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Autore: edoardo811    02/08/2017    2 recensioni
Quello che sembrava un tranquillo viaggio di ritorno alla propria terra natale si trasformerà in un autentico inferno per i Titans e i loro nuovi acquisti.
Dopo la distruzione del Parco Marktar scopriranno ben presto che non a tutti le loro scorribande nello spazio sono andate giù.
Tra sorprese belle e brutte, litigi, soggiorni poco gradevoli su pianeti per loro inospitali e l’entrata in scena di un nuovo terribile nemico e la sua armata di sgherri, scopriranno presto che tutti i problemi incontrati precedentemente non sono altro che la punta dell’iceberg in un oceano di criminalità e violenza.
Caldamente consigliata la lettura di Hearts of Stars prima di questa.
[RobStar/RedFire/RaeTerra] YURI
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Good Left Undone

VIII

PERMANENZA FORZATA

 

«Quanto hai detto che è profondo?» domandò BB avvicinando timidamente la testa oltre il bordo del precipizio.

«Non si sa con molta certezza. C’è chi dice perfino che non abbia fine, ma io non ci credo molto. Comunque, secondo me, qualche decina di chilometri» rispose il piccolo fongoid seduto, con le gambe a penzoloni nella voragine. BB ancora si domandava come facesse a sedersi lì senza morire di vertigini. Nonostante lui meno di tutti doveva temere quel precipizio, visto che poteva trasformarsi in ogni qualsivoglia di volatile e quindi non poteva morirci spiaccicato dentro, ne aveva una fifa matta.

Ecco cos’era quel famoso "Pozzo" di cui si era parlato un mese prima con quello psicopatico di Galvor. Si trattava di un enorme burrone, situato sul limitare della cima di una collina non molto lontana dal villaggio. Sembrava scavato naturalmente ed era impossibile scorgerne il fondo. L’unica cosa che si poteva vedere al suo interno era una sottile nube bianca, simile a nebbia. Per quello che il verdolo sapeva, poteva condurre direttamente all’inferno. Il solo ripensare a quella discussione avuta con Galvor in proposito ad essere scaraventati lì dentro gli metteva i brividi. Il mutaforma si grattò la testa, deglutendo, poi rivolse di nuovo l’attenzione al fongoid, un bambino di dieci, undici anni. «Non potremmo andarcene, Yurik? Questo posto mi da i brividi...»

«Sei tu che hai voluto vederlo» replicò il bambino guardandolo incuriosito con i suoi occhietti gialli.

«Sì, e me ne sto pentendo amaramente. Forza, andiamo, e ti prego, non sederti mai più lì...» BB si stava facendo venire un infarto, continuando a guardare Yurik mentre ondeggiava le gambe nel vuoto del Pozzo come se nulla fosse.

Il bambino scrollò le spalle. «Okay.» Si rimise in piedi e i due ritornarono sui propri passi, scendendo la collina verde rigogliosa e dirigendosi di nuovo al villaggio. Solamente quando furono lontani un centinaio di metri dal precipizio BB riuscì a respirare di nuovo correttamente. Per un attimo aveva avuto il terrore che quella voragine si spalancasse da sola e inghiottisse lui e il piccolo fongoid.

