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Autore: Dearly Beloved    07/08/2017    4 recensioni
[AU]
Adrien e Marinette si incontrano per la prima volta dopo molti anni al matrimonio dei due amici di sempre, Alya e Nino, ma un evento passato sembra aver incrinato definitivamente il loro rapporto.
La giovane si illude di aver trovato la felicità accanto ad un altro uomo, ma presto la maschera che ha costruito tanto faticosamente cadrà, scoprendo un'antica ferita mai completamente rimarginata, e che solo il suo primo amore sembra in grado di portare a completa guarigione.
[La storia ha subito una lievissima revisione al Prologo il 5 Febbraio, per ragioni di coerenza di trama]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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There was joy, there was hurt







L’aria, nell’elegante sala ricevimenti gremita di altrettanto eleganti personaggi, era piena solo ed esclusivamente delle note calde e intense del larghetto di Chopin. Per gli invitati, immobili e silenziosi, il tempo sembrava essersi fermato.
Oltre quella musica, pareva non esistesse più altra forma di bellezza che valesse la pena di soffermarsi a contemplare. Non ne valevano la pena gli abiti eleganti, gli splendidi gioielli, le decorazioni floreali alle pareti.
Adrien Agreste era diventato molto più avvenente di quanto il suo aspetto gradevole di adolescente avesse potuto suggerire anni prima. Le sue belle dita sfioravano le note del pianoforte con estrema delicatezza e passionalità, quasi come stessero amando una donna.
Ma la malinconia di quel notturno lo spogliava di ogni corporeità, rendendolo in grado di insinuarsi nell’animo dell’uditorio, etereo ed al contempo tangibile, come nelle narici il più amabile e seducente dei profumi. Carezzava le loro pelli come un sospiro, si faceva spazio tra i pensieri, scivolava lungo le tende appena smosse dalla lieve brezza, smussava gli spigoli della stanza e quelli sui volti degli ospiti. Tutto appariva come illuminato da una diversa luce, gentile, discreta, che con estremo garbo sembrava opporsi alla sfrontatezza con la quale il sole si stagliava al centro del cielo di quel caldo mezzogiorno. Per pochi minuti, quei sei quarti scandirono il tempo delle vite di tutti i presenti, e al di fuori di essi non esisteva nient’altro.
L’ironia della sorte voleva che il giovane fosse ben consapevole della sua abilità di esecutore, ma non aveva mai permesso alle proprie emozioni di prendere voce nell’interpretazione di un brano, o almeno, mai prima di allora.
Invece, eccolo lì, a stregare chi credeva di conoscerlo da sempre con un ardire inusitato, una spontaneità di certo sconveniente per chi come lui aveva da sempre vissuto nella più impersonale e insindacabile delle eccellenze.
Quelle erano le uniche parole che gli erano rimaste per gridare al mondo quanto amore era stato in grado di provare, e non c’era modo che alcun uomo o donna al mondo potesse privarlo di esse. Soprattutto adesso che lei era lì e poteva sentirlo.
A pochi passi dal pianoforte e dal pianista, una giovane coppia ascoltava trattenendo il respiro.
Alya e Nino si stringevano le mani emozionati.
Non avrebbero potuto ricevere regalo più bello, nel giorno delle loro nozze.
Lentamente, il brano si avviò alla sua conclusione, liberando poco a poco il pubblico dal suo incantesimo e consentendogli di trovare la forza per profanare quel silenzio sacro con un applauso entusiasta.
Solo una giovane donna, in piedi qualche passo indietro, non vi prese parte. Preferì rimanere con gli occhi chiusi e un lieve sorriso dipinto sulle labbra rosee. Teneva entrambe le mani poggiate sul cuore, la frequenza alterata.
La sposina si asciugò le lacrime con il dorso della mano, mentre lo sposino, in un impeto di entusiasmo, le stampò un tenero bacio a fior di labbra, pur sapendo quanto ciò, se fatto in pubblico, imbarazzasse la sua compagna di vita.
Ricevette, infatti, un doloroso pugno al centro dello stomaco che lo fece piegare in due, scatenando l’ilarità e le risate di parenti e amici.
Guardando distrattamente la scena, Adrien non poté fare a meno di sorridere, ancora seduto sullo sgabello, incapace di emettere un singolo suono o di spostarsi di un millimetro. Era ancora dentro la sua musica, come anche la donna che, incurante dell’allegria generale, era rimasta in piedi ad occhi chiusi, sorridente, le mani sul cuore.
Gli occhi verde smeraldo del pianista si posarono con estrema tenerezza sulla sua figura esile, avvolta in uno splendido abito rosso della tradizione cinese. Era solo un paio di centimetri più alta di quanto la ricordasse, forse per merito del leggero tacco, e portava i capelli sciolti, poco più lunghi del solito. Adrien si chiese divertito se li avesse pettinati così solo per l’occasione e nel quotidiano li raccogliesse ancora in quelle adorabili codine come ai tempi del liceo, o se invece fosse diventata troppo adulta e sofisticata per quel genere di acconciatura.
