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Autore: GinChocoStoreAndCandy    03/08/2017    1 recensioni
Che cosa accadrebbe se invece dell'Umanità, ci pensasse Madre Natura a far fuori i Giganti?
(Si consiglia di aver letto o visto o conoscere almeno un'opera di Douglas Adams)
Genere: Avventura, Commedia, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: Cross-over, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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L’umanità stava trascorrendo un piacevole pomeriggio estivo. Sulle mura iniziava a fare caldo, un caldo torrido tipico dell’estate, un caldo torrido tipico del cemento quando si surriscalda e rigetta ancora più calore. Con un ombrellone il caldo si sarebbe sopportato meglio, ancora meglio lo si sarebbe sopportato con un Marvin in piedi sulle zampette a fare dieci metri di ombra, passando a venti se lo si convinceva a tenere aperte le ali.
I soldati sulle mura erano certi che sarebbe stato un pomeriggio ancora più piacevole se il loro Marvin si fosse alzato da terra invece di continuare a fare il depresso.
Da una delle scalinate interne emerse Emma. Poco dopo emerse anche Jean. I due rimasero perplessi alla vista della particolare cicogna stesa a terra, chiesero perché era in quelle condizioni e il Comandante Pixis rispose loro che stava stesa a terra perché era depressa. Era ovvio che quella situazione non necessitava della loro attenzione, quindi andarono a parlare con gli altri soldati.
Emma iniziò a raccontare di quello che era accaduto nella mattinata, dell’agenzia assicurativa del battello a vapore che voleva un riscontro, del messaggero che era caduto nel tombino, dei messaggi che si erano persi, della settimana che c’era voluta per ritrovarli e spedirli, delle congetture sul che cosa avesse tranciato a metà il battello e infine la scoperta che non c’era nulla di cui preoccuparsi. L’unica cosa di cui si dovevano preoccupare era da dove venisse la cosa che aveva tranciato a metà il battello. I sospetti maggiori erano che provenisse dalla foresta vicina al villaggio dove erano state rinvenute le impronte di Bigfoot, infatti una squadra dell’Armata Ricognitiva era già stata spedita lì (gli stessi che avevano scoperto e abbattuto la cosa che era strisciata da sotto il tavolo). Secondo i Reparti Speciali, ovvero secondo Emma Summerstone, bisognava andare a ricercare le origini nella foresta di sequoie. Secondo il Comandante, il fatto che le impronte, il battello, la scomparsa dei giganti, la comparsa degli strani esseri, fossero apparsi una settimana prima, era collegata al meteorite caduto nella foresta di sequoie, pertanto bisognava andare lì per trovare risposte concrete.
Per andare lì, ovviamente si intendeva non il Comandante, che doveva compilare il rapporto per la compagnia assicurativa, ma i suoi uomini. Uno era Levi, l’altro era Brian.
Così, lasciati i cavalli alla catapecchia del vecchio che a detta sua comandava l’Universo, me che a detta di tutti era semplicemente pazzo, Levi e Brian si addentrarono nella foresta di sequoie. Camminarono a lungo indisturbati, giungendo fino alla parte centrale, proseguirono tranquillamente fino ad arrivare dall’altra parte della foresta. Non trovando nulla, decisero di tornare indietro. Per variare il percorso presero la strada che costeggiava la foresta. Lungo il percorso trovarono una cava di pietre abbandonata e decisero di esplorarla. Fu lì che trovarono il nido. E fu lì che la cosa a cui apparteneva il nido trovò loro.
L’incontro fu abbastanza spiacevole.
I due soldati provarono a far valere le proprie ragioni, ma non ci fu modo di convincere la madre che loro erano lì per caso e non per mangiare le sue uova. La madre in questione era Carolina e se c’era una cosa che non sopportava era che qualcuno toccasse le sue uova. E soprattutto detestava che gli esseri umani, ottusi per natura, tendessero a ferire tutto quello che non conoscevano. Essendo una madre single era anche molto stressata, quando iniziò sentire i due umani che dicevano frasi tipo Ma questa lucertola da dove è sbucata fuori? Lei che era alta 13 metri; Non l’ho nemmeno sentita arrivare! Lei che pesava otto tonnellate Passiamo alla manovra tridimensionale! Attacchiamola! Lei aveva iniziato a pensare a come rispedirli al mittente e lontano dalle sue uova.
Per quanto riguarda Levi e Brian, le cose non è che fossero migliori. Ogni volta che provavano a tagliare la pelle della lucertola le lame si spezzavano e continuando con insistenza si erano ritrovati senza lame e con poco gas. Per fortuna videro una specie di grotta e decisero di rintanarsi lì e aspettare che la lucertola demordesse.
L’idea peggiore che potessero avere.
 
