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Autore: l y r a _    02/08/2017    2 recensioni
Il secondo anno di liceo di Tooru Oikawa è un gran macello. Lo dice Hajime Iwaizumi, il suo migliore amico da una vita, e precisa che lo sarebbe stato un po’ meno se non avessero incontrato Sakurai e subìto tutte le sue complicazioni patologiche.
Il primo anno di liceo di Megumi Sakurai è un fallimento annunciato e lei è arrogante, ambiziosa e ha scrupoli quanti gli spiccioli nel suo portafogli: nessuno. Lo dice tutta Sendai ed è tutta la verità.
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[Oikawa/OC | UshiShira | Accenni OC/Ushijima | Perpetrato reato di canon/OC ]
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 4

Solo una foto


“Papà è furioso, dice che non può permettersi di pagare la tua retta scolastica se rinunci alla borsa di studio. Vuole che tu torni a casa e frequenti il liceo statale di Minamisaka.”
“Se è per questo non ha neanche i mezzi per restituire il prestito d’onore. La piantasse di essere ridicolo, io non posso cambiare scuola.”
“Onee-chan, non sarebbe meglio anche per te se tornassi a casa?”
Megumi si ficcò frettolosamente il cellulare nella tasca dei jeans quando sentì Uchida-san chiamare il suo nome. Si lasciò consegnare gli scatoloni appena scaricati dal corriere e prese a sistemarli nel magazzino come indicato. Lavorava in quel negozio di articoli sportivi da appena una settimana ed Uchida-san era un datore di lavoro fin troppo comprensivo e gentile con lei, ma dubitava che il poco denaro che fosse riuscita a racimolare lavorando anche per tutto il trimestre estivo sarebbe mai riuscito a coprire la rata autunnale non mitigata dalla borsa di studio sportiva. Poi c’era la questione del prestito d’onore concessole dall’Accademia sin dal primo anno delle medie, che avrebbe potuto ripagare solamente quando, al termine della formazione, avesse iniziato a lavorare, ma che avrebbe dovuto restituire immediatamente se per qualche motivo avesse rinunciato o fallito negli studi.
Lavorare per più di una manciata di giorni nello stesso posto era fra l’altro fin troppo difficile: Hattori non si era affatto rassegnato all’idea che Megumi avesse deciso di lasciare il club e che non volesse più aver a che fare con lui. Gli era sufficiente un arco di tempo piuttosto esiguo per scoprire dove lavorasse e, di conseguenza, appostarsi lungo il tragitto. La ragazza sperava che questa volta impiegasse di più, perché quello era finora l’impiego che più la faceva sentire vicina alla pallavolo, di cui – nonostante tutto – sentiva sempre più la mancanza. Si era sorpresa un sacco di volte a vagare fra li scaffali del reparto volley, ad accertarsi con i polpastrelli che la pressione dei palloni esposti per la vendita fosse adeguata, immaginandosi nell’atto di colpirne uno con tutta la forza che aveva in corpo e vederlo atterrare con un rumoroso schianto dall’altra parte della rete. Si era perfino provata un nuovo modello di scarpe da ginnastica a prova di atterraggi frettolosi ed aveva insegnato ad un ragazzino delle elementari come incerottarsi correttamente le dita. Si doleva della propria spericolata sete di gloria e della propria ingenuità ogni pomeriggio in cui vedeva Scoiattolo mettersi in spalla la propria borsa e sparire oltre la porta della loro stanza, alla volta della palestra. Non che la compagna non l’avesse interrogata e non si fosse opposta con forza alla sua decisione, ma Megumi non aveva alcuna voglia di parlare con lei né con nessun altro delle telefonate continue che riceveva e delle asfissianti centinaia di messaggi che ingombravano la casella del suo cellulare.
Perfino i rapporti con Wakatoshi si erano tesi come mai era successo in vita sua e presagiva che, da un momento all’altro, anche l’unico filo che fin dall’infanzia l’aveva legata a qualcun'altro si sarebbe presto spezzato definitivamente sotto i colpi delle sue bugie. L’amico la conosceva abbastanza per sapere che non avrebbe mai abbandonato di punto in bianco il club per delle incomprensioni con la squadra: la Megumi che conosceva avrebbe forse litigato, urlato come un’ossessa contro le sue compagne, probabilmente anche preso a pugni qualcuno, ma non l’avrebbe mai data vinta a Kurihara e le altre mandando all’aria i propri sforzi. Si sentiva in colpa a mentirgli, ma Wakatoshi non avrebbe mai dovuto sapere nulla dei guai in cui era andata ad infilarsi, o si sarebbe fatto una pessima idea di lei e Megumi non si sentiva di biasimarlo.
Ma come poteva essere stata così stupida? Si era rovinata con le proprie mani ed avrebbe dovuto capire subito che di uno come Hattori, per giunta già noto per il suo temperamento violento, non si sarebbe mai dovuta fidare. Al momento non vedeva più alcuna via di fuga: la sua carriera pallavolistica era prematuramente conclusa, i suoi genitori erano a giusta ragione infuriati con lei, sentiva Wakatoshi sempre più irraggiungibile ed era perseguitata giorno e notte da Hattori. Himeka, che pure era a conoscenza della versione dei fatti edulcorata che aveva rifilato a tutti, aveva ragione a farle notare che cambiare scuola sarebbe potuto essere conveniente. Certo, la sorella minore si riferiva al risvolto economico, ma tornare a Minamisaka le avrebbe probabilmente concesso di disfarsi di Hattori una volta per tutte. Tuttavia, a parte la gravosa questione del prestito che mai avrebbero potuto restituire, Megumi non si sentiva affatto sicura di voler tagliare i ponti con tutto e intimamente sperava che un giorno le cose sarebbero potute cambiare abbastanza in meglio da permetterle di ritornare indietro.
Era così persa nei suoi pensieri che si accorse solo alla fine di avere fra le mani un volantino che qualcuno aveva lasciato sul bancone della cassa.
«Hai abboccato, Megumi!» annunciò allegra la sua caporeparto lasciando fragorosamente cadere una caterva di appendiabiti nell’armadio dietro di lei «L’ho messo lì apposta per te!»
Rumiko era un ragazza che aveva da poco superato la trentina, da quanto aveva capito aveva già una figlia a carico e lavorava in quel negozio all’incirca da un quinquennio, sebbene avesse ottenuto la promozione solo di recente. Scrutò prima lei e poi il foglietto con maggiore attenzione.
«Per me?»
Il depliant pubblicizzava la fondazione di una divisione mista, probabilmente amatoriale, sotto l’egida del FC Galaxy Sendai, la società che stava dietro alle squadre maschili e femminili della città, attualmente impegnate in V.Challenge League 2. Ora che ci pensava, Sendai non aveva mai avuto una squadra mista, o al City Gymnasium qualche volta sarebbe spuntato un avviso di reclutamento, esattamente come quello che aveva in mano al momento.
