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Autore: keska    15/06/2009    26 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Mi stavo lavando i denti con cura dopo la merenda

Capitolo riveduto e corretto.

 

Mi stavo lavando i denti con cura dopo la merenda. Il sapore della menta dopo aver bevuto il latte mi dava molto fastidio, ma cercavo di eliminare lo sgradevole sapore metallico che quel connubio mi aveva causato.

Erano passate due settimane dal giorno del matrimonio. Domani saremmo dovuti tornare alla vita normale, a trovare le nostre famiglie.

Edward aveva detto che per lui sarebbe anche andato bene posticipare; tutto, pur di vedermi felice. Tuttavia io avevo insistito, dicendo che almeno avremmo potuto fare una capatina dalla sua famiglia, anche solo di cinque minuti, prima di riprendere la nostra… attività. Vidi la mia immagine allo specchio arrossire a quel pensiero.

Sputai il dentifricio nel lavandino e mi sciacquai i denti, facendo scorrere l’acqua. Quello era solo uno dei quattro bagni della casa. Il più bello a mio avviso. Era arredato con bellissime tonalità di azzurro e verde mare, estremamente rilassante. Quattro, uno per ogni camera da letto. Una matrimoniale, per noi, e tre per gli ospiti. Anche se la casa era piccola per i canoni Cullen, rimaneva pur sempre una villetta di dimensioni notevoli. Mi piaceva tantissimo, io e Edward l’avevamo già fatta nostra.

Andai nella stanza da letto, dove Edward, su mio ordine perentorio, era rimasto steso, ma soprattutto… nudo, in attesa che io, altrettanto nuda, lo raggiungessi…

Quando entrai nella stanza e lo vidi, successe qualcosa di estremamente inaspettato.

M’immobilizzai, spalancando la bocca e gli occhi. Edward, avendomi vista arrivare si voltò verso di me. Notò la mia espressione vacua da pesce lesso, e mosse piano il capo di lato, perplesso.

«Bella?» mi chiamò. Non risposi. Ero stata folgorata, colpita da… un’immagine paradisiaca. La sua espressione si fece ansiosa. «Amore?» mi chiamò ancora, muovendosi per venire da me.

«No!» strillai con un po’ troppa verve. Battei le palpebre e deglutii, abbassando la voce. «Non ti muovere».

Ancora perplesso fece come gli dicevo. «Tutto bene?».

Annuii, e, senza rispondergli, mi mossi verso la porta. «Non ti muovere, per favore». Andai diretta verso la stanza dell’arte, dove Esme aveva sistemato tutto il mio materiale per dipingere e il pianoforte di Edward. Afferrai un cartoncino ruvido, di formato A2, una tela di legno su cui poggiarmi, tre pezzi di carboncino e la gomma pane. Edward, che nel frattempo era rimasto immobile, vedendomi arrivare con quelle cose rilassò lo sguardo, sorridendo. Trascinai una sedia proprio davanti alla porta del bagno, da dove, uscendo, avevo trovato l’ispirazione.

Mi sistemai con il foglio in grembo e volsi uno sguardo a Edward, che mi sorrideva sghembo come quando l’avevo visto appena entrata in camera.

Mi rammentai un attimo di una cosa. «P…posso?» chiesi arrossendo.

«Certo» mi rispose lui con serenità.

Iniziai a disegnare. Era semplicemente magnifico; quando ero uscita dal bagno, vedendolo, ero rimasta incredibilmente stordita. Non che non l’avessi visto altre volte nudo, ma forse quando l’avevo fatto ero troppo presa e concentrata da altro per poterlo realmente apprezzare. Ora invece, entrando nella stanza a mente lucida, ero rimasta folgorata dalla sua bellezza.

Era semi-sdariato sul letto, in posizione relax, una mano a sorreggere la testa e l’altra abbandonata lungo il fianco. Il lenzuolo era magistralmente arrotolato lungo una gamba e andava a coprire appena le parti più nascoste del suo corpo, alle quali solo io avevo accesso. Comunque, la cosa più importante di tutte era un debole, singolo raggio di sole che lo colpiva dritto al petto, facendo apparire la sua etera bellezza insieme alla sua differente natura.

