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Autore: MyDifferentFantasy    02/08/2017    1 recensioni
A Beacon Hills tutto sembra tornato alla normalità, fino a quando un gruppo di maghi non comincia i propri esperimenti.
Cosa succederebbe se uno di questi maghi si impossessasse della mente di Stiles ed il passato di Derek tornasse scatenandosi sul ragazzino?
Derek proverà a risolvere questioni lasciate in sospeso che non ricordava neppure, mentre si avvicinerà sempre di più a Stiles.
DAL TESTO:
“Che genere di esperimenti?”
“Esperimenti sull’anima e sul corpo. Non so di preciso in cosa consistano, ma fanno sì che un’anima passi da un corpo ad un altro. Ecco perché ti ha chiesto di baciarlo, credo sia così che funzioni. E' per questo che possiede solo la tua mente e non il tuo corpo.”
“Lui non possiede proprio un bel niente!”
“Stiles, sta’ calmo. So che non possiede te, ma devi cercare di capire che occupa la tua mente e non so per quanto ancora potrai resistere prima che prenda il controllo di te.”
“Cosa posso fare per togliermelo dalla testa?”
“Non lo so, mi dispiace."
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Niente è mai davvero passato

 

Quella giornata era cominciata bene. D’altronde ogni giornata sembrava cominciare nel verso giusto, a meno che non si avessero preoccupazioni e turbamenti dal giorno precedente, ma non era questo il caso: assolutamente niente ad assillarli, erano sicuri che sarebbe stato un giorno come un altro. Se qualcuno avesse detto loro cosa sarebbe successo più tardi, si sarebbero ben visti dal mostrarsi spensierati quella mattina, ma allora non lo sapevano. Non ciò che stava per capitare a ciascuno di loro, e soprattutto a Stiles.


Lydia aveva indossato con fierezza l’abito che la scorsa sera le era costato 25£ e non vedeva l’ora di mostrarlo a tutto; Malia aveva litigato con Peter per decidere a chi toccava il toast meno bruciato ed alla fine il lupo l’aveva avuta vinta; Scott aveva accompagnato Melissa all’ospedale ed era poi passato a comprare dei fiori per la sua ragazza; Kira, eccezionalmente in ritardo, aveva salutato i suoi genitori di fretta ed era corsa verso scuola; Stiles si era fermato a fare benzina in una stazione di servizio vicino casa per la sua bellissima bambina ed era poi scappato in fretta quando si era reso conto dell’orario; e Derek aveva passato le prime ore della mattina a leggere un libro, alternando pause ogni 15 minuti per riposare gli occhi.

Insomma, si preparavano ad affrontare la giornata con un’invidiabile tranquillità. Tutti vivevano la loro vita più serenamente ora che a Beacon Hills filava tutto liscio. Qualche giorno prima Derek e Scott si erano dovuto occupare di un gruppo di maghi che si aggirava nel paese da un po’ (se fosse dipeso da Scott avrebbe lasciato correre, però Derek aveva insistito per avvertirli), avevano parlato con loro ma questi avevano assicurato ai ragazzi – concedendogli un sospiro di sollievo per il mancato pericolo – che se ne sarebbero andati quella sera stessa.

E così non c’era più nessun problema: erano tornati alle loro vite. Ma non sarebbe durata a lungo.

 


“Ehi, ragazzi dove andate?”

Lydia, con il suo bellissimo abito rosa a fiori, aveva visto Stiles e Scott avviarsi verso l’uscita alla fine della giornata di scuola e li aveva raggiunti correndo.

“Ah, Lydia eccoti. Derek mi ha chiamato: dice che c’è un problema. Ha nominato anche Peter ad un certo punto, ma non sono riuscito a capire bene cosa volesse dire e stiamo andando da lui a controllare” spiegò Scott.

“Vieni?” aggiunse Stiles.

“Certo, ma non vi azzardate a farmi sporcare questo vestito o ve la vedrete con me” li minacciò la ragazza.

“Non credo che il problema sia così serio” la rassicurò il messicano.

“No, infatti” gli fece eco Stiles. “E comunque ti sta molto bene.”

“Grazie” replicò Lydia, sorridente. “Malia e Kira?”

