There
was joy, there was hurt
L’aria,
nell’elegante sala ricevimenti gremita di altrettanto
eleganti personaggi, era
piena solo ed esclusivamente delle note calde e intense del larghetto
di
Chopin. Per gli invitati, immobili e silenziosi, il tempo sembrava
essersi
fermato.
Oltre quella musica, pareva non esistesse più altra forma di
bellezza che
valesse la pena di soffermarsi a contemplare. Non ne valevano la pena
gli abiti
eleganti, gli splendidi gioielli, le decorazioni floreali alle pareti.
Adrien Agreste era diventato molto più avvenente di quanto
il suo aspetto
gradevole di adolescente avesse potuto suggerire anni prima. Le sue
belle dita sfioravano
le note del pianoforte con estrema delicatezza e
passionalità, quasi come stessero
amando una donna.
Ma la malinconia di quel notturno lo spogliava di ogni
corporeità, rendendolo
in grado di insinuarsi nell’animo dell’uditorio,
etereo ed al contempo tangibile,
come nelle narici il più amabile e seducente dei profumi.
Carezzava le loro
pelli come un sospiro, si faceva spazio tra i pensieri, scivolava lungo
le
tende appena smosse dalla lieve brezza, smussava gli spigoli della
stanza e
quelli sui volti degli ospiti. Tutto appariva come illuminato da una
diversa
luce, gentile, discreta, che con estremo garbo sembrava opporsi alla
sfrontatezza con la quale il sole si stagliava al centro del cielo di
quel
caldo mezzogiorno. Per pochi minuti, quei sei quarti scandirono il
tempo delle
vite di tutti i presenti, e al di fuori di essi non esisteva
nient’altro.
L’ironia della sorte voleva che il giovane fosse ben
consapevole della sua
abilità di esecutore, ma non aveva mai permesso alle proprie
emozioni di prendere
voce nell’interpretazione di un brano, o almeno, mai prima di
allora.
Invece, eccolo lì, a stregare chi credeva di conoscerlo da
sempre con un ardire
inusitato, una spontaneità di certo sconveniente per chi
come lui aveva da
sempre vissuto nella più impersonale e insindacabile delle
eccellenze.
Quelle erano le uniche parole che gli erano rimaste per gridare al
mondo quanto
amore era stato in grado di provare, e non c’era modo che
alcun uomo o donna al
mondo potesse privarlo di esse. Soprattutto adesso che lei era
lì e poteva
sentirlo.
A pochi passi dal pianoforte e dal pianista, una giovane coppia
ascoltava
trattenendo il respiro.
Alya e Nino si stringevano le mani emozionati.
Non avrebbero potuto ricevere regalo più bello, nel giorno
delle loro nozze.
Lentamente, il brano si avviò alla sua conclusione,
liberando poco a poco il
pubblico dal suo incantesimo e consentendogli di trovare la forza per
profanare
quel silenzio sacro con un applauso entusiasta.
Solo una giovane donna, in piedi qualche passo indietro, non vi prese
parte. Preferì
rimanere con gli occhi chiusi e un lieve sorriso dipinto sulle labbra
rosee. Teneva
entrambe le mani poggiate sul cuore, la frequenza alterata.
La sposina si asciugò le lacrime con il dorso della mano,
mentre lo sposino, in
un impeto di entusiasmo, le stampò un tenero bacio a fior di
labbra, pur
sapendo quanto ciò, se fatto in pubblico, imbarazzasse la
sua compagna di vita.
Ricevette, infatti, un doloroso pugno al centro dello stomaco che lo
fece
piegare in due, scatenando l’ilarità e le risate
di parenti e amici.
Guardando distrattamente la scena, Adrien non poté fare a
meno di sorridere,
ancora seduto sullo sgabello, incapace di emettere un singolo suono o
di
spostarsi di un millimetro. Era ancora dentro la sua musica, come anche
la
donna che, incurante dell’allegria generale, era rimasta in
piedi ad occhi
chiusi, sorridente, le mani sul cuore.
Gli occhi verde smeraldo del pianista si posarono con estrema tenerezza
sulla
sua figura esile, avvolta in uno splendido abito rosso della tradizione
cinese.
Era solo un paio di centimetri più alta di quanto la
ricordasse, forse per
merito del leggero tacco, e portava i capelli sciolti, poco
più lunghi del
solito. Adrien si chiese divertito se li avesse pettinati
così solo per l’occasione
e nel quotidiano li raccogliesse ancora in quelle adorabili codine come
ai
tempi del liceo, o se invece fosse diventata troppo adulta e
sofisticata per
quel genere di acconciatura.