La mia mano si muoveva rapida sul foglio, e la gomma pane tra la dita sfocava i punti dove volevo dare più morbidezza.

Il suo sguardo era sicuro e felice… non come quello che aveva avuto un paio di giorni prima. Abbassai il viso, concentrandomi sul disegno. Era inutile, perché poteva sentire il mio cuore battere più forte, ed era bastato solo il ricordo di quello che era accaduto.

 

«È per te, Bella. Io non l’ho ancora aperta» aveva detto porgendomi la busta bianca.

L’avevo guardato con un’espressione incerta. Sulla busta c’era scritto il mio nome, e non sembrava una delle eleganti calligrafie dei Cullen. Avevo deglutito. «Per me? Da chi?».

Edward mi aveva misurata con lo sguardo, in cerca di una mia reazione, mentre rispondeva. «Bill l’ha consegnata personalmente a mia madre».

Avevo aspirato un sibilo fra i denti, lasciando andare la presa sulla busta, come se all’improvviso scottasse. «Edward, io…».

Aveva scosso il capo, mettendo una mano sulla mia. «Non devi aprirla per forza. Ho detto che non sarebbe stata la migliore idea. Ma credevo di dovertela almeno dare».

La busta giaceva bianca sul tavolo di mogano. Avevo aperto e chiuso le mani a pugno, i palmi sudati, provando a calmare il battito veloce del mio cuore. Poi mi ero fatta forza e avevo preso un grosso respiro, strappando malamente la busta per prendere la lettera. Non mi era bastata una sola lettura per capirne il contenuto.

…So che mio figlio è molto cambiato, e questo mi fa più male di quanto tu possa immaginare. Ma sai bene anche tu che non era così. È sempre stato un po’ spocchioso e arrogante, ma non voleva che nascondere la sua timidezza. Ti vuole bene e te ne ha sempre voluto. So che sei contenta con il tuo succ, con Edward, e che siete ora felicemente sposati. Ma voglio solamente che tu e Jacob parliate e vi riappacifichiate. Ti chiedo molto, lo so… ma vorrei riavere indietro mio figlio…

«Bella» mi aveva richiamato Edward.

Con dita tremanti avevo fatto scivolare il foglio nella sua direzione. Dopo che l’aveva letta - in meno di un quarto del tempo che avevo impiegato io per farlo - aveva sollevato il viso crucciato sul mio, ma non aveva detto nulla, aspettando le mie parole.

Avevo sospirato, abbassando il viso. «Sai bene che non voglio vederlo».

«Ma?» aveva continuato gentilmente. «Parlargli era nei nostri accordi sin dall’inizio».

«Prima che voi lottaste e prima che incendiasse metà del bosco per tentare di ucciderti» avevo sbottato, tremante.

Mi aveva messo le mani sulle braccia, e senza dire una parola mi ero lasciata confortare da quel gesto. «Chi ci dice che Bill non sia d’accordo con il figlio e che questa non sia che una trappola per portarmi via da te?».

Si era irrigidito. «Non glielo permetterò, mai».

«Trasformami, allora. Voglio diventare una vampira come te e non avere più paura che niente ci separi».

 

«Finito» dissi mentre mi allontanavo il disegno dal viso per osservarlo meglio. E mentre allontanavo quei pensieri tristi dalla mia mente.

«Posso vedere?» chiese Edward, mentre si muoveva verso di me.

Mi morsi un labbro. «Aspetta…» mormorai, imbarazzata, abbandonando il disegno sulla sedia. Mi avviai a passi sicuri (pretendere dal mio equilibrio e dalla mia goffaggine un passo felpato sarebbe stato troppo) verso il letto. Sul volto di Edward comparve un sorrisetto malizioso, e, non appena mi avvicinai a lui, la meravigliosa statua d’adone che era mio marito prese vita, regalandomi piaceri che una statua non avrebbe mai potuto regalarmi.

