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Autore: eleuthera    15/06/2009    4 recensioni
“Se avesse un attimo di tempo per pensarci, nella frazione di secondo in cui si ritrova a ripercorrere da capo tutti i processi mentali che lo hanno condotto a quello che forse sarà l’ultimo, fatale passo falso della sua vita, Yuugi si stupirebbe di quante cose sia riuscito a notare, o anche solo confusamente mettere insieme, mentre era impegnato ad ignorare con tutto se stesso quello che accadeva intorno a lui e dentro di lui, nel disperato tentativo di allontanare il più possibile il fatidico momento in cui, lo sapeva, avrebbe dovuto ammettere di avere assoluta necessità dell’aiuto di uno psichiatra, o dei servizi di una medium.”
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Atemu, Yuugi Mouto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'altro



All’inizio, c’è solo il buio.

Il buio è ovunque.
Tutto è buio.
Il buio è l’inizio e la fine di ogni cosa.
Il buio è il passato, il presente e il futuro.
Il buio è eterno.
Non esiste che il buio.
Il buio è intorno a lui, lo avviluppa come un bozzolo.
Il buio è dentro di lui, freddo, tagliente come una lama.
Il buio s’insinua fra suoi pensieri, fragili come sottili lastre di vetro, e con festosa noncuranza li frantuma in mille pezzi.
Il buio si nutre di lui, lentamente divora i suoi sensi, la sua memoria, la sua coscienza, morso dopo morso.
Ci sono voci, nel buio, ombre che sussurrano, fantasmi che invocano, gemono, maledicono. Lo chiamano assassino, carnefice, tiranno; lo chiamano re, faraone, prediletto degli dei; lo pregano e lo temono, piene di reverenza, lo insultano e lo scherniscono, colme di disprezzo, e presentano suppliche, pretendono espiazione, gli bisbigliano all’orecchio promesse e minacce ormai prive di senso.
C’è stato un tempo, forse, in cui ancora riusciva a comprendere il significato di quei sussurri, dolore lancinante e lucida, disperata consapevolezza di una mancanza che non riesce a identificare, e a poco a poco sfuma nel mormorio che non smette di levarsi dalle bocche senza volto dei suoi spettrali aguzzini. Li odiava, allora, con un’intensità più forte e bruciante di quanto ora riesca ad immaginare. Ma anche l’odio, il dolore, lentamente, sono svaniti, come ogni altra cosa che avesse importanza, e si è fatta strada la calma, indolente apatia che culla i suoi sogni privi di forma, e dolcemente lo sprofonda nel buio.

Poi, potrebbero essere passati eoni oppure una frazione di secondo, accade qualcosa. All’improvviso, il mondo esplode nella luce.

La luce giunge come un’ondata di marea sospinta dal vento. Travolge ogni cosa, violenta, impetuosa, incontrastabile, e lo sommerge, lo avvolge, gli penetra negli occhi e nei polmoni come la puntura di mille aghi affilati, lo stordisce di suoni, rumori, colori, forme, profumi, gli spacca il cervello e il cuore e li riempie di sensazioni nuove, pulsanti e incomprensibili, e tutto è agonia, terribile, spaventosa agonia, e nell’immenso, sublime istante in cui riesce a pensare che finalmente, finalmente è arrivata la fine…

Tutto si ferma.