 



 
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Nella zona del paddock 9 dove sorgevano le case popolari, nel condominio sette, Hansie e Erwin stavano salendo le scale che portavano al sesto piano, dove c’era l’appartamento di Levi.
Il bello di essere scienziati sta nel porsi molte domande. Anche le persone curiose lo fanno, ma ciò che distingue una persona curiosa da uno scienziato è che questi ultimi sanno porsi prevalentemente quelle giuste. O almeno ci provano. Il problema è che certe domande che si pongono li fanno sembrare strani.
In quel momento Hansie, osservando la figura di Erwin si pose nuovamente una domanda che l’assillava da tempo. Una domanda che sentì il bisogno impellente di esternare.
—Ti sei mai chiesto come sarebbe stato se tu e Levi vi foste messi assieme? — disse Hansie fermandosi sul pianerottolo.
—No; ma perché ti fai questa domanda? — disse Erwin fermandosi a sua volta.
—Mi chiedevo a livello tecnico come sarebbe.
—Livello tecnico?
Hansie iniziò a gesticolare.
—Quello che mi chiedo, tu sei quello sensibile, però sei grosso; mentre Levi è quello insensibile, però è piccolo; cioè a livello di massa tu sei il grande e lui il piccolo. Quindi, visto qui siamo in un condominio, mi stavo chiedendo a livello tecnico, chi starebbe al piano inferiore e chi al superiore?
Erwin fissò Hansie, la donna con cui aveva una relazione, con gli occhi sgranati e restando letteralmente sconvolto. Poi le mise le mani sulle spalle, la fissò dritta negli occhi e sospirò.
—Sicura di volerlo sapere? — chiese Erwin e Hansie fece cenno di sì con il capo. Fu sentendo la risposta che capì che essere uno scienziato era una cosa bella, ma anche una cosa pericolosa. Porsi domande è sempre lecito, si disse, ma a volte, di certe domande è meglio non sentire la risposta, o meglio ancora è meglio non farsele proprio certe domande per evitare di sentire la risposta. Purtroppo il danno era ormai fatto e per evitare di sentire quella tragica storia, Hansie si mise a pensare intensamente per coprire il suono delle parole di Erwin.
Pensò così intensamente che per un secondo credette di pensare di sentire i suoi pensieri che si schiantavano contro un muro. Si destò dal pensare solo dopo che un piccolo pezzo d’intonaco le cadde in testa e qualcuno le diede una spinta.
—Hansie la vuoi smettere di fermarti nel mezzo di qualcosa a pensare? — disse Erwin, mentre la spostava da una parte per far passare Mike che salì le scale e si piazzò davanti ai due.
—Ragazzi, c’è una cosa di cui devo assolutamente informarvi — disse Mike —Prima, stavo sulla cima delle mura a cercare di tirare su il morale ad una cicogna gigante. Le abbiamo davvero provate tutte, abbiamo provato ad essere gentili, a chiede se per favore voleva alzarsi e farci ombra; allora abbiamo pensato ai biscotti. Stavo andando a prenderne un po’ quando mi sono reso conto di una cosa.
Si interruppe perché qualcuno gridò. Il grido provenne dall’appartamento di Levi. I tre si guardarono tra loro, perplessi. Poi sentirono un altro grido. Sta volta la voce era diversa.
—Ma chi accidenti c’è lì dentro? — chiese Mike.
—Eren e Christa — rispose Erwin seccato.
—Manca solo Levi — disse Hansie.
I tre soldati rimasero in ascolto dell’arrivo della voce di Levi. Ma non arrivò. Anche se era vero che Levi stava gridando, ma non nel suo appartamento. In compenso, arrivò una deliziosa cacofonia di percussioni ed onomatopee bizzarre, assieme all’elenco di svariati mobili che si trovavano ad arredare la stanza in cui i due ragazzi si erano appostati per aspettare l’arrivo del loro superiore.
Quando iniziarono a crearsi delle crepe intorno alla porta d’ingresso dell’appartamento, i tre soldati si chiesero che cosa stesse davvero accadendo dentro quella stanza.
 