Rabbrividii, mentre Edward mi disegnava immaginarie linee sul ventre. Era diventata sera ormai, e la stanza era illuminata da un sofisticato sistema di luci bianche soffuse, come tante piccole lucciole.

«Edward…» mormorai, mentre la sua mano scendeva sempre più in basso.

«Bella» ansimò, roco, mentre lambiva le mie labbra, gustandole e succhiandole. Improvvisamente sentii i miei occhi farsi pesanti, e dalle sue labbra uscì una risata. «Bella, sei stanchissima» fece divertito.

«No» protestai, sbadigliando. Una delle cose che odiavo dell’essere umana era la stanchezza. Lui, invece, non si stancava mai…

Ridacchiò ancora. «Me lo fai vedere il disegno adesso?» chiese impaziente.

«Va bene» gli concessi mio malgrado.

In un attimo la luce fu accesa e mi ritrovai Edward accanto a me con il disegno tra le mani, che lo guardava incantato. Decisamente veloce. «Ti piace?» chiesi, un po’ ansiosa. Mi mordicchiai il labbro imbarazzata

«Stupendo!» esclamò contento, osservando con occhi meravigliati il disegno.

Presi un respiro, più rilassata. «Davvero? E il fatto che tu sia mio marito, che ci siamo appena sposati e che abbiamo appena fatto sesso non c’entra niente con il tuo giudizio?» lo stuzzicai.

Sorrise, malizioso. «Come potrebbe mai influire il fatto che sono tuo marito? Forse il sesso… Mmm… forse…».

«Edward!» gridai, fintamente indignata, lanciandogli un cuscino.

«Ah, osi sfidarmi?!» Esclamò giocosamente, prendendomelo dalle mani e lanciandolo via. Mi si lanciò addosso, facendomi il solletico. Ridacchiai, dimenandomi, ben sapendo che presto si sarebbe trasformato in qualcosa di molto più… sensuale.

Improvvisamente andò via la luce. Edward si sollevò dal mio corpo, sicuro di sé anche nel buio completo. Sentii l’interruttore scattare più volte.

«È andata via la luce?» chiesi al buio, cieca.

«Sì». Mi voltai verso il luogo dove credevo provenisse la sua voce. Udii un fruscio di stoffa -probabilmente aveva infilato i pantaloni. «Vado un attimo a controllare il contatore e torno. Ti prometto che riprendiamo da dove abbiamo lasciato» mormorò divertito.

«Vai!».

Mi sentii sfiorare le labbra dalle sue, e poi scomparve, con l’ombra di una risata.

Mi bastarono pochi istanti per realizzare di essere sola, al buio, mentre la luce era misteriosamente andata via. Provai un forte senso di disagio. Sentivo l’aria pesante, densa, intorno a me. Quando Edward era andato a caccia non era stata la stessa cosa, sapevo perfettamente che fuori dalla finestra c’era qualcuno a sorvegliarmi.

Sentii il cuore palpitare con prepotenza nel petto. Calma Bella, calma, mi dissi. Non essere stupida. Tuttavia l’agitazione non scompariva e io mi sentivo attraversare da brividi.

Tentando in qualche modo di reprimere quell’insensata paura del buio, feci una cosa che facevo sempre da bambina. Mi sdraiai sul letto, in modo da avere la schiena completamente schiacciata al materasso. Non c’era un motivo preciso, ma quel gesto mi faceva sentire più sicura. Forse perché così sapevo che nessuno avrebbe potuto attaccarmi alle spalle.

Passò un minuto forse, ed Edward non era ancora tornato.

All’improvviso, sentii una presenza nella stanza. Come una vibrazione, un sesto senso, ma certo e vivido. Sentii le mia pupille dilatarsi ancora, sia per vedere nel buio, sia come effetto all’enorme quantità di adrenalina che mi scorreva nelle vene. Potevo benissimo udire il suono del mio cuore che insistente batteva sulle mie costole e quello del mio respiro affannato.

