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Autore: erzsi    05/08/2017    5 recensioni
Dal testo:
Sherlock ne seguì lo sguardo, individuando una donna dall’abito rosso in tinta con i guanti - decisamente costoso, a giudicare dalla fattura -, i capelli perfettamente acconciati - almeno duecento sterline - e una maschera color oro sicuramente italiana: una delle più dispendiose che si potevano trovare in circolazione.
La riconobbe subito.

Prima Classificata al contest "Un'immagine, alcune parole e... Sherlock Holmes!" indetto da MadameT sul forum di EFP
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: La donna in rosso
Immagine scelta: Irene
Genere: Commedia, Generale
Rating: verde
Avvertimenti: //
Nda (facoltative): in fondo




 

 

 

Quando Sherlock Holmes entrò nella sala, sapeva esattamente cosa aspettarsi da quella serata: musica classica ed una generosa dose di alcolici, seppur pregiati, riuscivano a trasformare ogni singola persona in una estremamente...
«Noiosa», proferì non appena entrato,«terribilmente noiosa».
«Tutto è noioso per te, Sherlock, a meno che non si tratti di qualche cadavere o di una nuova scoperta scientifica... a proposito, la signora Hudson ha tolto la mano che avevi lasciato nel freezer, prima che andassimo via».
Sherlock emise un verso di enorme disappunto. «Le avevo detto di non farlo! Perché le persone sono sorde solo quando vogliono?».
«Me lo chiedo spesso anch’io».
«Andiamo, John, io non sono sordo. Sento tutto ciò che mi dici, solo che lo trovo superfluo. Ah, con questa maschera mi verrà l’orticaria... e questo dannato mantello!», si lamentò, allentandolo un poco. «Non ho ancora ben capito cosa ci faccio io qui. È chiaro che è un’enorme perdita di tempo - del mio tempo - e...».
«Oh, per l’amor di Dio, Sherlock!», esclamò John quasi esasperato, ingollando alla svelta il sorso di un qualche liquore pregiato - che solo Mycroft poteva conoscere - preso pochi istanti prima, trattenendo a stento uno sbuffo. Conosceva Sherlock da anni, ormai, eppure le sue continue lamentele erano rimaste fastidiose esattamente come il primo giorno. «Per una volta, potresti non farlo?».
«Non fare cosa?».
«Essere una principessa sul pisello», replicò prontamente John, lasciando vagare velocemente lo sguardo per la grande sala soffermandosi su una donna con un abito rosso che attirò subito la sua attenzione. Si aggirava per la sala come se fosse stata la padrona, anche se John sapeva che non poteva esserlo. Era certo di averla già vista, ma non riusciva a ricordare dove o quando.
«Lamentarti di tutto e di tutti solo perché, al momento, nessuno ha chiesto la tua esigente quanto soffocante presenza. È una festa e ci si aspetta che la gente si diverta. E sì», alzò di un’ottava la voce appena si accorse che Sherlock era pronto per ribattere, «dovresti farlo anche tu. Male non ti farebbe».
«Socializzare non fa per me».
«Oh, credimi, me ne sono accorto».
«Tutta questa gente... è un gran spreco di spazio, non trovi?».
«Sherlock...».
«E va bene! Non so ballare».
«Questa è una scusa bella e buona», ribatté pronto John, ormai allenato ai ragionamenti del suo coinquilino.
«Non proprio».
«Non vuoi ballare? Non farlo», John abbandonò il bicchiere ormai vuoto sul tavolo, più che deciso a godersi la festa senza i perenni brontolii di Sherlock, allontanandosi di qualche passo. «Vado a divertirmi, come dovresti fare tu».
«Passatempo sopravvalutato», fu la secca replica del detective a se stesso. Non era in vena di fare festa - non lo era mai - tantomeno in una mascherata.
Non era il divertimento ad essere sopravvalutato, pensò un attimo dopo occhieggiando gli invitati e l’intera sala, ma le persone ad essere semplicemente... seccanti.
«Ero certo che saresti venuto».
Sherlock non ebbe bisogno di girarsi per distinguere il proprietario della voce: quella fastidiosa di suo fratello non aveva bisogno di riconoscimenti.
«Quanta presunzione, Mycroft... non ti hanno insegnato che è sbagliato riporre così tanta fiducia nelle persone?» Sherlock gli diede uno sguardo veloce, preferendo impegnare la sua mente in attività e pensieri molto più proficui. Come fuggire da quella sala senza farsi notare - aveva già immaginato oltre venti modi per riuscirci -, ad esempio. «Già, mamma e papà devono averlo scordato».
«Sei venuto».
Il detective si accigliò, dietro la maschera nera e bronzo che John lo aveva costretto ad indossare. «La vecchiaia comincia a farti perdere colpi, Mycroft. Dovresti rimediare. So che al buffet servono del pesce... fossi in te mi sbrigherei, prima che i tuoi invitati - a proposito, perché li scegli sempre quasi tutti sovrappeso? - lo finiscano».
Suo fratello nascose un sorriso divertito, cosa abbastanza semplice da fare vista la dimensione del suo lungo ed impiccione naso. «È qui che ti sbagli, Sherlock. Non è la fiducia nelle persone che mi permette di conoscerle... è il controllo che so di avere su di loro. Estremamente utile, la maggior parte delle volte, specie su certi individui disposti a - come dire - collaborare».
Sherlock seguì lo sguardo di Mycroft, scoprendolo posato su John. «Il mare è pieno di pesci...».
«Io vivo in un mondo di pesci», concordò Mycroft, avvicinandosi appena all’orecchio del fratello per sovrastare la musica classica suonata dall’orchestra. Sherlock ne seguì lo sguardo, individuando una donna dall’abito rosso in tinta con i guanti - decisamente costoso, a giudicare dalla fattura -, i capelli perfettamente acconciati - almeno duecento sterline - e una maschera color oro sicuramente italiana: una delle più dispendiose che si potevano trovare in circolazione.
La riconobbe subito.
«Ma quelli rossi sono più difficili da ammaestrare».