 



 
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Esattamente un’ora prima, Eren e Christa avevano incontrato il comandante dei Reparti Speciali e le avevano chiesto dove stava la nuova casa di Levi, si erano recati lì, avevano in qualche modo forzato la serratura ed erano entrati. Sta volta avevano aspettato.
Il perché e il percome avessero entrambi deciso di coinvolgere il Caporal Maggiore nella loro relazione risiedeva nel semplice fatto che ad Eren piaceva molto Levi e a Christa piaceva che a Eren piacesse Levi. Inoltre entrambi erano convinti che a Levi tutto quell’affetto sarebbe piaciuto tantissimo, ciò era vero; il ciò non vero era che l’affetto trasmesso dai due ragazzi, a Levi non interessava. Così come non gli interessava quello che sarebbe venuto dopo l’affetto.
Effettivamente la cosa che davvero si sarebbero dovuti chiedere Eren e Christa era perché avessero deciso di mettersi insieme, perché avessero deciso di avere una relazione considerando i loro gusti particolari. Le risposte a quelle domande le avevano trovate facilmente, dando la colpa alla loro incapacità di gestire le domeniche pomeriggio.
Per far passare il tempo mentre aspettavano, giocarono con delle tesserine con su scritto delle lettere: il fine del gioco era totalizzare più punti scrivendo con le tessere a disposizione la parola più lunga. Sembrava un gioco senza senso che non avrebbe avuto granché successo in futuro, quindi smisero dopo pochi minuti di giocarci, anche perché qualcosa che somigliava ad un grosso airone si schiantò contro le finestre e distrusse la parete.
I due ragazzi entrarono nel panico, si ripararono dietro il divano, il tavolo, il settimino, il comò, gridando una serie infinita di A e O tra uno schianto e l’altro dell’airone che voleva a tutti i costi acchiapparli. Christa aveva più volte suggerito a Eren di mordersi la mano e trasformarsi in gigante. Purtroppo Eren aveva ricevuto l’ordine tassativo di non trasformarsi all’interno di edifici pubblici finché non fosse stata messa a punto la polizza assicurativa contro gli umani che diventano giganti.
All’ennesimo schianto dell’airone, la parete che dava sul pianerottolo si ruppe, i calcinacci volarono ovunque e le persone che stavano sul pianerottolo e nell’appartamento finirono sulle scale. Dopo essersi districati tra loro, rimessi in piedi e tolta la polvere dai vestiti, dall’altra porta del pianerottolo uscì la vicina di casa di Levi, la signora Morfy, una signora enorme dalla pelle scura, dal carattere frizzante e polemico. Era in tenuta da casa, con una vestaglia azzurra e delle pantofole dello stesso colore e i capelli che formavano una corona vaporosa attorno alla testa.
—Che state combinando sul mio pianerottolo teppisti? — disse la signora Morfy che ci teneva che il suo pianerottolo fosse in ordine.
—Signora, non è nulla di grave, torni al sicuro nella sua casa — disse Hansie in tono cordiale.
—Ascolta spaventapasseri con gli occhiali, sicuro e casa qui non esistono, almeno finché le chiappe dei giganti non saranno prese a calci fino alla fine dell’Universo! — osservò la signora Morfy che ci teneva che i giganti stessero lontani dal suo pianerottolo.
—Signora non siamo sotto un attacco di giganti, ora torni nella sua casa e lasci fare a noi soldati — disse Erwin piuttosto spazientito.
—Io non prendo ordini da uno che va in giro con una cravatta stupida come la tua! — disse la signora Morfy che ci teneva che nessuno le desse ordini sul suo pianerottolo.
—Dov’è Eren? — chiese Christa guardandosi attorno.
—È lì a sbraitare come un forsennato appeso a testa in giù su un airone gigante! — disse la signora Morfy indicando oltre la voragine sul suo pianerottolo.
Poiché era urgente trovare un modo per recuperare Eren e non sapere perché la signora Morfy conoscesse Eren, Erwin pensò alla prima e ignorò la seconda.
—D’accordo uno di noi cercherà di attirare l’attenzione dell’airone, un altro starà appostato; quando l’airone sarà a tiro uno gli spara, così la persona appostata afferrerà al volo Eren traendolo in salvo; coraggio ragazzi andiamo! — disse rapidamente Erwin.
—Volevi dire coraggio ragazze, oggi è il mio giorno libero — disse Mike.
—No, volevo dire proprio coraggio ragazzi.
—Che noia Erwin, lasciami in pace almeno oggi!
—E piantala di lamentarti tanto non stavi facendo niente.
—Va bene, però mi serve un fucile carico.
—Ehi biondone, ce l’ho io un fucile carico e se ti interessa anche io sono bella carica! — disse la signora Morfy ammiccando.
Erwin e Hansie fissarono Mike, il quale era letteralmente senza parole. Il suo cervello stava cercando di trovare quelle giuste per declinare l’offerta della signora, ma era così difficile che ci stava mettendo troppo. Quando il silenzio divenne perseverante Erwin disse a Christa di andare a prendere il fucile e di raggiungerli fuori dalla casa. Anche perché Eren era ancora tra le grinfie dell’airone.
I soldati si appostarono lungo una strada poco trafficata, con Hansie che attirava l’attenzione dell’airone intonando un motivetto che parlava di quanto fosse triste camminare per i boulevard e gli altri due erano invece sul tetto di una della case là attorno.
Precisamente mentre l’airone virava incuriosito dalle note della canzone, nel bar adiacente la casa dove erano appostati Erwin e Mike, l’impresario Coltane stava festeggiando il compleanno di sua figlia Raquel, che, al momento di spegnere le candeline, espresse il semplice desiderio che il suo idolo venisse alla sua festa di compleanno.  