Mi decisi a provare a chiamare Edward. Mi avrebbe certamente sentita, ovunque fosse. Non potevo rimanere ancora sola. O peggio. Quella presenza che mi sembrava avvertire non accennava ad andarsene.

Provai a parlare, ma le parole mi uscirono mute, a causa della gola completamente secca. Strisciai lungo il letto, fino a nascondermi sotto il lenzuolo. Me ne stavo raggomitolata sotto le coperte, avvolta intorno al cuscino che avevo portato in grembo, immobile.

Sentii, nel silenzio innaturale, il suono di un passo.

Il respiro mi si mozzò in gola, e una gocciolina di sudore scese lungo la mia tempia.

Poi, sulla spalla, una mano. Una mano. Una mano calda.

A quel punto urlai, un urlo agghiacciante e stridulo, quasi non mio.

Nel successivo istante accaddero tre cose contemporaneamente. Tornò la luce. Un vento freddo, della finestra aperta, inondò la stanza. Edward comparve al mio fianco.

Sentii la coperta spostarsi con uno scatto deciso, mentre rimanevo immobile, gli occhi sgranati e le mani convulsamente aggrappate al cuscino. «Bella?». Sentii chiamare dalla voce agitata di Edward. Non riuscivo ancora a muovermi, tutti i muscoli contratti. Mi sentii sollevare da due braccia fredde, che delicatamente mi aprivano le dita per sfilarmi il cuscino dalle mani. Ben presto mi ritrovai stretta al suo petto, cullata e confortata dal suo odore. «Amore. Cos’è successo?» mi chiese ansioso.

Il mio corpo era scosso da brividi. Tentai di parlare, ma avevo la gola troppo secca. Scossi il capo. Il mio respiro era ancora veloce e agitato.

Edward, comprendendo che non sarei riuscita a parlare in quello stato, tentò di rassicurarmi. Piano, gentilmente, mi aiutò ad indossare una camicia da notte. Mi strinse a sé e mi portò in cucina. Senza mai lasciarmi aprii il frigorifero con disinvoltura e prese una bottiglia d’acqua. Ne versò un po’ in un bicchiere, si sedette sul divano della sala da pranzo, tenendomi stretta al suo corpo, e me lo portò alle labbra.

Lo bevvi tutto, senza fare storie, sentendomi subito meglio. Era incredibile come la sua presenza potesse fare la differenza.

Intuendo i significati del mio sguardo, ne riempì un altro e me lo porse.

Bevvi con la stessa avidità, poi lo riconsegnai alle sue mani.

Studiai la sua espressione. Era teso e preoccupato. Tuttavia, quando i suoi occhi si posarono su di me, divennero dolci e comprensivi. Mi baciò la fronte. «Mi dici cos’è successo?» chiese, con altrettanta dolcezza.

Mi strinsi maggiormente a lui, chiudendo gli occhi. «Era lì Edward. Lì con me…» la mia voce a quel punto s’incrinò.

Lo sentii irrigidirsi. «Ne sei sicura?». Era incredibile quanto ora la sua voce fosse fredda, in confronto a prima.

Annuii, silenziosamente. In un rapido scatto, prima ancora di riaprire gli occhi, capii che ci eravamo mossi.

«Carlisle? Sì, Alice. Ha visto niente?». Stava parlando al telefono. «Va bene, vi aspettiamo».

«Stanno venendo?» chiesi in un sussurro.

Mi accarezzò una guancia, con dolcezza e al tempo stesso determinazione. «Sì» fece una pausa, in cui nei suoi occhi lampeggiò la rabbia «lo troveremo, davvero».

Mi lasciai andare contro il suo petto nudo, le palpebre pesanti.

«Stai bene?» mi chiese apprensivo.

Annuii, gli occhi ormai chiusi. Mi riportò in camera e mi sistemò sotto le coperte. «Resta con me» farfugliai, scivolando nel sonno, mentre mi stringeva da sopra la coperta.

Mi baciò da sopra i capelli. «Sì, sono qui con te».

Il sonno fu riposante. L’aroma e la pelle fredda di mio marito non mi abbandonarono mai, e la… stanchezza fisica mi impedì di svegliarmi durante la notte.

