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Autore: Signorina Granger    01/08/2017    10 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
E’ passato così tanto tempo dalle Guerre che ormai Lord Voldemort e Tom Riddle sono nomi che si trovano solo negli archivi del Ministero, della Gazzetta del Profeta o nei libri della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Le distinzioni tra Purosangue e non sono finalmente cessate, ormai quelle famiglie che si davano tanta importanza per la purezza della loro stirpe non esistono quasi più nell’universo magico inglese.
I maghi hanno forse finalmente iniziato a guardare i Babbani con maggiore interesse, qualcuno ha persino pensato di unire scienza e magia, dando così vita alla Dollhouse, un’associazione segreta nascosta dietro ad una facciata di esperimenti, che seleziona giovani maghi e combinando le due forze ne resetta le menti: dimenticano chi sono, il loro nome, il loro passato. La loro personalità viene cancellata e reimpostata perché siano al completo servizio dell’associazione: sono solo bambole in mano a dei burattinai, addestrati e pronti ad eseguire qualsiasi ordine.
A qualunque prezzo.
- La storia prende ispirazione dalla serie “Dollhouse”
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 13: Carter Halon

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“E’ adorabile…”
La giovane donna sorrise, accarezzando i lisci capelli castani del bambino che teneva tra le braccia mentre con una mano lo aiutava a sorreggere il biberon.
“Come si fa ad abbandonare una creaturina così?”
 
“Immagino che non lo sapremo mai.”
La strega rivolse un’occhiata a suo marito, seduto sul tappeto del salotto mentre guardava i figli gemelli di circa un anno giocare, entrambi con il ciuccio in bocca e i capelli sparati da tutte le parti.
 
 “Secondo te starà bene con noi?”
“Assolutamente. Farò in modo che vada così.”  Faye annuì, lasciando un bacio sulla fronte del nipotino prima di allontanare il biberon, scaturendo una lieve protesta da parte del bimbo. Carter allungò le piccole mani come a volerlo riprendere ma la donna si limitò a ridere e dargli il ciuccio prima di sollevarlo e lasciarlo sul pavimento insieme agli altri due bambini:
“Non fare i capricci… Su, gioca con i tuoi cugini Carter.”
 
Il bambino si voltò verso la zia, guardandola con i grandi occhi verdi prima di sorriderle quasi gioiosamente.
“Sì, è adorabile.”

 
 
*
 
 
Seduto sui gradini sotto al portico di casa teneva gli occhi verdi fissi davanti a sé, in attesa, senza parlare o muovere un muscolo.
Era fermo in quella posizione, con le braccia che stringevano le ginocchia e la schiena leggermente inclinata in avanti, da più di dieci minuti, ma il bambino sembrava non curarsene e continuava ad osservare la strada deserta.
 
Stava per arrivare, ne era certo. Doveva essere così.
 
Si era seduto sotto al portico da solo, non sapendo che qualcuno era rimasto in piedi dietro la finestra della cucina ad osservarlo per tutto il tempo, o almeno finché non si stancò di vederlo in quella situazione, raggiungendolo.
“Tesoro?”
Carter, sentendo una mano sfiorargli i capelli e una familiare voce femminile, alzò lo sguardo per posarlo sulla donna, che gli rivolse un lieve, dolce sorriso:
“Perché intanto non vieni dentro a giocare con Elphias e Holden? Qui fuori fa un po’ freddo.”
“Sto aspettando papà.”
 
Il bambino non batté ciglio, voltandosi nuovamente mentre Faye sospirava, sedendo accanto a lui sul gradino:
“Ok… posso aspettare qui con te?”
“Certo zia.”
La strega sorrise, stringendo il bambino in un abbraccio che stranamente non venne rifiutato: Carter appoggiò la testa sulla spalla della zia, che gli lasciò un bacio tra i capelli castani.
“Pensi che verrà? Doveva venire già la settimana scorsa.”
“Non lo so tesoro… ma sono passati tre mesi, giusto? Vedrai, verrà.”

 
 
*


“Nel mio ufficio. Subito.”
Allontanò il dito dal microfono senza nemmeno aspettare una risposta, interrompendo la comunicazione rapidamente com’era iniziata.
Gli occhi grigio-azzurri di Cecily, che non si erano staccati dalla lettera che teneva tra le mani nemmeno per un attimo, indugiarono sull’indirizzo lasciato in un angolo della pergamena prima di prendere una penna per trascriverlo.
Non erano molti i clienti che ancora le si rivolgevano usando quei mezzi, spesso riceveva telefonate o e-mail, ormai non solo da Babbani ma anche da maghi. Sembrava però che quel cliente, che ormai conosceva da qualche anno, non volesse demordere sui mezzi di comunicazioni tipici della loro “cultura”.
 
“Hai qualcosa per i miei ragazzi?”   Alpha aprì la porta senza nemmeno bussare, indugiando sulla soglia della stanza mentre posava gli occhi chiari sulla Dottoressa, che annuì con fare sbrigativo mentre strappava il pezzo di carta dove aveva scarabocchiato l’indirizzo:
“Diciamo di sì, ma questo non richiede molti Attivi… ne basterà uno.”
 
“Ok, dimmi di che si tratta e deciderò chi mandare.”
“Juliet.”
La Dottoressa porse il foglietto ad Alpha, che la guardò di rimando con la fronte leggermente aggrottata:
“Come?”
“Juliet. Andrà lei stasera… Carter l’accompagnerà, dev’essere lì alle nove.”
 
“Da quando decidi tu chi mandare?”
“Fino a prova contraria il capo qui sono io, Alpha. Tu ci lavori insieme tutti i giorni da due anni, ma non dimenticare chi ha dato vita a quei ragazzi… li conosco meglio di quanto non potranno mai conoscere loro stessi.”
“Non hai dato vita proprio a nessuno Cecily, se non a dei fantocci. Semmai hai strappato delle vite.”
 
Cecily non batté ciglio alle parole dell’ex Auror, limitandosi a lanciargli un’ultima occhiata quasi annoiata prima di tornare a concentrarsi sullo schermo del suo computer.
 
“Questione di punti di vista. In ogni caso andrà Juliet. E non è stata solo una mia scelta, in questi casi lascio che a scegliere sia anche chi mi commissiona il lavoro.”
 
