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Autore: Nirvana_04    01/08/2017    3 recensioni
SPIN-OFF DE "IL TREDICESIMO RE"
Un racconto rubato al vento, sui Campi Eliòpei.
Bastian ha solo dieci anni quando è costretto a trasferirsi ad Aproeb. La città, sita tra il verde delle colline e il blu del mare, è troppo delicata per chi è cresciuto a Velenia; ma un incontro inaspettato cambierà le sorti del giovane Spettro e quelle delle persone che intrecceranno il proprio cammino al suo.
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Racconti del Veto'
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«Venasta è soffocante. È troppo piena, troppo agitata. La gente cammina per i fatti propri senza darsi la pena di augurarsi un buongiorno. Nessuno conosce nessuno, ma tutti sanno i fatti di tutti.»
Seduti a gambe incrociate a monte dei campi, con l'erba alta rigogliosa e i piccoli fiori a spruzzare d'azzurro la terra, Bastian stava racimolando le forze per raccontare. Qualcosa, non tutto. Non ancora.
«Angusa è… grosso. Non grasso» spiegò con un sorriso, «è una figura imponente, che si fa notare. Sia nella sua città che sul campo di battaglia. Tu diresti che è impossibile trovare il tuo compagno in mezzo alla mischia, ma il Re è capace di calamitare gli sguardi. I Mataj non sono da meno» tenne la schiena un po' più dritta, orgoglioso. «I loro mantelli sono sangue e ferro allo stesso tempo. Sembrano pietre antiche, indistruttibili. Ho visto Vharnet che…»
Miva lo interruppe. «Com'è Ashar Ashet? Hai visto Baleor? E le altre città della piana? Dove sei stato?»
«Non sono andato a farmi una passeggiata» la osteggiò con ribrezzo.
«Scusa. È che… Aproeb sembra tagliata fuori dal mondo.»
«Lo è» le confermò. «Nessun posto è come Aproeb, ma posso anche dire che nessun luogo è come Velenia.» I suoi occhi si riempirono di tristezza. «Ashar Ashet è impressionante. Sembra un serpente di pietra che demoralizza appena osi lanciargli uno sguardo. Si dev'essere davvero uomini straordinari per prestare servizio dentro al vallo.» Si grattò il naso allontanando una mosca. Odiava quelli insetti: erano carogne che spolpavano i corpi ancora prima che cadessero nel fango. «Baleor è una gabbia per leoni addomesticati. I suoi uomini si battono come felini, ma marciano a testa bassa ormai, alla cieca. Gabusa… non è più una città di uomini» concluse con l'affanno. «Sono stato anche tra gli uomini che hanno combattuto a Tahari.» Alzò gli occhi per incrociare l'immagine sbiadita della città: Aproeb era semi distrutta, molti degli edifici erano stati dati alle fiamme; la gente di quel luogo stava commiserando il lavoro da fare prima di rimboccarsi le mani, mentre i più piccoli ridevano felici di essere tornati a casa. «Dovranno ricostruirla daccapo. Aproeb ha resistito meglio, forse perché i mostri non hanno perso tempo a cincischiarsi da queste parti.»
«Non si fermano mai a lungo qui. È solo un posto di passaggio» annuì lei. «Com'è combattere? Quanti ne hai uccisi?»
Bastian contrasse il viso in una smorfia di patimento profondo. Rispose con un flebile sussurro: «L'Arantar del mio plotone è morto, e così anche sette dei Guerrieri che ne facevano parte.»
Miva aggrottò la fronte.
«È passato a me il comando.»
La ragazza sussultò. «Wow, hai fatto carriera.»
«Non è difficile quando si è disperati.»
Rimasero in silenzio a guardare un bambino rincorrere una farfalla, una bambina mosse i suoi primi passi. Bastian si rilassò un po'. Quegli sprazzi di vita quotidiana gli servivano per guarire, se non altro in parte. Adesso capiva un po' di più sua madre. Lei aveva retto per metà di mezza dozzina la Falda; lui avrebbe tanto voluto scappare nel momento in cui vi aveva messo piede. In parte odiava quella sensazione e sua madre: aveva preso da lei molto più di quanto aveva ereditato dal padre. Eppure il Mataj lo aveva congedato con onore, confermando la sua carica di Arantar. Da cinque anni a quella parte avrebbe marciato in testa al suo plotone e altri sarebbero morti sotto il suo comando.
Padre… qui si sta bene.
«Pensi che potrò chiedere di essere assegnata al tuo plotone?»
Bastian riaffiorò dai suoi pensieri bruscamente. Sgranò gli occhi mentre si voltava a fissare il viso della ragazza. È solo una bambina, dannazione. Avrebbe tanto voluto metterle le mani addosso, e poi avrebbe sterminato qualunque cosa la potesse ferire, contaminare.
«Tu non combatterai!» si ritrovò a inveire. Chissà come, era in piedi, a troneggiare su di lei. «Non hai capito? Sono bugie, favole per bambini. Non c'è nulla di bello o valoroso nella guerra. Tre quarti dei soldati, Arantar persino, se la fanno sotto combattendo. È… orribile.»
Ma che diavolo stava facendo?!
Uomini combattevano, di Velenia persino le donne.
Si guardò le mani, mortificato della sua vigliaccheria. Madri e padri, fidanzati e spose, figli e nipoti davano il sangue, e lui era tanto egoista da volere che il suo piccolo raggio di pace rimanesse al sicuro. Si sentì sfiorare un avambraccio. La mano di Miva era così esile, dalle dita sottili e senza scottature o ferite; la sua pelle era immacolata, un po' inscurita dai raggi di Mal ma comunque perfetta. Per un attimo la odiò, forse perché avrebbe tanto voluto che rimanesse così per sempre. La sua vita e le sue certezze erano andate in pezzi, ogni desiderio si era infranto. Lei era l'unica cosa che non era cambiata. Maledizione!
«La guerra è orribile, Miva» la mise in guardia, sconfitto. Scivolò di nuovo al suo fianco, la testa posata sulla sua spalla. Sospirò e aspirò il suo profumo. Non sarebbe più stato lo stesso. «Ma è necessaria.»
 