 
 
 
 
 
 
 
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C’era stato un momento nella vita in cui Levi era stato indeciso sul prendere in considerazione l’idea di impazzire.
Suo zio Kenny, che gli aveva fatto anche da padre, nonno e fratello, una volta era impazzito. Si era convinto di essere un coltello e aveva affettato delle persone che erano convinte di essere delle torte (anche se in realtà era lui che era convinto che loro erano convinte di essere convinte di essere delle torte).
Anche Levi era sempre stato convinto di alcune cose, come della sua notevole forza o che i giganti fossero la razza dominante. Tuttavia, nel giro di circa due minuti si era convinto che la sua forza non serviva a nulla e che i giganti erano oramai storia vecchia. E che forse era impazzito senza bisogno di pensarci su troppo, dato che per scappare da una lucertola gigante infuriata, si era intrappolato in quella che lui credeva una caverna, ma che in realtà era una cabina ascensore guasta, assieme ad un tizio che non sbatteva mai le palpebre.
Direi che è meglio questa di quella di diventare un cantante country si disse tra sé.
—Ha sentito, signore? — disse Brian.
—Io non sento niente — disse Levi.
—Esatto.
—Proviamo a uscire.
A quelle parole le pareti della cabina ascensore si accartocciarono verso l’interno, Brian strillò forte nell’orecchio di Levi che divenne completamente sordo per circa dieci minuti.
Dall’altra parte della cabina, intanto, Carolina aveva appena trovato il modo per spedire quei fastidiosi esseri umani lontano dalle sue uova. Presa la cabina tra le fauci, iniziò a camminare verso quei muri altissimi che la facevano sentire insicura ogni volta che ci passava accanto, perché più che dei muri le sembravano delle pignatte.
Quando fu alla giusta distanza dalle pignatte, Carolina fece due cose: dei rapidi calcoli sulla traiettoria da far intraprendere alla cabina; lasciò sbalorditi tutti i soldati di ronda sulle mura.
I soldati andarono in tilt. Essendo abituati alle cose giganti, una lucertola fuori misura non avrebbe dovuto rappresentare un problema, eppure nessuno di loro aveva mai visto una lucertola gigante, soprattutto quella lucertola non somigliava a nessuna lucertola che i soldati avessero mai visto. Perciò i loro cervelli erano impegnati a chiedersi se fosse o meno il caso di attaccare una lucertola gigante. Solo uno di loro si fece un’altra domanda: perché quella lucertola gigante ha in bocca una cabina d’ascensore?
La risposta venne poco dopo, quando la lucertola gigante prese un bello slancio, lanciò la cabina che si schiantò contro le riparazioni del portone, rimbalzò su un campanile e finì in una festa di compleanno.
 
