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Autore: Lupe M Reyes    08/08/2017    4 recensioni
A Blair piace fare i turni di notte alla biblioteca dell'Arca. Fino alla sera in cui il Cancelliere Jaha non si presenta alla sua porta... Per impedirgli di inviare sulla Terra John Murphy, Blair cede al ricatto e contribuisce al progetto sui Cento. Ma l'incontro con Bellamy Blake cambierà ogni equilibrio. Fino al giorno in cui non diventerà lei stessa la persona numero 101 a raggiungere la Terra.
[Arco temporale: prima stagione]
Personaggi principali: Blair (personaggio nuovo), Murphy, Bellamy, Raven, Clarke, Jaha
Personaggi secondari: Finn, Octavia, Kane, Abby, Sinclair, Jasper, Monty
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Raven Reyes
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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IL GIORNO DELLA FESTA

Raven è seduta al mio fianco e spinge ossessivamente una gamba su e giù, un piccolo tic che non la abbandona mai, in quelle rare occasioni in cui non è in piedi e in movimento.

Sta piegata in avanti, appoggiata sulle ginocchia. Ogni tanto mormora qualcosa tra sé e sé, ricapitola tutto ciò che potrebbe andare storto e tutto ciò che abbiamo congegnato per arginare gli errori.

“Mi stressa vederti così ferma. Come fai a stare calma?”,

mi accusa all’improvviso.

Sto seduta a braccia incrociate e gambe accavallate. Ho il respiro sottile e sto fissando la stessa macchia sul muro da quando ci siamo sistemate ad aspettare.

“È il mio modo di reagire all’ansia.”

“Immobilizzarti?”

“Sì. Credo che inconsciamente il mio corpo cerchi di mimetizzarsi. Dev’essere una cosa che ha a che fare col periodo in cui gli esseri umani e gli animali…”

“Blair, ti prego. Niente lezione, oggi.”

No, io e Raven non siamo diventate amiche come Bellamy aveva predetto. Siamo troppo diverse e ce ne siamo rese conto dopo un solo pomeriggio di lavoro spalla a spalla. Andiamo a due velocità differenti. Il suo cervello ha tre o quattro finestre di operazioni sempre aperte in contemporanea, come un computer. Raven lavora come le macchine che aggiusta, e credo che ne capisca profondamente il funzionamento perché sono multitasking alla stessa maniera. Io invece leggo i libri, che scorrono una parola per volta.

Ora, nella mia testa, c’è il vuoto assoluto. Non riesco più a rivedere nemmeno i passaggi del piano. A tratti, a tradimento, il subconscio mi ripropone stralci del sogno semi erotico che ho fatto poco fa sul mio migliore amico, tanto per distrarmi.

Non credo di essere davvero cosciente di ciò che stiamo per fare. Perché se lo fossi non penso riuscirei ad arrivare in fondo. Invece stanotte sono riuscita a dormire persino tre ore e ho vomitato solo due volte. Mio padre era convinto fossi incinta.

Chiudo gli occhi.

“Blair, che ore sono?”

“Sono le stesse ore di prima più un minuto, Raven.”

“Che ore sono?”

Non mi serve guardare l’orologio. Mi metto le mani sulla faccia, perché anche ad occhi chiusi c’è troppa luce in questa stanza.

“Le cinque e cinquantaquattro.”

“È in ritardo.”

“Avevamo detto alle sei.”

“Sono lei sei.”

“Sono le cinque e cinquantaquattro.”

In quello stesso istante la porta della biblioteca viene attivata dall’esterno. Bellamy entra, grazie al mio Pass. Raven scatta in piedi e lo raggiunge. Io resto fedele al mio progetto di mimetizzazione.

“Sei in ritardo.”,

lo rimprovera lei e lo sguardo di Bellamy trova subito il mio viso, al di là di Raven. Oggi non riesco a sorridere nemmeno a lui. Bellamy si concede mezzo secondo di fastidio, in reazione alla mia freddezza, per poi tornare il soldato che è.

Lo osservo con la coda dell’occhio rivolgersi a Raven e prenderla per le spalle, per poi sollevare le braccia in aria; un'imitazione ben riuscita di entusiasmo.

“Ragazze! Pronte per stasera?”

La sua voce è diversa dal solito, più alta, più leggera. Finta.

Infastidita, terribilmente infastidita, mi alzo e li raggiungo. Spero che agli occhi delle telecamere il mio scatto possa essere scambiato per eccitazione.