Volse lo sguardo all’orizzonte e gli fu impossibile reprimere un sorriso, alla vista dello spettacolare paesaggio che solamente da lì poteva vedere. Siccome erano in cima ad una collina che si affacciava sulla radura dalla quale erano arrivati, BB poteva scorgere tutto il villaggio, il palazzo di re Alpheus – nonché la loro abitazione – i campi coltivati e il lago situato nella periferia del paese. Era un’esplosione di colori, da far venire male agli occhi. Le piante dei campi, l’erba dei prati in cui gli animali pascolavano, il blu del lago, l’azzurro smagliante del cielo, lo stesso grigio dei palazzi dava il suo contributo a rendere stupenda quell’opera d’arte naturale stagliata di fronte a lui. E poi, oltre il villaggio, si trovava la giungla, un miscuglio di verde scuro, marrone e giallo, che si protendeva fin dove l’occhio riusciva ad arrivare. Cominciava a piacergli, Quantus. Beh, dopo un mese di alloggio forzato su di esso, non aveva molte altre alternative. Poteva farsi andare bene la vita in quel villaggio, farsi dei nuovi amici, come Yurik – quel bambino con il quale aveva scoperto di andare davvero molto d’accordo, a discapito della differenza d’età – oppure poteva ridursi come Red X, a passare quindici ore della propria giornata alla locanda a bere. E per quanto anche lui fosse un adolescente che adorava da matti ubriacarsi, non poteva certo reprimere il suo istinto animale che gli imponeva di visitare ogni angolo di quella radura, fiutarne ogni centimetro e impararne la planimetria per riuscire a conoscerlo come le proprie tasche.

Anche se, a dire la verità, la loro non era proprio una permanenza forzata. Semplicemente, da quando i fongoid avevano scoperto che Corvina era "la salvatrice", qualunque cosa significasse, l’avevano implorata, letteralmente, di restare nel villaggio. Alpheus, Canoo, Galvor, Yurik e praticamente ogni fongoid si era chinato dinnanzi a lei, durante l’arco di quella stramba giornata in cui avevano conosciuto quella gente. Le avevano offerto una stanza al palazzo, avevano concesso a lui, Robin e tutti gli altri di soggiornarvi a loro volta, avevano offerto loro vitto, alloggio, abiti puliti e servitori, in poche parole, tutto ciò che si poteva desiderare. E per quanto quell’offerta fosse stata molto allettante, nessuno di loro aveva voluto fermarsi. L’unica cosa che avrebbero voluto, era tornare sulla Terra, a Jump City, a casa loro. Ma le discussioni non erano servite a nulla e Corvina, l’unica che non aveva praticamente detto niente, esasperata e senza il cuore per poter dire di no, aveva accettato.

«Mi stanno letteralmente implorando di restare, non posso rifiutare» aveva detto. «Sarà solo una cosa temporanea, fino a quando non troverò una soluzione.»

Beh, di soluzioni, dopo quasi un mese, ancora non ce n’erano. Di certo le cose erano andate molto meglio di quanto tutti loro avrebbero mai potuto credere. La popolazione non aveva più paura di loro e li trattava con rispetto e riguardo, anche se BB sospettava che fosse semplicemente per via della loro amicizia con La Salvatrice. Erano dei raccomandati, in poche parole, la gente era obbligata a trattarli bene. C’era chi sembrava più propenso ad essere gentile per peculiarità propria, come la famiglia di Yurik, e chi, invece, sembrava molto contrario alla loro presenza, come Galvor, ma tentava – fallendo miseramente – di nasconderlo.

E poi c’erano Canoo e Alpheus. Loro erano gentili, gentilissimi, con loro. Lo stesso non erano con Corvina. O meglio, sicuramente le loro erano buone intenzioni, ma tenerla segregata nel palazzo ventiquattrore su ventiquattro, permettendole di vedere gli amici solo durante i pasti, non doveva essere una cosa che la maga gradiva molto.

La cosa peggiore era che nessuno di loro, nemmeno Robin, era riuscito a capire cosa facessero tutto il giorno con Corvina. Dovevano scoprire cose, dicevano loro. Ma cosa? Cos’avevano da scoprire ancora? E perché diavolo Corvina era La Salvatrice?

BB non lo sapeva. Sapeva solo che lui come tutti gli altri erano costretti a fare buon viso a cattivo gioco e restare in quel villaggio finché Corvina non avesse estratto il coniglio dal cilindro. E dopo quasi trenta giorni, il mutaforma cominciava a dubitare che quel giorno sarebbe arrivato.

«B, che fai?» domandò Yurik all’improvviso.