“Kira è dovuta andare a casa prima oggi, ma mi ha detto che ci raggiungerà direttamente al loft più tardi. Malia, invece, non risponde al cellulare.”

“Tipico di Malia” affermò la rossa.

“Esatto” confermò Stiles.

 

Venti minuti dopo si trovavano al loft, così come Derek e Peter (che erano lì già da prima) e Kira e Malia (che nel frattempo si era fatta viva).

“Allora, Derek, che succede?” domandò Scott, impaziente.

“TI ricordi il gruppo di maghi da cui siamo andati? Ci avevano detto che se ne sarebbero andati il giorno dopo, ma oggi Peter ha detto di aver visto delle strane luci in un capanno che si trova proprio vicino al luogo in cui li abbiamo incontrati. Credo che siano ancora lì, e stanno architettando qualcosa.”

“Ma cos’erano quelle luci?” chiese Stiles, aggrottando la fronte.

“Non lo so, non le ho viste da vicino” si intromise Peter. “Ma c’erano anche rumori, come di qualcosa che stride, se può esservi d’aiuto. Non sembravano affatto rumori rassicuranti.”

“Sicuro di non essere stato tu a farti paura?” lo beccò Stiles.

“Non possiamo semplicemente andare, dire loro di smetterla con queste cazzate e tornare da dove sono venuti?” fece Malia, che cercava sempre la via più corta per una soluzione.

“Sono maghi, Malia” replicò Derek. “Ne ho contati almeno dieci ieri, e non sappiamo quanto sono forti. Potrebbero essere pericolosi.”

“Sì, ma non si può continuare così. È passato un mese da quando sono qui: io dico che è arrivato il momento di mostrare loro a chi appartiene Beacon Hills e che, se vogliono restare, devono informarci” disse Lydia, decisa.

“Qualcosa dobbiamo fare, nipote.”

“Sta’ zitto, tu non hai diritto di voto” fece Derek, guardandolo di traverso.

“Ehi, vi ho aiutato!”

“Sì, e ora sta’ zitto. Allora cosa facciamo?” disse Scott, mentre un Peter irritato mormorava in sottofondo qualcosa su ringraziamenti ed ingratitudine.

“Posso tornare a casa a cambiarmi tanto per cominciare?” domandò Lydia, facendosi piccola.

“Puoi tornare a casa e restarci: non voglio che tu e Stiles partecipiate” decretò Derek.

“Ehi!” fece Stiles, alzandosi in piedi. “Non puoi dirci cosa fare!”

“Ecco appunto. Capisco Stiles –che è piuttosto goffo ed incapace…” disse Lydia che, girandosi verso l’amico, mimò un bacio, “ti voglio bene Stiles, ma sai di esserlo– però io, Derek, so badare a me stessa e verrò!”

“Ok, vieni” fu costretto a cedere il lupo. “Ma tu no, Stiles.”

“Perché?! Ti fidi più di lei che di me?!” chiese il ragazzino, consapevole che tutti – ed anche il diretto interessato – avrebbero notato il tono deluso della sua voce.

“Stiles, non è una questione di fiducia.”

“Allora perché non vuoi che venga? Pensi che sia troppo stupido per farlo?”

“Penso che non saresti al sicuro” ammise Derek, stringendo le labbra. Cercava sempre di tenere Stiles fuori da missioni folli; all’inizio usava minacciarlo e sbraitargli contro, poi, quando aveva capito che ciò non faceva altro che aumentare l’eccitazione di Stiles, aveva provato ad adottare la tecnica del tentare di convincerlo a restare a casa per la sua incolumità. Ma ovviamente nemmeno questo funzionava.

“Non fa niente, voglio venire. E non usate la scusa del ‘non riusciremmo a combattere bene con te perché penseremmo tutto il tempo a proteggerti’ che tanto lo so che mi lascereste sanguinare in un angolo, sorridendo” e così detto fece ridere tutto il branco incluso Derek, che lo guardava con una certa ammirazione.

“Bene, allora andiamo” concluse Scott.

“Niente cambio di abito?” supplicò la rossa, in parte per alleggerire la tensione.

“LYDIA!” urlarono tutti.