“Pronte! Raven è un po’ nervosa.”,

aggiungo, concedendomi un pizzico di malignità.

Alla mia destra, Raven sta cercando di decidere che espressione assumere ma è di gran lunga la meno credibile di noi.

Mi muovo di qualche passo nella sua direzione, costringendola a spostarsi per poter continuare a guardarci. Ecco, così da le spalle alla telecamera più vicina, quella dell’ufficio.

“Sì, ehm… Blair continua a dirmi che dobbiamo rilassarci ma…”

Intervengo, passandole un braccio intorno alle spalle irrigidite, che non la sto aiutando a rilassare. Non gradisce il contatto fisico. Beh, non con me, comunque.

“…ma voglio dire, siamo tutti agitati!, questa festa si fa solo una volta l’anno. È un evento!”

Lancio un gridolino da dodicenne e strapazzo quella che devo far passare per la mia amichetta del cuore. Le pizzico un fianco con due dita, ridendo. Dall’esterno, sto giocando a tormentarla, in realtà le sto intimando di dire qualcosa che si attenga alla parte. Lei sussulta e si affretta a rimediare, nel modo più convincente che le riesce:

“È che il mio costume non è ancora pronto. Sono la sarta peggiore dell’Arca.”

Bellamy ci guarda, e so che una percentuale del suo cervello sta valutando la performance, mentre l’altra prosegue lo spettacolo:

“Ci sarà pure qualcosa che non sai fare, Raven Reyes.”,

le dice, quasi bisbigliando, con lo stesso tono che mio padre userebbe con me per tirarmi su il morale. Si è sporto in avanti per poter incontrare i suoi occhi. Raven non sta riuscendo a reagire. Bellamy incrocia il mio sguardo.

“E tu?”

“Il mio costume non…”

“Ti vedi direttamente là con Ettore? O ti passa a prendere?”

Dio, ma che ha detto? Nel momento più critico della nostra vita quello tira fuori Ettore?

Siamo qui a trovarci un alibi credibile, Blake, ricordi? Siamo tre amici che vanno ad una festa.

Non siamo tre delinquenti che per salvare fidanzato/amico/sorella stanno per disattivare il sistema di telecamere della stazione spaziale, ricattare il Cancelliere e infrangere ogni legge dell’Arca. Ti sembra il momento giusto per prendermi in giro?

“E poi non è alla festa in maschera che vi siete incontrati per la prima volta?”

Ma quante righe era riuscito a leggere del mio diario? Porcaccia la miseria!

“Io e Ettore ci siamo lasciati.”

Avrei dovuto dirlo con almeno un accenno di tristezza, invece suono come se lo stessi sfidando a duello.

“Oh, davvero?”

Cerco di imitare l’espressione sbruffona di John; inclino la testa, dondolo sui talloni, alzo il mento e allungo il sorriso solo su un lato del viso.

“Sì. La mia omosessualità latente lo disturbava.”,

rispondo, dando uno schiaffo fortissimo sul sedere di Raven, che lancia uno strillo per la sorpresa.

Bellamy perde la concentrazione per un momento. Mi fissa con occhi nuovi. Scuote la testa e si impedisce di sorridermi, ma è come se lo facesse.

“Tu sei completamente pazza. Sembri normale, ma sei tutta matta.”,

dice, abbassando la voce finché non ridiventa roca e profonda.

Eccoti, sei tornato.

 

“Ragazzi, stiamo facendo tardi.”

Raven ci riporta all’ordine.

Per trenta meravigliosi secondi mi ero dimenticata di chi ero e di cosa stavo per fare. Soprattutto di quello che sto per fare. Mi rivolgo alla mia amica e sorrido a favore di telecamera:

“Ok, allora. Chiudo la biblioteca e possiamo andare. Ah, accidenti, Raven…”,

esclamo, portandomi una mano alla tempia.

“…io e Bellamy dobbiamo fare una cosa, prima. Ci vediamo direttamente alla festa tra… diciamo una mezz’ora?”

“Certo, che problema c’è?”

Raven afferra lo zaino dalla sedia dove l’aveva appeso, ne estrae un foglietto che si appoggia sullo stomaco rivolto verso di noi, nascosto da qualsiasi inquadratura possibile.

Disattivo le telecamere da cinque minuti da adesso. Da qui in poi avete trenta minuti.