 
 
 
 
 
 
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In un pugno di minuti accadde ogni cosa.
Quando Carolina lanciò la cabina ascensore, Hansie finì il suo assolo canoro sotto gli applausi di una discreta folla di passanti, l’airone volò nella sua direzione, Mike sparò colpendolo alla spalla, Erwin afferrò al volo Eren finendo in un negozio di bicchieri. L’airone finì invece in un bar dove fece esplodere una torta di compleanno a cinque strati addosso a tutti gli invitati. Quando si rialzò per capire dov’era finito gli cadde addosso la cabina di un ascensore.
Nel silenzio di sconcerto che ne seguì si udì il rumore tin! e le porte della cabina si aprirono e ne emerse Levi frastornato e confuso che scambiò le persone che erano nel bar per dei giganti, provò a colpirli con le lame, ma poi si ricordò che non aveva più lame, si chiese come mai e quando se lo ricordò si convinse che la sua lunga e lenta strada per la follia era quasi finita.
Uscì barcollando dal bar, si girò sentendo Brian urlare di essere ferito a morte, lo chiamò e gli fece notare che il rosso che aveva addosso non era di una ferita, ma quello della red velvet che era sparpagliata ovunque.
Levi rimase poi fermo in mezzo alla strada sentendosi un perfetto idiota. Era volato dentro una cabina d’ascensore lanciata da una lucertola gigante e tutto questo perché era andato due settimane prima a una festa casual-karaoke.
—Come ho fatto a ridurmi in questo modo? — si chiese mettendosi a ridere da solo, un’altra cosa che lo fece sentire un perfetto idiota.
Intanto gli si avvicinò Hansie con in mano un cappello pieno di monetine.
—Levi che hai, stai ridendo da solo!? — chiese Hansie.
—Mi sento un perfetto idiota — disse Levi alzando le spalle.
—Può capitare, sei un essere umano in fondo.
—Bella consolazione, se riuscissi a capire almeno la metà delle cose che mi stanno accadendo in questi giorni forse non starei qui a ridere da solo.
—Spesso è meglio non saperle le cose, vivi più sereno, tranquillo, non perdi nemmeno l’entusiasmo di farle le cose perché non sai dove andranno a finire o quando finiranno.
—Certo, come no! In questo istante non ho proprio voglia di sapere nulla di quello che accadrà, il niente più assoluto. L’unica cosa che voglio è tornarmene a casa e farmi una doccia.
—A proposito della tua casa, la parte che dava sul pianerottolo è crollata.
—Crollata?
—Però le altre stanze sono a posto.
Levi ricominciò a ridere. Vide Erwin uscire dal negozio di bicchieri. Ebbe quasi l’impulso di andare da lui e chiedergli un abbraccio, ma scartò l’idea perché davanti a tutta quella gente non era il caso.
—Levi, vuoi un abbraccio di consolazione? — disse Hansie guardando Levi che guardava Erwin.
—Sì, ma non da te — disse Levi.
—Quanto siete carini, un giorno vorrei tanto vedervi mentre vi fate le coccole!
—Hansie?
—Sì.
—Sei un’idiota.
Mentre Levi e Hansie si dedicavano a dirsi quanto erano idioti tra loro, i nervi di Erwin erano sull’orlo di un precipizio senza fine.
—Eren, io non sono un tipo violento, ma ti giuro che forse per questa volta potrei anche fare un’eccezione. Per quale ragione non ti sei trasformato? — disse Erwin cercando di mantenere la calma nel modo più elegante possibile.