«Il presidente ha avviato il progetto solo da qualche settimana, stiamo cercando di metter su un gruppo abbastanza numeroso per giocare come si deve.» le spiegò Rumiko.
«Non ho mai detto di saper giocare a pallavolo … »
«Ma sai che tutte le ginocchiere, a prescindere dal prezzo e dalla marca, dopo due settimane di uso puzzano di formaggio, che il taping del pollice è meglio farlo col dito leggermente flesso e che ai palloni Mikasa è più semplice imprimere l’effetto float. In che ruolo giochi?»
Megumi non sapeva decidere se fosse stata più imprudente lei o perspicace Rumiko, ma alla fine abbozzò un sorriso di resa e sollevò le mani, sconfitta.
«D’accordo, mi hai scoperta. Giocavo a sinistra.»
«Giocavi? Hai smesso?»
«Ho … avuto qualche tensione con il club.» mentì, o almeno lo fece in parte.
«Non devi essere così timorosa di ammettere che hai bisticciato con qualche compagna di squadra, questi sono imprevisti che al liceo capitano più di quanto si voglia credere. Che scuola frequenti, se posso chiederti?»
«Shiratorizawa.» tentò di mascherare l’imbarazzo fingendo di esaminare l’etichetta sgualcita di una felpa che qualcuno aveva restituito.
«Ho ben presente il tuo liceo, allora.» ridacchiò sottraendole la felpa dalle mani e ripiegandola con un precisione disumana. «Al momento avete un club maschile che spacca un po’ tutto ma qualche anno fa, quando io frequentavo le superiori, anche quello femminile era piuttosto temibile. Non so ne sei a conoscenza, erano i tempi di Naomi Kato.»
«Dubito che dopo di allora l’Accademia abbia più prodotto giocatrici di livello pari. Penso che attualmente per la mia scuola Yoshida sia un’ottima centrale, ma Kato era un rarissimo esempio di universale.»
«Puoi giurarci, nessuno capiva mai cosa stesse per fare … quante volte ho visto giocatrici eccellenti in prima linea saltare su un suo palleggio prendendolo per una veloce da murare!»
«La nazionale giapponese ha perso un’atleta esemplare per un infortunio apparentemente ridicolo.» sentenziò facendo spallucce. L’instancabile Rumiko dunque ritornò all’attacco.
«E tu? Tu come te la cavi?»
Fino a qualche settimana fa, avrebbe gonfiato il petto d’orgoglio e avrebbe prontamente annunciato tutta tronfia alla sua caporeparto si essere un portento in campo, ma – ed in questo la bizzarria della vita la sorprese non poco – non se la sentì affatto di fare una dichiarazione simile. A dire la verità, non credeva più neanche lei di essere mai stata così in gamba come credeva. Ripensare al club, poi, le rammentava di Hattori e dello squallore delle proprie azioni, dettate dal desiderio di farsi strada con le unghie e con i denti. Se fosse stata realmente brava, non avrebbe mai avuto bisogno di ricorrere alla mediazione del proprio coach per aggiudicarsi un posto da titolare.
«Non lo so neanche io.»
Rumiko le rivolse un sorriso d’incoraggiamento. «Come non lo sai? Scommetto che sei brava, alta così sarai stata certamente la punta di diamante della squadra.»
«Niente affatto, ero piuttosto inutile.»
«Sono certa che non sia vero, ma se la pensi così, perché non provi con noi? Domani sera potresti venire ad allenarti, ti accompagno io. Ci vediamo i giorni dispari della settimana, dalle sei alle otto. Siamo molto tranquilli, vedrai.»
Provava sentimenti contrastanti, eccome! Tornare in campo era qualcosa che bramava ardentemente ma che ravvivava allo stesso tempo il ricordo gli errori commessi. Se poi Hattori lo avesse saputo, non sapeva se sarebbe stata in grado di gestire le conseguenze.
"Se scopro che ti fai allenare da qualcun altro …"
Ricordare il primo messaggio che le aveva inviato il giorno stesso in cui aveva lasciato il club le fece accapponare la pelle. Lo aveva ribadito più volte, giorno dopo giorno, fino a diventare sempre più esplicito e temerario.
"Puoi giocare solo per me, intesi? Appartieni a me!"
Non aveva idea di quando ed in che modo il suo precedente allenatore avesse maturato la concezione di lei come un oggetto, ma era consapevole che intendesse realmente quello che le aveva scritto. La tentazione di ricominciare, in un ambiente totalmente nuovo, in cui nessuno sapesse nulla di lei o delle sue scelte riprovevoli, era tuttavia ugualmente troppo forte.
«Domani sera … dove?» si risolse infine a domandare.
Le labbra della caporeparto si distesero in un sorriso entusiasta.
«Ovviamente al City Gymnasium, pochi isolati da qui. Ma immagino che tu lo conosca già abbastanza.»
«Come le squadre della League … il presidente vi tratta bene!»
«Il presidente è un grand’uomo. Allora, posso accennargli di te?»
Si chiese poi più tardi, mentre cercava le proprie scarpe da ginnastica, se il presidente Anzai avesse mai sentito parlare di lei in precedenza. Era molto probabile che un’atleta del calibro di Yoshida gli fosse familiare e che qualche squadra le avesse messo gli occhi addosso forse anche prima della sua convocazione nell’under-18, ma chi mai aveva sentito parlare di Megumi Sakurai al di fuori dei tornei scolastici? Era piuttosto desolante constatare come non avesse effettivamente raggiunto alcun risultato in tutti quegli anni di pallavolo e ciò sarebbe dovuto essere – considerò fra sé e sé – un chiaro campanello d’allarme riguardo le proprie capacità. Non era mai stata, come credeva, forte.
Scoiattolo rientrò in stanza poco prima dell’ora di cena e, constatato che Megumi era stata colta nell’atto di riesumare il proprio equipaggiamento sportivo dall’armadio mezzo spoglio, prese a saltellare entusiasta tutt’intorno a lei.
«Sapevo che saresti tornata! Una come te non può mollare tutto così!»
Megumi avrebbe preferito che nessuno si accorgesse delle sue manovre furtive: si sa che le voci serpeggiano rapidamente di bocca in bocca e non voleva assolutamente che la notizia o anche il solo sospetto potesse giungere alle orecchie di Hattori. Scoiattolo però – Megumi lo aveva appreso da qualche tempo – aveva il miracoloso dono di essere sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato, perciò fu costretta a vuotare il sacco.
«Non sto tornando.»
«Stai preparando la borsa!» la incalzò l’altra indicando col dito il borsone aperto sul suo letto.
«Preparo la borsa ma non per il club.» sentenziò asciutta.
«Allora per cosa?»
«Ho un allenamento di prova con un’altra squadra, d’accordo? E vedi di tenere chiusa quella bocca, se scopro che lo hai detto a qualcuno te ne faccio pentire.»