Apre gli occhi (un movimento così semplice, eppure così a lungo dimenticato) e inspira profondamente, quasi tremando. Batte le palpebre una, più volte. L’aria fresca della notte gli solletica le narici e la gola. C’è una finestra sopra di lui (anche se non ne ha mai viste fatte in questo modo, o forse non ne ha mai viste del tutto, e tuttavia ora sa, sa senza ombra di dubbio che quella è una finestra), e attraverso di essa riesce a vedere il cielo (il cielo!) profondo e distante, punteggiato di stelle.
Il suo volto, riflesso nella metà inferiore del vetro, è rotondo, delicato, quasi infantile. Resta a contemplarlo per qualche istante, immobile, con la strana, paradossale sensazione che nessuno di quegli aggettivi possa davvero accompagnarsi alla sua persona. Assottiglia lo sguardo, inspiegabilmente infastidito da quel pensiero, e quell’ombra appena accennata di ostilità lo fa apparire all’improvviso molto più adulto, molto più simile al se stesso che gli pare, o forse solo s’immagina di ricordare.
Abbassa gli occhi di scatto, in preda ad una confusione che non riesce ad interpretare.
Sul tavolo di fronte a lui, sfavillante d’oro nel cono di luce proiettato dalla lampada, c’è il puzzle.
È completo. È completo.
Gioia, euforia, esaltazione gli attraversano le vene come una scarica di corrente, eppure le sente incongrue, estranee sulla sua pelle.
Chiude gli occhi, concentrandosi per riordinare le idee.
Che cosa ci fa ancora alzato a quest’ora della notte? È stanco, ma il torpore che lo avvolge e il dolore pungente che accompagna in sordina ogni suo movimento sono qualcosa di più profondo della semplice stanchezza.
Non dovrebbe stare qui, a sprecare preziose ore di sonno trastullandosi con uno sciocco passatempo, quando sa che domattina avrà bisogno di tutte le sue energie per sopravvivere ad un altro pestaggio da parte di Ushio, a meno di avere con sé – e dove potrebbe mai trovare tutto il denaro che quel bestione pretende? La cassa del negozio…
No.
Tutto questo non ha senso.
Nessuno può vantare pretese nei suoi confronti.
Tanto meno uno stolido bullo di periferia con più materia grigia sotto le unghie delle dita tozze di quanta ne possieda sotto la calotta cranica.
Come ha osato?
E nello spazio di un secondo viene investito da un torrente di emozioni in tumulto: angoscia, frustrazione, amarezza, paura e, per una frazione infinitesimale di istante, qualcosa d’altro ancora, che non riesce a comprendere. Gli sembra, gli sembra di conoscerla, di sentirne il nome, dolce nome sulla punta della lingua (compassione) ma subito gli sfugge, è presto dimenticato.
Rabbia. Fredda, giusta indignazione; divampante, potente collera che gli è familiare. Si alza in piedi senza vacillare, ormai perfettamente padrone delle sue percezioni. Getta ancora un rapido sguardo fuori dalla finestra. L’oscurità è totale, imperscrutabile, invitante. Deve fare in fretta.
Presto il sole rinascerà a nuova vita e soggiogherà le tenebre che gli sono propizie.