 
«Raccontami qualcosa di bello. Ci dev'essere qualcosa che ti ha fatto restare in piedi» insistette.
Bastian stava fasciando le mani di lei: erano piene di piaghe e sanguinavano. Si erano allenati tutto il giorno, fino a che il cielo non era illividito. Se Miva voleva seguirlo nella mischia, lui non avrebbe lasciato nulla al caso. «Non c'è nulla di bello là fuori. Però ti puoi aggrappare, se riesci.» La verità era che aveva pensato spesso a sua madre e alle sue parole d'addio durante i momenti di requie; ma quando combatteva erano i visi dei suoi compagni quelli che lo spingevano a massacrare e a non guardare in faccia il commilitone morto di turno, era la presenza di chi rimaneva in piedi accanto a lui. «Non importa da dove vieni, cosa hai fatto, chi sei, cosa vuoi. Quando impugni un'arma, diventi un Guerriero, e così tutti gli altri. Se sono vivo, lo devo a chi mi ha protetto le spalle. Gente strana ma in gamba, che sa per cosa combatte. E non è una cosa scontata.» Sorrise sovrappensiero. «Tristall e Galbion sono come me: vivono per servire la speranza e l'onore. Tristall è di Baleor, la guerra ce l'ha nel sangue. Galbion è più uno stratega e a volte rogna un po' troppo con regole e gradi, ma sa il fatto suo quando si tratta di trascinare fuori dall'inferno un compagno. Ah, e poi c'è Aci» rise in modo ambiguo. «Lui è un caso a parte. Sembra non aver capito cos'è esattamente una guerra, lui l'associa a una battuta di caccia. È di Dihastìr» spiegò, come se questo bastasse per giustificare la sua visione della vita.
«Sembrano uno strano gruppo» si sconcertò. Miva lo conosceva bene e sapeva quanto schizzinoso fosse in fatto di amicizie. In più di cinque anni che viveva a Aproeb, il suo tempo non faceva che passarlo con lei.
Sono cambiato, e lei ora lo può vedere. Quel pensiero lo terrorizzava.
«Sì» rispose con un sorriso accondiscendente, «e strano è stato il modo in cui ci siamo avvicinati.»
«Mh?» s'interessò.
Anche lei è un po' come quell'arciere: sempre entusiasta per la più piccola cosa insignificante. Sorrise: probabilmente Miva si sarebbe offesa per un simile paragone. «Ci siamo ritrovati tutte e quattro a tentare di abbattere un Bizar. E alla fine, stanchi morti, ci siamo dovuti subire Aci che si vantava di come aveva salvato la vita a tutti noi.»
Finì il medicamento e si asciugò una goccia di sudore che gli stava colando dal mento. C'era caldo e neanche il vento di bonaccia leniva le loro sofferenze. Bastian alzò la testa e strizzò gli occhi. «Ci sarà tempesta, stanotte.»
Miva si rabbuiò. «Più che prevederlo, sembra che tu la chiami, la pioggia.»
Bastian si tirò su e scrollò le spalle. «Stanotte ci servirà. Stanotte si combatte.»
«Cosa?» strabuzzò gli occhi. «Mi farai venire un malanno…»
«Se pensi che le creature del Veto si fermeranno per qualche goccia, puoi anche restare a casa, tra le sottane di tua madre.» Si mortificò del tono rude, ma non lo diede a vedere. Quasi sperò che ella cogliesse l'occasione. Cosa ti serve per desistere?
Miva scattò all'in piedi allontanando subito quell'idea.
Bastian sospirò e annuì. «Continuiamo.» Se non riusciva a convincerla, non si sarebbe demoralizzato, non più. Non era più un uomo di Velenia, il gruppo e il senso d'appartenenza a esso si erano dissolti nel momento in cui si era ritrovato con le gambe tremanti davanti alla prima testa mozzata. Adesso ciò che contava – non importava l'onta o il tradimento – era proteggerla. Lei avrebbe combattuto, sarebbe scesa nell'arena di quel trastullo di dei, e nessuno poteva impediglielo. Lui però avrebbe mosso battaglia non solo alle pedine, ma direttamente contro i fautori di quel gioco. Era poco, lo sapeva, ma se non altro lui non avrebbe lasciato nulla al caso.


 
 
N.d.A

Ed ecco il quinto capitolo, come promesso. D'ora in poi gli appuntamenti saranno ogni nove giorni, salvo altri brutti scherzi del pc^^
Grazie a tutti coloro che hanno pazientato.
   
 
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