Il mutaforma trasalì, ritornando alla realtà. Si accorse solo in quel momento di essere rimasto a fissare come in trance il paesaggio per tutto il tempo. Scrollò di nuovo il capo per ricomporsi, poi sorrise al fongoid. «Niente, niente. Torniamo al villaggio, forza. Vuoi che ti porto io?»

Il bambino si illuminò e saltellò entusiasta. «Sì, sì ti prego B! Trasformati di nuovo nello pter... ptero... ahm...»

«Pterodattilo?» domandò BB lanciandogli un’occhiata eloquente.

«Quello!»

Il ragazzo ridacchiò, poi si mise nella corretta posizione. «E va bene, pterodattilo sia!»

 

***

 

Robin sbadigliò, poi scostò un ciuffo di capelli ribelle finito sugli occhi. Il sole brillava di luce accecante sopra di lui, smagliante, piazzato nel mezzo di quella volta meravigliosamente celeste, completamente incontaminata. E al ragazzo tutto ciò interessava poco niente. Si rigirò nel suo giaciglio di erba, in quell’enorme prato destinato al pascolo degli animali e si rimise in bocca il gambo di una pianta simile a grano che si era tolto prima di sbadigliare. Ormai quella era la sua giornata tipo. Mentre tutti i suoi amici tentavano a loro modo di combattere la noia, girovagando per il villaggio, chiacchierando con i fongoid e facendo amicizie, lui nella noia ci navigava. Si alzava al mattino, faceva colazione, usciva, si sdraiava in quel prato a fissare le nuvole, tornava al palazzo per pranzo, si sdraiava di nuovo in quel prato, talvolta passava un po’ di tempo con Stella, cena e poi andava a dormire. E il giorno dopo il ciclo si ripeteva.

Pensava. A cosa, ormai, nemmeno lui lo sapeva. Si sentiva in prigione, letteralmente, anche se quel paese sembrava tutt’altro. Sembrava. A detta sua, qualsiasi luogo dal quale non potevi andartene era una prigione. Poteva avere sbarre oppure prati verdi e rigogliosi, non gli importava. In prigione era e in prigione sarebbe rimasto fino a quando Corvina non si fosse decisa a spiegargli cosa diavolo stava succedendo. Diverse volte aveva cercato di prenderla da parte, farsi spiegare perché lei era ritenuta La Salvatrice, capire perché i fongoid non volevano che se ne andasse, ma lei aveva evitato l’argomento, apparendo dinnanzi a lui molto più a disagio e spaventata di quanto non fosse mai stata. Le uniche cose che era riuscito a tirarle fuori dalla bocca, era che i fongoid avevano bisogno di lei e che non poteva andarsene.

E Robin non poteva far altro che assecondarla, andare in quel prato e rimuginare. Cercare di trovare una scappatoia, ben conscio del fatto che se non sapeva come stessero le cose in realtà, non poteva arrivare lontano.  Sospirò. Quello era davvero un bel casino. Non erano in pericolo di vita, non avevano nemici mortali da affrontare, ma l’ansia che quel posto generava in lui forse era ancora peggio. Avrebbe dato una gamba per scoprire qualcosa di più su ciò che stava accadendo tra Corvina, Alpheus e Canoo.

Si rimise a sedere, stiracchiandosi, poi si alzò in piedi e si tolse di dosso i ciuffi d’erba che si erano attaccati ai suoi nuovi abiti, dei pantaloni neri e una camicia di un materiale simile alla flanella, gentilmente offerti dai fongoid in rimpiazzo al suo vecchio costume, che non era proprio l’indumento migliore da indossare per andare in giro. Anche tutti gli altri avevano ricevuto abiti nuovi. Vestiti per le ragazze, camice e pantaloni per i ragazzi. Corvina invece... meglio non parlare dell’abbigliamento che avevano appioppato a lei.