~*~



Si dice che in quella manciata di brevi, lucidissimi istanti che si attraversano prima di sfiorare la morte, ci si veda passare davanti tutta la vita. Quella di Yuugi somiglia alla pellicola di un vecchio film muto, un po’ sbiadita, magari ricolorata per la televisione: una di quelle storie strappalacrime, piene di buoni sentimenti, che parlano di sacrificio e redenzione morale, e si intuisce, anche nei momenti più tristi, che ci sarà il lieto fine. O almeno, questo è ciò che lui s’immagina (e forse un pochino ci spera). Eppure, mentre lascia dietro di sé il proprio corpo, Yuugi non dubita neppure per un istante che vi farà ritorno. Non pensa alla morte mentre sente le sue membra diventare rigide e dure, la pelle raggrinzire fino a trasformarsi in una solida corazza smaltata. Riesce a vedere se stesso, o meglio, l’involucro di ciò che lui era fino ad un attimo prima, che adesso giace riverso sulla plancia di gioco, gli occhi vitrei e la bocca semiaperta, immobile, come un’enorme bambola gettata via di malagrazia. Sente la rauca, stridente risata di Bakura pulsargli nelle orecchie e rimbombare nell’aria con la forza del tuono, vede traballare e capovolgersi le figurine variopinte che ricalcano le fattezze sgomente dei suoi amici, e mentre lui stesso sobbalza sul fondo del plastico colorato scosso dai singulti d’ilarità del loro pallido aguzzino, Yuugi rimane calmo, determinato. Sente i respiri dei suoi compagni bloccarsi di colpo, vede lo stupore farsi strada sui loro volti, ma quello che accade negli istanti che seguono non può dirsi, per lui, una vera sorpresa.
È un movimento velocissimo. Un battito di ciglia.
Yuugi fissa le proprie pupille non più vuote accendersi di un lampo scarlatto. Vede la propria chioma selvaggia fiammeggiare sotto la luce elettrica mentre la testa minuta si solleva dal piano del tavolo, gli occhi color del sangue che incontrano gli occhi di Bakura all’estremità opposta della plancia di gioco.
E il ghigno di Bakura si gela in una smorfia di orrore.
“Che cosa... ”
Il volto dell’altro Yuugi è completamente privo di espressione mentre osserva il suo avversario con la stessa blanda, vagamente disgustata freddezza che si potrebbe riservare ad una macchia di umidità sulla parete. Senza degnarsi di offrire una risposta abbassa lo sguardo, e nel fissarsi sulle miniature smaltate che sono Yuugi e i suoi amici, i suoi occhi si fanno più intensi. È la prima volta che Yuugi ha l’opportunità di vederlo in faccia, anche se, tecnicamente, la faccia è sempre la sua. E benché niente, in quel volto, sia effettivamente cambiato, la differenza non potrebbe essere più evidente.
Honda è il primo a recuperare l’uso della parola. “Caspita, Yuugi, come accidenti è possibile che tu sia lassù e quaggiù contemporaneamente?”
“Ma quando mai?” interviene Jounouchi, con l’aria di chi è costretto suo malgrado ad enunciare l’ovvio: “Quello lassù c’ha scritto in faccia ‘astenersi perditempo’, questo qui è il solito moscerino!”
Honda si volta a fissarlo con un’espressione scioccata che denota tutta la sua incredulità a proposito del fatto che Jounouchi sia riuscito a piazzare coerentemente in una frase la parola ‘astenersi’. E probabilmente anche ‘perditempo’.
Anzu gli lancia uno sguardo diviso fra il rimprovero e un tacito, colpevole assenso.
“Senza offesa, eh?” si affretta ad aggiungere Jounouchi, sbirciando Yuugi da sotto la frangia bionda con un’espressione sinceramente contrita. Yuugi scuote il capo; sa che l’amico ha parlato senza cattive intenzioni, e sarebbe ridicolo prendersela con lui per una simile sciocchezza. Tantopiù che è la verità: l’altro Yuugi ha un modo di tenere alta la testa e di fissare dritto negli occhi chi gli sta di fronte, senza la minima timidezza o esitazione, che non ha nulla a che spartire con l’introversa, sfuggente mediocrità nella quale è abituato a rifugiarsi il solito Yuugi. Gli sembra assolutamente naturale che i suoi amici lo abbiano notato, così come lui non ha potuto fare a meno di notare l’occhiata di Anzu, quella sì inspiegabilmente e sorprendentemente dolorosa.