Era splendida.
Si erano incontrati quel giorno per la prima volta dopo sei
lunghissimi
anni, e lui non si era meravigliato nello scoprirsi ancora capace di guardarla in quel modo. Non aveva mai sospettato, neppure per un
secondo, che
quei sentimenti si fossero affievoliti.
Marinette si decise ad aprire lentamente le palpebre e la prima cosa
che il suo
sguardo incontrò fu quello del giovane.
Smeraldo e zaffiro si incastrarono alla perfezione, fatalmente per
entrambi,
ancora una volta.
Il sorriso di lei si spense, ma mosse piano due passi nella sua
direzione,
quasi automaticamente. Gli occhi di Adrien non riuscivano a scostarsi
di un
millimetro dai suoi e ogni cellula del suo corpo vibrava
dall’emozione.
E poi altri due, incerti.
Deglutì, senza smettere di fissarla, mentre il tempo
sembrava aver rallentato
inverosimilmente.
E ancora due, prima di… andare a sbattere contro un
cameriere che passava di lì
frettolosamente e che non poté evitare che due bicchieri di
vino bianco le
macchiassero l’abito.
«Oh…» Adrien si alzò di
scatto, facendo come per andarle incontro.
Ma si fermò in tempo.
A soccorrerla, l’aveva preceduto il suo compagno.
Adrien non poteva sentire cosa stessero dicendo di preciso, ma
immaginava che
Marinette stesse balbettando qualche scusa, imbarazzatissima come
suggeriva
anche il colorito paonazzo che aveva assunto, mentre Nathaniel
Kurtzberg la
rassicurava sorridente; lo vide prendere i fazzoletti di stoffa che il
cameriere aveva porto loro, ringraziando e congedandolo. Lei, con quei
meravigliosi occhi azzurri, ora guardava lui, ispirando tanta
dolcezza… Sembrava
una bambina sorpresa a compiere una marachella.
Non era cambiata per nulla. Sempre tanto distratta e maldestra.
L’emozione nel suo sguardo si spense, e il suo posto venne
preso da un grosso
nodo alla gola, impossibile da sciogliere.
Quando Marinette si voltò ancora nella sua direzione, non lo
trovò più.
Le parve di sentire la terra venir meno sotto i suoi piedi e
iniziò a spostare
ansiosamente lo sguardo da un punto all’altro della sala.
Aveva deciso di avvicinarsi a lui, pochi istanti prima, senza sapere
neppure
come sarebbe stato corretto salutarlo, o se ne sarebbe stata in grado.
Eppure
non desiderava altro, da molto tempo.
«Marinette, cerchi qualcuno?»
La voce affettuosa di Nathaniel la riportò alla
realtà.
«Oh, no… No, mi sembrava di aver visto Alix, te la
ricordi, no?» mentì, a
disagio.
«Certo,» mormorò confuso, ricordandole:
«l’abbiamo salutata poco fa, con Kim, ma
adesso credo siano entrambi in terrazza. Invece non abbiamo ancora
salutato Mylene
Haprele e Adrien Agreste…». Mormorò
quel nome distrattamente, simulando di
dargli scarsa importanza e prendendola per mano. Marinette
ricambiò la stretta,
abbozzando un sorriso malinconico.
Non aveva mai amato nessuno come Adrien, e non ne sarebbe
più stata in grado
nemmeno in futuro. Questo, il suo Nathaniel lo aveva accettato da
tempo, ma
sapeva anche che lei sarebbe rimasta al suo fianco. Se
l’erano promessi, e
insieme avevano raggiunto un’armonia invidiabile agli occhi
di tutti. Non
esistevano ombre o gelosia tra loro, e anche il passato era ben noto a
entrambi; non c’era nulla da temere.
«Ragazzi, eccovi!» Alya, raggiante, prese per il
braccio Marinette.
«Scusa Pomodorino, mi
presteresti la
mia testimone per qualche foto in giardino?»
La moretta annuì con entusiasmo, e Nathaniel
lasciò la sua mano sorridendo a
entrambe.
«Grazie al cielo era solo vino bianco,»
scherzò schiacciandole l’occhio, «o
nelle foto il tuo vestito sarebbe stato immortalato come
un’opera di arte
contemporanea».