La piccoletta si sedette sul letto e incrociò le braccia al petto con aria piccata. Megumi non aveva alcuna intenzione di scusarsi per essere stata aggressiva, che le fosse da lezione, cosicché la volta successiva si sarebbe rammentata di non ficcare il naso in questioni che non la riguardavano.
«Non lo dico a nessuno, va bene.» promise imbronciata «Ma che senso ha allenarsi con un’altra squadra se hai il club a disposizione? Voglio dire, certo al momento non siamo fra i migliori quattro, ma siamo una delle otto scuole migliori. Ti basterebbe mettere da parte … »
«Non si può mettere da parte tutto, va bene? E comunque non sono affari tuoi!»
«Solo perché Kurihara ti ha detto quelle cose non è detto che le intendesse sul serio, sai?» cercò di spiegare l’altra con calma «Quella volta era solo arrabbiata perché avevamo perso e se l’è presa con te. E poi nessuna di noi condivide, io per esempio non penso affatto che tu ti sia comprata una raccomandazione.»
«Ti ripeto che non sono affari tuoi!»
«Perché fai così? Ti sto dicendo che tutte noi sappiamo che sei brava, davvero! Dovresti tornare, ti riaccoglieremmo tutte a braccia aperte, anche se sei un po’ … ecco … »
«Permalosa? Scorbutica? Poco collaborativa? Cos’altro?»
«Okay, lo hai detto tu. Però ti riaccogliamo lo stesso! Anche il coach non fa altro che chiedermi di te … »
Qualcosa di gelido le si annodò nello stomaco e per qualche istante lo scaffale delle scarpe oscillò a destra e a sinistra, mentre il battito del cuore rimbombava assordante nei suoi timpani. La voce squillante di Scoiattolo si fece sempre più flebile e distante. Tramite quante vie Hattori la stava sorvegliando? Quanto poteva mostrare di sé alla propria compagna di stanza? Quanto ancora questa aveva rivelato all’allenatore? Facendo mente locale, Megumi era certa di aver rivolto la parola a Scoiattolo solo per questioni indispensabili e di non averle mai riferito nulla di importante. Ma forse era ugualmente così che il suo persecutore otteneva le informazioni necessarie per scovarla in ogni nuovo luogo di lavoro. Non era nemmeno colpa della sua compagna di stanza se aveva riconosciuto la divisa del fast-food in fondo alla strada o il grembiule del konbini[1] vicino la stazione degli autobus. Probabilmente, lo spirito di aiutante di Scoiattolo si era poi manifestato nel momento in cui qualcuno le aveva chiesto di lei, e – del tutto in buona fede – si era disposta a condividere informazioni utili. Avrebbe dovuto fare i conti anche con quella realtà: doveva guardarsi da tutti, se voleva essere lasciata in pace da Hattori.
«Sta’ a sentire, Hiromi.» l’avvertì cercando di nascondere il tremore nella voce «Non devi per nessun motivo al mondo parlare a Hattori-san di me. Non dirgli mai che sto lavorando o dove lavoro, soprattutto non osare raccontargli quello che ti ho detto stasera. Anzi, non parlarne più a nessuno. Non deve sapere più niente di me, ci siamo capite?»
«Vuole solo che torni al club, come tutte noi!» protestò «Si preoccupa per te!»
«Fidati, lui … non si preoccupa per me.»
Scoiattolo aggrottò le sopracciglia, turbata.
«Sakurai, è successo qualcosa con Hattori-san? Sei andata via per lui?» domandò a quel punto con serietà «Una volta hai detto una cosa strana su di lui … »
Megumi inghiottì a fatica la propria saliva. Provò l’impulso incontrollabile di scoppiare a piangere, ma non poteva permettersi di lasciarsi andare davanti alla compagna di stanza. Lottò contro il groppo in gola e strinse i denti.
«Non è successo niente con Hattori-san. Se sono andata via, la colpa è vostra.» mentì con un filo di voce «Ed ora levati dai piedi, devo andare in bagno.»
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«Dio mio, Oikulo. Sei completamente andato! Certo, confesso che ho sempre pensato che il senno ti avesse abbandonato ormai da un bel pezzo, ma questa volta credo che il danno sia definitivo.»
Tooru scoccò un’occhiata in tralice al compagno di squadra che stava prepotentemente trascinando per un braccio alla volta della prima palestra della scuola. Iwaizumi si era categoricamente rifiutato di accompagnarlo a “rendersi ridicolo”, come diceva lui, ed Hanamaki era stato l’unico a dirsi disposto a fargli compagnia.
«Non commentare e muoviti! Sono sicuro che abbiano già finito!» si lamentò in risposta «Ovviamente Guda si ricorda solo all’ultimo momento di riferirmi qualcosa di così importante … »
«Non incolperei il senpai … Si è premurato di venire al club appena possibile solo per avvertirti, nonostante i ragazzi del terzo anno si stiano dedicando ormai esclusivamente allo studio. Piuttosto direi che è stato molto gentile, se non lo avesse fatto non lo avresti mai saputo.»
«A che mi serve saperlo, Makki, se sono già andate via?»
«Rilassati, sono sicuro che la tua bella sarà ancora lì!»
Guda era comparso cinque minuti prima, tutto sudato e ansante, all’ingresso della loro palestra, dopo essersi destreggiato in un compito di recupero particolarmente intenso, ed aveva buttato lì la notizia in tempo reale: sua sorella era impegnata in un’amichevole contro il club femminile dell’Accademia Shiratorizawa. A quel punto Tooru non si era nemmeno preoccupato di cambiarsi, aveva tentato invano di rapire Iwaizumi, dopodiché aveva ottenuto che Hanamaki acconsentisse e si era dileguato con lui dieci minuti prima della fine dell’allenamento, fra gli insulti particolarmente veementi del suo migliore amico. Non poteva affatto biasimarlo: da novello capitano, non faceva esattamente una porca figura se piantava in asso i compagni in anticipo, piuttosto era il primo a diffondere il cattivo esempio, ma era certo che proprio Iwaizumi avesse compreso più di tutti quanto la questione Sakurai stesse diventando importante per Tooru.
Aveva cercato di dimenticarsela, sul serio. Non l’aveva più rivista dal giorno della dolorosa sconfitta impartita loro dal club di Ushijima, quando lei era corsa ad avvinghiarsi all’amato appena il terzo set si era chiuso in suo favore, spargendo ulteriore sale sulle ferite già sofferenti del palleggiatore dell’Aoba Johsai. Da allora, s’era impuntato di togliersela dalla testa. S’era ripromesso di non parlare di lei più con nessuno, ma pochi giorni dopo aveva ripreso a tediare Iwazumi con lo stesso argomento. Aveva deciso che non avrebbe mai più visitato il suo profilo Twitter, ed alla fine aveva perfino scoperto quel vecchio articolo di Monthly Volleyball risalente ad almeno tre anni prima, con una foto adorabile di una giovanissima Sakurai, appena iscritta alle medie, coi capelli ancora castani raccolti in due codini infantili. Insomma, di giorno in giorno tutti i suoi propositi vacillavano sempre di più senza che lui riuscisse a far nulla per impedirlo.