 

Il capanno era proprio dove aveva indicato Peter. Era una sorta di grande edificio situato in uno spiazzo di bosco e circondato da alberi che probabilmente servivano a nasconderlo alla gente –nemmeno loro si erano mai accorti della sua esistenza.

“Le vedo, le luci!” sussurrò Kira, facendo segno in quella direzione.

Tutti si girarono a guardare e videro diverse luci di diversi colori – giallo, blu, verde – fuoriuscire dalle fessure nelle pareti; sentirono anche i rumori che aveva descritto Peter, solo più evidenti di quanto aveva detto. Forse le cose stavano peggiorando.

“Ok, dobbiamo entrare” decretò Derek. “È molto grande: dobbiamo dividerci, ma non restare soli… formate gruppi di due.”

Scott si avvicinò subito a Kira che lo ringraziò di quel gesto spontaneo con un sorriso luminoso; Peter, invece, si avviò verso Malia che vedendolo sbuffò con fare esasperato. Per fortuna anche Lydia si era avvicinata, protettiva, e stava guardando in cagnesco il lupo mannaro. Stiles aveva abbassato lo sguardo, girandosi verso Derek che si era di conseguenza accostato a lui.

“Scott e Kira, la vedete quella porta sul lato destro? Entrate da lì, mentre Lydia, Malia e seguito prendete quella a sinistra.”

“Mi chiamo Peter non seguito!” protestò il lupo.

“Io e Stiles prenderemo la porta sul retro. Bene, ora andiamo.”

Ci vollero almeno dieci minuti per raggiungere il capanno, dal quale continuavano a fuoriuscire luci e rumori strani. Almeno il branco aveva la consolazione di sapere che stava per finire tutto… se fosse andata bene.

Derek sentiva Stiles tremare dietro di sé, ma era troppo spaventato per dire qualcosa. Sarebbe stato pericoloso ammetterlo e forse sciocco, ma anche lui aveva paura: non sapeva cosa aspettarsi dato che non aveva mai avuto a che fare con dei veri e propri maghi. Aveva incontrato quei tizi qualche giorno prima e gli erano sembrati piuttosto tranquilli, ma aveva imparato a non fidarsi delle apparenze da quando aveva scoperto di Kate.

“Sei pronto?” chiese, girandosi verso l’umano quando ormai avevano raggiunto la porta.

“Sì” soffiò Stiles e insieme al lupo abbassò cautamente la maniglia.

Freddo. La stanza in cui si trovavano era fredda e le luci del capanno non erano presenti; inoltre, non era affatto il capanno che sembrava essere: quella stanza era moderna, piena di oggetti come computer e grossi… forni? Che ci facevano dei forni lì?

“Derek cos’è questo posto?” mormorò Stiles, con il cuore che batteva a mille.

“Non lo so, lo scopriremo. Tu resta qua, io vado a controllare.”

“No, Derek, non mi lasciare da solo” lo supplicò.

Il mannaro lo guardò, preoccupato. “Non è sicuro là per te, ti prometto che torno subito.” Poi aprì un’altra porta e sparì.

La stanza era illuminata da lampadine al neon, troppo deboli per mostrare davvero cosa c’era lì dentro. Così Stiles prese il telefono e lo usò per illuminare ciò che vedeva.  E notò le vasche. Grandi vasche riempite con acqua di uno strano colore, tra il viola e il nero. Forni e vasche, potenzialmente caldo e potenzialmente freddo, fuoco e acqua: cosa significavano?

Erano passati minuti e Derek non era ancora tornato, quindi quando sentì l’ennesimo fastidioso rumore Stiles decise di uscire anche lui da quella stanza. Proseguendo in un corridoio bianco e sporco, si rese conto che si stava dirigendo verso le luci e i rumori che si facevano sempre più evidenti.

Ora si trovava in una stanza, quasi del tutto spoglia, ed era certo che la porta successiva la collegava alla stanza principale, quella contenente le luce ed i rumori.

“Ragazzino ti sei perso?” sussurrò una voce alle sue spalle.

Stiles, per la paura, gettò a terra il cellulare e si mise a correre verso la porta, ma l’altro fu più veloce e gli si parò davanti, buttandolo a terra.

“Non cercare di scappare.”

