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Autore: Echocide    31/07/2017    5 recensioni
[Sequel di Miraculous Heroes e Miraculous Heroes 2]
La minaccia di Maus è stata sventata, ma non c'è pace per i nostri eroi: il mistero dell'uccisione degli uomini del loro nemico non è stato risolto e un nuovo nemico trama nell'ombra...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quantum Universe'
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Titolo: Miraculous Heroes 3
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, altri
Genere: azione, mistero, romantico
Rating: NC13
Avvertimenti: longfic, what if...?, original character
Wordcount: 3.483 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con una nuova settimana ricca di aggiornamenti e, ovviamente, si comincia con Miraculous Heroes 3: un nuovo capitolo che...beh, non vi dico assolutamente nulla per non rovinarvi la lettura e, quindi, passo subito alle informazioni di rito. Anche perché vado un po' di fretta oggi e, quindi, non volevo dilungarmi più di troppo.
Passiamo subito agli appuntamenti di questa settimana: mercoledì, vi ricordo, ci sarà un nuovo capitolo di Inori, giovedì sarà il turno di Laki Maika'i e venerdì, come sempre, verrà pubblicato il secondo aggiornamento di Miraculous Heroes 3, mentre sabato sarà il turno di Scene con Eroina I.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook dove essere sempre aggiornati su capitoli, anteprime e coming soon, senza contare i miei disagi.
Detto ciò, come sempre, voglio ringraziarvi tantissimo per il fatto che mi leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

 

«Che problemi avete?» domandò Rafael, osservando il gruppetto che stava stazionando nella sala da pranzo di casa sua e poi i fogli sparsi sul tavolo, che occupavano l’intera superficie: «Insomma, sappiamo già tutto quello che c’è da sapere. Perché vi state fissando con le ricerche di mio padre?»
«Sapere è la massima arma contro i nostri nemici» dichiarò Alex, annuendo alle sue parole e fissando poi un punto del soffitto, le labbra imbronciate e lo sguardo pieno di serietà dietro le lenti degli occhiali: «E non l’ho sentita dalla televisione.»
«Abbiamo trovato un appunto mentre stavamo sistemando tutto» spiegò Sarah, allungando le mani e iniziando a cercare fra i fogli, fino a che non trovò un post-it che aveva visto giorni migliori: «Ed è qualcosa che non riusciamo a capire» continuò, scambiandosi una fugace occhiata con Alex e Xiang, osservandoli entrambi annuire: «Magari tu…»
«Io avrei lezione fra poco, Sarah.»
«Una letturina veloce veloce?»
Rafael sospirò, prendendo il post-it e leggendolo, aggrottando poi le sopracciglia e poggiando il fianco contro il tavolo: «Come un ragno tessitore ha creato la sua tela nei secoli, assoggettando al proprio volere chi aveva il potere e usandolo per i propri fini…» lesse ad alta voce, scuotendo la testa e rileggendo una seconda volta il post-it muovendo le labbra ma senza emettere alcun suono: «Ma che significa?»
«E’ quello che ci piacerebbe sapere» decretò Xiang, portandosi indietro una ciocca di capelli, che la infastidiva: «Forse non centra niente con tutto questo, però è strano: perché era lì?»
«Questa è la scrittura di mio padre e posso assicurare che, sebbene sia disordinato cronico, è molto ordinato e organizzato con il proprio lavoro.»
«Quindi sicuramente si sta riferendo a qualcosa che ha a che fare con Atlantide o con il culto dei Sette animali» decretò Alex, sospirando e fissando la marea di foglia davanti a sé, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi il setto nasale: «Ma in che modo? Possibile che proprio ora che eravamo riusciti a comprendere tante cose, spuntano nuovi misteri?»


Felix si fermò, mentre si allacciava la cravatta e osservò la donna che, seduta davanti la toeletta – il nuovo acquisto della mobilia della sua stanza – si stava, preparando per una nuova giornata lavorativa: fissando quei rituali mattutini e rendendosi conto di come i movimenti di lei erano ben fissati nella sua mente, notando quanto gli era divenuto familiare vedere Bridgette truccarsi e pettinarsi ogni mattina.
Una visione di lei che solamente in un determinato ruolo avrebbe avuto.