“E che cosa dovrà fare, di grazia? Pensi di informarmi visto che dovrò dirlo a Juliet?”   Alpha inarcò un sopracciglio, parlando con un tono scettico che sembrò non scalfire affatto la donna, che si limitò a parlare utilizzando il suo solito tono pacato e autoritario:
 
“Alle nove. Dai l’indirizzo a Carter. Dì solo questo, non c’è bisogno di sapere altro.”
 
Alpha abbassò lo sguardo, lanciando un’occhiata all’indirizzo prima di annuire, facendo un passo indietro per uscire dall’ufficio. Cecily rimase in silenzio, comportandosi come se fosse già uscito dalla stanza mentre l’uomo pensava all’Attiva in questione, avendo ormai una vaga idea di cosa l’aspettasse.

 
*

 
“Secondo voi è morto?”
“Penso di sì.”
 
Carter, chino accanto al cugino Elphias sul terriccio, guardò Holden allungare una mano per sfiorare con lo spillo il grosso ragno che i tre ragazzini avevano davanti agli occhi.
 
“Sì, è morto. Avevo ragione, ne bastano tre!”
 Holden sfoggiò un sorriso quasi soddisfatto in direzione del cugino e del gemello, che si rialzarono da terra sbuffando per aver perso la scommessa.
 
Da diverso tempo i tre si divertivano a passare il tempo libero nel boschetto vicino casa e i loro giochi preferiti prendevano tormentare gli animali considerati “schifosi” dalla maggior parte della popolazione.
Ormai infilare gli spilli nei ragni era diventata quasi una routine.
“Ho portato il sale… cerchiamo una lumaca!”
 
Elphias sorrise con aria allegra prima di allontanarsi verso gli alberi, guardando dove metteva i piedi per cercare una lumaca.
“Odio le lumache.”
Holden sfoggiò uno smorfia mentre camminava accanto al cugino, che invece sorrise appena:
“A me piacciono gli insetti… tutti dicono che sono orrendi, tua madre li detesta, ma a me non dispiacciono.”
“Sì, ma le lumache sono orribili! Se penso che c’è gente che le mangia!”
 
Carter sorrise, dando al cugino della “mammoletta” mentre qualche metro più avanti Elphias esultava, sostenendo di averne finalmente trovata una.
“Ok, chi vuole avere l’onore di immergerla nel sale?”
 
Probabilmente sua zia Faye non sarebbe stata particolarmente felice di conoscere i giochi preferiti di figli e nipote visto che prevedevano quasi sempre l’uccisione di qualche animale… ma ai tre non importava granché e continuavano a passare i pomeriggi estivi in quel modo, aspettando con ansia che Sebastian li reputasse abbastanza grandi da portarli con sé quando andava a caccia.
Di lì ad un paio d’anni sarebbero anche andati ad Hogwarts e Carter si chiedeva se il loro rapporto sarebbe cambiato una volta a scuola… i gemelli erano diventati per lui i suoi migliori amici, oltre che due fratelli, essendo cresciuti insieme.
E non moriva dalla voglia di separarsene.

 
*
 
 
“Non pensi che dovremmo dirglielo?”
“Che cosa?”
“Come che cosa? Ormai anche i muri sanno che Carter sbava per tua sorella Bennet. Ora che sa che sieste fratelli e non ti guarda più con aria assassina forse dovresti dirgli che a scuola stava con Quebec.”
“E tu come lo sai? Si sono messi insieme all’ultimo anno.”
“Sono riuscita ad estorcerlo a Rose.”
 
Erin si strinse nelle spalle mentre si spalmava la lozione solare sulle braccia, comodamente stesa su un lettino per prendere il sole accanto a Nicholas, i capelli biondi sciolti e gli occhiali da sole calati.
 
“Beh, non penso sia una buona idea. Infondo ora nessuno dei due ricorda l’altro, perché gettare carne sul fuoco senza motivo? E poi abbiamo già appurato che è meglio non rendere Carter Halon geloso, il naso mi ha fatto male per cinque giorni.”
“Oh, povero piccolo Bennet…”
“Piantala. A proposito, dov’è mia sorella?”
 
“Ha detto che sarebbe andata ad allenarsi un po’, io preferisco cercare di abbronzarmi.”
La bionda si allontanò i capelli dal viso mentre, dall’altro lato della piscina, anche Rose, Isla e November prendevano il sole e Foxtrot giocava a pallanuoto con Hooland.
 
“Ragazze, venite a giocare con noi? Non rischiate di sciogliervi lì al sole?”
“No.”
Isla sbuffò leggermente, restando sulla sdraio senza dare segno di volersi muovere. November rise, tirandosi a sedere e sfilandosi gli occhiali prima di alzarsi per tuffarsi in piscina.
 
“A te piace molto nuotare… come mai così restia?”
“Io adoro l’acqua Rosie… ma Fox fa sempre l’idiota, mi prende per i piedi e cerca di affogarmi. E poi mi prende e mi lancia a destra e a sinistra.”
“Non fare la musona, quattro giorni fa non disdegnavi la sua compagnia mentre ti teneva abbracciata, sul cavallo.”
“Solo perché avevo paura di cadere!”
 
“Certo, certo…”
“Non cercare di psicanalizzarmi Rose, qui sono io quella esperta in materia!”
 
Isla sbuffò mentre Rose invece sorrise, sistemandosi distrattamente le spalline del costume intero rosso scuro intrecciato sulla schiena.
“Come vuoi, non ne parliamo allora.”
“Grazie. Bel costume, comunque, è nuovo?”
“Oh, sì, me lo ha regalato Hool.”
 
“Oh, che strano…”
Isla rise mentre l’amica invece sorrise, lanciando un’occhiata al suddetto ragazzo mentre tra le due calava il silenzio per qualche istante. L’americana si sollevò, mettendosi leggermente più dritta sulla sdraio per poter seguire i movimenti dei tre nella piscina, che ormai non facevano altro che ridere e schizzarsi a vicenda.
 
“A cosa stai pensando? A volte mi piacerebbe poter entrare nella tua testa a mia volta Isla…”
“Aspetta e spera cara, io ho faticato parecchio per imparare. Comunque… sai, c’è una cosa che vorrei sapere, credo. Come si chiama davvero Fox?”
Rose esitò, evitando di rispondere subito mentre continuava a guardare i tre, mentre Foxtrot aveva preso di peso November per lanciarla in acqua, ridendo.
 
