Titolo: La donna in rosso
Immagine scelta: Irene
Genere: Commedia, Generale
Rating: verde
Avvertimenti: //
Nda (facoltative): in fondo
Quando
Sherlock Holmes entrò nella sala, sapeva esattamente cosa
aspettarsi da quella
serata: musica classica ed una generosa dose di alcolici, seppur
pregiati,
riuscivano a trasformare ogni singola persona in una estremamente...
«Noiosa»,
proferì non appena entrato,«terribilmente
noiosa».
«Tutto è
noioso per te, Sherlock, a meno che non si tratti di qualche cadavere o
di una
nuova scoperta scientifica... a proposito, la signora Hudson ha tolto
la mano
che avevi lasciato nel freezer, prima che andassimo via».
Sherlock
emise un verso di enorme disappunto. «Le avevo detto di non
farlo! Perché le
persone sono sorde solo quando vogliono?».
«Me lo
chiedo spesso anch’io».
«Andiamo,
John, io non sono sordo. Sento tutto ciò che mi dici, solo
che lo trovo
superfluo. Ah, con questa maschera mi verrà
l’orticaria... e questo dannato
mantello!», si lamentò, allentandolo un poco.
«Non ho ancora ben capito cosa ci
faccio io qui. È chiaro che è un’enorme
perdita di tempo - del mio tempo -
e...».
«Oh, per
l’amor di Dio, Sherlock!», esclamò John
quasi esasperato, ingollando alla
svelta il sorso di un qualche liquore pregiato - che solo Mycroft
poteva
conoscere - preso pochi istanti prima, trattenendo a stento uno sbuffo.
Conosceva Sherlock da anni, ormai, eppure le sue continue lamentele
erano
rimaste fastidiose esattamente come il primo giorno. «Per una
volta, potresti
non farlo?».
«Non fare
cosa?».
«Essere
una principessa sul pisello», replicò prontamente
John, lasciando vagare
velocemente lo sguardo per la grande sala soffermandosi su una donna
con un
abito rosso che attirò subito la sua attenzione. Si aggirava
per la sala come
se fosse stata la padrona, anche se John sapeva che non poteva esserlo.
Era
certo di averla già vista, ma non riusciva a ricordare dove
o quando.
«Lamentarti
di tutto e di tutti solo perché, al momento, nessuno ha
chiesto la tua esigente
quanto soffocante presenza. È una festa e ci si aspetta che
la gente si
diverta. E sì», alzò di
un’ottava la voce appena si accorse che Sherlock era
pronto per ribattere, «dovresti farlo anche tu. Male non ti
farebbe».
«Socializzare
non fa per me».
«Oh,
credimi, me ne sono accorto».
«Tutta
questa gente... è un gran spreco di spazio, non
trovi?».
«Sherlock...».
«E va
bene! Non so ballare».
«Questa è
una scusa bella e buona», ribatté pronto John,
ormai allenato ai ragionamenti
del suo coinquilino.
«Non
proprio».
«Non vuoi
ballare? Non farlo», John abbandonò il bicchiere
ormai vuoto sul tavolo, più
che deciso a godersi la festa senza i perenni brontolii di Sherlock,
allontanandosi di qualche passo. «Vado a divertirmi, come
dovresti fare tu».
«Passatempo
sopravvalutato», fu la secca replica del detective a se
stesso. Non era in vena
di fare festa - non lo era mai - tantomeno in una mascherata.
Non era
il divertimento ad essere sopravvalutato, pensò un attimo
dopo occhieggiando
gli invitati e l’intera sala, ma le persone ad essere
semplicemente... seccanti.
«Ero
certo che saresti venuto».
Sherlock
non ebbe bisogno di girarsi per distinguere il proprietario della voce:
quella
fastidiosa di suo fratello non aveva bisogno di riconoscimenti.
«Quanta presunzione,
Mycroft... non ti hanno insegnato che è sbagliato riporre
così tanta fiducia
nelle persone?» Sherlock gli diede uno sguardo veloce,
preferendo impegnare la
sua mente in attività e pensieri molto più
proficui. Come fuggire da quella
sala senza farsi notare - aveva già immaginato oltre venti
modi per riuscirci -,
ad esempio. «Già, mamma e papà devono
averlo scordato».
«Sei
venuto».
Il
detective si accigliò, dietro la maschera nera e bronzo che
John lo aveva
costretto ad indossare. «La
vecchiaia
comincia a farti perdere colpi, Mycroft. Dovresti rimediare. So che al
buffet
servono del pesce... fossi in te mi sbrigherei, prima che i tuoi
invitati - a
proposito, perché li scegli sempre quasi tutti sovrappeso? -
lo finiscano».
Suo
fratello nascose un sorriso divertito, cosa abbastanza semplice da fare
vista
la dimensione del suo lungo ed impiccione naso. «È
qui che ti sbagli, Sherlock.