Guardò la giacca, abbandonata sulla poltroncina dall’altra parte della stanza, sapendo benissimo il contenuto della tasca destra e avvicinandosi, tastando l’indumento e sentendo la scatolina al tatto: «Oggi che farai?» gli domandò Bridgette, mentre allungava la mano e prendeva la spazzola, iniziando a sistemarsi i capelli mori.
Quando l’aveva conosciuta come Miss Bridgette Hart, lei teneva sempre i capelli acconciati in una di quelle complicate pettinature femminili, che gli facevano sempre domandare come fosse possibile che le dame non avessero un perenne mal di testa; da Ladybug aveva potuto ammirare quei boccoli scuri che creavano un manto sulla schiena della sua compagna di armi, esattamente come in quel momento.
«Cosa?»
«Che fai oggi, Felix?»
«Il solito» dichiarò l’uomo, scrollando le spalle e sorridendo appena, mentre recuperava ciò che voleva dalla propria giacca: «Sarà un’altra lunga giornata all’insegna dell’accaparrarsi più voti possibili. Ormai le elezioni si stanno avvicinando e ogni voto è indispensabile.»
«Capisco» mormorò Bridgette, voltandosi verso di lui e inclinando il capo, mentre aggrottava la fronte e storceva le labbra: «Felix, c’è qualcosa che non va?»
«Sposami.»
«Cosa?»
«Io…» Felix si fermò, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente: «Io devo fare ammenda per ciò che è avvenuto a Nanchino: ti ho privata della tua verginità e mi sono preso libertà che non avrei mai dovuto prendermi.»
«Sono passati due secoli, Felix.»
«Sei la mia donna, la mia compagna e voglio che tu porti il mio nome.»
«Blanchet non è il tuo nome, Felix.»
«Hai finito di ribattere su ogni cosa? Maledizione, donna, mi farai diventare matto.»
«Non è quello che fa una moglie di solito?» domandò Bridgette, alzandosi in piedi e avvicinandosi a lui, posandogli le mani sui fianchi e sorridendo divertita, allungandosi e sfiorandogli le labbra con le proprie: «Sto iniziando a fare pratica.»
«Quindi è sì?»
«Ovvio che è sì.»
Felix sorrise, baciandola nuovamente sulle labbra, leggero come una piuma, mostrandole poi la scatoletta che teneva in mano e notando lo sguardo di lei calamitarsi su questa: «Avevo provato a chiedertelo anche l’altro giorno» iniziò, aprendo il piccolo cofanetto e mostrandole l’anello di oro bianco, sormontato da un unico diamante, candido anch’esso: «Mh. Non sapevo esattamente i tuoi gusti in fatto di gioielli e sono andato sul classico. Ecco» mormorò, prendendole la mano sinistra e infilandogli il piccolo cerchietto all’anulare: «Io…»
«E’ bellissimo, Felix.»
«Ti piace?»
Bridgette abbassò lo sguardo, osservando la mano con un sorriso pieno di luce in volto, mentre poggiava il volto contro il petto dell’uomo e sospirò soddisfatta, quando lo sentì abbracciarla: «Tantissimo. E’ perfetto. Come te.»
«Beh, che io sono perfetto lo sapevo.»
«Occhio, sergente Norton, sai cosa dice il saggio?»
«Che uomo che si è proposto deve festeggiare con una bella rotolata fra le lenzuola?»
«Che chi si loda, s’imbroda» dichiarò Bridgette, sfiorandogli le labbra con le proprie: «E per quanto mi piacerebbe festeggiare alla tua maniera, dobbiamo entrambi andare al lavoro.»
«Possiamo darci malati.»
«Puoi?»
Felix sorrise, chinandosi e passando un braccio sotto le ginocchia di Bridgette, sollevandola con facilità e posandola poi sul letto, baciandola irruento e posandole la mano sul fianco, carezzandoglielo poi con le nocche: «Faccio una chiamata e sono tutto tuo.»
«Ti aspetto, sergente.»


Manon alzò la testa dallo schermo, osservando Thomas giungere verso di lei e lasciarsi andare senza tante cerimonie accanto a lei sulla panchina: il ragazzo sospirò pesantemente, gettando indietro la testa e portandosi una mano alla fronte, tirando indietro le ciocche sudate: «Che stai leggendo?» le domandò, girando appena la testa e dandole un’occhiata veloce, prima di chiudere le palpebre e lasciare andare un sospiro.