Era splendida.
Si erano incontrati quel giorno per la prima volta dopo sei lunghissimi anni, e lui non si era meravigliato nello scoprirsi ancora capace di guardarla in quel modo. Non aveva mai sospettato, neppure per un secondo, che quei sentimenti si fossero affievoliti.
Marinette si decise ad aprire lentamente le palpebre e la prima cosa che il suo sguardo incontrò fu quello del giovane.
Smeraldo e zaffiro si incastrarono alla perfezione, fatalmente per entrambi, ancora una volta.
Il sorriso di lei si spense, ma mosse piano due passi nella sua direzione, quasi automaticamente. Gli occhi di Adrien non riuscivano a scostarsi di un millimetro dai suoi e ogni cellula del suo corpo vibrava dall’emozione.
E poi altri due, incerti.
Deglutì, senza smettere di fissarla, mentre il tempo sembrava aver rallentato inverosimilmente.
E ancora due, prima di… andare a sbattere contro un cameriere che passava di lì frettolosamente e che non poté evitare che due bicchieri di vino bianco le macchiassero l’abito.
«Oh…» Adrien si alzò di scatto, facendo come per andarle incontro.
Ma si fermò in tempo.
A soccorrerla, l’aveva preceduto il suo compagno.
Adrien non poteva sentire cosa stessero dicendo di preciso, ma immaginava che Marinette stesse balbettando qualche scusa, imbarazzatissima come suggeriva anche il colorito paonazzo che aveva assunto, mentre Nathaniel Kurtzberg la rassicurava sorridente; lo vide prendere i fazzoletti di stoffa che il cameriere aveva porto loro, ringraziando e congedandolo. Lei, con quei meravigliosi occhi azzurri, ora guardava lui, ispirando tanta dolcezza… Sembrava una bambina sorpresa a compiere una marachella.
Non era cambiata per nulla. Sempre tanto distratta e maldestra.
L’emozione nel suo sguardo si spense, e il suo posto venne preso da un grosso nodo alla gola, impossibile da sciogliere.
Quando Marinette si voltò ancora nella sua direzione, non lo trovò più.
Le parve di sentire la terra venir meno sotto i suoi piedi e iniziò a spostare ansiosamente lo sguardo da un punto all’altro della sala.
Aveva deciso di avvicinarsi a lui, pochi istanti prima, senza sapere neppure come sarebbe stato corretto salutarlo, o se ne sarebbe stata in grado. Eppure non desiderava altro, da molto tempo.
«Marinette, cerchi qualcuno?»
La voce affettuosa di Nathaniel la riportò alla realtà.
«Oh, no… No, mi sembrava di aver visto Alix, te la ricordi, no?» mentì, a disagio.
«Certo,» mormorò confuso, ricordandole: «l’abbiamo salutata poco fa, con Kim, ma adesso credo siano entrambi in terrazza. Invece non abbiamo ancora salutato Mylene Haprele e Adrien Agreste…». Mormorò quel nome distrattamente, simulando di dargli scarsa importanza e prendendola per mano. Marinette ricambiò la stretta, abbozzando un sorriso malinconico.
Non aveva mai amato nessuno come Adrien, e non ne sarebbe più stata in grado nemmeno in futuro. Questo, il suo Nathaniel lo aveva accettato da tempo, ma sapeva anche che lei sarebbe rimasta al suo fianco. Se l’erano promessi, e insieme avevano raggiunto un’armonia invidiabile agli occhi di tutti. Non esistevano ombre o gelosia tra loro, e anche il passato era ben noto a entrambi; non c’era nulla da temere.
«Ragazzi, eccovi!» Alya, raggiante, prese per il braccio Marinette.
«Scusa Pomodorino, mi presteresti la mia testimone per qualche foto in giardino?»
La moretta annuì con entusiasmo, e Nathaniel lasciò la sua mano sorridendo a entrambe.
«Grazie al cielo era solo vino bianco,» scherzò schiacciandole l’occhio, «o nelle foto il tuo vestito sarebbe stato immortalato come un’opera di arte contemporanea».
«Cos’hai fatto con il vin… Aaaah, preferisco non sapere! E poi guardate che anche il bianco macchia, zucconi!» scosse la testa Alya rassegnata, scrutando l'amica da testa a piedi e ridacchiando. «Ogni foto verrà debitamente corretta, non temere Marinette».
«Siete davvero simpatici, entrambi!»
Marinette mugugnò ancora qualcosa gonfiando le guance, in segno di protesta, poi sorrise al compagno e si lasciò trascinare dall’amica verso il giardino del locale.
Il sole aveva ricominciato a splendere sfacciatamente. Marinette pensò che magari volesse anche lui festeggiare il matrimonio di Alya, ma tutta quella luce… le faceva un po’ male al cuore.
«Sai, all’inizio non mi convinceva, ma…» iniziò la sposina rallentando, con tono ammiccante, una volta lontane dagli invitati, «ti vuole davvero molto bene, tu sei – dio, Marinette – tu sei un incanto, lui è carino, insomma…  in fin dei conti funzionate».
Marinette ridacchiò scuotendo la testa.
«Oggi devi essere tu a ricevere le congratulazioni, non io.»