Non è la fiducia nelle persone che mi permette di
conoscerle... è il controllo
che so di avere su di loro. Estremamente utile, la maggior parte delle
volte,
specie su certi individui disposti a - come dire -
collaborare».
Sherlock
seguì lo sguardo di Mycroft, scoprendolo posato su John.
«Il mare è pieno di
pesci...».
«Io vivo
in un mondo di pesci», concordò Mycroft,
avvicinandosi appena all’orecchio del
fratello per sovrastare la musica classica suonata
dall’orchestra. Sherlock ne
seguì lo sguardo, individuando una donna
dall’abito rosso in tinta con i guanti
- decisamente costoso, a giudicare dalla fattura -, i capelli
perfettamente
acconciati - almeno duecento sterline - e una maschera color oro
sicuramente
italiana: una delle più dispendiose che si potevano trovare
in circolazione.
La riconobbe subito.
«Ma
quelli rossi sono più difficili da ammaestrare».
***
«Lei non
balla, John?».
L’interpellato
negò con un cenno del capo, muovendo le dita abbandonate
lungo il fianco a
tempo di musica. «Sono un pessimo ballerino».
«Come
Sherlock», notò Mycroft, «eppure lui ci
sta provando».
John
guardò nella direzione indicatagli dall’uomo,
scoprendo con stupore Sherlock
impegnato in un valzer con la donna dal vestito rosso che aveva notato
prima:
una mano posata sulla schiena di lei e sguardi impegnati a sondare
quello dell’altro.
John distolse subito gli occhi. Sembravano troppo intimi da guardare
senza provare
una punta di disagio.
«Chi è
lei? La conosco. So di conoscerla».
«Non si
sforzi, signor Watson. Non sempre la memoria ci viene in aiuto, e
talvolta non
può che essere un bene».
«Perché
siamo qui? Voglio dire... Sherlock odia queste cose».
Mycroft
sorrise appena, guardando il fratello e la donna presi a ballare.
Conduceva
lei, con estrema riluttanza di suo fratello. «Una persona
amica mi ha chiesto
un favore».
«In
cambio di? Altri favori?».
«Vedo che
inizia a conoscermi, John. Nessuno fa niente per niente, tantomeno
qualcuno
come Sherlock». Mycroft gli rivolse un’occhiata
lievemente incuriosita.
«Immagino che per lei sia lo stesso. Si impara a zoppicare se
si segue troppo
lo zoppo. O si rischia di cadere.»
John si
accigliò, intuendo l’implicito nelle parole
dell’uomo. «Avevo un bastone, fino
a poco tempo fa».
«Eppure
ora ne è sprovvisto... mi sbaglio?».
«Non
cadrò».
«Certo
che no», annuì Mycroft allo sguardo deciso del
medico. «Anche se mi chiedo come
riuscirà a non farlo. La sua spalla è lontana
metri, al momento».
John
inspirò profondamente, costringendosi a ripetere
ciò che aveva detto fino alla
nausea. «Sherlock è il mio coinquilino e
nient’altro. Siamo amici, è vero, ma
niente di più. Sono stanco di dover ripetere le stesse cose
solo per convincere
la gente del contrario. Sherlock non è il mio
ragazzo».
«Libertà
di opinioni, suppongo. Ma, da come lo sta guardando ora, sarei propenso
a
credere l’opposto».
«Io. Non. Sono. Gay».
«Ma
naturalmente», ne convenne l’altro, e John ebbe la vaga impressione di essere appena stato
zittito come un bambino
capriccioso. «Sembrano belli insieme, vero? Sherlock e quella
donna».
«Ora ho
capito!», esclamò dopo averli osservati
attentamente, lasciando che gli occhi
gli si illuminassero di comprensione. Solo con una persona, oltre lui,
Sherlock
aveva manifestato così tanta confidenza, per i suoi
standard. «È quella donna, Irene
Adler. Cosa ci fa qui?».
«Come ho
detto, si tratta di un favore». Mycroft tagliò
corto. «Ah, John? Non lo faccia
tardare troppo».
«Ora si
preoccupa per lui?».
Mycroft
gli rivolse un sorriso che John non poté non definire
enigmatico.
«Non
faccio altro da una vita intera».
Note.
Primo
esperimento nel fandom, creato per il contest “Un'immagine,
alcune parole e... Sherlock Holmes!” indetto da
MadameT sul forum di efp,
dove bisognava basare una storia su alcune fanart. Ho scelto questa.
Il titolo
prende spunto dal racconto “Uno studio in rosso”,
al quale si sono ispirati per
l’episodio uno della prima stagione. Ho voluto giocare con il
titolo basandolo
su Irene, per via del colore del suo abito.
La frase
“Io vivo in un mondo di pesci (rossi)”
appartiene a Mycroft (La casa vuota, 3x01).
Grazie
per aver letto, spero vi sia piaciuta,
erzsi.