«Niente» mormorò Manon, spegnendo lo schermo e voltandosi completamente verso l’altro, osservandolo mentre rimaneva seduto, completamente stravaccato, le gambe stese e le braccia abbandonate lungo la spalliera della panchina; il volto era imperlato di sudore e la maglia era leggermente zuppa intorno al collo: «Chi ha vinto?»
«Loro» mormorò Thomas, senza aprire le palpebre e indicando con un cenno del capo il campetto da basket, dalla parte opposta del cortile dove Jérèmie era rimasto a parlare con gli altri ragazzi: «Per poco» continuò, tirandosi su e asciugandosi il sudore sul viso con la maglia e costringendo Manon, voltatasi verso di lui non appena aveva parlato una seconda volta, a girarsi dalla parte opposta quando si accorse della pelle esposta del ragazzo.
Aveva già visto ragazzi mezzi nudi.
Aveva visto persino Adrien in costume, ma la vista dell’addome di Thomas l’aveva messa a disagio.
«C’è Noemie» mormorò Thomas, indicando con un nuovo cenno del capo la ragazzina, che stava attraversando il cortile diretta verso il gruppetto al campo di basket: Manon spostò l’attenzione, osservandola avvicinarsi a Jérèmie e Luc – un ragazzo con cui Thomas riusciva a scontrarsi almeno una volta al giorno – e rimase a fissarla, mentre ridacchiava e si portavano una mano ai capelli, giocherellando con una ciocca.
Era bella. Femminile. E sembrava saperci fare.
Tutto il contrario di lei.
«Lila ha detto che non le piace.»
«Lila come fa a conoscerla?»
«Quando sono venute a prenderti a scuola?» le rispose di rimando Thomas, voltandosi e ridacchiando: «Ha detto che le ricorda troppo Chloé Bourgeois. Mentre tu sei Marinette…»
«Il problema è che io non mi sono innamorata di un modello.»
«Cosa?» Thomas rimase a bocca aperta, lo sguardo sgranato e il busto completamente rivolto verso l’amica; si passò una mano sul volto, scuotendo il capo e continuando a fissarla: «Ti piace qualcuno?»
«Sì, un demente» borbottò la ragazzina, stringendo le palpebre e impedendosi di cadere in un cliché delle storie che amava parecchio: alzare gli occhi al cielo. Si issò poi, sistemando il cellulare nella tasca della maglia e voltandosi verso l’altro: «Puoi dire a Lila di non chiamarmi più principessina di Thomas? Grazie.»
«Perché dovrebbe chiamarti così?»
Manon scosse il capo, lasciando andare un breve respiro e voltandosi, osservando Noemie girata nella sua direzione e con un sorriso pieno di trionfo sulle labbra: «Chiedilo a Lila» borbottò, infilando le mani nella tasca della maglia e allontanandosi con la testa china, sotto lo sguardo dell’amico.
Thomas rimase a fissare la ragazzina, scuotendo poi il capo e cercando di non dare troppa importanza a ciò che era successo: era abituato agli sbalzi di umore di sua sorella Camille e di sua madre, che ormai non si stupiva più degli alti e bassi di una ragazzina.
Manon sarebbe tornata la solita di sempre.
«Avete di nuovo litigato?» domandò Jérèmie, avvicinandosi e sorridendo, voltandosi nella direzione dove era sparita Manon e scuotendo poi la testa, posando lo sguardo sull’amico e, Thomas n’era convinto, aveva visto un che di esasperato negli occhi dell’altro: «Quando lo capirai?»
«Capire cosa?»
Jérèmie inspirò profondamente, piegando le labbra in un sorriso e portandosi la mano destra al viso, posando l’indice su una tempia e il pollice sull’altro: «Amico, sapevo che eri addormentato su certe questioni, ma non pensavo così tanto. Lascia che ti spieghi: tu e Manon vi state girando attorno. Lei piace a te e tu piaci a lei» Jérèmie si fermò, alzando la mano e scuotendo la testa: «Thomas, non provare a dirmi che non è vero: ti conosco, sto imparando a conoscere lei e ho gli occhi per vedere quello che sta accadendo davanti a me.»
Thomas aprì la bocca, richiudendola e portandosi una mano al volto, scuotendo poi la testa e alzando nuovamente lo sguardo sull’amico: «Non può essere.»
«Può essere. E’ quello che sta accadendo.»
«Io e Manon noi…noi siamo amici.»
«A volte un’amicizia si trasforma, sai?»