«Beh, sai, ci stavo riflettendo prima, mentre Adrien suonava…», le parole di Alya richiamarono quelle note alla mente di Marinette e il suo cuore mancò un battito, mentre l’amica continuò, «La piega che prende la vita certe volte è davvero strana. Io e Nino ci siamo innamorati in maniera molto insolita, mentre lui all’epoca avrebbe desiderato uscire con te…», Alya si interruppe per sorridere a trentadue denti, al ricordo di quell’indimenticabile pomeriggio allo zoo, «Eppure eccoci qua, al nostro matrimonio, sette anni dopo. Non è sorprendente?».
Marinette annuì, emozionata al pensiero di aver visto sbocciare e crescere l’amore tra quei due amici così importanti, e si attaccò in uno slancio d’affetto al braccio di Alya, ridacchiando.
La riccia le diede una piccola pacca sulla testa, e proseguì con il suo discorso: «E tu, invece, così innamorata di Adrien da sempre, alla fine hai ceduto al corteggiamento del tuo più affezionato spasimante. Anche tu, insomma, adesso sei al fianco di una persona che non ti saresti mai, mai, mai aspettata, finalmente adulta, dopo aver scacciato via i sogni romantici e immaturi dell’adolescenza, ma sempre pronta a fare a spallate con Chloé Bourgeois pur di prendere al volo il mio bouquet. Insomma, anche una casinista come te, grazie a quel timidone laggiù, è riuscita a trovare un po’ di stabilità. E non c’è nulla di più bello di quando la maturità e i sogni romantici, in un instante ben preciso che attendi da sempre, finalmente si incontrano e iniziano a combaciare, insomma, è da quel punto in poi che inizi a costruire… tutto, il futuro, una famiglia. E ciò avviene sempre nella maniera più inattesa. La vita è davvero sorprendente, eppure… per quanto sembri strano persino a me, forse questo era il finale più giusto per me e Nino, come lo è per te, Adrien, e Nathaniel».
Alya concluse il discorso con tono speranzoso, ma il suo entusiasmo si smorzò non appena si voltò a cercare il responso dell’amica e incontrò i suoi occhi pieni fino all’orlo di lacrime.
«Oh, cara…»
«Sembrava che stesse suonando per me, Alya, s-sembrava…»
La riccia rimase in silenzio per qualche secondo, fissandola con aria sconvolta. Poi, la trascinò per un braccio sotto un gazebo, lontano da sguardi indiscreti, e lì la strinse con tutte le sue forze tra le braccia.
Marinette continuò a singhiozzare a lungo, con il viso nascosto in quell’abbraccio e protetta dalle materne carezze di Alya, la quale, invece, aveva assunto l’espressione tormentata e colpevole di chi aveva fallito nel compito di proteggere un amico.
«Mi hai fatto pensare per tanto di quel tempo che fossi felice così… accidenti.»
A quella frase, Marinette prese un respiro profondo, cercando di parlare e riuscendoci con estrema difficoltà.
«P-perdonami Alya, non è colpa tua, ma mia, e sua, è che… era per me, capisci? Per me…»
La guardò negli occhi quasi in cerca di conferme, con disperazione. Li aveva gonfi e arrossati.
«Non so se fosse davvero per te, Marinette… ma ammetto di averlo pensato anche io, per un secondo», disse cauta, invitandola a sedersi su una sedia a dondolo, all’ombra del gazebo, e prendendole posto accanto.
«Da quando sei partita per Londra, non ho più capito molto di questa storia. Mi sono fidata ciecamente dei tuoi racconti, ma per quanto Nathaniel sia riuscita a digerirlo molto lentamente, non avrei mai potuto immaginare che, dopo tutti questi anni, ancora tu…»
«Io amo Nathaniel», mise in chiaro con decisione.
«Ma forse non ne dovremmo parlare adesso,» Marinette si alzò in piedi, asciugandosi frettolosamente le guance con il dorso delle mani, ancora tremante e con fare concitato, «non in un giorno tanto bello, e poi hai degli ospiti di là che ti aspettano, il photoset, oh cielo, non ci stavano aspettando per quelle fot-?».
Alya la trattenne con decisione per la mano.
«Scappa da chi vuoi. Da Nathaniel, da Adrien, ma… non scappare da me.»
Marinette, estenuata dall’ennesimo tentativo di nascondersi, riprese posto accanto a lei, e inspirò profondamente.
«L’ultimo anno di liceo… lo ricordi? È stato un anno meraviglioso, per quanto… complicato. Ma crescere non è mai facile, e la sua bellezza sta proprio nella sua difficoltà.
Eravamo tutti così eccitati al pensiero del futuro che ci avrebbe attesi fuori dal Lycée Dupont.
Io desideravo proseguire nel settore della moda a qualsiasi costo, era il mio sogno più grande. Ricordi il mio sketch-book? Il mio primo portfolio…
Inviai a inizio anno una lettera per richiedere un colloquio in quella prestigiosa scuola londinese, allegando i miei lavori. Passarono così tanti mesi senza che io ricevessi alcuna risposta, che dimenticai persino di averla spedita.
Poi la corsa al diploma, le liti continue, le feste e le nostre avventure quotidiane.
Ad esempio, ricordi quando…