Con le mani in tasca e il passo pesante tornò nel villaggio. Camminò lungo il ciottolato, ricambiando i saluti di praticamente ogni fongoid che incontrava e cercando di sorridere. Doveva ammettere che quella strada non sembrava nemmeno più quella che aveva visto il giorno del loro arrivo su Quantus. Era piena di vitalità. La gente era accalcata dalle bancarelle, fuori dai negozi, dalla locanda, seduta sulle panchine, i bambini correvano gioiosi, giocando, altri trasportavano carretti pieni di piante da poco raccolte dai campi, oppure si dirigevano in essi attrezzati di tutto punto. Un estraneo, ecco cos’era Robin in mezzo a tutti loro. Inspirò profondamente l’aria fresca e fece per dirigersi alla locanda dove Cyborg e Red X si erano diretti qualche ora prima, sperando di incontrarli, per poi fermarsi all’improvviso quando ai suoi occhi apparve una chiazza rossa fuoco, semi nascosta dalla folla. Aguzzò la vista, poi sorrise di nuovo quando vide Stella seduta su una panchina, con le mani allacciate davanti al grembo, intenta ad osservare la folla che scorreva indaffarata davanti a lei. Non appena la vide, vestita con l’abito bianco che alcune fongoid le avevano donato, più alcuni fiori intrecciati nei capelli, ricordò alla perfezione che, infondo, in quel villaggio non stava poi così male.

Mandò al diavolo tutti i suoi grattacapi e decise di andare da lei.

 

***

 

«Un altro.»

Cyborg guardò Red X mentre porgeva il bicchiere al locandiere e questo glielo riempiva con il contenuto di una botte dotata di spillatrice. «Non starai esagerando?» domandò preoccupato per la salute del ragazzo. Ormai era il... quarto, quinto bicchiere di quello strambo alcolico che beveva?

Il ragazzo in nero, rimasto tale anche se senza costume per via degli abiti neri che aveva richiesto ai fongoid, avvicinò il recipiente alle labbra e sorseggiò, grugnendo di disapprovazione. Si separò dal bicchiere boccheggiando, poi lanciò un’occhiata in cagnesco al robot. «Lo decido io quando sto esagerando, chiaro?!»

Il robot trasalì, poi sollevò le mani in segno di resa. «Ok, ok, dicevo tanto per dire.»

Il moro grugnì di nuovo, poi ricominciò a bere. Tra tutti, lui era sicuramente quello che aveva preso peggio la loro permanenza forzata in quel villaggio. Non era mai stato convinto dell’atterraggio, figurarsi l’essere costretto ad abitare lì per tempo indeterminato. Ormai quella locanda era divenuta la sua seconda casa e visto ogni cosa era spesata da Alpheus, ne approfittava alla grande. Dopo quasi un mese passato a tirare avanti in quel modo, X doveva ormai avere più alcol che sangue nelle vene. Era diventato scorbutico, intrattabile, facilmente irritabile e, soprattutto, stentava a tenere a freno la lingua. I fumi dell’alcol gli annebbiavano la mente, facendolo spesso e volentieri parlare a sproposito o commettere atti tremendamente stupidi ed impulsivi. Per questo quel giorno Cyborg aveva voluto accompagnarlo alla locanda, per assicurarsi che non commettesse idiozie. Forse era un bene che Red X restasse tutto il giorno lì, almeno se causava problemi li causava lì e basta e non coinvolgeva donne, bambini e cittadini innocui.

Cyborg sospirò. Dovevano andarsene da quel pianeta. Dovevano farlo al più presto. Nemmeno lui ne poteva più, ma cercava comunque di nasconderlo. Corvina o Robin dovevano sbrigarsi a trovare una soluzione. Se solo avessero tutti avuto modo di scoprirne di più su quella storia riguardante La Salvatrice...