«Io…»
Jérèmie sorrise, poggiando le mani sui fianchi e chinando la testa verso il basso, scuotendola appena e facendo oscillare le corte ciocche castane: «Pensaci, ok? Manon è una ragazza in gamba e mi piacerebbe veramente tanto vedervi finalmente insieme.»
Thomas rimase in silenzio, poggiando le mani sulle ginocchia e guardando la terra fra i suoi piedi: rimase immobile per molto tempo, una statua davanti all’amico che attendeva paziente un suo segno di vita e sorrise, quando Thomas rialzò la testa e lo fissò senza nessuna espressione in volto: «Quindi il demente che le piace sono io?»
«Sì, Thomas. Sei tu.»
«Ma io non sono demente.»
«Devo veramente risponderti?»


Wei poggiò uno scatolone nel furgoncino, asciugandosi il sudore della fronte e voltandosi, osservando l’uomo che stava entrando nel cortile del signor Mercier: indossava un completo scuro e aveva un soprabito dello stesso colore, la pelle era leggermente scura e gli occhi castani lo fissavano decisi: «Wei Xu?» domandò il nuovo arrivato, fermandosi a pochi passi da lui e attendendo la sua risposta con un sorriso tranquillo in volto, tendendogli la mano.
Il giovane l’osservò, mentre l’altro rimaneva fermo e con il braccio a mezz’aria: «Lei sarebbe…» mormorò, sentendo un movimento alle sue spalle e voltandosi per una manciata di secondi, in tempo per vedere la figura minuta del signor Mercier affacciarsi dal magazzino.
«Ruggero Rossi. Sono il padre di Lila.»
Wei fece spaziare lo sguardo dalla mano, ancora rivolta verso di lui, allo sguardo tranquillo che l’osservava di ricambio e, alla fine, si decise a stringere le dite che erano protese in una stretta decisa: «Wei Xu» dichiarò con voce tranquilla, lasciando andare poi la mano dell’italiano e rimanendo sul suo posto, lo sguardo in quello dell’altro: «Posso esserle utile in qualcosa?»
«Assolutamente no» dichiarò Ruggero, sorridendo appena e sistemandosi il giaccone: «Ero da queste parti e volevo conoscerti, finalmente. E ringraziarti.»
«Ringraziarmi?»
«Grazie per rendere mia figlia felice» disse l’uomo, sorridendo appena e abbassando lo sguardo: «Ho incontrato Lila qualche giorno fa, immagino te l’abbia detto» si fermò, alzando la testa e notando il cenno affermativo di Wei: «L’ho trovata finalmente tranquilla e serena. E di questo penso di dover ringraziare, prima di tutto, tu.»
«Io non ho fatto niente…»
«Sei nella sua vita e questo è già molto per Lila» Ruggero si fermò, scuotendo il capo: «Lei è abituata a essere sola, a non avere nessuno al suo fianco e questo…beh, questa è una colpa esclusivamente mia e di mia moglie. Io ho sempre cercato di essere qualcosa nel mio lavoro, in modo da poter dare solidità economica alla mia famiglia, ma questo…»
«Questo ha fatto sì che l’allontanasse dai suoi cari.»
«Esattamente.»
Wei annuì, storcendo appena le labbra e piegando gli angoli verso l’alto: «Posso comprenderlo» dichiarò, posando le mani sui fianchi e guardando un attimo di lato: «E sono certo che anche Lila lo comprende.»
Ruggero sorrise, chinando la testa e lasciando andare un lungo sospiro: «Sono anche qui per scusarmi. Il comportamento di mia moglie è stato inqualificabile. Ti chiedo scusa per tutti i problemi che ti ha causato.»
Wei sorrise, scuotendo la testa e scrollando le spalle: «Nessun problema. Il signor Mercier l’ha messa in riga.»
«Mercier sa sempre come mettere in riga chiunque.»
«Vero.»
Ruggero annuì, voltandosi e osservando il proprio assistente ballettare sul posto, guardando di tanto in tanto l’orologio: «Purtroppo devo andare, altrimenti farò tardi» dichiarò, girandosi nuovamente verso Wei: «Ancora grazie e ancora scuse.»
«Spero di incontrarla nuovamente, signor Rossi.»
«Lo spero anche io.»