 

 

 

 

Note dell’autrice svitata:
Non so che mi è preso, lo giuro. Anni di inattività per poi iniziare due long contemporaneamente la stessa settimana, cosa che non avevo mai fatto nella vita.
E di là c’è sempre il mio libro di anatomia I che mi ricorda che io ho un esame a inizio Settembre.
Mi sento come Tom Hanks alla fine di The Circle, quando con un sorriso serafico constata: “Siamo fottuti”.
Non so perché l’ho fatto. Ma mamma mi quanto è bono Adrien quando suona il piano, lo vediamo sempre tirare di scherma ma mai suonare il piano (o almeno, questo vale per me che di ff su Miraculous ne ho lette quattro in croce, magari qui ci si ricama assai su questa cosa ma io non lo so, e in quel caso, perdonatemi: sono semplicemente innamorata di lui come tutto il resto del fandom).
Avevo una voglia enorme di scrivere un’ AU semplice semplice di questo genere, e la cosa più grave è che mentre scrivevo mi è venuta un’idea decisamente migliore di questa – sì, sì, tutti così dicono – che mi tengo in caldo per il futuro… forse.  Se non me la dimentico prima (no, non è vero, l’ho appuntata). Comunque questa terza idea sarà certamente meno deprimente delle prime due.
(Abbasso l’allegria media della sezione, mi sa). Ovviamente dal prossimo capitolo parte il super flashback.
E’ perché ascolto canzoni tristi mentre scrivo alle tre del mattino. Stavolta, Remember When di Alan Jackson, che in realtà è un po’ malinconica ma proprio tanto dolce.

“Eh, sì, ma che c’entra con quello che hai scritto?”
Beh, domanda legittima, ma, hey, questo è solo il primo capitolo.

Al solito, fatemi notare tutto quello che non va, o quello che magari va, perché sì, un giorno di questi potrei anche scrivere qualcosa di buono (ma quel giorno non è oggi).

Grazie infinitamente per aver letto fin qui e per avermi sopportata in queste note, sono una gran chiacchierona.

Sempre grata,
Dearly B.

   
 
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