“Cecil. E visto che mi stai per chiedere anche questo, era un Corvonero.”
“Davvero? Me lo sarei immagino più… Grifondoro, da quello che ho sentito su quella Casa. O magari un Tassorosso come te e Hool.”
“Ora sono molto amici, ma a scuola non era così… era molto amico di November, in realtà.”
 
Isla non disse niente, limitandosi a guardare il suo Attivo mentre Rose invece sorrideva, guardando l’amica quasi con aria divertita:
“Non sono una Legilimens Isla, ma qualcosa mi dice che stai pensando a lui.”
 
“Rose, smettila. Non voglio parlarne.”
“Beh, tu con la storia di Hool sei andata avanti giorni, ora eccoti servite le conseguenze!”
 
“Mi è sembrato di sentire il mio nome… parlate di me?”
Hooland, che senza che le due se ne accorgessero era uscito dalla piscina e si era avvicinato alle loro sdraio, sorrise mentre si sedeva accanto a Rose, sporgendosi per metterle una mano sul viso e baciarla.
 
“Non proprio… oddio, ora ricominciano ad amoreggiare.”    L’americana roteò gli occhi mentre Foxtrot prendeva posto accanto a lei, scostandosi i capelli bagnati dalla fronte e sorridendole:
 
“Beh, in fin dei conti siamo stati i primi ad insistere, Isla. Stavi guardando me, prima?”
“No. Guardavo le piastrelle della piscina.”
 
La ragazza non batté ciglio, afferrando il suo libro per continuare a leggere e sforzandosi di non prestare attenzione al ragazzo che aveva davanti, cercando di non sentire i suoi pensieri.
Finì invece con l’avvampare quando Foxtrot pensò a quanto stesse bene in costume, fulminandolo con lo sguardo:
 
“La vuoi smettere?”
“Non sto facendo niente!”
“Mi stai fissando… e smettila di pensare!”
 
L’americana sbuffò prima di alzarsi e infilarsi le ciabatte per allontanarsi, tenendo il libro in una mano e gli occhiali da sole ancora addosso. Si ordinò mentalmente di smetterla di arrossire mentre Foxtrot invece la seguiva con lo sguardo, quasi confuso.
 
“Che cosa avrò mai fatto questa volta?”
“Lascia perdere Fox.”   Rose rise, ma la voglia di farlo le passò molto in fretta, quando Hooland approfittò della sua distrazione per sollevarla e avvicinarsi alla piscina con tutta l’intenzione di buttarla in acqua.
“Hool, mettimi giù, subito!”
 
“Ops…”
Hooland sfoggiò un piccolo sorriso prima di far cadere la ragazza in acqua, ridacchiando quando la Tassorosso riemerse boccheggiando e dicendogli che era un cretino, sfilandosi gli occhiali da sole per lasciarli sul bordo della piscina.
“Scusa Rosie, mani di burro… Fox, vieni in acqua?”
“Sì, arrivo.”
 
L’Attivo annuì, alzandosi dalla sdraio per raggiungere nuovamente la piscina ma senza più sorridere, continuando a pensare alla rapidità con cui Isla se n’era andata.

 
*

 
“Mi mancherai tantissimo.”
“Anche tu, ma adesso lasciami!”
Carter sbuffò leggermente, lanciando un’occhiata alla zia che però non sembrava voler accennare a scogliere l’abbraccio, continuando a stringere a sé il ragazzino.
 
“Ok… divertiti. Ma non combinare guai, specialmente con i tuoi cugini.”
Faye sorrise, accarezzandogli i capelli e guardandolo quasi con una punta d’orgoglio.
Carter annuì, rivolgendo un sorriso allo zio Sebastian prima di seguire i gemelli dentro il treno. Moriva dalla voglia di iniziare il suo percorso scolastico, aveva sentito tanto parlare di Hogwarts dai suoi zii… aveva passato le ultime settimane in attesa, ma anche se non faceva fatica ad ammetterlo i suoi zii gli sarebbero mancati molto.
 
Dopotutto erano stati loro a crescerlo, l’unica cosa che sentiva di avere in comune con suo padre era il cognome, per il resto suo zio era stato una figura molto più paterna. Non lo chiamava nemmeno più “papà” nelle rare occasioni in cui si vedevano, quando Jensen gli faceva visita circa ogni tre mesi, quando tornava in Cornovaglia dai suoi lunghi viaggi che lo costringevano all’estero come delegato.
 
Quanto a sua madre, non l’aveva mai nemmeno conosciuto, si era defilata subito dopo la sua nascita.
 
Ma Carter Halon non se ne faceva un cruccio: aveva comunque trovato la sua famiglia, stava bene anche senza di loro.


 
*
 
 
“Carter?”
Il Guardiano stava attraversando l’ingresso per andare in camera sua e farsi una doccia dopo essere andato sulla spiaggia a fare jogging, ma la voce di Alpha lo costrinse a fermarsi nel bel mezzo dell’ampia sala:
“Sì?”
“La Dottoressa ha qualcosa per Juliet… devi accompagnarla qui, stasera. Alle nove. Lei sa cosa fare.”
 
“D’accordo.”
Carter prese il foglietto che l’uomo gli porgeva, leggermente confuso: che cosa doveva fare Juliet quella sera? Era strano che mandassero solo loro due, ma Alpha non sembrava avere molta voglia di dargli spiegazioni e il Guardiano dedusse che avrebbe dovuto chiederlo direttamente a lei.
 
Infatti l’ex Auror si limitò a rivolgergli un cenno prima di defilarsi, lasciandolo solo con quel pezzo di carta in mano. Carter lesse l’indirizzo, cercando di ricordare se gli risuonasse familiare ma senza ottenere alcun risultato, così si avviò semplicemente verso le scale per andare a cercate Juliet in camera sua e chiederle spiegazioni.
 
L’Attiva, tuttavia, non era nella sua stanza e non avendola vista nemmeno in piscina Carter dedusse che probabilmente era di sotto ad allenarsi. Mentre, dieci minuti dopo, scendeva nuovamente le scale per raggiungerla dopo essersi fatto una doccia non potè fare a meno di pensare all’espressione quasi amareggiata di Alpha e si chiese che cosa dovesse fare la sua Attiva di tanto eclatante.
 