Marinette inspirò, osservando il ragazzo appena fuori dall’istituto e la moto, con il suo cavaliere scuro, che l’attendeva in prossimità del marciapiede: fece un respiro profondo, mentre poggiava la mano sulla porta a vetri e l’apriva, attirando così l’attenzione di Nathaniel: «Marinette…» mormorò quest’ultimo, stringendo le mani sulla tracolla della borsa e inspirando profondamente: «Io…»
«Io non voglio parlare con te, Nathaniel» dichiarò Marinette, osservando Adrien togliersi il casco e scendere dalla moto: «Io non voglio…»
«Tu sei mia, Marinette.»
«Io non sono di nessuno. Non sono un oggetto, Nathaniel.»
«Ma…»
«E Adrien è mio marito, non il mio proprietario.»
«Noi due potremmo essere felici assieme.»
«Nathaniel, sono sempre stata innamorata di Adrien: amo e amerò sempre e solo lui. E lo sai anche tu. Questo non sei tu, non sei il mio amico, non sei il ragazzo che conosco, ti prego.»
Nathaniel fece un passo verso di lei, allungando una mano e cercando di afferrarla: «Toccala e sei morto, Kurtzberg» dichiarò la voce decisa di Adrien, facendo desistere l’altro: «Sei avvisato.»
Nathaniel ignorò il giovane alle sue spalle, tenendo lo sguardo solo ed esclusivamente su Marinette: «Ti pentirai di ogni cosa.»
«Nathaniel, ti prego.»
«Non minacciarla, Kurtzberg» Nathaniel scosse il capo, incassando la testa nelle spalle e, stretta la tracolla della borsa, se ne andò velocemente, sparendo alla vista dei due: «Se osa solo minacciarti un’altra volta, io…» iniziò Adrien, venendo interrotto dal suono congiunto dei loro cellulari: infilò la mano in tasca del giubbotto, recuperando l’apparecchio mentre Marinette faceva lo stesso con il proprio: «Spero sia lui che si è già dato alla pazza gioia.»
«Adrien.»
«Niente Adrien, mon coeur» dichiarò Adrien, facendo dondolare il cellulare davanti al volto di lei: «Abbiamo un lavoro da fare.»


«Ok, ok. Ci siamo» la voce di Alex rimbalzò nell’orecchio di Ladybug, mentre lanciava lo yo-yo verso il cornicione di un palazzo e lo usava come leva per saltare su quello dall’altra parte della strada: «Ponte Alessandro III. Il caro Raincomprix ha già fatto evacuare la zona e sembra che stavolta abbiamo un nemico bello agguerrito.»
La coccinella si guardò intorno, osservando Chat Noir dall’altra parte della strada, che saltava agilmente i tetti, seguito da Peacock e Hawkmoth: «Stiamo arrivando al ponte, Mogui» dichiarò, portandosi una mano all’orecchio e premendo l’indice sull’auricolare: «Sai niente del nemico?»
«Sembra spari qualcosa, ma gli agenti non capiscono cosa.»
«Che bello» commentò Chat, ghignando: «Il nemico sparaqualcosa ci mancava.»
«Questa era pessima, gattaccio.»
«Questa, pennuto, non era una battuta ma una constatazione di fatto. Sinceramente non sono in vena per fare battute» decretò Chat Noir, saltando giù dal tetto e atterrando nella grande zona di verde sottostante, divisa in due dalla strada: «Bene, noi ci siamo. Il cattivo dove è?» domandò, poco prima che un dardo intriso di fiamme bianche passasse a pochi centimetri dal volto; Chat mise mano al proprio bastone, roteandolo e mettendosi in posizione difensiva, mentre un sorrisetto gli piegò le labbra: «Ok, penso di aver trovato il nemico» decretò, osservando la creatura che si stava avvicinando: poco più alto di un uomo normale, sembrava rivestito di scaglie di pietra grigia e la testa era composta da quattro facciate, sulle quali erano state scolpite delle espressioni grottesche e di rabbia.
«Mi ricorda il boss di un videogioco» mormorò Hawkmoth, inclinando la testa e studiandolo: «Ma non riesco a ricordarmi quale.»
«Ok. Come lo battiamo?» domandò Ladybug, roteando lo yo-yo davanti a sé e proteggendosi così dal secondo dardo lanciato dalla creatura: «Volpina. Bee. Tortoise?»
«Io sono qui, boss» dichiarò la voce di Volpina, prima che l’eroina atterrasse alle spalle del mostro, anticipando di poco l’arrivo dei rimanenti membri del gruppo: «Simpatico il ragazzone che abbiamo oggi.»