“Chi sei?” chiese, cercando di parlare con voce ferma ma ciò che ottenne fu poco più che un bisbiglio tremolante.

“Non importa. Chi sei tu, piuttosto: questo sì che importa.”

“Non sono solo. Allontanati o giuro che urlo e ti faccio uccidere.”

“Sei consapevole del fatto che non appena urlerai, ti ficcherò questo coltello in gola, vero?” chiese con un sorriso meschino, mostrandogli il coltello che stringeva nella mano destra.

“Sì, ma se avessi ascoltato la seconda parte del mio piano, avresti capito che ci sarebbe anche la tua morte.”

“Non importerà” disse il tizio allontanandosi. “Facciamo così: io ti lascio andare se tu mi dai un bacio. Ti chiedo solo un bacio: per te non varrà niente, la tua vita non cambierà.”

“No” dichiarò deciso Stiles.

“Allora sarò costretto a prendermelo con la forza” e si mise a correre verso di lui. Anche Stiles cominciò a correre ma era troppo lento e con sé aveva soltanto un piccolo coltellino che a stento tagliava un foglio un carta, quindi l’altro lo raggiunse e lo buttò di nuovo a terra. Ma prima che lo baciasse, Stiles si coprì le labbra con il braccio. Non voleva essere toccato affatto, ma pensò che, non avendo alternativa, era sempre meglio che baciasse il suo braccio. L’uomo se ne accorse soltanto quando ormai si era alzato e per un attimo il suo volto fu oscurato dal panico, ma una volta che si riprese tornò a guardare il ragazzo seduto a terra; alzò il coltello e lo puntò verso di lui, per minacciarlo.

“Diamine, non pensavo sarebbe stato così difficile” disse, quasi in tono comico. Provò a baciarlo di nuovo, ma qualcuno si frappose tra loro e l’uomo non esitò ad usare il coltello.

Fu Derek a prendersi la coltellata. Stiles, dietro la sua schiena, poteva sentire la risata dell’uomo mentre il sangue scorreva sulla maglietta di Derek. Pensava che avrebbe cercato di baciarlo o ucciderlo di nuovo (o entrambi), ma la sua attenzione era stata totalmente catturata da Derek e fu lui da lui che il tizio si diresse, con il sangue negli occhi. Ma stavolta Derek fu salvato da Scott e tutti gli altri erano comparsi ed avevano fatto a pezzi l’uomo.

Derek, intanto, si era rialzato e si copriva la ferita sul petto con la giacca di pelle che aveva indosso per non mostrarla agli altri. Solo Stiles ne era a conoscenza.

“Tutto bene?” chiese Scott al migliore amico, che annuì in risposta.

Derek fece un cenno verso il centro del capanno e chiese se lì era tutto a posto.

“Sì, li abbiamo uccisi tutti. Abbiamo dovuto, hanno attaccato anche noi.”

“E cosa c’è al centro?” domandò Stiles.

“Strani aggeggi tecnologi che non capisco.”

“Avete trovate anche delle vasche e dei forni?” aggiunse.

“Sì, chissà a cosa servono” mormorò Kira sovrappensiero.

“Quanti ne avete uccisi?” chiese Derek.

“Quindici circa” disse Peter.

“Ottimo, non ce ne dovrebbero essere altri.” Poi guardando tutti, aggiunse “È finita.”

Esultarono, abbracciandosi e scambiandosi baci. Stiles guardò Derek che ricambiò lo sguardo per qualche secondo, poi si girò. Era chiaramente debole, ma nessuno ci aveva fatto caso, troppo contenti di poter tornare alla tranquillità di appena qualche ora prima.

“E non mi sono nemmeno sporcata l’abito” gridò Lydia, con fare teatrale ed entusiastico.

“LYDIA!” la ripresero gli altri, che però scoppiarono a ridere.

 

Quando tornarono al loft, erano più tranquilli che mai, sicuri che ormai era tutto passato. Se ne tornarono a casa felici, e fieri.

“Stiles, non vieni?” chiese Scott, quando anche lui era pronto per andare.

“No. Puoi dare tu un passaggio a Lydia? Io devo fare una cosa.”