«Cos’hai fatto con il vin… Aaaah,
preferisco non sapere! E poi guardate che anche il bianco macchia, zucconi!» scosse la testa Alya
rassegnata, scrutando l'amica da testa a piedi e ridacchiando. «Ogni foto verrà debitamente corretta, non temere Marinette».
«Siete davvero simpatici, entrambi!»
Marinette mugugnò ancora qualcosa gonfiando le guance, in
segno di protesta,
poi sorrise al compagno e si lasciò trascinare
dall’amica verso il giardino del
locale.
Il sole aveva ricominciato a splendere sfacciatamente. Marinette
pensò che
magari volesse anche lui festeggiare il matrimonio di Alya, ma tutta
quella
luce… le faceva un po’ male al cuore.
«Sai, all’inizio non mi convinceva,
ma…» iniziò la sposina rallentando, con
tono ammiccante, una volta lontane dagli invitati, «ti vuole
davvero molto
bene, tu sei – dio,
Marinette – tu
sei un incanto, lui è carino, insomma… in fin dei conti
funzionate».
Marinette ridacchiò scuotendo la testa.
«Oggi devi essere tu a ricevere le congratulazioni, non
io.»
«Beh, sai, ci stavo riflettendo prima, mentre Adrien
suonava…», le parole di
Alya richiamarono quelle note alla mente di Marinette e il suo cuore
mancò un
battito, mentre l’amica continuò, «La
piega che prende la vita certe volte è
davvero strana. Io e Nino ci siamo innamorati in maniera molto
insolita, mentre
lui all’epoca avrebbe desiderato uscire con
te…», Alya si interruppe per
sorridere a trentadue denti, al ricordo di
quell’indimenticabile pomeriggio
allo zoo, «Eppure eccoci qua, al nostro matrimonio, sette anni dopo. Non è
sorprendente?».
Marinette annuì, emozionata al pensiero di aver visto
sbocciare e crescere l’amore
tra quei due amici così importanti, e si attaccò
in uno slancio d’affetto al
braccio di Alya, ridacchiando.
La riccia le diede una piccola pacca sulla testa, e proseguì
con il suo
discorso: «E tu, invece, così innamorata di Adrien
da sempre, alla fine hai
ceduto al corteggiamento del tuo più affezionato spasimante.
Anche tu, insomma,
adesso sei al fianco di una persona che non ti saresti mai, mai, mai
aspettata,
finalmente adulta, dopo aver scacciato via i sogni romantici e immaturi
dell’adolescenza,
ma sempre pronta a fare a spallate con Chloé Bourgeois pur
di prendere al volo
il mio bouquet. Insomma, anche una casinista come te, grazie a quel
timidone
laggiù, è riuscita a trovare un po’ di
stabilità. E non c’è nulla di
più bello di
quando la maturità e i sogni romantici, in un instante ben
preciso che attendi
da sempre, finalmente si incontrano e iniziano a combaciare, insomma,
è da quel
punto in poi che inizi a costruire… tutto, il futuro, una
famiglia. E ciò
avviene sempre nella maniera più inattesa. La vita
è davvero sorprendente,
eppure… per quanto sembri strano persino a me, forse questo
era il finale
più giusto per me e Nino, come lo è per te, Adrien, e
Nathaniel».
Alya concluse il discorso con tono speranzoso, ma il suo entusiasmo si
smorzò
non appena si voltò a cercare il responso
dell’amica e incontrò i suoi occhi
pieni fino all’orlo di lacrime.
«Oh, cara…»
«Sembrava che stesse suonando per me, Alya,
s-sembrava…»
La riccia rimase in silenzio per qualche secondo, fissandola con aria
sconvolta. Poi, la trascinò per un braccio sotto un gazebo,
lontano da sguardi
indiscreti, e lì la strinse con tutte le sue forze tra le
braccia.
Marinette continuò a singhiozzare a lungo, con il viso
nascosto in quell’abbraccio
e protetta dalle materne carezze di Alya, la quale, invece, aveva
assunto l’espressione
tormentata e colpevole di chi aveva fallito nel compito di proteggere
un amico.
«Mi hai fatto pensare per tanto di quel tempo che fossi
felice così… accidenti.»
A quella frase, Marinette prese un respiro profondo, cercando di
parlare e
riuscendoci con estrema difficoltà.
«P-perdonami Alya, non è colpa tua, ma mia, e sua,
è che… era per me, capisci? Per
me…»
La guardò negli occhi quasi in cerca di conferme, con
disperazione. Li aveva
gonfi e arrossati.