Non poteva essere niente di troppo pericoloso dopotutto, o non avrebbero mandato soltanto lei.
 
Come aveva previsto la trovò impegnata a prendere selvaggiamente a pugni il sacco di pelle da boxe che lui stesso usava molto spesso. Per qualche istante il ragazzo indugiò sulla soglia della stanza, limitandosi ad osservarla finché l’Attiva non si fermò per riprendere fiato, appoggiando una mano sul sacco e accorgendosi della sua presenza.
 
“Ciao… Non eri andato a correre?”
“Beh, sono tornato. Rabbia repressa?”
“No… cerco solo un modo per non pensare.”
 
Juliet si strinse nelle spalle e Carter le si avvicinò, porgendole la bottiglietta d’acqua che la ragazza aveva lasciato sul tavolo all’ingresso della palestra.
 
“Perché? C’è qualcosa che ti preoccupa?”
“No. Lascia stare, non voglio parlarne.”
 
Juliet scosse il capo, evitando di rispondergli mentre il Guardiano invece l’osservava, chiedendosi che cosa la turbasse.
L’Attiva, che da diversi giorni non faceva altro che pensare alle strane immagini che le capitava di vedere, alla sensazione che provava quando parlava con Nicholas o gli era vicina, a quello che era successo con Carter senza riuscire a capire come comportarsi con lui, aveva iniziato a preoccuparsi anche del comportamento vagamente insolito di Quebec.
 
Le aveva chiesto, due giorni prima, se ci fosse qualcosa tra lei e il suo Guardiano… e non era assolutamente riuscita a rispondergli negativamente, sapendo che avrebbe mentito.
Non ne era certa nemmeno lei, ma sicuramente provava qualcosa per lui… eppure c’era qualcosa che la bloccava.
 
Solitamente passava buona parte del suo tempo libero proprio con Quebec, ma da quel rapido scambio di battute lui l’aveva evitata, cercando di non restare mai da solo con lei.
In un primo momento aveva cercato di parlare con lui ma poi aveva deciso di lasciar perdere, dicendosi che infondo non avrebbe saputo come comportarsi. Perché gli interessava, infondo?
 
“Ti cercavo, Juls… Alpha mi ha detto che stasera devo portarti in un posto, ma sarai sola. Non si è dilungato in spiegazioni, sostiene che tu sappia che cosa fare. E’ così?”
 
Le parole di Carter e il suo tono quasi indagatore la riscossero da quei pensieri, portandola ad abbassare lo sguardo sul foglietto che teneva in mano.
 
“Ti ha dato solo l’indirizzo?”
“Sì, ti devo accompagnare da qualche parte.”
“A che ora?”
“Le nove.”
 
Juliet annuì, evitando di guardare il ragazzo in faccia e cercando al contempo di ignorare l’enorme nodo che le si era formato nello stomaco.
 
“Allora? Che cosa devi fare?”   Carter inarcò un sopracciglio, continuando ad osservarla mentre avrebbe solo desiderato di sparire, o in alternativa sprofondare nel pavimento della stanza.
Alpha aveva ragione, Juliet sapeva che cosa avrebbe dovuto fare… nessuno glielo aveva detto esplicitamente, ma viste le informazioni che aveva a disposizione non le risultava difficile immaginarlo.
 
Eppure, non aveva comunque il coraggio di dirlo a voce alta.
 
“Niente di importante o pericoloso, dovrai solo aspettarmi fuori. Non devi entrare, ci penso io.”
“Come? Io vengo sempre con te, devo assicurarmi che non ti succeda niente… Juls!”
 
Carter sbuffò leggermente, girando sui tacchi per seguire la ragazza che l’aveva superato e stava uscendo dalla stanza.
“Tranquillo, non mi succederà niente.”
 
Niente che già non sappia, almeno
 
La fastidiosa sensazione che sentiva aumentò nel pronunciare quelle parole, mentre Carter la costringeva a fermarsi, prendendola per un braccio:
“Juls… Andiamo. Che cosa vogliono farti fare? E’ così tremendo da non potermelo dire?”
 
Carter sorrise leggermente, forse per smorzare la tensione, ma di fronte all’espressione tetra dell’Attiva tornò immediatamente serio, guardandola con una nota quasi allarmata negli occhi chiari:
 
“E’ così?”
“Devo andare, scusami. Ci vediamo dopo.”
 
L’Attiva fece scivolare il braccio dalla presa del ragazzo per poi dargli le spalle e allontanarsi, lasciandolo ancora una volta a bocca asciutta.

 
*

 
Carter Halon non si era mai sentito affatto a suo agio quando si trovava sotto i riflettori, sotto gli occhi e la bocca di tutti. No, aveva sempre preferito restare in un angolo, nella sua rassicurante ombra, limitandosi ad osservare.
Giocava a Quidditch, come Cercatore nella squadra di Serpeverde, ma non era affatto interessato a diventare Capitano, molto probabilmente se glie l’avessero chiesto avrebbe subito declinato la proposta.
Eppure, nonostante tutto, aveva preso di buon grado la carica di Prefetto: era estremamente piacevole e soddisfacente poter andare dove voleva quando voleva, poteva persino togliere punti ai suoi stessi compagni e spesso si era divertito parecchio a farlo con chi mal sopportava.
 
La cosa che probabilmente più gli piaceva di avere quella spilla appuntata sulla divisa erano le “passeggiatine serali” che poteva fare senza alcun problema, spesso richiedeva di sua spontanea volontà persino le ronde.
Aveva sempre avuto difficoltà a dormire e in quel modo poteva almeno ammazzare il tempo girovagando per la scuola in santa pace, in perfetta solitudine e senza nessuno ad infastidirlo… praticamente non chiedeva di meglio.
 
Di tanto in tanto, quando era piccolo, quando non riusciva a dormire cominciava a girovagare come un’anima in pena per casa, morendo dalla voglia di avere qualcuno con cui parlare ma senza avere il coraggio di andare a svegliare i suoi zii.
A volte però era stata proprio Faye a trovarlo raggomitolato sul divano in piena notte e, sorridendogli, lo aveva portato a dormire con sé e il marito, abbracciandolo finché non si addormentava.
 