Ladybug osservò il nemico, muovendosi lentamente verso sinistra, un passo dopo l’altro e, quando un nuovo dardo venne lanciato dalla bocca del mostro, usò lo yo-yo per proteggersi e notò come la testa girava su sé stessa, mettendo in posizione frontale una nuova facciata: «Forse riesce a fare un attacco per volta…» mormorò, notando la nuova faccia lanciare il proprio colpo verso Tortoise, che alzò lo scudo e si protesse con quello.
Nuovamente la testa girò su se stessa.
Ladybug annuì, sorridendo convinta del piano che si stava formando nella sua mente: «Volpina, usa le tue illusioni per distrarre le facciate e costringerle a usare i dardi; Tortoise, tieni il tuo scudo alzato e…» si fermò, aprendo appena la bocca e osservando a rallentatore la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi: la seconda facciata, quella che aveva usato il dardo contro di lei, lanciò un secondo colpo e colpì in pieno la spalla di Chat Noir che si accasciò per terra, portandosi una mano alla lesione; Ladybug saltò davanti a lui, facendo ruotare lo yo-yo e usandolo come scudo, mentre due facce lanciavano in contemporanea due dardi: «Peacock, vedi!» urlò, senza voltarsi verso il compagno per assicurarsi che eseguisse l’ordine: «Chat…»
«Sto bene, my lady. Mi ha preso alla sprovvista.»
Le teste nuovamente girarono e Tortoise rotolò per terra, evitando un assalto e usando lo scudo per proteggere se stesso e Peacock: «Non possiamo attaccarlo se siamo impegnati a proteggersi.»
«E il simpaticone non considera le mie illusioni» bofonchiò Volpina, roteando il flauto e osservando le copie di tutti loro che si muovevano, senza attirare l’attenzione della creatura: «Che facciamo?»
«Il Lucky charm» dichiarò Peacock, scuotendo la testa e osservando il nemico, portandosi la mano alla fronte e massaggiandosela: «Dobbiamo usarlo sulla facciata frontale e, prima che questa giri, permettere a Chat Noir di usare il proprio potere.»
«Ok» dichiarò Chat, alzandosi e invocando il suo potere speciale, osservando poi la mano impregnata di energia distruttiva e spostando lo sguardo su Ladybug: «Tocca a te, my lady.»
Ladybug annuì, lanciando in aria lo yo-yo e osservando l’energia della creazione riunirsi in un solo punto e dare vita all’oggetto designato, che cadde fra le mani della coccinella: «Uno specchio?» domandò, rigirandosi il quadrato che aveva fra le mani e rimandava il riflesso della propria espressione dubbiosa: «E’ come Mogui.»
«Mettilo in alto e mettiti davanti la facciata principale» dichiarò Peacock, osservando Ladybug annuire ed eseguire esattamente ciò che aveva detto: «Volpina, Bee. Voi dovete usare i vostri poteri sulle facciate laterali, invece» continuò il pavone, osservando le due eroine annuire e posizionarsi ai lati della creatura, saltando quando due dardi vennero sparati nelle loro direzioni: «Dovete attaccarlo non appena il dardo…»
Peacock si fermò, osservando la facciata frontale lanciare il dardo contro Ladybug e vedere questo rimbalzare contro lo specchio e tornare indietro, la coccinella fece alcuni passi indietro, rovinando poi a terra e guardando il dardo colpire la faccia della creatura, in contemporanea ai poteri congiunti di Volpina e Bee; Chat Noir balzò in avanti, posando la propria mano sull’addome della creatura e vederla iniziare a sgretolarsi davanti a lui: «Ce l’abbiamo…» iniziò, fermandosi quando vide un ultimo dardo, l’ultimo attacco della creatura morente, venire lanciato dalla facciata posteriore: «Hawkmoth, attento!»
Il giovane eroe rimase immobile, osservando il proiettile di fiamme bianche giungere verso di lui e poi si sentì spostare di lato, cadendo nell’erba, il peso completamente sulla parte destra del corpo: sputò un po’ di erba che aveva ingoiato quando era stato spintonato, e si rialzò; si guardò attorno, scuotendo la testa e massaggiandosi la fronte, non capendo cosa lo aveva spinto e perché, finché i suoi occhi non si fissarono sul corpo inerme vicino a lui e poco lontano dal mucchietto di polvere che era diventato il loro nemico: «Bee!»

 

   
 
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