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Autore: rhys89    15/06/2009    1 recensioni
Quando una cometa scivola sinuosa nello spazio infinito, dalla sua coda si staccano migliaia di piccoli brillanti, che vanno ad illuminarne la scia di una luce quasi surreale.
Ecco, io ho raccolto questi gioielli che sono le canzoni di Max Pezzali, li ho levigati fino a quando non ne è rimasta che la frase più esemplificativa e li ho incastonati in tante piccole storie.
Alcune avranno un contesto simile a quello del brano a cui fanno riferimento, altre saranno diametralmente opposte... ma tutte ruoteranno attorno alla luce di quel frammento di cometa, luminoso sulla carta così come nel cielo.
Prima di iniziare, però, ecco un paio di note:
Gli avvertimenti della raccolta NON si ritrovano in tutti i capitoli... infatti ci saranno in prevalenza racconti etero, e solo alcuni yaoi o yuri.
Sottolineo inoltre che le mie storie NON saranno song-fic, ma si ispireranno soltanto al brano scelto per ciascuna.
Detto questo, vi auguro buona lettura! ^^
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolino dell'autrice


Eccomi qui con il primo capitolo di questa raccolta... la canzone di riferimento è S'inkazza ed è nel primo album di Max, Hanno ucciso l'uomo ragno. Non è niente di impegnativo, ma spero di riuscire almeno a strapparvi qualche sorriso...
Come promesso posto anche il link del testo della canzone: S'inkazza

Buona lettura a tutti! ^_^



Prompt: N.02 S’inkazza (questa casa non è un albergo)
Titolo: Pugno di ferro
Raiting: verde
Genere: commedia
Avvertimenti: nessuno
Disclaimer: Ovviamente i diritti delle canzoni citate non appartengono a me ma all'autore ed io non ci guadagno una lira a scriverci sopra, solo la soddisfazione personale di complicarmi la vita... e magari qualche commentuccio... vero? *_*

Pugno di ferro

…Questa casa non è un albergo
per fare quello che vuoi
non ne possiamo più io ti avverto
dei porci comodi tuoi…