A svegliarmi furono delle voci, sussurri dapprima lontani e poi sempre più vicini e consistenti.

«Non capisco perché dobbiate stare qui dentro! Uscite».

«Edward, non fare sempre il rompiscatole! Voglio solo vedere come sta».

Un sospiro.

«Siete stati bene in questi giorni?».

«Sì. Beh, a parte ieri ovviamente. Si è spaventata tantissimo, Alice. Davvero, mi sono preoccupato quando l’ho vista così… indifesa. Se penso che quel fetido sacco di…».

«Shh, si sta svegliando…».

Mi rigirai nel letto, stringendo la mano fredda di mio marito con le mie. Aprii gli occhi, sbattendo le palpebre.

«Buongiorno» mi salutò Edward. Era incerto, un po’ preoccupato, mentre mi scrutava alla ricerca di una reazione.

Mi stiracchiai. «‘Giorno…» biascicai, la voce ancora impastata dal sonno. Gli sorrisi. Da una settimana a questa parte i nostri risvegli erano stati stupendi…

«Bella!» sentii trillare da una voce musicale.

«Alice» esclamai, sollevandomi seduta di scatto. Mi affrettai a coprirmi il corpo con le lenzuola. Ero diventata rossa come un peperone. «C-cosa ci fai qui?» mormorai sgomenta, tirando le coperte oltre ogni limite, fin sotto il mento. Ero nuda? O ero vestita? Forse Edward aveva avuto la decenza di mettermi una vestaglia addosso…

Edward sospirò, una mano sotto il mento. «Te l’ho detto che non sarebbe stata felice di questa invasione».

Sua sorella lo ignorò completamente, rivolgendosi direttamente a me. Sollevò un sopracciglio, un sorrisetto sulle labbra. «Vuoi dire che non ti sono mancata?».

«Oh, c-certo» balbettai, provando a nascondere quello che doveva vedersi del mio corpo dietro Edward. «Mi sei mancata» aggiunsi velocemente, muovendomi comicamente verso mio marito «tantissimo».

«Sì, sì, Bella, a chi la dai a bere! Magari nella pausa tra un round e un altro!» esclamò Emmett, facendo il suo ingresso in camera.

Arrossii fino alla radice dei capelli, e dalle mie labbra uscì un rantolo sconvolto.

«Emmett, lascia in pace i novellini!» scherzò Rosalie, entrando nella stanza.

Aprivo e chiudevo la bocca, senza sapere cosa dire. Forse Edward aveva ragione. Sarebbe stato meglio continuare la nostra luna di miele rinchiusi in casa senza interruzioni. Guardai timidamente i miei nuovi parenti, e poi rivolsi uno sguardo di supplica a Edward. «P-per favore… potrei… mmm… se solo lasciaste che mi vesta per un attimo potrei…».

Senza lasciarmi continuare Edward balzò giù dal letto, lasciandomi completamente senza protezione sul fianco destro e costringendomi a seppellirmi in fondo a nuovi strati di lenzuola raccattate velocemente.

«Fuori di qui, avanti!» esclamò, indicando l’uscita con l’indice. Peccato che avesse addosso solo i morbidi pantaloni del pigiama, che gli pendevano mollemente dai fianchi…

Si realizzò la reazione contraria. «Tesoro, non ci tengo a vederti in déshabillé. Almeno sulla carta sei mio fratello» lo canzonò Rose.

«Però, non è mica male, eh» scherzò Alice, facendole l’occhiolino.

«La nostra Bella ha scelto bene».

Mi portai entrambe le mani il viso. Che vergogna.

«Per favore!» sbottò Edward, passandosi nervosamente una mano fra i capelli.

Rose sollevò entrambe le mani, come per un gesto di resa. Ma aveva un sorrisetto impertinente sulle labbra. «Abbiamo capito, abbiamo capito! Ce ne andiamo! Come siamo permalosi…».

Emmett la spalleggiò. «Forse non hanno fatto sesso abbastanza».