“Via.”,

sbotta Raven, già con un piede fuori dalla porta, di nuovo nel suo elemento, l’azione. Corre fuori senza voltarsi indietro. Ho la sensazione di separarmi da lei per la prima volta in due settimane.

Bellamy la segue, non prima di aver cercato nei miei occhi un cenno d’assenso e aver sollevato la cassetta d’argento tra le braccia.

 

Sulla strada verso gli uffici del Governo, io e Bellamy cerchiamo di non andare troppo velocemente, per non destare sospetti. Parliamo sottovoce; mi sintonizzo in automatico sul giusto volume, come ormai mi sono abituata a fare da due settimane a questa parte.

“E quanto sei… preciso?”

“Abbastanza preciso.”

“Riesci a quantificarlo, diciamo su una scala da…?”

“Blair.”

Mi interrompe, con meno gentilezza del solito. La tensione inizia a farsi strada persino nello stomaco del soldato. Figuratevi come sta la bibliotecaria.

“Non ti ucciderò. Ho una buona mira. Mi hanno addestratro a sparare.”,

mi ricorda, sapendo che fare leva sulla razionalità è il miglior modo per convincermi di qualcosa.

“Comunque cercherò di non uccidere nessuno, nemmeno Jaha. Quanto sono buono?”

Lo chiede senza sorridere. Una parte di lui si domanda se davvero riuscirà a mantenere il controllo di fronte al Cancelliere. Puntare una pistola in testa all’uomo che ha ucciso tua madre e reso un inferno la vita di tua sorella e non premere il grilletto non si rivelerà un’impresa facile.

“Ma sappi che se qualcosa va storto io vado alla navicella.”,

aggiunge, senza nessuna inflessione nella voce.

Mi ha appena confermato che Octavia viene prima di chiunque altro, ovviamente anche prima di me. Non perderà tempo a salvarmi la vita. Lo perdono solo perché io farò lo stesso, se mi capitasse l’occasione di salvare John e sacrificare lui.

Svoltiamo a sinistra, poi a destra e poi di nuovo a destra. Siamo a solo un anello di distanza. Nessuno ci ferma. La fortuna di avere come complice una guardia è che le altre guardie di lui si fidano ciecamente.

Deglutisco, con la bocca riarsa.

“Se tutto va storto e io muoio…”

“Se va tutto storto c’è il piano B di Raven.”

“Che piano B? Raven lavora ad un piano B segreto?”

“Io so cos’è. Non è segreto.”

“Ok, non importa. Se anche il piano B va storto e io…”

“Blair.”

“Se tutto va storto e io muoio ho lasciato una lettera per i miei genitori nel cassetto del mio armadio, in camera.”

“Se tutto va storto e tu muori è probabile che morirò anche io. Oppure sarò sulla Terra.”

“Perciò la lettera per John la devi tenere tu.”

Incastro una mano nella tasca dei pantaloni e gli porgo una busta bianca. Lui guarda me, io guardo la lettera.

“Gliela darai? Per favore?”

Non mi risponde, ma si ferma per un momento. Sposta la cassetta su solo braccio, per potermi sfilare la busta dalle dita. Mentre Bellamy la fa sparire nella sua tasca, ripasso mentalmente le parole che ho scritto per John. Ho buttato giù quattro versioni di quella lettera.

“Non leggerla, per piacere.”

“Non lo farei mai.”

“Beh, il mio diario l’hai letto.”

“Non sapevo fosse il tuo diario quando l’ho raccolto, credevo fosse lavoro. È stato un errore onesto.”

“Sì, ma hai aspettato di leggerne un bel pezzo, prima di farmelo vedere...”

“No, solanto due righe. Il tempo di capire che il tuo innamorato l’hai conosciuto alla festa in maschera. La stessa che c’è oggi: il nostro super diversivo. Una bella coincidenza, no?”

Riprendo a camminare. Lui mi segue e percepisco che sta sorridendo dal suono della sua voce:

“Ehi, lo giuro. Non so nemmeno che musica suonassero, cosa fosse la sua maschera o la tua o cosa hai provato quando vi siete dati la manina.”

Ora sto sorridendo anche io, nonostante il piano suicida, le lettere, John, Bellamy e…

“Per Ettore non c’è nessuna lettera?”

Presa in contropiede, non riesco a trovare una risposta che possa avere senso. Che non mi faccia passare da pazza squinternata.

“Ettore non esiste, è solo un nome inventato…”

Bellamy prende fiato ma aspetta qualche secondo prima di parlare. Raramente ride, ma raramente è tanto serio.