L’amico, che aveva eccezionalmente intuito qualcosa, annuì e chiuse la porta dietro di sé. Derek, intanto, si era tolto la maglia e stava guardando la ferita.

“Non guarirà soltanto guardandola” fece l’umano.

“Stiles, sono un lupo mannaro: guarisco da solo.”

“È vero, ma potresti sempre aiutare la tua ferita a guarire, egoista. Non hai del disinfettante?”

“Stiles, non ce n’è bisogno…”

“Vuoi che ti lasci solo?” chiese diretto.

Derek lo guardò per qualche secondo, poi abbassando lo sguardo mormorò “Fai quello che devi.”

“Quindi, dov’è il necessario?” ripeté Stiles.

“In bagno.”

Stiles tornò con una valigetta piena di disinfettanti e pacchetti di ovatta, e si mise subito all’opera. Derek, che si era appoggiato al tavolo, lo guardava con attenzione, esaminando ogni sua mossa.

“Sei bravo.”

“Grazie” sorrise, così vicino al suo viso che anche Derek si trovò a sorridere di ricambio. “Sai, da piccolo andavo sempre all’ospedale con Scott; ci piaceva vedere come Melissa disinfettasse una ferita al ginocchio o mettesse delle bende a un braccio… le tipiche cose che si fanno in ospedale, in pratica.”

“Lasciatelo dire, Stiles: eri strano già da piccolo.”

Stiles rise alzando lo sguardo verso quello del lupo, ma dovette subito riabbassarlo per l’imbarazzo. Derek se ne era accorto, ma non aveva smesso di fissarlo.

Smise di farlo quando Stiles mise del disinfettante su un punto della ferita dolorante e gridò per la sofferenza. Di riflesso si aggrappò al braccio di Stiles, trasmettendogli un po’ del suo dolore; quando se ne accorse, lo lasciò subito andare ma il ragazzino non sembrava arrabbiato, solo affaticato, con delle sottili gocce di sudore sulla fronte.

“Mi dispiace” si scusò subito Derek.

“Non devi scusarti. Ti ricordi quando quel Wendigo mi fece una ferita al braccio e tu prendesti un po’ del mio dolore?”

“Credevo non lo ricordassi” sussurrò.

“Oh, invece lo ricordo bene. Tu pensavi che io dormissi, ma io ti spio sempre, sappilo.” Poi aggiunse, porgendogli il braccio: “Puoi rifarlo se vuoi.”

“No. Pensa solo alla ferita tu, ok?” scosse il capo.

“Agli ordini capitano!” esclamò. “Ma non devi muoverti, altrimenti sbaglio.”

“Non è colpa mia!” si difese il mannaro.

“Certo, ma ora ho bisogno di toccare qui” disse indicando un punto del suo petto, “e non devi muoverti!”
Stiles, poggiò una mano sul petto di Derek per tenerlo fermo e prese a disinfettare quel punto. Al contrario di quanto si era aspettato, Derek non si mosse ma anzi sentì il suo corpo calmarsi. Il ragazzino sentiva il suo sguardo su di sé ma se serviva a tenerlo fermo non si sarebbe nascosto.

“Non fare le fusa, Sourwolf” lo prese in giro.

“Zitto Stilinski, posso ancora cacciarti da casa mia” lo minacciò Derek.

“Credevo fossero passati quei tempi.”

“Niente è mai davvero passato.”

Si guardarono negli occhi per un secondo, poi Stiles abbassò lo sguardo sulle sue labbra.
Non poteva restare lì ancora a lungo: Derek gli faceva un brutto effetto.

“È meglio se vado ora, papà mi starà cercando” disse Stiles bruscamente, posando gli attrezzi nella valigetta e allontanandosi.

Derek, ripresosi dal momento, annuì. “Sì, infatti.”

“Ci vediamo, ok?” chiese Stiles, sorridendo. E Derek non poté fare altro che sorridergli a sua volta, davvero felice.

“Ok” rispose.