—Signore, mi dispiace, c’è quella storia dell’assicurazione, ricorda e poi è un po’ difficile mordersi la mano quando si è a testa in giù — farfugliò Eren rendendosi conto di avere delle ferite che necessitavano, nonostante la rigenarazione, l’intervento di un medico.
—Eren, sei salvo, meno male! — gridò Christa correndo verso di lui.
Erwin alzò gli occhi al cielo mentre Christa dimostrava a Eren tutta la sua preoccupazione. Poco dopo lo raggiunse Mike, preoccupato per il fatto che se Christa era intenta a limonarsi Eren sarebbe toccato a lui riportare il fucile alla vecchia enorme nel pianerottolo.
—Ehi, Erwin ti ricordi che ti stavo parlando di una cosa? — disse Mike.
—Sì, i biscotti — disse Erwin —I migliori li trovi da Sweet Candy Alabama, anche se secondo me il sapore é troppo di burro.
—Pensavo piuttosto di andare da All Sugar Long, vicino alla fontana monumentale, si sono inventati delle decorazioni colorate.
—Sul serio, non lo sapevo; comunque alla Sweet Candy hanno un rapporto qualità prezzo migliore, non cercano di fregarti su peso.
—Di questi tempi il prezzo dello zucchero lievita in modo esponenziale, però quelli della All Sugar sembrano onesti.
—Ma alla fine con questi biscotti che ci devi fare, a te nemmeno piacciono.
—Ci devo tirare su il morale ad una cicogna gigante depressa. A proposito sono tutti spariti sai.
—Cosa?
—Svaniti, scomparsi, niente per centinaia di chilometri.
—Di biscotti? Proprio adesso che a forza di parlarne mi era venuta voglia di mangiarli.
Mike fece per rispondere alla domanda di Erwin.
Non fece in tempo neanche sta volta.
Non fece in tempo perché a causa di una serie di eventi legati alla consistenza della roccia frantumata che subisce un ulteriore trauma, l’impalcatura di sostegno del portone cedette e finì tutto a terra con un gran frastuono.
 
 
 
 
 
 
 
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Ruggito urla ruggito ruggito urla urla ruggito urla ruggito urla ruggito ruggito urla urla urla ruggito ruggito urla urla urla ruggito urla urla ruggito ruggito urla urla ruggito urla ruggito urla ruggito ruggito urla urla urla ruggito ruggito urla urla urla ruggito urla urla ruggito ruggito urla urla ruggito urla ruggito urla ruggito ruggito urla urla urla ruggito ruggito urla urla urla ruggito urla.
Dopo il fracasso del crollo scoppiò, giustamente, il panico. L’ultima volta che le mura erano crollate le cose non è che fossero andate proprio benissimo. Anche se erano riusciti a richiudere il portale, era morta un sacco di gente, perciò anche quella volta il panico fu più che giustificato, comprese le urla.
Tuttavia, in quel martedì pomeriggio estivo, accadde una cosa che ebbe del fenomenale, qualcosa di così inconcepibile per la razza umana che prima che se ne rendesse conto era già passata una buona mezz’ora.
Ciò che accadde nel martedì pomeriggio in cui caddero di nuovo le difese dell’umanità, fu sorprendente tanto quanto il big bang.
Perché ciò che accadde quel martedì pomeriggio, fu niente.
 
 
   
 
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