Anna si stava guardando intorno circospetta, indecisa se entrare o meno in camera di Federica.
Il suo NON era, come poteva sembrare ad un occhio disattento, il tipico atteggiamento di una madre che vuole impicciarsi degli affari della figlia… no, lei non lo farebbe mai.
Il punto era che la sua bambina da qualche tempo a quella parte era cambiata. E la donna non sapeva perché. Ed odiava non sapere il perché delle cose.
Però restava il fatto che quella sarebbe stata una violazione della privacy in piena regola, come avrebbe detto suo marito, e se la ragazza l’avesse scoperta… apriti cielo e spalancati terra! Figurarsi se un’adolescente si sarebbe fatta sfuggire l’occasione di rinfacciarglielo per il resto dei suoi giorni…
Era per quello che, da almeno dieci minuti, stava di fronte a quella porta, con le orecchie tese ed una mano che, di tanto in tanto, andava a sfiorare la maniglia in ottone, accarezzandola come fosse stato un tesoro proibito.
« Cara, hai intenzione di rimanere lì ancora a lungo? » Domandò Massimo, che la osservava da tempo senza che peraltro la moglie si fosse accorta di nulla, persa com’era nelle sue elucubrazioni.
Difatti quella sussultò spaventata, ritirando il braccio fino a nasconderlo dietro la schiena, con lo stesso atteggiamento di un bambino che è stato trovato sul punto di compiere qualche marachella.
L’uomo sorrise intenerito a quei modi un po’ infantili di cui, tanti anni prima, si era innamorato.
« Amore! Da quanto tempo sei qui? » Chiese, cercando di sembrare disinvolta.
« Abbastanza da capire che stai diventando paranoica. » Replicò lui abbracciandola.
La donna si lasciò cullare, beandosi di quel tepore. Nonostante fossero sposati da venti anni, ormai, si comportavano sempre come una coppia di sposini novelli… per la gioia di entrambi.
Poi però si accigliò, come se avesse ripensato a qualcosa di sgradevole.
« Io non sono paranoica! » Esclamò, alzando appena la testa per guardare torva il compagno.
Era vero: del resto come faceva a non preoccuparsi quando la sua piccina si comportava in maniera così… strana? Da un po’ di tempo a quella parte non le raccontava più quasi niente, si chiudeva in camera ad ascoltare la musica o a fare i compiti ed usciva soltanto per i pasti ed andare a studiare fuori. E, ovviamente, per vedere quello. Quel giovinastro da strapazzo che aveva avuto l’ardire di intromettersi così nella vita di sua figlia, e senza neppure chiedere il permesso!
Strinse i pugni sulla camicia di Massimo che, per tutta risposta, ghignò divertito. Tuttavia non disse nulla, preferendo non alimentare il malumore della donna.
Era incredibile come si preoccupasse tanto per… niente. Ed anche come si ostinasse a credere che la loro Federica fosse ancora una bambina, mentre invece aveva già sedici anni. Possono sembrare pochi per chi ne ha più del doppio, ma lui ricordava benissimo che, a quell’età, si sentiva ribollire dentro se qualcuno osava definirlo “piccolo”.
Vero era che la ragazza ultimamente stava esagerando: va bene divertirsi, ma nell’ultima settimana aveva passato più tempo fuori che in casa!
Senza contare le volte che, ne era quasi sicuro, era uscita di nascosto, con la scusa di andare a studiare dalla sua migliore amica.
Ma quello decise, saggiamente, di non dirlo ad Anna.
Lei, dal canto suo, stava ancora rimuginando su chissà quali disgrazie potevano essere accadute per portare quel cambiamento nella sua esistenza che, anche se non perfetta, almeno era tranquilla. Così, all’improvviso, si liberò dalle braccia che ancora la circondavano ed aprì la porta con un secco « Basta! » riferito a chissà chi o cosa.
Ed entrò.
E rischiò seriamente di svenire.
Quella che una volta era stata una camera pulita ed ordinata, adesso, sembrava il campo di battaglia di una sanguinosa guerra tra la schiera dei panni sporchi e quella dei libri di scuola, che aveva lasciato feriti in ogni dove.
Fece qualche passo incerto in quel caos verso la parete opposta, calpestando oggetti di varia natura che preferì non identificare. Aprì piano la finestra, stando attenta a non far cadere troppe cose, e si appoggiò al davanzale. Respirò a pieni polmoni l’aria semi-pura del centro cittadino, come se fosse stata la manna dal cielo.
In tutto questo l’uomo era rimasto sulla soglia, con un sorrisetto divertito al pensiero che il DNA non perdona… e il suo, a quanto pareva, era stato devastante: glielo dicevano tutti che Federica gli assomigliava enormemente… e quella stanza ne era una prova inconfutabile.
Intanto Anna si era ripresa quanto bastava per iniziare a raccogliere ciò che aveva fatto cadere poco prima.
Fu così che trovò il libro di matematica.
Interessante, pensò, iniziando seriamente a pensare di essere sul punto di esplodere.
« Come credi che possa fare a studiare, senza il libro? » Chiese acidamente.
Massimo si portò una mano alla fronte: no, non gli somigliava poi così tanto, se non era nemmeno in grado di crearsi un alibi decente.