 

Non poteva credere a ciò che era accaduto quel giorno, troppo velocemente: il gruppo di maghi che era lì fino a poco tempo fa ed ora li avevano sterminati tutti, Derek che lo voleva tenere al sicuro, quel pazzo che gli aveva imposto un bacio, la sua paura nel pensare di non avere scampo, Derek che sanguinava, Derek che l’aveva protetto, Derek che si era lasciato curare da lui…

Stava per avere un infarto, Stiles. Non era così che succedeva tra loro. In genere si avvicinavano lentamente, a piccoli passi: un giorno terminavano di litigare prima, il giorno successivo Derek gli portava un bicchiere di soda senza dire niente, il giorno dopo ancora gli insegnava a tirare calci contro un eventuale nemico.

Invece quel pomeriggio era successo tutto di fretta. Non aveva fatto in tempo a pensare a cosa significasse che il lupo voleva proteggerlo, che Derek si era messo davanti a lui e gli aveva evitato un colpo che lo avrebbe di certo ucciso. Perché lo aveva fatto?

All’inizio aveva pensato che si era sentito in obbligo a farlo, dato che i lupi mannari incassano le ferite meglio degli umani, ma c’era qualcosa nel suo sguardo… qualcosa di fragile e devoto verso di lui, qualcosa che non riusciva a comprendere a pieno.
E allora forse l’aveva fatto perché si sentiva in colpa per averlo trascinato con sé in quel posto e per non essere tornato subito come gli aveva promesso, ma i sensi di colpa di Derek erano molto frequenti e, nonostante questo, non lo aveva mai visto compiere un gesto così avventato. Derek su comportava sempre in modo controllato e prudente: quel gesto non era da lui.

Doveva smettere di pensare al perché ed essergli semplicemente grato –dopotutto era solo grazie a lui se ora si trovava nel suo comodo letto e non in quello freddo e duro di un ospedale. O peggio in una barella dell’obitorio…

No, non doveva pensarci. Quell’uomo era morto e lui era salvo: ecco a cosa doveva pensare.

Quella notte si addormentò con il pensiero di Derek vicino a lui per calmarsi, così come Stiles che lo curava aveva calmato Derek prima. Andò bene all’inizio, ma poi tutto d’un tratto si ritrovò di nuovo nella stanza buia di quel pomeriggio, quella con le vasche ed i forni, e provò freddo lungo il proprio corpo … un incredibile vero freddo… come poteva essere solo un sogno se aveva davvero la pelle d’oca?

Si osservò intorno e notò che c’erano addirittura molte più cose di quante ricordava. Ma come faceva il suo cervello a ricreare persino i più piccoli dettagli se non ricordava nemmeno di averli visti? Lui non conosceva quei dettagli, ne era certo.

Stiles!

Sentiva la sua voce che lo chiamava, la voce dell’uomo che lo aveva aggredito, la voce che trasmetteva malignità ad ogni parola. Era nell’ombra, poteva sentire che era lì, ma non riusciva a vedere il suo viso. In effetti, nel sogno non riusciva nemmeno a ricordarlo; eppure era sicuro che nella realtà era ancora presente, che avrebbe ricordato per lungo tempo il viso dell’uomo che gli aveva fatto così paura quel pomeriggio.

Sono qui, Stiles. Ora ti possiedo.

Sussurro, brivido lungo la schiena. E poi si svegliò. Scattò a sedere sul letto ansimando, mentre sentiva gocce di sudore scendere lungo il suo viso e pensava a ciò che aveva appena vissuto. Era stato un sogno, solo uno stupidissimo inutile sogno. Nessuno lo possedeva, l’uomo era morto e lui riusciva finalmente a ricordare quel volto. Non significava niente. Niente.

 

 

NOTE DELL’AUTORE: Aiuto, non so che dire: sono secoli che non scrivo delle note!
Ecco una nuova long! All’inizio la mia idea era di scrivere una one-shot, poi mi sono resa conto che sono 32000 parole quindi niente, ho sballato di molto. Come avrete capito, l’ho già scritto tutta, quindi si tratta solo di pubblicare i capitoli; a proposito di capitoli: lunghi o corti? Questo primo capitolo è piuttosto corto – giusto per lasciarvi con il finale in sospeso – però gli altri ho intenzioni di farli più lunghi. Fatemi sapere come li preferite!
Vi ringrazio di cuore per aver letto questo capitolo e come sempre mi farebbe piacere sentire cosa ne pensate. Al prossimo capitolo!

   
 
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