Crescendo invece si era limitato ad osservare i suoi cugini dormire, chiedendosi che cosa stessero sognando e cercando di immaginarlo.
 
In effetti i primi tempi ad Hogwarts erano stati strani, senza poter stare con i cugini per tutto il giorno dopo essere cresciuti insieme e condividendo tutto. Non erano tutti nella stessa Casa ma avevano scavalcato quel problema in fretta, scambiandosi le parole d’ordine per potersi fare comunque visita di tanto in tanto.
Non aveva, invece, mai notizie di suo padre… durante le vacanze estive si faceva vedere una o al massimo due volte e durante l’anno scolastico non si faceva sentire mai, eccetto forse per il suo compleanno, a Marzo.
 
Fortunatamente fin da bambino si era abituato a vederlo di rado e non ne sentiva nemmeno la mancanza, così come di sua madre: da bambino, durante le sue rare visite, a volte chiedeva al padre di sua madre ma non aveva mai ottenuto molte informazioni… e ben presto si era reso conto che ciò accadeva non tanto perché il padre non volesse parlarne ma perché nemmeno lui sapeva molto di quella donna.
Carter era riuscito a sapere che si chiamava Kelsie, che lo aveva lasciato al padre ancora in fasce prima di defilarsi e che aveva ereditato i suoi occhi verdi… per il resto, vuoto totale.
E forse nemmeno gli importava di saperne di più, infondo.

 
*


 
“Ho lasciato i piccioncini a rosolare sotto il sole scambiandosi occhiate languide, mi sentivo di troppo… tu che cosa fai?”
 
Foxtrot si avvicinò ad Isla senza smettere di sorridere, guardando la ragazza seduta su uno degli sgabelli in cucina e impegnata a leggere una lettera.
“Sto leggendo.”
L’americana non si scompose quando il ragazzo entrò nella stanza, parlando con un tono piuttosto neutro e continuando a leggere mentre l’Attivo le si avvicinava, sedendosi accanto a lei e sbirciando la lettera con leggera curiosità:
 
“E’ sempre il tuo ex?”
“No, mia madre. Come mai sei così curioso?”
“Penso solo che se ti infastidisce dovresti dirglielo… sono passati due anni, fagli capire che è finita.”
“Glie l’ho fatto capire, credimi, ma evidentemente è un po’ testardo… non fa niente, non è un problema.”
 
Isla si strinse nelle spalle, ripiegando la lettera mentre Foxtrot restava in silenzio, limitandosi a guardarla per qualche istante senza dire niente, finché lei non si voltò verso di lui, osservandolo con leggera confusione:
 
“Che cosa c’è?”
“Niente.”
“Non dici niente. E’ vagamente raro che tu non dica nulla.”
“Ti sto solo guardando.”
 
Il ragazzo piegò le labbra in un sorriso, allungando al contempo una mano per sistemarle una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. Isla non si mosse, irrigidendosi leggermente mentre teneva gli occhi castani fissi sul ragazzo, riuscendo perfettamente a sentire quello che stava pensando in quel momento.
 
E se da una parte quello che sentiva le faceva piacere, dall’altro avrebbe preferito che il ragazzo smettesse di pensare.
 
“Come mai sei scappata via, prima? Sembravi quasi arrabbiata con me.”
“Non ero… arrabbiata con te. E’ colpa mia, questa cosa della Legilimanzia si sta rivelando una specie di condanna… sento i pensieri della gente e a volte non aiuta.”
Isla sbuffò, distogliendo lo sguardo da quello del ragazzo mentre questi si accigliava leggermente, guardandola come se non capisse le sue parole:
 
“Non credo di aver pensato niente di sgradevole su di te.”
“Lo so.”
“Ti sei imbarazzata perché pensavo stessi bene in costume? Oh Isla, sei quasi tenera…”
 
Foxtrot rise, guardandola sbuffare e arrossire nuovamente, borbottando che non era per niente tenera.
 
“Beh, mi dispiace, ma non posso cambiare quello che penso. E neanche quello che provo, in effetti.”
Il sorriso di Foxtrot non vacillò, mentre al contrario la sua Guardiana moriva dalla voglia di scivolare da quello sgabello e fuggire il più lontano possibile, lontano da lui, dai suoi magnetici occhi castani e dalla mano che le stava sfiorando il viso.
 
Eppure non riusciva a muoversi, e quando Foxtrot la costrinse a guardarlo sollevandole il mento si rese conto di non riuscire neanche a distogliere lo sguardo.
 
Maledetto Foxtrot
 
 
Il ragazzo sorrise prima di avvicinarlesi e baciarla, lasciandola di stucco per un attimo… ma poi la Guardiana si ridestò, prendendogli il viso tra le mani e rispondendo al bacio.
O almeno prima di recuperare un po’ di lucidità e allontanarsi di qualche centimetro, scuotendo debolmente il capo:
 
“Fox… non credo sia il caso.”
“Ti ho mai detto che adoro il modo in cui pronunci il mio nome con l’accento da yankee?”
 
Probabilmente, se lui non l’avesse baciata nuovamente, Isla gli avrebbe detto di non chiamarla in quel modo, ma il ragazzo la zittì con le sue stesse labbra, avvolgendo le braccia intorno a lei per stringerla a sé per qualche istante, finché l’americana non si staccò nuovamente:
 
“E’ sbagliato.”
“Perché?”   L’Attivo sospirò, guardandola con leggera esasperazione:
 
“Beh, io sono la tua Guardiana, non penso che sia appropriato…”
“E chi se ne frega.”
 
Foxtrot sbuffò prima di annullare nuovamente la breve distanza che li separava per baciarla.
 
“Dico sul serio! Non so nemmeno se è… permesso! Mi stai ascoltando almeno?”
“No.”    Foxtrot sorrise appena, guardandola sbuffare con leggero divertimento mentre le accarezzava lo zigomo con un dito:
“Beh, per una volta forse dovresti.”
“Tu invece dovresti proprio stare zitta, passerotto.”
 