La cercò avidamente con lo sguardo, quando raggiunsero la tribuna in tempo per le battute finali del terzo set, che avrebbe prevedibilmente sancito la vittoria delle padrone di casa, ma rimase deluso appena constatò che Sakurai non era in campo, né sedeva in panchina. Semplicemente, non c’era: il suo posto era occupato da Hoshino e le riserve erano già abbastanza numerose senza di lei. Il loro coach – notò – era nervoso come non mai e continuava a rimbrottare chiunque commettesse perfino l’errore più stupido, privato com’era del suo capro espiatorio.
«Forse è ammalata.» tentò Hanamaki facendo spallucce «Oppure ha avuto un infortunio. O magari è impegnata con qualche compito in classe e non poteva perdere tempo.»
«Non sarebbe stata una perdita di tempo.»
«Può darsi che lei la pensi diversamente. E poi rimane la prima ipotesi, potrebbe avere l’influenza o il raffreddore.»
«A giugno?» domandò scettico Tooru.
«Due sere fa c’era un brutto vento, sai? Forse è uscita ed ha preso freddo.»
«Se fosse uscita con me non le avrei fatto prendere freddo sapendo che aveva un’amichevole in programma … » piagnucolò frustrato.
«Ci stiamo allontanando dall’argomento. Perché più tardi non chiedi a qualcuno? All’allenatore?»
«Piuttosto che domandare di Gumi-chan a quell’Hattori, mi chiudo la lingua nello sportello di una macchina.»
Hanamaki ridacchiò sorpreso. «D’accordo, per quanto l’idea di te che stai zitto per mesi possa far piacere ad Iwaizumi, a questo punto sarebbe meglio se chiedessi ad una sua compagna di squadra.»
«Se ha davvero il raffreddore dici che dovrei mandarle dei fiori?»
«Certo, così te ne manderò un mazzo anche io quando sarai in ortopedia dopo che ti avrà picchiato con la giusta dovizia.» scherzò l’altro «Ma se ti conosce appena? E poi chi manda fiori per un raffreddore?»
«Magari trova l’idea carina … mi sembrava una cosa galante! Forse avrei fatto colpo!»
«E Sakurai ti pare una da galanterie?»
«A tutte le ragazze del pianeta piacciono le galanterie, Makki!»
«Allora escluderei che sia di questo pianeta.»
«Se fosse un’extraterrestre si spiegherebbe la superforza, ma a questo punto il raffreddore sarebbe una scusa. Gli alieni non prendono il raffreddore degli umani, i loro anticorpi sono tutta un’altra storia. Per non parlare dei virus, che non sono per niente compatibili con il loro DNA.» considerò con fin troppa serietà, tant’è che l’amico gli scoppiò a ridere in faccia.
«Magari la tua Supergirl è stata esposta alla Kryptonite.» ipotizzò scherzosamente.
«Immagino che sia l’unica cosa che possa fermarla.»
Dopo il fischio finale, che decretò la vittoria delle ragazze dell’Aoba Johsai, le ragazze presero a sciamare fuori dalla palestra. Tooru afferrò nuovamente il polso del compagno di squadra e lo condusse con sé davanti all’uscita di servizio della palestra, dove era parcheggiato l’autobus della squadra ospite. Avrebbero aspettato lì che si facesse viva la squadra ospite e Tooru avrebbe chiesto notizie di Sakurai alla prima che gli avesse ispirato abbastanza fiducia.
Scartò a prescindere tutte quelle che, riconoscendolo, lo salutarono affettatamente con la mano o con voce svenevole, giudicandole chiaramente interessate ad attirare la sua attenzione e quindi più propense a mentire riguardo ad una loro potenziale rivale. Alla fine si parò davanti all’unica che aveva tirato dritto senza degnarlo di uno sguardo e che qualche volta aveva visto parlare con Sakurai. Forse qualcun’altra si sarebbe fatta intimidire dalla differenza di stazza, ma Hiromi sostenne il loro sguardo con snervante tenacia, visibilmente incuriosita.
«Posso aiutarvi?» domandò dunque, con una gentilezza che né Tooru né Hanamaki si aspettavano. Aveva una voce dolce e acuta, che non c’entrava molto con la sua parvenza aggressiva.
«Oggi non ho visto Sakurai, mi chiedevo se fosse ammalata o le fosse successo qualcosa.» esordì impacciato.
La piccoletta si mordicchiò il labbro inferiore, prima di rispondere.
«Sakurai ha lasciato la squadra dopo l’ultima sconfitta ai preliminari degli interscolastici. Ci sono stati, dei … contrasti con le altre, o almeno così dice.»
«Ha chiuso con la pallavolo?» ripeté incredulo Tooru «Per una sconfitta?»
Hiromi strinse gli occhi e lo osservò con maggiore attenzione.
«Tu non sei quello a cui ha dato un calcio in faccia?»
«Sì, è proprio lui.» intervenne Hanamaki «In carne, ossa e livido da poco riassorbito.»
«Perché mi chiedi di lei?»
«Vorrei, ecco … vorrei rivederla.» spiegò maldestramente «Parlarci un pochino.»
«Uno strano modo per dire che ti piace.» commentò Hiromi con schiettezza, prima di guardarsi rapidamente intorno, come se volesse accertarsi che nessuno oltre loro stesse ascoltando la conversazione. «Senti, io non dovrei parlarne ma … non è che ha proprio chiuso con la pallavolo. Non posso dire nient’altro perché mi ha ordinato di non farlo, ma penso che tu possa arrivarci da solo.»
«Non avrà mica cambiato scuola?»
«No, o almeno non ancora. Ma se prosegue così potrebbe accadere. Sakurai vive di borse di studio, quando il suo abbandono sportivo verrà ufficializzato, probabilmente non potrà più permettersi l’Accademia.»
«E pur sapendolo ha mollato il club per delle innocue tensioni con la squadra?» considerò Tooru stupito «Mi sembra ridicolo, avrebbe dovuto cercare di risolvere … »
«Questo non dovrei dirlo ma non credo affatto che quella sia la vera motivazione. Sakurai non parla con nessuno, ma si comporta in modo molto sospetto e alle volte si lascia sfuggire discorsi molto strani. Io ti confesso che secondo me la vera questione è Hattori-san, l’allenatore. Non so di preciso cosa sia accaduto, ma tutte sapevamo che lui la considerasse la sua prediletta, anche se le urlava contro di continuo roba piuttosto pesante. Per noi era divertente che venisse strigliata di tanto in tanto, visto che si dava un sacco di arie, ma ultimamente ho iniziato a pensare che le cose non fossero così semplici. Dopo ogni partita, se aveva commesso anche errori inevitabili, la prendeva da parte e la rimproverava privatamente, e durante gli allenamenti non faceva altro che insultarla. L’altra sera quando le ho parlato di lui è sbiancata e mi ha imposto di non raccontargli mai niente. Per me è tutto troppo strano.»