«Ragazzi». Jasper fece passare la testa attraverso la porta. Osservò la situazione, aggrottando le sopracciglia. Il suo sguardo passò da Edward, in piedi a torso nudo, a me, affannosamente nascosta dalle coperte.

Scoccai un’occhiata a mio marito, preoccupata come sempre quando lui e Jasper stavano nello stesso posto. Avevo paura che mio cognato potesse vagare con i pensieri al giorno in cui… gli avevo confessato che avere un figlio, magari, mi sarebbe piaciuto. Vidi Jasper esitare, e Edward fare una smorfia confusa. Poi Jasper mi sorrise, un sorriso piccolo e nervoso, quasi un tic, e io capii. Stava usando il suo potere per confondere Edward e non permettergli di leggere i suoi pensieri.

Mio cognato entrò nella stanza. Piegò il capo dal un lato. «Esme e Carlisle hanno detto di venire di là» fece, rivolgendosi ai suoi fratelli.

Rose alzò gli occhi al cielo. «Non stavamo facendo niente di male».

Alice sorrise, voltandosi nella mia direzione. «Va bene, andiamo. Vi ho lasciato un cambio di vestiti in bagno. E poi, Bella, ti devo mostrare come si usa la cabina armadio!» trillò contenta, volteggiando verso la porta.

«Perché, servono le istruzioni?» borbottai fra me e me, costringendola a lasciarsi alle spalle una risatina divertita.

Sospirai, come se mi fossi appena tolta un peso.

Edward mi scoccò un’occhiata di scuse. «Perdonami. All’inizio mi è parsa innocua. Ma non se ne voleva più andare e non dovevano venire tutti gli altri…».

Scossi il capo, lasciando andare le coperte. Mi sarebbero venuti i crampi alle braccia per quanto avevo stretto. «Non c’è problema. Mi piace stare con la tua famiglia. Beh, quando sono vestita» borbottai imbarazzata.

Osservò il mio corpo ben visibile attraverso lo strato sottile della sottana. Mi sorrise, venendomi incontro. «Sbaglio, o avevamo qualcosa in sospeso…?» mormorò, baciandomi la pelle del collo e delle spalle.

«Edward! No!» esclamai, dimenandomi «c’è tutta la tua famiglia di là!» gracchiai stridula.

«Insonorizzata… ricordi?» biascicò, continuando ad esplorare.

Chinai il capo indietro. Sarebbe stato un dolce, dolcissimo risveglio, ed era passato anche troppo tempo dall’ultima volta che… «No! Edward!».

«Ho capito, ho capito» si arrese, sollevandosi. «Andiamo a cambiarci. Mi serve una doccia fredda» borbottò fra sé e sé, come un bambino.

Quando vidi i miei vestiti feci un smorfia. Davanti ai miei occhi c’era un completino intimo a righe rosse e bianche, di seta, e un completo a due pezzi di cotone. Una magliettina a mezze maniche e una gonna lunga fino a sotto il ginocchio con una fantasia che sfumava in giochi e disegni, con gli stessi colori dell’intimo.

«Alice è pazza» mi lamentai, scuotendo il capo. Sperando di placare il suo spirito malizioso indossai comunque, di malavoglia, ciò che mi aveva preparato. Edward fece la sua doccia… che avrei tanto voluto condividere con lui. Aveva davvero, davvero, ragione. Potevamo stare senza i nostri parenti. Sarebbe stato più difficile evitare di saltarci addosso.

Quando entrai nel soggiorno un bel mazzo di fiori, apparentemente di campo, faceva bella mostra di sé sul tavolo.

«Ragazzi!» ci chiamò Esme, venendoci incontro. Mi abbracciò stretta, affettuosamente. «Stai bene tesoro? Ti vedo un po’ sciupata…» constatò, dando, pur inconsapevolmente, adito alle risate e alle battutine di Emmett.

«Edward, Bella…» mi sentii posare una mano sulla spalla. «E’ un piacere rivederti» mi salutò cordialmente Carlisle.

«Anche per me. Grazie per la casa, è stupenda. Ben più di qualsiasi possibile desiderio».