« Dai tesoro non essere malfidata, magari l’ha solo scordato e per una volta useranno in due il libro di Caterina, non è la fine del mondo… » Cercò di convincerla. Non è che volesse prenderla in giro, ma si sa, nella coppia di genitori deve essercene almeno uno complice.
Lei lo guardò, indecisa se credergli o meno. Poi però rifletté che, in effetti, non era poi così strano, quindi sorrise e ripose la prova sulla scrivania.
Fece per uscire, sempre attenta a dove metteva i piedi, mettendo di tanto in tanto qualcosa al suo posto originario. Stava spostando la cartella per permettere all’armadio, terribilmente vuoto vista l’enorme quantità di vestiti che popolavano la stanza, di chiudersi, quando le saltò all’occhio un foglio bianco dall’aria ufficiale.
O cavolo. Pensò Massimo, osservando la moglie leggere quella che, con tutta probabilità, era la pagella di Federica.
E lui sapeva che non voleva dire niente di buono, per nessuno dei due.
Ma non ebbe tempo di dire nulla, non che sapesse cosa dire, perché la donna uscì a passo di marcia dalla stanza, passandogli accanto senza degnarlo di uno sguardo ed andando in cucina, dove si sedette e continuò a leggere quel foglio, come se avesse voluto impararlo a memoria.
Alcuni, interminabili, minuti dopo Federica rientrò in casa con la borsa a tracolla ed un sorriso a trentadue denti. Un sorriso troppo ampio, per una che ha appena passato un pomeriggio a studiare per il compito dell’indomani, ma queste erano sottigliezze trascurabili.
Passò di fronte alla cucina senza nemmeno guardare all’interno, ed era già quasi arrivata alla camera quando sua madre la chiamò, facendola tornare indietro.
Ci siamo. Si disse l’uomo, preparandosi psicologicamente all’esplosione.
Esplosione che arrivò presto, inevitabile e puntuale come la notte dopo il giorno.
« Cosa diavolo significa questa? » Esclamò infatti la donna, sventolando la pagella sotto il naso della ragazza.
Il sorriso sul suo volto si restrinse velocemente, per lasciare il posto ad un’espressione mista di paura e stizza. « Dove l’hai trovata? » Chiese lei senza rispondere.
« Nel tuo zaino e, a proposito, quella camera è un porcile! » Disse, la voce sempre più alta.
« Non avevi comunque il diritto di entrare, te l’avevo detto! » Anche Federica ormai stava urlando.
Continuarono su quel tono per molto tempo, senza che Massimo avesse la possibilità di mettersi in mezzo, nell’eventualità che fosse stato tanto pazzo da volerci provare.
« …e non uscirai più di casa prima di aver messo in ordine la tua camera e aver rimediato alle insufficienze, è chiaro? » Anna aveva terminato la sua sfuriata con la peggiore delle punizioni, secondo l’uomo.
Federica parve pensarla alla stessa maniera, perché all’improvviso gettò all’aria la maschera di spavalda sicurezza ostentata fino ad all’ora per cercare di rimediare al danno, o almeno di arginarlo.
« Dai, non mi puoi fare questo! » La pregò.
« Un’altra volta impari a non prendermi in giro. » Replicò l’altra seccamente.
« Ma te l’avrei fatta vedere la pagella! Davvero! » Aggiunse, vedendo lo scetticismo della madre.
« Sì, il giorno del mai. Cosa credi che questa casa sia un albergo? » Fece, acida. « Entri ed esci quando ti pare, tutti diritti e nessun doveri… no cara mia, le cose non stanno così. »
« Ti prego, mamy, io devo uscire stasera! » Esclamò con le lacrime agli occhi.
« Perché? C’è una svendita di gonne in centro? » Sì, decisamente quella volta si era arrabbiata sul serio…
« Perché… » Iniziò Federica, per poi fare una lunga pausa, indecisa su come continuare. Poi sospirò e, con l’ aria di chi ormai non ha più niente da perdere, continuò. « Perché stasera io e Tommy facciamo un mese, e mi voleva portare a cena fuori… ha organizzato tutto da giorni… non posso deluderlo… ti prego… »
Eh, no, non era giusto che giocasse la carta del senso di colpa proprio adesso! Però… si era di nuovo confidata con lei, dopo tanto… doveva tenerci davvero a quel ragazzo.
La guardò bene. Quel giorno indossava uno dei tanti paia di jeans a vita bassa della sua collezione che le modellava i fianchi snelli, una maglietta a maniche lunghe leggermente scollata, attillata quanto bastava per mettere in evidenza le forme delicate senza essere volgare, ed aveva appena un filo di trucco.
Sorrise, rendendosi finalmente conto che, ormai, quella non era più la sua bambina.
« A mezzanotte a casa, non un minuto più tardi. E domani metti in ordine la stanza e poi vai a ripetizioni, e niente storie. » Disse infine, cercando di mantenere un tono di voce duro ed autoritario.
Lei alzò finalmente la testa, l’espressione di chi non riesce a credere alle proprie orecchie. Poi lanciò un urlo di gioia e corse ad abbracciare la madre, sciorinando una sequela infinita di “grazie” per poi correre nella sua stanza. Ovviamente per prepararsi.
In effetti, pensò Anna mentre iniziava a preparare la cena sotto lo sguardo divertito di Massimo, quella casa non era un albergo, non era abbastanza grande. Somigliava piuttosto ad una pensioncina a conduzione familiare.
   
 
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