Cosa avrebbe potuto dirle Tooru? Che anche lui aveva maturato gli stessi dubbi, semplicemente accorgendosi di una pacca sul sedere prima di un rientro in campo? D’improvviso tutto quell’occhieggiare minaccioso fra l’allenatore e la schiacciatrice assunse nuovamente il significato grave che vi aveva letto qualche settimana prima. Si trattava ad ogni modo ancora di soli sospetti, comprovati da nulla, ma perlomeno appoggiati da qualcuno di più vicino a Sakurai di quanto fosse lui.
«Dici che Sakurai non parla, ma a quanto pare parla con te.» commentò, invece.
«Solo il minimo necessario. È piuttosto inevitabile dal momento che dorme nel letto di fronte al mio.»
La dea bendata gli aveva servito un bell’assist facendogli scegliere proprio la compagna di stanza di Sakurai, forse l’unica che era rimasta in contatto con lei. Che fosse un buon segno?
«Quando dici che “non ha proprio chiuso”, cosa intendi?»
«Mi ha chiesto di non parlarne, perciò ho già detto troppo.» tagliò corto mentre l’ultima delle sue compagne di squadra, la bionda cicciottella che aveva passato tutto il tempo in panchina, le faceva cenno con la mano di salire sull’autobus. «Devo andare, manco solo io.»
«Aspetta un attimo … dammi almeno un altro indizio!» la richiamò invano mentre la piccoletta raggiungeva velocemente l’autobus e ci saliva sopra. «Ora la riprendo … »
«Non puoi salire sull’autobus!» protestò Hanamaki cercando di trattenerlo a fatica «Dovevamo portarci Iwaizumi, lo sapevo!»
«Iwa-chan mi avrebbe fatto andar via quando ci siamo accorti che non c’era.»
«Perché sa che finisci per metterti nei guai, conosce il suo pollo.» spiegò l’altro mentre con un rombo l’autobus sorpassava il cancello del liceo, portandosi via l’unica preziosa fonte di notizie che avesse.
«Che significa che “non ha proprio chiuso”? Cosa fa, la raccattapalle? O forse ora è una manager. Peggio, potrebbe essere la manager del club maschile, così starebbe attaccata ad Ushiwaka tutto il tempo!»
Commentava le notizie fresche con il resto dei ragazzi, dinanzi ad un Iwaizumi particolarmente preoccupato all’idea che Tooru si fosse immischiato in faccende simili e che per un pelo non fosse salito su un autobus pieno di ragazze, per giunta di un’altra scuola, quando Yahaba suggerì l’ennesima opzione.
«Voi ve lo ricordate Kyoutani?»
«Ah, il cagnolino rabbioso? È da un pezzo che non si fa più vedere al club.» considerò Tooru.
«Dio ce ne liberi, era tremendo!» commentò Guda, che era accorso con solerzia solamente per avere un resoconto di ciò che era accaduto in seguito alla sua soffiata. «Fujiwara aveva perso le speranze già ad aprile, dopo una settimana di allenamenti.»
«Allora, l’altro giorno un mio amico che è anche suo compagno di classe mi ha detto che gli è sembrato di averlo visto nella palestra della scuola media Wakabayashi, dove si allenano quelli della squadra di quartiere.»
«E questo che c’entra?» lo esortò Iwaizumi.
«Forse questa Sakurai fa la stessa cosa. Forse ha lasciato la sua squadra ma non la pallavolo, e continua ad allenarsi in qualche altra palestra della città.»
«Yahaba, sei un vero genio. Degno di essere la mia riserva.» si congratulò Tooru tutto speranzoso.
Il più giovane sbatté un paio di volte le palpebre prima di arrossire. «Grazie, senpai
Solo quando furono soli sulla strada di casa, Iwaizumi lo prese per il lobo di un orecchio. «Non avrai mica intenzione di passare in rassegna tutte le palestre di Sendai per cercare una ragazza che ti detesta, eh Oikulo
«Se non dovessi trovarla ci sono anche quelle delle città limitrofe.»
«Tu sei folle, hai idea di quante palestre ci siano? Per non parlare degli orari, le combinazioni sono infinite!»
«Se le provo tutte, prima o poi salterà fuori!»
«Sei patologico, ormai. Può darsi pure che la sua amica ti abbia detto una bugia!»
«E perché avrebbe dovuto?»
«Probabilmente Sakurai vuole farti impazzire e prendersi gioco di te.»
«Gumi-chan non lo farebbe mai!»
«Non lo farebbe mai? Ma se non la conosci! Questa ragazza è una completa sconosciuta, non hai idea di come sia fatta! Le cose sarebbero andate diversamente se all’inizio del mese mi avessi ascoltato e l’avessi piantata con le battute squallide, forse le saresti stato più simpatico e avresti perfino rimediato il suo numero! Adesso faresti bene a prenderti le tue responsabilità e metterci una pietra sopra.»
Ferito, Tooru incrociò le braccia e guardò dall’altra parte imbronciato.
«Parli così, Iwa-chan, perché non ti sei mai innamorato di nessuno.»
Iwaizumi arrossì vagamente, poi strinse gli occhi indispettito.
«Questo per quanto ne sai tu.»
«Iwa-chan! C’è una che ti piace? E non mi dici niente? La conosco?»
«Ma ti aspetti veramente che ti risponda? Mi hai seccato, fila via!»
«Guarda che lo scoprirò prima o poi, non puoi tenermelo nascosto a lungo.» cantilenò divertito.
«Ti stava bene il livido di Sakurai sullo zigomo, ne sento la mancanza. Vogliamo replicare?»
«Appena avrò ritrovato Gumi-chan mi occuperò di far luce sulla tua nuova fiamma … »
«Nuova, dici?» si lasciò sfuggire l’amico scuotendo il capo.
«Quindi è una cosa che va avanti da molto e non mi hai detto niente? Sei davvero pessimo.»
«Sarai tu quello pessimo quando ti arriverà una denuncia per stalking
Tooru non era certo del perché l’amico si scaldasse tanto. Era lusingato che si preoccupasse del suo benessere, ma si trattava solo di farsi un giro per le palestre della città nel tempo libero: non avrebbe sottratto tempo né allo studio, né agli allenamenti. Non si aspettava ovviamente che Iwaizumi si offrisse di accompagnarlo, perciò non glielo aveva neanche chiesto. Quella di Sakurai era una questione che riguardava solo lui e dopo le dichiarazioni di Hiromi, era stato anche colto dal desiderio bruciante di far luce sul mistero.
Ora, dunque, da quale palestra iniziare?
~
Megumi era pronta a giurare che il sorriso che il presidente Anzai aveva sfoderato quando l’aveva trovata in campo in qualità di nuova recluta, fosse uno dei più spontanei che avesse mai visto. Anzai era ormai vecchiotto, aveva fatto la sua storia, eppure fu arzillo come non mai nel raggiungerla per dargli il benvenuto. Lei gli rivolse un inchino profondo, che l’altro contraccambiò con cortesia.