Foxtrot appoggiò le labbra sulle sue per la quarta volta e Isla, avendo finito le obiezioni, decise di dargli retta e di lasciarlo fare.
Ma sì, alle conseguenze ci avrebbe pensato dopo
 
 
Erin LaFont, tuttavia, non reagì alla scena con lo stesso entusiasmo dei due, fermandosi sulla soglia della cucina sospirando con esasperazione:
 

“Capisco tutto, ma siete la seconda coppietta che trovo in cucina a sbaciucchiarsi nel giro di tre giorni… Questa Casa presto diventerà la scenografia di un film hard per caso? Prendetevi una stanza, qui ci mangiamo!”
 
 
*
 
 
“Come hai detto che si chiama?”
“Dollhouse.”
“Sei sicuro Carter? Insomma, è davvero una buona scelta?”
 
“Zia… Holden sta studiando per diventare un Medimago ed Elphias aiuta te al negozio preparando le pozioni. Hanno trovato la loro strada, io ancora no. Ma voglio trovarla e smetterla di essere un peso per voi, va così da 22 anni.”
 
“Non essere ridicolo, Carter.”  Il tono e l’espressione della donna s’indurirono leggermente, guardando il nipote quasi con una punta di irritazione:
“Non sei mai stato un peso per me e Sebastian… Tuo padre ci ha chiesto di prenderci cura di te e lo abbiamo fatto con piacere, sei a tutti gli effetti il mio terzo figlio.”
 
“Lo so… e non vi ringrazierò mai abbastanza per come vi siete presi cura di me, non mi avete mai fatto sentire di troppo… ma credo che sia arrivato, per me, il momento di volare via. Voglio trovare la mia strada, zia, e non sono mai riuscito ad immaginarmi a lavorare dietro una scrivania al Ministero, né tantomeno come Medimago come Holden. Posso provare, no?”
“Va bene, dopotutto ormai sei adulto. Ma se è qualcosa di losco voglio che ti tiri fuori, capito? Non mi interessa se la paga è esorbitante!”
 
“Zia, non sono più il bambino che correva nel bosco con i gemelli uccidendo ragni, lumache e serpenti! E nemmeno il ragazzino che seguiva lo zio Bas a caccia.”
“Non ne sono tanto sicura, a dire il vero.”
 

*


 
“Non indovinerai mai che cosa ho visto nel pomeriggio, te lo avrei detto prima ma ero andata ad allenarmi un po’… Isla e Foxtrot si slinguazzavano allegramente in cucina, comincio a pensare che sia diventata la stanza ufficiale dove gli idioti ottusi danno finalmente sfogo ai loro sentimenti… Va tutto bene?”
 
Erin si fermò sulla soglia della stanza di Juliet, posando gli occhi sull’amica e smettendo immediatamente sia di sorridere che di parlare.
L’Attiva annuì, evitando di guardarla in faccia mentre la bionda la scrutava attentamente.
 
“Juls… Perché sei vestita così?”
“Tra poco devo uscire.”
 
Erin lasciò la porta socchiusa, avvicinandosi all’amica per sedersi sul letto accanto a lei. Gli occhi della Guardiana scivolarono dai tacchi alti che Juliet indossava al vestito blu notte piuttosto corto dalle maniche lunghe e aderenti che le lasciava la schiena completamente scoperta.
Erin LaFont non era una ragazza stupida… non aveva sentito di nessuna operazione per quella sera, eppure la sua amica stava per uscire, da sola. E con quei vestiti, la Serpeverde non ebbe modo di nutrire molti dubbi:
 
“Juls…”
La bionda sospirò, allungando un braccio per cingere le spalle dell’amica, che sollevò lo sguardo dal pavimento per posare gli occhi verdi e lucidi su di lei.
 
“Mi dispiace. Carter cosa ha detto?”
“Non so se l’ha intuito.”
“Questo perché, come dico sempre, gli uomini sono dei perfetti imbecilli ottusi… Coraggio tesoro, fatti forza. Andrà tutto bene.”
 
Juliet l’abbracciò, scuotendo leggermente il capo e mormorando che non voleva farlo.
 
“Lo so, ma disgraziatamente non siamo noi a decidere da queste parti. Vieni, ti accompagno di sotto.”
 
Erin, presa l’amica per mano, la costrinse ad alzarsi dal letto per poi seguirla fuori dalla sua camera, sistemandole poi la matita nera leggermente sbavata:
 
“Aspetta, il trucco… Non piangere, altrimenti cola.”
“Magari in questo modo vedendomi cambierà idea e non mi vorrà, chissà.”
 
Juliet si sforzò di sorridere e l’amica ricambiò, accompagnandola lungo il corridoio verso le scale.
“Uscite?”
“Juliet.”
 
Erin rivolse un cenno in direzione dell’amica alla domanda di Quebec, che scrutò la collega per un attimo:
“Vai da sola?”
“Già. Ci vediamo domani Quebec.”
 
Juliet sorrise debolmente al ragazzo prima di superarlo, non avendo alcuna intenzione di fermarsi in chiacchiere con nessuno: in fin dei conti prima sarebbe arrivata e prima sarebbe potuta tornare lì, no?
 
Erin, pregando che Nicholas non le incrociasse, condusse l’amica verso le scale, salutandola prima di scendere: sicuramente il ragazzo avrebbe cominciato a sputare fuoco e sarebbe andato dalla DeWitt per ucciderla se avesse saputo… forse era meglio evitare scenate.
Anche se, come la ragazza immaginava, Quebec la bloccò solo qualche momento dopo con aria per nulla serena, tempestandola di domande:
 
“Dove deve andare? Perché avevate quelle facce? Perché aveva gli occhi lucidi? Perché era vestita in quel modo?”
“Oddio… Quebec, sta’ zitto e fammi parlare se proprio ci tieni a saperlo… anche se forse sarebbe meglio evitare. Ma non dire una sola parola a Nicholas!”
 
 

 
Nel frattempo, al piano terra, Carter si era seduto su uno dei divanetti posti nell’ingresso mentre aspettava che Juliet arrivasse, rigirandosi tra le dita le chiavi dell’auto mentre continuava a chiedersi che cosa dovesse fare la sua Attiva.
In effetti si era infilato nella fodera sia la bacchetta che una pistola, proprio perché non sapeva a cosa stesse andando incontro.
 