Un brusio sommesso si sollevava dall’altro lato della locanda, scavalcando tavoli di legno zeppi di bicchieri vuoti, navigando nell’odore del cibo e dell’alcol, e giungendo fino alle orecchie dei due ragazzi, seduti al bancone. Il robot ci mise poco niente a capire chi fosse l’artefice di quel parlottare e capire cosa stesse dicendo.

I fongoid erano stati molto gentili con loro. Bardock, il locandiere, era simpatico, disponibile e aveva sempre un sacco di storie interessanti da raccontare. Aveva raccontato loro che i fongoid erano un popolo che venerava molto la magia, gli dei, non a caso avevano uno sciamano. Non erano una razza bellicosa, erano più contadini, agricoltori, la tecnologia dalle loro parti praticamente non esisteva, erano... arretrati, in poche parole. E nonostante ciò, vivevano felici e possedevano conoscenze mediche e non che sulla Terra non sarebbero giunte neanche in un milione di anni.

I cittadini erano anche molto cortesi, salutavano educatamente ogni volta che incontravano uno dei ragazzi.

E poi c’era chi, invece, non riusciva a vederli nemmeno dipinti. Chi proprio non tollerava la presenza di Cyborg, di Robin e di tutti gli altri. Questi avrebbero voluto che solo La Salvatrice restasse nel loro villaggio e cacciare a calci nel sedere gli altri. Ed erano proprio loro, che dall’altra parte della taverna, stavano avendo una discussione molto accesa a riguardo.

Cyborg udiva ogni singola parola. Sentiva come reputavano lui e gli altri dei farabutti, che volevano solo derubarli dei loro cristalli, che volevano saccheggiare il villaggio. Alcuni sostenevano pure che Corvina non fosse La Salvatrice e che Canoo era un ciarlatano. Beh, in quel caso non avevano tutti i torti. Comunque sia, volevano vedere il gruppo di nuovi arrivati divorati interamente da un Basilisco Leviathan, oppure precipitare nel Pozzo. Ma tutto ciò, anziché far arrabbiare Cyborg, lo esasperava. Se non potevano andarsene, non potevano andarsene, fine della storia. Su Quantus non c’erano stazioni di carburante per la loro nave, non potevano rifornirsi.

Certo col poco carburante rimasto potevano tentare un viaggio disperato e sperare di trovare un altro pianeta – potevano anche chiamare soccorsi, a dire la verità, ma così facendo avrebbero segnalato la loro posizione all’universo intero e Slag, il Dominio e ogni qualsivoglia di cacciatore di taglie sarebbe stato alle loro calcagna in un battito di ciglia – ma tanto, finché la nave sarebbe rimasta danneggiata, oltre che senza scorte, non poteva farla decollare. E Cyborg non aveva gli attrezzi ideali per ripararla. Perfino Mr Zurkon, pace all’anima sua, da poco restituitogli da Corvina era ancora mezzo distrutto nella camera che avevano assegnato al titan robotico. Fino a quando non avesse trovato l’equipaggiamento adeguato non poteva riparare un bel niente, né il sintenoide, né la nave. Erano bloccati lì, volenti o nolenti. Perché non lo capivano?

«Ora basta...» rantolò X posando il bicchiere ancora mezzo pieno sul bancone, sbattendolo con così tanta forza che fu un miracolo se non si spaccò in due.

Cyborg lo guardò sorpreso. «Che ti prende?»

Il ragazzo non rispose. Si alzò in piedi dallo sgabello, ringhiando come un cane rabbioso, poi si voltò verso il gruppetto dal quale il brusio proveniva. «Avete finito di spettegolare?!» urlò, facendo sobbalzare il robot.

I fongoid seduti al tavolo tacquero e spostarono le loro attenzioni su Red X. I loro sguardi erano talmente adirati che a Cyborg vennero i brividi e si domandò come il moro riuscisse a sostenerli senza esserne intimorito.