«Tu devi essere la ragazza di cui ieri parlava Rumiko-san. Benvenuta!»
La più giovane mormorò il ringraziamento più cortese che avesse in repertorio.
«Perdonami se sono così diretto, ma Rumiko-san mi aveva parlato di una matricola al liceo, non mi aspettavo che fossi tanto alta e che colpissi così forte. Dimmi un po’, cosa ti hanno dato da mangiare i tuoi genitori?»
«Onestamente non lo so, signore. Ma non escluderei che sia stata l’aria di campagna.»
Anzai ridacchiò sotto il baffo ormai ingrigito, ben diverso dai tempi in cui era stato il palleggiatore di punta della nazionale giapponese. «Cosa mi dici, come ti trovi con i nostri ragazzi?»
«Sono tutti fin troppo gentili con me, Kawabata-san è un alzatore molto scrupoloso.»
«Quando aveva la tua età è arrivato ai tornei nazionali, mi dispiace solo che si sia fermato quando si è sposato qualche anno fa. Signorina … non ti ho chiesto come ti chiami, devi perdonarmi.»
«Megumi Sakurai.»
«Allora sei dei nostri, Megumi?»
Megumi avrebbe volentieri voluto essere dei loro, ma al momento della proposta aveva tralasciato una particolare quanto importante problematica: la quota d’iscrizione. Le sue finanze erano già così precarie, che anche perfino i 3900 yen mensili richiesti dalla società avrebbero finito per gravare irrimediabilmente sul proprio bilancio. Impacciata, cercò di spiegare al presidente Anzai il motivo per cui non poteva procedere al tesseramento, ma il vecchietto la stupì con un sorriso cordiale.
«Sai compilare i referti[2], Megumi?»
«Intende quelli delle gare? Sì, mi è capitato qualche volta … »
«Potresti fare da refertista per le gare di Challenge League che giocheremo in casa, si tratterebbe solo di impegnarsi qualche weekend ogni mese, ed in cambio saresti esonerata dal mensile. Che ne dici? Te la senti … »
«Presidente, non credo di meritare tutta questa gentilezza.» mormorò incredula.
«E perché?» ridacchiò lui «Te lo si legge in faccia che sei una brava ragazza. E poi, da quello che ho visto, sarebbe un peccato perdere una schiacciatrice così in gamba.»
Megumi non si sentiva né una brava ragazza, né la schiacciatrice in gamba di cui parlava Anzai. Le schiacciatrici in gamba non giocano sporco, e non baciano il proprio coach. L’occasione però era troppo ghiotta per rifiutare e il compito di redigere il referto di gara le avrebbe perfino permesso di guardare da vicino tutte le partite di Challenge League che desiderava.
Particolarmente di buon umore, estrasse il cellulare mentre era sulla via di casa.
“Ci vediamo dopo cena al campetto di calcio dietro il dormitorio?”
Wakatoshi, come suo solito, la fece attendere quasi un’ora prima di rispondere al suo messaggio. Era sempre così preso da quello che aveva da fare da dimenticarsi ogni giorno di avere un cellulare, per poi rispondere come previsto con ammirevole concisione.
“Okay. A più tardi.”
Avrebbe riletto la sua risposta più e più volte, in attesa dell’amico. Di tanto in tanto si guardò intorno, impensierita dal fruscio delle foglie, per poi scoprire sempre che il responsabile fosse un improvviso filo di vento. Forse si era allontanata troppo presto dalla mensa, complice il suo appetito ormai ridotto, e aspettare la stava facendo diventare paranoica. Ma Hattori non poteva possedere il dono dell’ubiquità: a quell’ora in genere sarebbe dovuto essere sicuramente a casa sua, dopotutto non poteva fingere di non avere una famiglia.
«Sei qui da molto? Tendou mi ha trattenuto un quarto d’ora nel cortile.»
Wakatoshi si sedette sulla panchina accanto a lei mentre era ancora tutta presa dai suoi pensieri. Rivederlo la rasserenò immediatamente: era rimasto l’unica variante immutata nel suo mondo, nonostante tutti i disastri che l’avevano squassato negli ultimi mesi. Tornare da lui era come approdare finalmente nel proprio porto sicuro, la faceva sentire protetta e a casa. Forse fu per questo che le sue braccia si avvolsero meccanicamente attorno alle spalle dell’altro, senza che lei potesse far nulla per impedirlo. Inspirò profondamente il suo profumo, che le ricordava quello della boscaglia che costeggiava l’argine del fiume a Minamisaka e appoggiò la fronte sulla sua spalla.
«Megumi-chan, non mi avrai invitato qui per la ventesima dichiarazione, spero … » la prese in giro picchiettandole affettuosamente il capo.
«No, nessuna dichiarazione. La ventesima aspetterà.» lo rassicurò.
«Allora a cosa devo tutta questa esplosione improvvisa di affetto?»
«Ho bisogno di ricaricarmi. E tu sei la mia principale fonte di rigenerazione.» spiegò con semplicità prima di scostarsi da lui. «E poi ti ho chiesto di venire qui perché ho qualcosa di cui parlarti.»
«Finalmente decidi di parlarmi di qualcosa. Da quand’è che non lo fai?»
Da quando sono diventata una poco di buono, Waka-nii.” Era ciò che dovette trattenersi dal replicare, in fondo era cosciente di non essere neanche più degna di rubargli un abbraccio come quello di poco prima. Wakatoshi non meritava di essere preso in giro in quel modo.
«Indovina? Riprendo a giocare!» annunciò cercando di nascondere l’angoscia sotto un sorriso allegro. Il volto dell’amico si distese in un sorriso appagato.
«Sono molto felice che ritorni al club, Megumi-chan. È quello il tuo posto, uscirne è stato un crimine.»
Megumi non riuscì a mascherare il disappunto. «Waka-nii, non ho detto che torno al club. Ho trovato una squadra, una nuova! Hai presente la società di Anzai che si allena al City Gymnasium? Hanno da poco messo su una divisione amatoriale mista e …»
«Che spreco.» l’amico la interruppe senza nemmeno permetterle di concludere la propria spiegazione. Ogni ombra del sorriso che prima le aveva rivolto era scomparsa, sostituita da un’espressione dura  e seria. «Allenarti nelle divisioni amatoriali non ti porterà da nessuna parte, le tappe della carriera passano per i club scolastici, da lì solamente attingono le squadre di League. Non riesco a capire veramente perché tu abbia fatto una cosa così stupida come lasciare il club.»
La più giovane si aspettava che Wakatoshi fosse comunque entusiasta della sua decisione, perciò si sentì spezzare il cuore nel sentirlo così drastico con lei. Ancora una volta, si doleva di non potergli riferire delle sue vere motivazioni: era riuscita solo a farlo infuriare con pochissime battute.
«Ti ripeto che avevo problemi insormontabili con le altre!»