Sentendo i passi sulle scale il Guardiano si voltò, aprendo la bocca per chiedere a Juliet se fosse pronta… ma le parole gli morirono in gola nel vederla e non disse nulla.
 
“Possiamo andare, se vuoi.”
Juliet, camminando su quelli che il ragazzo etichettò mentalmente come “trampoli”, si fermò davanti a lui e parlò con un tono piatto, guardandolo inespressivamente. Il Guardiano esitò ma poi annuì, alzandosi lentamente dal divano senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso – inorriditi, mentre qualcosa di spiacevole prendeva forma nella sua testa – o a parlare.
 
La ragazza, che non sembrava avere molta voglia di parlarne, si affrettò a superarlo per uscire dalla porta d’ingresso e Carter, guardandola con quel vestito troppo corto e la schiena completamente scoperta, si ritrovò ad odiare sinceramente Cecily DeWitt e il suo lavoro per la prima volta da quando era nella Dollhouse.
 
*

 
“Ti presento Juliet… Juls, lui è Carter Halon.”
 
Carter posò gli occhi chiari su quella che, si ritrovò a pensare, era una delle ragazze più belle che avesse mai visto. Si diede immediatamente dell’idiota per averlo pensato, ricordandosi che era solo una ragazzina di 18 anni e che avrebbe dovuto proteggerla. La ragazza – Juliet, da quel che aveva capito – ricambiò il suo sguardo senza dire nulla, osservandolo quasi con diffidenza.
 
“Ciao.”
“Ciao Juliet… piacere di conoscerti.”
 
Juliet era una ragazza piuttosto diffidente, non ci aveva messo molto a capirlo… in compenso, ci aveva messo ben di più per avvicinarla.
Ma, dopo cinque mesi, Carter Halon poteva affermare che la ragazza gli piaceva. Era sveglia, ironica, intelligente e curiosa.
 
Era comodamente steso sul suo letto, impegnato a leggere finché la porta della sua stanza non si aprì e Juliet entrò sorridendo, andando a sedersi accanto a lui:
 
“Dov’eri ieri sera?”
“Ciao anche a te Juls… Io sto bene, come va?”
“Oh, smettila! Andiamo, dove ti eri cacciato?”
“So che quando non ci sono ti manco tremendamente Juliet, ma sono affari miei.”
 
La ragazza gli prese il libro dalle mani, sorridendo quasi con aria divertita:
 
“Andiamo… Non c’è molto gossip di cui discutere da queste parti, ne approfitto. Eri con una ragazza? Alpha ha detto che ti eri preso una serata libera.”
“Sì, l’ho fatto. Ma no, non ero con una ragazza. Ridammi il libro!”
Carter sbuffò, mettendosi seduto sul letto per sporgersi e prendere il libro; Juliet invece sorrise, ritraendosi leggermente per non lasciare che lo riprendesse:
 
“E allora che fine avevi fatto, Mr Occhiaie?”
“Ora mi dai anche i soprannomi? Ho già il mio nome in codice per le operazioni Juliet.”
“I miei soprannomi sono molto meglio… coraggio, dimmi dov’eri! Non siamo amici?”
 
Carter sospirò, quasi pentendosi di essere entrato tanto in confidenza con lei prima di annuire leggermente, cedendo:
“Sono andato a trovare la mia famiglia.”
“Non parli mai della tua famiglia… Hai fratelli?”
 
Era vero, non parlava mai della sua famiglia… aveva sempre odiato domande di quel tipo ma, nonostante i suoi sforzi, con lei non riusciva mai a tergiversare o arrabbiarsi:
 
“Diciamo di sì.”
“Diciamo di sì non è una risposta! Parlami di loro. Dev’essere bello avere qualcuno da cui tornare, di tanto in tanto.”
 
Juliet sorrise quasi con una nota malinconica negli occhi chiari e, a quelle parole, Carter non riuscì a non accontentarla, stendendosi sul letto accanto a lei per raccontarle brevemente della sua famiglia e della sua vita al di fuori della Dollhouse, per la quale la ragazza sembrava nutrire una discreta curiosità.
 
Forse la sua non era mai stata una famiglia molto convenzionale, ma parlando con lei, quella sera, si rese conto che almeno ne aveva una da cui tornare.

Lì dentro molti non potevano dire la stessa cosa.
 

*

 
Nessuno dei due aveva proferito parola da quando erano usciti dalla Casa e saliti in auto. Carter guidava tenendo gli occhi chiari fissi davanti a sé, stringendo il volante con tanta veemenza da bloccare momentaneamente la circolazione sanguigna e sbiancare così le nocche.
 
Juliet invece teneva le braccia conserte, la fronte appoggiata al finestrino mentre cercava di non pensare a niente. O almeno, non a quello che sarebbe successo di lì a poco.
Voleva arrivare, voleva che quella serata finisse in fretta… ma allo stesso tempo aveva quasi il terrore di scendere dalla macchina.
 
Carter lanciò un’occhiata alla ragazza con la coda dell’occhio, serrando la mascella mentre continuava a pensare al verme schifoso da cui la stava portando e alla DeWitt, al modo rivoltante in cui vendeva le sue stesse “creature”.
 
E la stava odiando anche perché stava costringendo proprio LUI a portarla nella tana del lupo.
Per non parlare, poi, del fatto che avrebbe dovuto aspettare chiuso in quella macchina, costretto ad immaginare tutto… non l’avrebbe sopportato.
 
Carter Halon respirò profondamente, dicendosi di non pensarci ma senza ottenere grandi risultati, capendo che non sarebbe riuscito a passare oltre. Vedeva Cecily costringere Juliet a fare le cose più disparate da due anni, quasi sempre illegali, ma quello era diverso, quello superava tutti i limiti… se pensava che l’avrebbe accompagnata a vendersi, si sbagliava di grosso.
 
“Fanculo.”
Il borbottio del ragazzo non passò inosservato alle orecchie di Juliet, che si voltò verso di lui mentre il Guardiano, imprecando a mezza voce, inchiodava bruscamente per poi fare un’inversione a U con l’auto.
 
“Carter… Cosa stai facendo?”
“Sai che ti dico Juls? Fanculo. Io non ti ci porto. Questo è troppo, non te lo lascerò fare.”
 