L’altro lo guarda con quelle stesse iridi viola che di Yuugi rivelano ogni cosa, e invece ora trapassano l’oggetto focalizzato senza tradire nemmeno un accenno dei pensieri che devono celarsi dietro di esse. C’è una tale forza in quello sguardo, una tale infallibile risolutezza, che Yuugi ha la sensazione di esserne fisicamente schiacciato. Improvvisamente ha paura. Quando ha preteso che Bakura lo imprigionasse nelle fattezze della pedina smaltata che lo rappresentava, non ha agito semplicemente dietro all’impulso di solidarietà, forse un po’ suicida, che lo spingeva a condividere la sorte dei suoi amici. Sapeva che cosa sarebbe accaduto. Sapeva che l’altro avrebbe preso il suo posto, come ha già fatto imprecisate volte, in precedenza, di propria iniziativa. In effetti, per la prima volta del tutto consapevolmente, Yuugi contava esattamente su questo.
Di poche cose Yuugi è sicuro a proposito dell’altro.
Una di queste, forse la più importante, è che l’altro Yuugi è intelligente. Non nel senso comunemente inteso, del tipo che risolve a mente le equazioni trigonometriche e cita Aristotele a memoria; cose che senz’altro presuppongono una certa intelligenza, ma in fin dei conti non sono che il frutto di un esercizio puramente passivo della stessa.
L’altro Yuugi non dimostra alcun interesse per la trigonometria, né per le massime di Aristotele, ma possiede una capacità di analisi e un’intuizione del tutto fuori dal comune, che applica a qualsiasi concetto possa rivelarsi di interesse al raggiungimento dei suoi obbiettivi. Sa individuare a colpo d’occhio nella trama degli eventi ciò che gli è utile e ciò che lo ostacola nei suoi propositi; gli basta un battito di ciglia per risalire attraverso cause e conseguenze alla soluzione di un rompicapo, ricostruire fatti e comportamenti che procedono in accordo o contrariamente ai suoi progetti. È capace, all’occasione, di esercitare la giusta pressione per sbilanciare a proprio favore i fragili equilibri di forze che percorrono la rete a maglie sottili su cui si regge la trama del gioco, sfruttarne i punti di forza e le debolezze, anticipando le mosse dei suoi avversari. È un tipo d’intelligenza rara, che Yuugi è sicuro soltanto il nonno, e forse Seto Kaiba, possiedono in egual misura. E l’altro Yuugi, a differenza del nonno, non è tipo da farsi scrupoli nel pianificare le proprie strategie.
Se avesse un attimo di tempo per pensarci, nella frazione di secondo in cui si ritrova a ripercorrere da capo tutti i processi mentali che lo hanno condotto a quello che forse sarà l’ultimo, fatale passo falso della sua vita, Yuugi si stupirebbe di quante cose sia riuscito a notare, o anche solo confusamente mettere insieme, mentre era impegnato ad ignorare con tutto se stesso quello che accadeva intorno a lui e dentro di lui, nel disperato tentativo di allontanare il più possibile il fatidico momento in cui, lo sapeva, avrebbe dovuto ammettere di avere assoluta necessità dell’aiuto di uno psichiatra, o dei servizi di una medium. Ma non ha quasi nemmeno più il tempo di respirare, tanto veloce vola il suo pensiero mentre si rende conto di quanto incredibilmente ingenuo è stato, nel consegnare ad occhi chiusi all’altro se stesso esattamente la sola cosa che, legando indissolubilmente i loro destini, poteva garantirgli l’incondizionata alleanza di questi. E improvvisamente la sua seconda, fondamentale certezza si sfalda. Di questo, solamente di questo era certo di potersi fidare: che l’altro sarebbe stato dalla loro parte. Ne era talmente, stupidamente convinto, che all’ovvia possibilità alternativa non ha dedicato nemmeno un pensiero. Perché da quando questa assurda girandola di eventi si è messa in moto, sempre, in ogni occasione, per quanto bizzarro e pericoloso il contesto, quali che siano stati i metodi utilizzati, una sola cosa