«Non ci sono problemi insormontabili, di insormontabile c’è solo la tua testa dura ed il tuo orgoglio. Se solamente ogni tanto ammettessi di avere torto … »
«Quindi pensi che io abbia torto? Complimenti Waka-nii, sei un vero amico …»
«Proprio perché sono tuo amico, ti parlo in questo modo!»
«Non importa quanto tu insista, tornare al club mi è proprio impossibile!»
«Rimanere a scuola ti sarà impossibile! Quando revocheranno la tua borsa di studio sarai costretta a tornare a Minamisaka! È questo che vuoi? Lasciare l’Accademia?»
«Sai che sto lavorando, riuscirò a pagare la rata!»
«Certo, ma a quale prezzo? Come va lo studio Megumi-chan
«Non mi pare che ti sia mai interessato del mio rendimento scolastico … »
«Perché finora era sufficiente! Se nel pomeriggio lavori, ed adesso inizi anche gli allenamenti con una nuova squadra, quand’è che fai i compiti? La notte?»
«E se anche fosse? Finora me la sto cavando.»
«Sai che se non è la verità lo scoprirò prima o poi.»
«Waka-nii» cercò di spiegargli con calma «Per me è molto importante. Se non lo fosse non mi darei così tanto da fare.» Si accorse che sembrava più una supplica che un’affermazione, ma probabilmente non poteva essere diversamente: quello offertogli dal presidente Anzai era l’unico compromesso accettabile. Sapeva in cuor suo che non era che un palliativo per alleviare solo apparentemente i suoi affanni, ma non vedeva altra via per non abbandonare completamente quello che fino ad allora era stato tutto il suo mondo.
Forse anche Wakatoshi, che pur vedeva la sola punta dell’iceberg, parve capirlo perché mugugnò quella che per l’amica fu una sorta di approvazione.
«Però promettimi che non ti metterai a strafare.» aggiunse severo «Se conciliare tutto diventa difficile, considera di tirarti indietro, o almeno chiedimi aiuto se ne hai bisogno.»
«Ma tu hai i tuoi nuovi amici … le selezioni del torneo primaverile … »
«Ed ho anche te, è una vita che ho te. Non esitare.»
«Quindi non sei arrabbiato?»
«Se mi arrabbiassi con te tutte le volte che ne combini una delle tue, probabilmente avremmo smesso di essere amici da anni. Ma io ti conosco bene, e ci tengo a te, perciò finisco sempre per sorvolare.»
Megumi scosse la testa, rassegnata. «Come fai ad essere sempre così schifosamente perfetto[3]
L’altro le scoccò uno sguardo interrogativo. «Non capisco.» disse.
«Posso avere un altro abbraccio d’incoraggiamento?» propose speranzosa.
«Lo stai veramente chiedendo? Chi sei tu? Di certo non la mia Megumi, lei non chiede gli abbracci, se li prende e basta.»
Aveva appena salutato Wakatoshi all’ingresso del dormitorio, pervasa da un’effimera quanto piacevole sensazione di serenità ritrovata, quando un trillo familiare le segnalò di aver ricevuto un messaggio sul cellulare. Non gli diede tanta retta in principio, ancora tutta intenta a rivivere molteplici volte nella propria testa la conversazione con l’amico, evitando accuratamente di rammentarsi della parte in cui l’aveva rimproverata. Si ricordò del messaggio solo quando si fu infilata silenziosamente sotto le lenzuola, attenta a non svegliare Scoiattolo che russava lievemente nel letto di fronte. Leggere il nome di Hattori nel campo del mittente scalfì il suo buonumore, ma non riuscì a distruggerlo, grazie all’ancora vivissima influenza di Wakatoshi e della sua benedizione.
Fu il contenuto del messaggio a riportarla bruscamente coi piedi per terra. Era solo una foto, scattata dal fondo della strada che congiungeva il dormitorio con i campi all’aperto, abbastanza vicina perché si distinguessero chiaramente lei e Wakatoshi abbracciati sotto l’unica panchina illuminata dalla luce artificiale del neon. Con un brivido realizzò che risaliva a pochi minuti prima e che Hattori l’aveva vista in compagnia di Wakatoshi.
“Ora puttaneggi in giro? Vuoi capirlo che mi appartieni?
Se vi vedo ancora insieme, potrebbe capitargli qualcosa di molto spiacevole.
So che sei una ragazza intelligente, prima di essere una troia.”
~
Kenjiro non era stato in grado di celare il proprio stupore quando durante il primo intervallo un compagno di classe gli aveva riferito che il senpai Ushijima lo attendeva nel corridoio. Stando ben attento a non farsi notare da quella nevrotica di Sakurai, che però al momento sonnecchiava sbavando sul suo libro di storia, sgattaiolò fuori dall’aula ricolmo di aspettative. Era così emozionato che era convinto che il battito accelerato del proprio cuore fosse chiaramente udibile da tutti. Seguì il senpai in silenzio attraverso il corridoio, e poi sulle scale che conducevano al terrazzo dell’edificio. Gli sembrava tutto così perfettamente calcolato che le sue aspettative non fecero altro che lievitare. Le mani gli sudavano freddo e le guance bruciavano prepotentemente.
Solo quando fu certo che fossero da soli Ushijima gli rivolse la parola, e fu una delusione.
«Shirabu, ho bisogno di farti delle domande a cui solo tu puoi rispondere.» poi si accigliò un attimo «Sei rosso in viso, ti senti bene?»
Aveva la gola secca, perciò si limitò ad annuire con forza.
«Volevo chiederti della mia amica Megumi, è seduta in classe alla tua sinistra.»
Si ripromise mentalmente di ringraziare Sakurai di essere una spina nel fianco anche in absentia. Non sapeva neanche se andasse considerata una rivale, ma la sua presenza intorno ad Ushijima era asfissiante e lui ne era suo malgrado terribilmente geloso.
«Non … non ci conosciamo molto bene.» rispose con voce rauca. Tossì per schiarirsela «Sakurai non parla mai con nessuno, in classe.»
«Allora, per quello che vedi durante le lezioni, come se la cava? Riesce a prendere buoni voti, a seguire le spiegazioni … »
«All’inizio dell’anno sì, andava abbastanza bene.» lo interruppe subito «Ma adesso … è sempre distratta, controlla spesso il cellulare sotto il banco, non è raro che non finisca tutti i compiti e occasionalmente si addormenta. Ad esempio ora l’ho lasciata che dormiva.»
Ushijima scosse il capo con rassegnazione, poi riprese ad interrogarlo.
«Se ne sta tranquilla? Ha avuto qualche problema con voi o con gli insegnanti?»
«La settimana scorsa ha rischiato di finire in presidenza per aver risposto male alla professoressa di matematica, l’ha scampata per un pelo.» raccontò «Però, senpai, perdonami se mi permetto … è anche colpa sua: è molto suscettibile e si comporta come se fosse convinta che il mondo intero la perseguiti.»
Ushijima sollevò un sopracciglio, perplesso. «Questa mi è nuova, spiegati meglio.»