«Non sono sordo, vi sento mentre dite che vorreste vedere me e i miei compagni morti stecchiti!» proseguì X, stringendo una mano a pugno. «Beh, la volete sapere una notizia bomba? Nessuno di noi vuole restare in questo buco di paese un solo secondo di più, ma siamo costretti a farlo, perché quel drogato del vostro sciamano ha detto che la nostra amica è La Fottuta Salvatrice, qualunque cazzo di cosa significhi!»

Cyborg sbiancò quando vide uno dei fongoid alzarsi. Lo riconobbe all’istante, era Galvor, quello che più di tutti non tollerava la loro presenza. «Che cos’hai detto riguardo il nostro villaggio e il nostro sciamano?» domandò con tono rabbioso, se Cyborg avesse ancora avuto la pelle, se la sarebbe sentita accapponare.

«Hai sentito Palla di Neve!» sbraitò X per tutta risposta. «Odio questo posto, odio tutti voi, odio il vostro fottuto sciamano e il vostro fottutissimo re! Ma soprattutto...» Lo indicò. «... odio la tua cazzo di faccia!»

«X, smettila! Sei ubriaco!» sussurrò Cyborg cercando di farlo ragionare, tirandolo per la camicia.

«Non mi toccare, bullone umano!» gridò l’altro allontanandogli la mano con uno schiaffo, per poi riportare l’attenzione sui fongoid e fargli cenno con le mani di farsi avanti. «Vuoi liberarti di noi? Bene, fatti sotto, fammi vedere di che pasta sei fatto!»

Galvor emise un verso gutturale, simile ad un ringhio. «Rimangiati immediatamente ciò che hai detto sul nostro conto!»

«Baciami il culo!»

«RIMANGIATELO!»

«COSTRINGIMI!»

Il fongoid girò intorno al tavolo, sotto gli sguardi dei suoi amici e si mise di fronte ad X, a pochi metri di distanza da lui. Il silenzio era calato nella locanda, gli occhi erano fissi su loro due, la tensione era palpabile, l’aria era satura di elettricità.

«Hai un’ultima possibilità, shlaym, ritira subito tutto quello che hai detto!» ringhiò ancora Galvor, piantandosi gli artigli da rapace nei palmi.

«Mi stai minacciando forse? Perché non lasci che siano i fatti a parlare e non chiudi quella fogna?!»

«Signori, vi prego, non commettete idiozie!» supplicò Bardock, quello che sicuramente meno di tutti voleva scoppiasse una rissa.

Anche Cyborg si alzò dalla sedia e si frappose fra i due. «Finiscila X! Forza, torniamo al palazzo! E tu...» Si voltò verso di Galvor, cercando di farlo stare calmo con un cenno della mano. «... scusalo, ti prego. Non è in sé, non pensa davvero quelle cose.»

«Sì che le pensò!»

«No, non le pensi!» tuonò Cyborg fissando X con rabbia. «Chiudi la bocca, o giuro che se qualcuno ti prenderà a calci entro la fine della giornata, quello sarò io!»

X serrò la mascella e lo fissò con quanto odio possedesse in corpo. Cyborg attinse a tutta la sua forza di volontà per poter reggere il suo sguardo.

«Pensa a tuo figlio, pensa ad Amalia, per l’amor del cielo, pensa a qualsiasi cosa, ma non metterti a litigare con lui!» Cyborg quasi lo implorò, questa volta. E le sue parole sembrarono avere effetto. La tensione sulle spalle di X si allentò, smise di serrare pugni e denti, il suo sguardo si ammorbidì e chinò la testa.

Il robot sospirò di sollievo. Parlare della tamaraniana mora era sempre una strategia vincente. «Forza, andiamocene.»

X annuì senza guardarlo, ancora con il capo chinato. Era sbronzo come una spugna, ma un minimo di lucidità sembrava ancora avercelo.