è stata palese ed evidente: lo scopo e il motivo delle azioni dell’altro è, ed è sempre stato, preservare l’incolumità fisica e mentale di Yuugi. A qualsiasi costo. Anche se al prezzo di quella di qualcun altro. Yuugi ha visto e sentito abbastanza da sapere che il suo sovrannaturale coinquilino non ha l’abitudine di scendere a compromessi. Ha fatto cose che Yuugi non vuole e non può nemmeno immaginare, eppure, ha fatto in modo che ogni volta Yuugi ne uscisse sano e salvo. In qualche modo, Yuugi si aggrappava a questo unico, confortante dato di fatto per impedirsi di affogare in un mare di angosce, e solo ora, con una lentezza di comprendonio veramente degna di se stesso, intuisce per la prima volta con una chiarezza cristallina la logica di un tale comportamento: semplicemente, l’altro ha bisogno del suo corpo.
Avrebbe dovuto capirlo subito. E invece, stupidamente fiducioso come suo solito, nemmeno si è posto il problema, abbandonando con imperdonabile leggerezza il proprio involucro materiale in potere di un estraneo. Sarebbe talmente facile adesso, per l’altro, semplicemente alzarsi dal tavolo, voltarsi e andarsene.
E Yuugi sa perfettamente che, da solo, non potrà mai vincere il gioco. Bakura è un mago, e Yuugi non sa niente di magia. Per la verità, fino a qualche tempo fa neanche ci credeva, alla magia, se non come a un repertorio di innocui e spettacolari trucchi di cilindri e colombe svolazzanti. Yuugi non ha le conoscenze, né il potere necessario a portare a termine questa partita. Ma l’altro Yuugi sì.
Ed ora Yuugi rabbrividisce sotto lo sguardo impenetrabile di quelli che forse non saranno mai più i suoi occhi, e gli si torcono le budella al pensiero di aver appena condannato i suoi migliori amici a finire i loro giorni dentro una teca di cristallo, esposti come trofei nella collezione di Bakura. Le sue funeste elucubrazioni s’interrompono all’improvviso mentre si accorge che l’altro Yuugi ha cambiato espressione. Ecco, è finita. Adesso si alzerà e si congederà da loro definitivamente, portandosi via per sempre la faccia e la vita di Yuugi. “È stato un piacere, a buon rendere.” Yuugi si sente il cuore scivolargli nello stomaco, duro e pesante come il piombo. Riesce a vedere la scena chiaramente, come se già si svolgesse avanti a lui. Ormai non ha più dubbi su quale destino dovrà affrontare. Più di tutto, lo terrorizza il pensiero che a pagare il suo errore saranno anche i suoi amici. Darebbe qualsiasi cosa per poterlo impedire. Nello spazio di un ultimo, disperato battito cardiaco considera ogni possibilità, pensa di mettersi a piangere, urlare, e perfino di inginocchiarsi a supplicare, ma a che servirebbe? Per quale motivo l’altro dovrebbe aiutarli, quando ad andarsene ha tutto da guadagnare? E quando quello finalmente apre bocca, Yuugi trattiene il fiato e serra istintivamente gli occhi, come un prigioniero in attesa della raffica del plotone di esecuzione.
“Non temete.” Yuugi apre gli occhi, sconcertato, e incontra lo sguardo brillante dell’altro lui. “Vi porterò alla vittoria.”
L’altro Yuugi raccoglie i dadi, sfuggiti di mano a Honda quando si è afflosciato sul tavolo, e li fa rotolare sulla plancia. Si fermano all’unisono, totalizzando il punteggio massimo. L’altro Yuugi fa un mezzo sorriso in direzione di Honda, ora una minuscola statuina di legno al centro del plastico variopinto. “Tocca a te,” lo esorta accennando con lo sguardo alla pedina nemica che gli insidia le spalle. Honda ci mette qualche secondo a recuperare da terra la mascella, imitato contemporaneamente da tutti gli altri, poi si gira, punta l'arma, e preme il grilletto, riducendo istantaneamente in briciole il suo avversario. Jounouchi festeggia con un ululato di guerra, e ben presto tutti i loro compagni si uniscono alla celebrazione con grida di gioia e incoraggiamento. Nessuno fa quasi più caso a Bakura, i cui occhi lividi di rabbia promettono vendetta nel modo più perverso e doloroso possibile.