«Non so se fosse davvero per te, Marinette… ma
ammetto di averlo pensato anche
io, per un secondo», disse cauta, invitandola
a sedersi su una sedia a dondolo, all’ombra del gazebo, e
prendendole posto
accanto.
«Da quando sei partita per Londra, non ho più
capito molto di questa storia. Mi
sono fidata ciecamente dei tuoi racconti, ma per quanto Nathaniel sia
riuscita
a digerirlo molto lentamente, non avrei mai potuto immaginare che, dopo
tutti
questi anni, ancora tu…»
«Io amo Nathaniel», mise in chiaro con decisione.
«Ma forse non ne dovremmo parlare adesso,»
Marinette si alzò in piedi,
asciugandosi frettolosamente le guance con il dorso delle mani, ancora
tremante
e con fare concitato, «non in un giorno tanto bello, e poi
hai degli ospiti di
là che ti aspettano, il photoset, oh cielo, non ci stavano
aspettando per
quelle fot-?».
Alya la trattenne con decisione per la mano.
«Scappa da chi vuoi. Da Nathaniel, da Adrien, ma…
non scappare da me.»
Marinette, estenuata dall’ennesimo tentativo di nascondersi,
riprese posto
accanto a lei, e inspirò profondamente.
«L’ultimo anno di liceo… lo ricordi?
È stato un anno meraviglioso, per quanto…
complicato. Ma crescere non è mai facile, e la sua bellezza
sta proprio nella
sua difficoltà.
Eravamo tutti così eccitati al pensiero del futuro che ci
avrebbe attesi fuori
dal Lycée Dupont.
Io desideravo proseguire nel settore della moda a qualsiasi costo, era
il mio
sogno più grande. Ricordi il mio sketch-book? Il mio primo
portfolio…
Inviai a inizio anno una lettera per richiedere un colloquio in quella
prestigiosa scuola londinese, allegando i miei lavori. Passarono
così tanti
mesi senza che io ricevessi alcuna risposta, che dimenticai persino di
averla
spedita.
Poi la corsa al diploma, le liti continue, le feste e le nostre
avventure
quotidiane.
Ad esempio, ricordi quando…
Note
dell’autrice
svitata:
Non
so che mi è preso,
lo giuro. Anni di inattività per poi iniziare due long
contemporaneamente la
stessa settimana, cosa che non avevo mai fatto nella vita.
E di là c’è sempre il mio libro di
anatomia I che mi ricorda che io ho un esame
a inizio Settembre.
Mi sento come Tom Hanks alla fine di The Circle, quando con un sorriso
serafico
constata: “Siamo fottuti”.
Non so perché l’ho fatto. Ma mamma mi quanto
è bono Adrien quando suona il
piano, lo vediamo sempre tirare di scherma ma mai suonare il piano (o
almeno,
questo vale per me che di ff su Miraculous ne ho lette quattro in
croce, magari
qui ci si ricama assai su questa cosa ma io non lo so, e in quel caso,
perdonatemi: sono semplicemente innamorata di lui come tutto il resto
del
fandom).
Avevo una voglia enorme di scrivere un’ AU semplice semplice
di questo genere,
e la cosa più grave è che mentre scrivevo mi
è venuta un’idea decisamente
migliore di questa – sì, sì, tutti
così dicono – che mi tengo in caldo per il
futuro… forse. Se
non me la dimentico
prima (no, non è vero, l’ho appuntata). Comunque
questa terza idea sarà
certamente meno deprimente delle prime due.
(Abbasso l’allegria media della sezione, mi sa). Ovviamente
dal prossimo
capitolo parte il super flashback.
E’ perché ascolto canzoni tristi mentre scrivo
alle tre del mattino. Stavolta,
Remember When di Alan Jackson, che in realtà è un
po’ malinconica ma proprio
tanto dolce.
“Eh,
sì, ma
che c’entra con quello che hai scritto?”
Beh, domanda legittima, ma, hey, questo è solo il primo
capitolo.
Al solito, fatemi notare tutto quello che non va, o quello che magari
va,
perché sì, un giorno di questi potrei anche
scrivere qualcosa di buono (ma quel
giorno non è oggi).
Grazie infinitamente per aver letto fin qui e per avermi sopportata in
queste
note, sono una gran chiacchierona.
Sempre grata,
Dearly B.