Carter scosse il capo, tenendo gli occhi chiari fissi davanti a sé mentre accanto a lui Juliet sospirava, allungando una mano per sfiorargli il braccio:
 
“Carter, devi portarmi lì. Lo devo fare!”
“No, non devi. Sei una persona Juliet, non un animale da vendere all’asta come ha fatto lei. Non ti ci porto lì, te lo puoi scordare.”
 
“Carter, la DeWitt lo saprà tra meno di mezz’ora e finiremo entrambi nei guai. Ti prego, lascia stare…”
“Con la DeWitt ci parlo io.”
 
Il tono duro e quasi freddo del ragazzo le fecero capire che non avrebbe cambiato idea, costringendola a sospirare mentre si abbandonava contro il sedile di pelle, maledicendo Carter, la DeWitt per non aver mai insegnato ai suoi Attivi a Smaterializzarsi e anche se stessa, perché infondo era felice di quello che stava succedendo. Era felice che Carter non la stesse portando in quella casa, ma allo stesso tempo sapeva che entrambi avrebbero passato dei guai, specialmente lui.
 
E a nessuno piaceva avere a che fare con una Cecily DeWitt contrariata.
 
“Carter… potrebbe licenziarti. Non voglio che tu te ne vada.”
“Lascia perdere Juliet, non cambio idea.”
“Bene, quindi che vuoi fare? Tornare a casa e prendere il toro per le corna, affrontando la Dottoressa?”
 
“No.”
“No?”     Juliet inarcò un sopracciglio, guardandolo con sincera confusione. Carter, che aveva allentato la presa sul volante e sembrava più rilassato rispetto a pochi minuti prima, si voltò verso di lei e le rivolse un piccolo sorriso:
 
“Non torniamo a casa, non subito. Dove vorresti andare?”
 
Era sbagliato, lo sapeva. Lei non doveva andare da nessuna parte con lui, doveva semplicemente fare quello che le era stato detto, come sempre. Anche se questo significava giocare alla escort.
Eppure, anche se di certo li avrebbe aspettati una sfuriata, era comunque felice.
 
E rispose a quella domanda quasi senza pensarci:
 
“Voglio vedere l’oceano.”
 
 
Circa venti minuti dopo Juliet era effettivamente seduta sulla sabbia, i piedi nudi immersi dentro quella sottile polvere dorata e una giacca che Carter aveva fatto comparire addosso.
 
Teneva gli occhi chiari fissi sulle onde che s’infrangevano sulla riva mentre un leggero venticello le accarezzava la pelle e i capelli scuri.
Non sapeva perché, ma l’oceano le piaceva moltissimo… spesso, nel tempo libero, si fermava sulla spiaggia sul retro della villa per guardare l’acqua, che le trasmetteva un enorme senso di pace.
 
Non molto tempo prima Nicholas l’aveva portata proprio su una spiaggia, in effetti… ma aveva ricordi confusi di quella sera, si era ritrovata nel suo letto senza sapere come e poi, uscita dalla camera, aveva trovato Nicholas e il suo stesso Guardiano impegnati a darsele di santa ragione.
 
Sentì dei passi alle sue spalle e un attimo dopo Carter si era seduto sulla sabbia accanto a lei, osservando a sua volta l’acqua mentre teneva le braccia appoggiate sulle ginocchia.
Rimasero così, in perfetto silenzio, finché Juliet non si voltò verso di lui, sorridendogli debolmente:
 
“Grazie.”
“Non mi devi ringraziare… ho molti difetti, ma non ho perso la mia integrità morale. Non può davvero costringerti a fare sesso con qualcuno.”
“Non lo so Carter, forse infondo può. Ma grazie per non avermelo lasciato fare.”
 
“Non sarei mai riuscito a portarti in quel posto.”
Carter scosse leggermente il capo, estraendo dalla tasca dei pantaloni il foglietto dove Cecily aveva annotato l’indirizzo del cliente per ridurlo in numerosi frammenti davanti agli occhi dell’Attiva, che sorrise appena prima di appoggiare la testa sulla spalla del ragazzo.
 
Lo so. Sai, credo che tu abbia davvero un grande cuore infondo, solo che tu stesso fatichi a vederlo.”
 
“Ti prego, non cominciare con i discorsi sentimentali… sei la mia Juliet, non sarei mai potuto rimanere chiuso in macchina immaginando tutto.”
 
A quelle parole Juliet sollevò leggermente il capo per poterlo guardare in faccia, mentre il Guardiano le accarezzava distrattamente la schiena con una mano e teneva gli occhi fissi davanti a sé, osservando l’oceano.
 
Guardandolo l’Attiva ripensò a come si era comportata con lui proprio la sera in cui Nicholas l’aveva portata su una spiaggia, la stessa sera in cui i due si erano picchiati.
Non sapeva se aveva sbagliato o meno a rifiutarlo, ma di certo lo aveva fatto soffrire e poi lo aveva accuratamente evitato per giorni. Non ne avevano mai più parlato e lui sembrava aver deciso di rispettare la sua scelta, evitando di tirare in ballo l’argomento.
 
Non sapeva di preciso che cosa l’avesse frenata, quella sera, ma sapeva di averlo fatto soffrire e non era giusto nei suoi confronti, così come sapeva di provare qualcosa per il ragazzo che le stava accanto.
 
E anche se da qualche tempo non faceva altro che rimuginare, in quel momento Juliet scelse semplicemente di buttarsi: senza dire niente gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla per un istante prima di sporgersi e baciarlo.
Dal canto suo, Carter inizialmente rimase come pietrificato, stupito da quel gesto… dopotutto l’ultima volta era stato lui a baciarla e lei a respingerlo.
Ma non aveva nessuna intenzione di sprecare quel momento e ben presto la strinse a sé, immergendo una mano tra i suoi capelli. Non sapeva che cosa l’avesse spinta a cambiare idea rispetto a poco più di una settimana prima, ma forse doveva solo godersi quel contatto che aveva tanto agognato e non fare domande.







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Angolo Autrice:

Gli zii di Carter si chiamano Faye e Sebastian... a nessuno viene in mente niente? XD 
Comunque sia... beh, direi che ormai il campo di scelta è molto ristretto: Echo o Erin?

A presto, buonanotte!
Signorina Granger 
   
 
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