frugarmi nelle tasche, prendendo tutto quello che trovavano allettante, iniziando poi a calciarmi, a picchiarmi mollandomi pugni e schiaffi mentre mi dimenavo inutilmente, contando che in uno scontro ad uno contro quattro non c'era speranza che io vincessi.

Non ero abbastanza forte.

Soffocai le lacrime, pentendomi pienamente della scelta fatta, sentendomi talmente male che a malapena respiravo.

Tutto il dolore però, dopo quei lunghi istanti che passavano con una lentezza tale da parere infiniti ed interminabili, neanche il tempo si fosse cristallizzato di colpo in quella scena, mutó in rabbia furiosa e disumana, rabbia che non avevo mai sentito prima, che non avevo mai provato.

Mi avevano sempre incitato ad odiare tutto e tutti, ma prima di quel momento non avevo mai afferrato il concetto.

Ma in quel momento... odiavo gli umani.

Li odiavo con tutto me stesso, meritavano di morire tutti! Tutti, nessuno escluso.

Meritavano di soffrire, mentre assistevano agli ultimi istanti della loro vita, ricordando tutte le scene, ma soprattutto tutte le cose sbagliate che avevano compiuto nella loro esistenza, tra cui lo stesso vivere.

Erano nati e questo era già un peccato.

Io li avrei distrutti.

Io sarei stato la causa della loro scomparsa dalla faccia della terra.

Io li avrei fatti estinguere, come un tempo il Ghiaccio aveva portato la morte di molti altri esseri indegni, facendoli cadere, uno dopo l'altro, godendo del dolore che avrebbero provato, ridendo alle loro spalle fino a che tutto non sarebbe completamente ed inesorabilmente sparito nel nulla più totale.

 
  
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