Cyborg lo obbligò quasi a camminare, spingendolo per le spalle. Si voltò verso Bardock e lo ringraziò per le bevande, poi passarono accanto a Galvor, che si scansò per lasciarli passare, fissandoli quasi disgustato. Il robot tentò di scusarsi ancora a nome di X, ma il fongoid liquidò la faccenda con un gesto della mano. «Sparite dalla mia vista.»

«V-Va bene.» Cyborg spinse ancora X, che seppur riluttante si lasciò guidare.

L’uscita della locanda si fece vicinissima e Cyborg poté sospirare di nuovo di sollievo.

«... prima che sia troppo tardi!»

Non appena Galvor pronunciò quelle parole, X si fermò di colpo e diventò più pesante di un macigno da spingere. Si voltò verso il fongoid, guardandolo con uno sguardo quasi da psicopatico. «Che intendi dire?» domandò con voce cavernosa.

«X, lascia perdere!» esclamò Cyborg ormai esasperato.

«Sì, lascia perdere moccioso, torna ad ingravidare quella gandz della tua fidanzata» lo incalzò ancora Galvor, suscitando l’ilarità dei compari. Qualunque cosa "gandz" significasse, non doveva essere un complimento.

Red X si mordicchiò l’interno della guancia, osservando i fongoid che si facevano beffe di lui. Il suo sguardo era divenuto indecifrabile. Cyborg deglutì. Avevano offeso Amalia e fatto battute sulla sua gravidanza. Una tempesta stava per scoppiare e Cyborg doveva agire. «X, ti prego...»

Il moro annuì, interrompendolo. «Sì, sì, ho capito.» Si voltò di nuovo verso l’ingresso e fece per dirigersi in quella direzione. «Ho capito...» Si girò di nuovo verso di Galvor. «... che quello stronzo vuole una bella lezione!» urlò prima di liberarsi dalla presa di Cyborg e saltare addosso all’alieno.

«Maledizione X! FERMO!» urlò il robot disperato mentre Galvor gridava di sorpresa e si ritrovava a ruzzolare sul pavimento di legno lucido insieme al ragazzo.

Bardock, i fongoid amici di Galvor, tutti gli altri clienti e lo stesso Cyborg scattarono, mentre Red X e la guardia reale continuavano a rotolare e si riempivano di cazzotti a vicenda. Una vera e propria bolgia si scatenò, le urla divennero talmente forti che richiamarono l’attenzione di chi si trovava in strada. Nel giro di poco tempo, la locanda si riempì come un uovo, il tutto mentre i due si spaccavano la testa a vicenda.

Cyborg non aveva mai visto Red X così furioso. Urlava, sferrava pugni, testate, gomitate, morse perfino la mano di Galvor, facendogliela sanguinare. Il fongoid, dal canto suo, aveva già procurato un bel po’ di lividi e tagli più e meno profondi sul volto del ragazzo e tentava alche di ferirlo con le proprie corna. La differenza d’età fra i due era mostruosamente alta, ma in quanto a stazza erano alla pari. Red X era alto, atletico, disponeva delle condizioni fisiche ideali per contrastare il fisico più possente di Galvor.

Il titan robotico cercò di fermarli, ma non fece altro che finire nel fuoco incrociato e beccarsi un pugno vagante, talmente forte che sentì la mascella vibrare, e fu scaraventato contro un tavolo. Si rialzò quasi immediatamente, massaggiandosi la testa. «Porca puttana...» rantolò, mentre quei due facevano letteralmente a pezzi ogni cosa. Avrebbero finito con l’uccidersi continuando di quel passo. Il robot cercò di fermarli di nuovo, ma gli amici di Galvor lo intercettarono, parandosi di fronte a lui e sgranchendosi le nocche.

«Ce n’è anche per te!» gracchiò quello in centro, con un sorriso sghembo sul volto. Era ubriaco fradicio, proprio come tutti i suoi amici e probabilmente lo stesso Galvor.

 Cyborg strinse i denti. «Merda...»

   
 
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