~*~



Yuugi strofina la guancia contro la federa del cuscino, deglutendo un disgustoso quanto familiare miscuglio di saliva e lacrime. Per tutta la sera ha combattuto contro l’urgenza di scoppiare in singhiozzi liberatori, serrando i pugni e le labbra, stringendo forte la spalla di Jounouchi, mormorando parole di conforto per il suo amico mentre soffocava dentro di sé il bisogno disperato di essere consolato a sua volta. Adesso però non ce la fa più e, silenziosamente, enormi lucciconi cominciano a scendergli giù per le guance, scivolano sulla punta del naso e cadono dolcemente sul lenzuolo. Piange.
Piange per Jounouchi, che si fa in quattro per essere di aiuto, per suo padre, per sua sorella, per Yuugi, ma non è mai abbastanza, e si sente stupido e inutile. Piange per il nonno, che giace nel letto dell’ospedale, e dorme un sonno senza sogni, da cui forse non si risveglierà. Piange per il tesoro perduto del nonno, il cuore pulsante del suo deck, le cinque carte di Exodia, che ora vagano disperse chissà dove al di sopra dei flutti scuri. Piange perché è stanco, ha paura, e in cuor suo sa di non essere all’altezza. Piange perché questo viaggio è una pazzia, questa intera storia è una pazzia e, non per la prima volta, si ritrova a pensare che lui, pazzo, forse lo sta diventando davvero. Non è che un bambino, pensa l’altro, seduto nell’ombra sul bordo del materasso, inconsciamente separando, come sempre più spesso gli capita, la propria inconsistente entità da quella faccia umida affondata nel cuscino: due realtà che nella sua percezione, fino a non molto tempo fa, combaciavano, ma che ora gli appaiono distintamente sfalsate. E ciononostante sente tutta l’angoscia, lo scoramento, la tristezza aggrapparglisi alla pelle come fossero sue, ma non lo sono; e la rabbia furiosa, sacrosanta, implacabile, quella sì, sua, interamente sua.
Haga, pensa con ferocia. Se hai cara la tua anima, prega i tuoi dei che non ci reincontriamo in questo torneo. E per un attimo pregusta il dolce, familiare sapore della vendetta, e resta quasi sopraffatto da quella dolcezza. È solo un istante.
Chiude gli occhi, espirando lentamente, o almeno questo è ciò che farebbe se possedesse occhi e palpebre, e una bocca e due narici per respirare. Se avesse bisogno di svuotare i polmoni, e riempirli, e svuotarli di nuovo. Se fosse… vivo? Umano? All'inizio, tutto era molto più chiaro. All'inizio, era Yuugi. Adesso, non è più sicuro che sia così semplice. No, adesso sa che non è così. A volte si sente tanto arrogante da pensare che forse, un tempo, in un altrove lontano e dimenticato, è stato davvero una persona.
L'altro si aggrappa convulsamente al lembo del lenzuolo, cercando di frenare i singhiozzi. Persino ora, nonostante tutto, si preoccupa di non disturbare.
Yuugi è gentile. Lui… non lo è. Combattere, per lui, è istintivo quanto respirare. Combattere è il solo corso d’azione possibile di fronte all’ingiustizia. Combattere, e vincere. Questo è ciò che sa fare. Perciò è questo che fa, fin da quando ha memoria. Le ombre rispondono alla sua invocazione. I giochi non possono essere truccati. Il verdetto è equo. La sanzione è meritata.
Non è forse così?
All’inizio, tutto era molto più chiaro.
Cautamente allunga una mano verso la testa abbandonata sul cuscino, nell’incerto tentativo di un gesto che vorrebbe essere di conforto, ma si ferma a mezz’aria, con un’esitazione che gli è inconsueta.
Yuugi è la persona più coraggiosa che conosca. Affronta il mondo a cuore spalancato, armato soltanto della sua tenace, incrollabile volontà di credere nella parte migliore delle persone, e il mondo riversa su di lui la sua faccia peggiore, una pioggia d’insulti, offese e prevaricazioni, una batteria di coltelli affilati che centrano a colpo sicuro il bersaglio. Eppure, in qualche modo, lui sa trovare ogni volta la forza di rialzarsi. E sperare di nuovo, fidarsi di nuovo.
La sua dolcezza è invincibile.
E l’altro giura a se stesso che farà di tutto per proteggerla. Sarà la sua spada e il suo scudo. Sarà il suo Campione.
Sarà infallibile.
Lo deve al nonno. A Jounouchi. E a se stesso. Non perderò ancora. Mia altra anima, te lo prometto.
Ma non è sufficiente. Ci dev’essere qualcosa che può fare adesso, riflette in silenzio, fissando lo spiraglio di pallida luce lunare che s'infrange in una danza di bagliori argentei sul pavimento della cabina. E prima ancora che se ne renda conto, una melodia strana, incomprensibilmente famigliare gli sale alle labbra, e un incerto baritono, che con stupore si trova a riconoscere come proprio, risuona nell’aria. Sta cantando.
È un canto lento, modulato, come il profilo di una duna di sabbia dorata. È un susseguirsi di parole sconosciute, suoni aspri e fruscianti che non sa interpretare, eppure conosce a memoria, ripete e scandisce alla perfezione.
È una ninna nanna.
Yuugi solleva appena la testa, e per un attimo i suoi occhi umidi incontrano quelli dell’altro. C’è, in quegli occhi, una timida, velata incredulità, e l’ombra di un fragile sorriso. Riappoggia la testa sul cuscino, e si raggomitola in una posizione confortevole, lasciandosi sfuggire un sospiro appena percettibile. Chiude gli occhi, e a poco a poco il suo respiro si fa calmo, regolare.
Questa notte, i suoi sogni saranno leggeri.

  
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