Ci sedemmo tutti intorno al tavolo, popolando la casa. Era strano vedere tutte quelle persone in quella stanza, dato che in quei giorni c’eravamo stati solo io e Edward. E per un attimo pensai a come sarebbe stato bello se avessimo potuto animare quella casa con lo scalpiccio di piedini, i pianti, le risate infantili… Stroncai subito il pensiero sul nascere. In un’altra vita, forse. Non in questa, non con Edward. Per me valeva più di qualsiasi altro sogno.

Mi voltai nella sua direzione, stringendogli la mano sotto il tavolo e sorridendo.

Si girò a sua volta a guardandomi, con un espressione che mi chiedeva “Cosa?”.

Scrollai le spalle, facendolo sorridere. Posai gli occhi sul mogano opaco del tavolo e vidi la busta bianca e strappata che era arrivata qualche giorno prima. Deglutii. «Allora?» chiesi titubante «notizie di… Jacob?».

La presa di Edward sulla mia mano si fece più forte e tutti ammutolirono e bloccarono. Ci fu qualche istante di imbarazzante silenzio. Solo allora mi accorsi che fino a quel momento avevano controllato i miei movimenti, e tentando in ogni modo di alleggerire l’atmosfera.

«Non siamo riusciti a prenderlo» mi spiegò infine Carlisle «ma ci sorprende il fatto che in camera vostra non ci fosse il suo odore».

Battei le palpebre. Mi serviva qualche attimo per metabolizzare le sue parole. Se l’odore non c’era, allora significava che probabilmente credevano che mi fossi immaginata tutto. Davvero l’ansia mi aveva fatto questo brutto scherzo? Eppure, quella mano sembrava così vera… Deglutii.

«Non ti preoccupare amore, lo troveremo. Passerà tutto, te lo prometto» mi rassicurò Edward.

Passerà tutto… Risollevai lo sguardo. «Scusatemi, due istanti» dissi con calma misurata. Mi sollevai dalla mia sedia e andai dritta in cucina. Presi un bicchiere d’acqua e bevvi, spinta dal bisogno di avere le mani e la mente occupata.

Non potevo biasimarli se credevano che fossi vittima di un accesso d’ansia. Dopotutto, ero stata così agitata negli ultimi tempi, specie il giorno del mio matrimonio… Dopotutto, se davvero, con il loro fiuto di vampiri non avevano sentito nessuno strano odore, la notte passata… E infine, dopotutto, considerata la guardia che Edward mi aveva garantito ci fosse, appena fuori dalla casa…

Ansimai. Come poteva il mio cervello farmi uno scherzo simile? Con le dita tastai il punto sulla spalla dove credevo di aver sentito un contatto. Chiudendo gli occhi lo potevo ancora percepire sulla pelle, vivido… e se fosse stata solo finzione?  

Mi accorsi che Edward mi aveva seguita. Mi rigirai il bicchiere fra le dita. «Così non c’era nulla, eh?». La mia voce era molto meno sicura di quanto avessi creduto.

«Bella» sospirò.

Ansimai, distogliendo lo sguardo e dirigendolo alla finestra. «No, va bene. Lo sanno tutti che sono stata un po’ agitata nell’ultimo periodo. Beh, sai com’è… alla mia età, sposarsi, avere un maniaco alle calcagna…». La voce si strozzò prima che finissi di parlare.

Compì il passo che ci separava, prendendomi fra le braccia. «Ehi, tranquilla. Non dirlo neppure. Lo sai che mi fido di te».

«Davvero?» chiesi, tremante, guardandolo negli occhi.

Mi sorrise, accarezzandomi una guancia. «Certo. Non mettere mai in dubbio la fiducia che ripongo in te». Mi avvicinò a sé e mi cullò qualche istante. «Ti va di uscire?» mi chiese ad un orecchio, a bassa voce. «A prendere un gelato?» mi stuzzicò con il suo sorriso sghembo.