 

***

 

«Lei non balla, John?».
L’interpellato negò con un cenno del capo, muovendo le dita abbandonate lungo il fianco a tempo di musica. «Sono un pessimo ballerino».
«Come Sherlock», notò Mycroft, «eppure lui ci sta provando».
John guardò nella direzione indicatagli dall’uomo, scoprendo con stupore Sherlock impegnato in un valzer con la donna dal vestito rosso che aveva notato prima: una mano posata sulla schiena di lei e sguardi impegnati a sondare quello dell’altro. John distolse subito gli occhi. Sembravano troppo intimi da guardare senza provare una punta di disagio.
«Chi è lei? La conosco. So di conoscerla».
«Non si sforzi, signor Watson. Non sempre la memoria ci viene in aiuto, e talvolta non può che essere un bene».
«Perché siamo qui? Voglio dire... Sherlock odia queste cose».
Mycroft sorrise appena, guardando il fratello e la donna presi a ballare. Conduceva lei, con estrema riluttanza di suo fratello. «Una persona amica mi ha chiesto un favore».
«In cambio di? Altri favori?».
«Vedo che inizia a conoscermi, John. Nessuno fa niente per niente, tantomeno qualcuno come Sherlock». Mycroft gli rivolse un’occhiata lievemente incuriosita. «Immagino che per lei sia lo stesso. Si impara a zoppicare se si segue troppo lo zoppo. O si rischia di cadere.»
John si accigliò, intuendo l’implicito nelle parole dell’uomo. «Avevo un bastone, fino a poco tempo fa».
«Eppure ora ne è sprovvisto... mi sbaglio?».
«Non cadrò».
«Certo che no», annuì Mycroft allo sguardo deciso del medico. «Anche se mi chiedo come riuscirà a non farlo. La sua spalla è lontana metri, al momento».
John inspirò profondamente, costringendosi a ripetere ciò che aveva detto fino alla nausea. «Sherlock è il mio coinquilino e nient’altro. Siamo amici, è vero, ma niente di più. Sono stanco di dover ripetere le stesse cose solo per convincere la gente del contrario. Sherlock non è il mio ragazzo».
«Libertà di opinioni, suppongo. Ma, da come lo sta guardando ora, sarei propenso a credere l’opposto».
«Io. Non. Sono. Gay».
«Ma naturalmente», ne convenne l’altro, e John ebbe la vaga impressione di essere appena stato zittito come un bambino capriccioso. «Sembrano belli insieme, vero? Sherlock e quella donna».
«Ora ho capito!», esclamò dopo averli osservati attentamente, lasciando che gli occhi gli si illuminassero di comprensione. Solo con una persona, oltre lui, Sherlock aveva manifestato così tanta confidenza, per i suoi standard. «È quella donna, Irene Adler. Cosa ci fa qui?».
«Come ho detto, si tratta di un favore». Mycroft tagliò corto. «Ah, John? Non lo faccia tardare troppo».
«Ora si preoccupa per lui?».
Mycroft gli rivolse un sorriso che John non poté non definire enigmatico.
«Non faccio altro da una vita intera».

 

 

 

 

 

 

 

Note.

Primo esperimento nel fandom, creato per il contest “Un'immagine, alcune parole e... Sherlock Holmes!” indetto da MadameT sul forum di efp, dove bisognava basare una storia su alcune fanart. Ho scelto questa.
Il titolo prende spunto dal racconto “Uno studio in rosso”, al quale si sono ispirati per l’episodio uno della prima stagione. Ho voluto giocare con il titolo basandolo su Irene, per via del colore del suo abito.
La frase “Io vivo in un mondo di pesci (rossi)” appartiene a Mycroft (La casa vuota, 3x01).
Grazie per aver letto, spero vi sia piaciuta,
erzsi.

   
 
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