Kenjiro cercò di essere il più chiaro possibile. «È guardinga, controlla spesso fuori dalla finestra e nei corridoi. Scatta subito sulla difensiva per qualsiasi cosa e, se qualcuno le si avvicina troppo, lo allontana bruscamente.»
«Ti starai chiedendo perché sono venuto a domandarlo proprio a te, dal momento che di certo la conosco molto meglio.» considerò lo studente più grande. Kenjiro non poteva dargli che ragione: di Sakurai conosceva a stento nome e cognome.
«Due sere fa ci siamo salutati normalmente. Abbiamo avuto un piccolo diverbio, ma avevo deciso di passarci sopra, perciò avevamo risolto tutto per il meglio. L’ho lasciata che era rilassata e più calma, ma dopo quasi mezz’ora mi ha inviato un messaggio privo di senso. Mi ha scritto che non dobbiamo vederci mai più e nient’altro. Ho provato a chiamarla ma non mi risponde più, è diventata sfuggente e mi evita da giorni, non mi guarda nemmeno in faccia. Sono sicuro di non aver fatto nulla di male, quindi la faccenda mi puzza.»
«Sakurai è psicopatica» sentenziò il più giovane, ma si pentì subito di ciò che aveva detto dinanzi alla faccia indispettita di Ushijima «Be’, è quello che dicono tutti.»
«La prendono in giro? Le fanno dei dispetti?» lo incalzò preoccupato.
«No, no!» si affrettò a chiarire «Nessuno avrebbe mai il fegato di infastidire Sakurai, è una di quelle che se ti prende ti fa a pezzi! Tutti hanno paura di lei!»
Su Sakurai, in effetti, c’era perfino una leggenda metropolitana: nessuno sapeva quanto fosse vera, ma si diceva che avesse messo al tappeto in una rissa uno studente più anziano di un’altra scuola, probabilmente durante gli interscolastici. Le voci non sempre corrispondono alla realtà, e Kenjiro era abbastanza sveglio da riconoscerlo, ma aveva comunque sviluppato una certa soggezione nei confronti della compagna di classe.
«E tu, tu hai paura di Megumi, Shirabu?»
Arrossì nuovamente, sentendosi addosso lo sguardo diretto del più grande. Per compiacerlo doveva mentire, lo capì dall’aspettativa che brillava nei suoi occhi scuri, perciò lo rassicurò:
«Assolutamente no, è una ragazza come tutte le altre.»
Ushijima gli rivolse un sorriso che non aveva mai visto, ed il cuore riprese a battergli all’impazzata.
«Sa essere molto dolce, se è a suo agio.» gli spiegò con leggerezza.
Kenjiro dubitava che le parole “Sakurai” e “dolce” potessero stare nella stessa frase, ma non se la sentì di contraddirlo. Sostenere una conversazione tanto lunga con Wakatoshi Ushijima era un evento tanto raro che solo un pazzo non si sarebbe fatto scrupoli a rovinarlo.
«Posso chiederti un favore?»
«Puoi chiedermi tutto, senpai.» bisbigliò meccanicamente.
«Vorrei che tu l’aiutassi quando è in difficoltà, soprattutto con lo studio, Megumi mi ha detto che sei molto bravo, perciò sono sicuro di affidarla ad ottime mani. Non dirle che te l’ho chiesto io, però. Ha bisogno di mantenere almeno una media accettabile a scuola, sta già perdendo la borsa di studio sportiva.»
Un punto per Sakurai: gli aveva fatto un complimento indiretto davanti al suo senpai, non se lo sarebbe mai aspettato. Incapace di rifiutarsi, annuì solennemente.
«La cacceranno?»
«Se non dovesse ritornare sui suoi passi, credo sia solo una questione di tempo. Se ti è possibile, tienila d’occhio, Shirabu. Se noti qualcosa di strano, per favore, riferiscimelo.»
«Se sei tu a chiedermelo, lo farò!»
Ushijima gli rivolse nuovamente il sorriso gentile di poco prima, poi controllò l’orologio che portava al polso destro. Gli disse che si stava facendo tardi e che era ora di ritornare in classe. Kenjiro non riuscì a trattenere la propria curiosità mentre si affrettavano giù per le scale.
«Davvero non state insieme? Tu e Sakurai, dico.»
«No, siamo solo molto amici.»
Si era pentito di aver accettato la richiesta d’aiuto di Ushijima appena si era riseduto al proprio banco. Era entusiasta di essere riuscito a trascorrere qualche minuto da solo con lui, e piuttosto lusingato di essere stato giudicato da lui degno di fiducia. Ma quando posò lo sguardo su Sakurai, che a denti stretti, strusciava barbaramente la gomma sulla pagina già stropicciata del proprio quaderno di geometria, fu piuttosto preoccupato per la sua incolumità. Tentò comunque di attirarne l’attenzione con un sibilo sommesso, al quale la ragazza rispose con un’espressione confusa.
Si fece coraggio, per Ushijima.
«Vuoi una mano con quel problema?»
 

[1] Penso sia superfluo spiegarlo, ma i konbini sono negozi molto diffusi in Giappone: una sorta di supermercati aperti ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette.
[2] Il referto è il documento ufficiale di ogni partita di pallavolo. In genere è compilato da un tesserato della società che organizza il torneo, il quale registra minuziosamente ogni dettaglio della gara: orario di inizio e fine partita, formazioni iniziali per ogni set, i punti segnati, i nomi degli arbitri e così via. Per i non addetti ai lavori (come me) compilarlo può sembrare difficile, ma per chi è del campo pare sia quasi automatico.
[3] La frase preferita di Megumi, piuttosto ricorrente.

NOTE FINALI

Pare che io sia viva, e lo so che questo è il vero colpo di scena della storia. Mi dispiace essere così irregolare negli aggiornamenti, ma gli esami estivi mi hanno sottratto luglio senza troppi complimenti. Non iscrivetevi all'università, è "buia e piena di terrore".
Dunque, forse perché ho scritto a singhiozzo, rileggere questo capitolo per me è ogni volta come ascoltare lo stridio delle unghie sulla lavagna: non so di preciso cosa mi aspettassi però lo sento un po' grezzo. Saranno i dialoghi o il fatto che per certi versi mi è servito come transizione, non riesco ad inquadrare il problema.
Posso essere un pochino più specifica qui nelle note finali, dunque:
- Mi scuso ancora nei casi (ridotti ad Hattori) in cui compare qualche accezione scurrile, ma era necessaria T-T. 
- I dialoghi sono tantissimi, e spero non sia un male.
- Su Shirabu, bè ... sì, in questa storia è chiaramente gay. (Non è gay sempre comunque? COFF COFF)

Come al solito, siate buoni (perché questo capitolo rimarrà per ora la mia croce) e se c'è qualche mio errore/orrore/disastro fatemelo notare cosicché io possa correggerlo!
Alla prossima! <3
   
 
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