Sorrisi. Era molto dolce il fatto che studiasse le mie abitudini umane per propormi qualcosa che mi facesse felice. Annuii, contenta. «Andiamo a prenderne un po’ per metterlo nel freezer, così magari posso mangiarlo stasera. La tua famiglia si potrebbe fermare qui da noi… mi sono mancati tanto… che ne dici?».

Ridacchiò, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Certo. Sono ansioso di provare la nuova scacchiera con Alice. Ma…» si avvicinò, fino ad avere le labbra a contatto con il mio orecchio «non più di stasera. Poi abbiamo impegni…».

«Edward!» esclamai indignata, certa che tutti dall’altra stanza ci avessero sentito.

Scrollò le spalle, indifferente, felice come un bambino.

Comunicammo i nostri programmi al resto dei Cullen che furono felici di aspettare il nostro ritorno. Esme mi assicurò che avrebbe chiamato mio padre, così che potessi vederlo. Prendemmo la Volvo, che se ne stava insieme alla mia auto - usata in totale due o massimo tre volte - e alla Aston Martin nera di Edward, nel nostro nuovo garage. Certo, io ne avrei evidentemente fatto a meno, ma considerando il fatto che quella era anche casa di Edward…

Apprezzai il soprabito che mi aveva dato Alice prima di uscire. Quel giorno faceva così tanto freddo e c’era tanta umidità, che anziché piovere sembrava stesse per nevicare. Nevicare d’estate! Solo a Forks potevano accadere certe cose!

«Mi dovrai insegnare la strada» dissi a Edward mentre mi faceva accomodare sul sedile del passeggero.

«Oh, non è così difficile, basta che tu stia attenta» ridacchiò, dato che avevo già con gli occhi chiusi, abbracciata al suo muscoloso e tonico avambraccio.

«Magari un’altra volta» replicai maliziosa. Mentre mi stringevo al suo braccio pensavo a come il suo odore, il suo tocco, il suo sorriso, mi avessero fatta innamorare di lui.

Quando ero arrivata a Forks, ero solo una ragazzina che trascorreva la sua vita senza aspettarsi nulla dal futuro. Ora invece, avevo Edward. Edward, un vampiro, era mio marito, e presto anch’io lo sarei diventata, per poi trascorrere l’eternità con lui. Era così… tanto.

«Edward?» lo chiamai, ancora appiccicata al suo braccio, riaprendo però gli occhi.

«Sì?».

«Ti amo».

Rilassò i muscoli delle spalle. «Ti amo anch’io». Si avvicinò con le labbra alle mie, donandomi un lungo, lento e delizioso bacio. A quel punto mi accorsi che eravamo fermi di fronte al minimarket di Forks.

Facemmo una corsetta sotto la pioggia sottile che aveva appena cominciato a scendere.

«Mmm» gorgogliò Edward, annusando l’aria mentre le ante scorrevoli del negozio si aprivano «penso che abbiano appena scaricato un carico di liquirizia…». E non potei che leggere la malizia nella sua voce.

Avvampai, ricordandomi della mia sfacciataggine. Quando ritrovai l’uso della parola, lo schernii «Bene, tu vai a prendere la liquirizia e io prendo il gelato, allora! Se davvero questa sera dobbiamo rimanere soli» cincischiai, tentando di apparire sicura di me.

Ridacchiò del mio mancato tentativo e mi baciò la mano con cui gli avevo dato una spintarella, poi s’incamminò verso il centro del negozio.

Sorrisi e mi avviai verso la mia meta: il bancone dei surgelati. Sapevo benissimo cosa stavo cercando, gelato gusto fragola e limone, i miei preferiti. Afferrai con soddisfazione il barattolo di gelato e richiusi il frigo. Missione compiuta. Chissà, magari quella sera avremmo potuto usare anche quello…

Improvvisamente mi ritrovai una lama affilata alla gola e un braccio caldo che m’immobilizzava entrambe le mani lungo il busto.

Una voce calda, roca, mi sussurrò all’orecchio. «Tana per il lupo».

Subito dopo, mi accorsi di due occhi ambra, congelati dal terrore.

 

   
 
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