“Ettore è John?”

“No, non è John.”

Mi volto verso di lui. Gli occhi di Bellamy reagiscono al contatto con i miei. La sua espressione si leviga, si fa dolce. Ci fermiamo di nuovo, senza sapere chi ha smesso per primo di camminare.

“Devi tenerlo al sicuro. John. Devi… devi tenerlo al sicuro. Per me.”,

sussurro, e non so nemmeno se la mia voce sia davvero udibile, nonostante ci siano al massimo dieci centimetri tra i nostri nasi.

“Lui è la mia Octavia.”

Non ho mai visto il suo viso da così vicino. Le macchioline scure delle lentiggini gli colorano il naso e gli zigomi, rendendo quella faccia da soldato più calda, meno affilata. Mi piace quando non indossa il cappello da guardia. I capelli gli scivolano sulla fronte in onde disordinate, lo costringono ogni tanto a passarsi una mano in mezzo ai ricci. Di nuovo mi torna quello strano languore, l’urgenza di passargli le dita tra i capelli.  

Non respiro, ho nausea, tachicardia e tanto caldo che sto sudando. Ma è comprensibile, mi sto per imbarcare in un un folle piano suicida. È questo, no?

“Promettimelo.”

“Te lo prometto.”

Stiamo per ripartire ma io inciampo su un dosso del pavimento. Bellamy mi afferra al volo per un braccio prima che sbatta la schiena contro il muro. Per fortuna teneva ancora la cassetta con una mano sola.

“Aspetta. Un passo alla volta, Blair…”

“Me lo dici sempre.”

“Eh?”

Un passo alla volta. Me lo dici sempre.”

“No, penso di avertelo detto sì e no un paio di…”

“Con gli occhi, Bellamy Blake. Tu fai succedere tutto con gli occhi, non lo sai?”

Non mi ha ancora lasciato andare e io gli dico una cosa del genere. Non che non l’abbia pensata dieci milioni di volte da che lo conosco ma non è il caso di tirarla fuori ora, il giorno della nostra probabile morte.

Sollevo il viso e un solo sopracciglio, insieme.

“Visto? Ora hai pensato Blair, smettila di fare l’idiota.”

“No, decisamente non è quello che ho pensato.”

La sua voce non è mai stata tanto profonda.

Mi guarda come se all’improvviso avesse una sete feroce. Le ossa della sua mascella si fanno visibili.

Foer, piantala o punterò su di te la pistola e non su Jaha…”

“Io non parlo così.”

“Infatti tu non parli. Basta che pensi qualcosa e ti si legge tutto qui.”,

dico, indicandogli gli occhi.

Lui mi guarda di traverso, e una fossetta deliziosa compare sulla sua guancia. Ancora non mi ha lasciata andare.

“Mi leggi?”

“Sì.”

“Come uno dei tuoi libri, insomma?”

“Sì, come un libro vero.”,

ammetto, prima di rendermene conto.

Sì, caspita. Sei un libro vero, Bellamy Blake.

Bellamy assottiglia gli occhi e piccole rughe gli si formano intorno allo sguardo. Iridi e pupille sono si confondono, nero su nero. Un luccichio furbesco gli illumina il viso.

“È un grande complimento da parte sua, signorina Foer.”

Sorride compiaciuto. Apre la mano e mi libera il braccio. Lo sguardo gli sfugge verso il basso, e prima che riesca a rimetterlo a posto si è soffermato abbastanza sulle mie labbra da farmele socchiudere, d’istinto.

È un Bellamy inedito questo; sfrontato, leggero, che… flirta? Il giorno della nostra probabile morte?

Lancio un’occhiata all’orologio e riprendo a camminare spedita. Lui mi affianca.

“Sì, signor Blake, non posso negarlo, lei è così intelliggibile.”,

gli faccio, mentre accelero il passo e lo distanzio di mezzo metro.

“Nessuna me l’aveva mai detto.”

“Perché sei sempre stato con le ragazze sbagliate.”,

dichiaro voltando il viso nella sua direzione, un attimo prima di trovarmi di fronte all’ingresso degli Uffici del Governo. Prima di entrare aspetto che lui mi raggiunga e che il suo ultimo sguardo lo tradisca e mi dica:

Hai ragione.


****
08/08/17
*Momento confessione*
Oggi è stata una giornata orrenda, coronamento di una settimana terribile. Mi sono messa al pc per scrivere, e il sollievo che mi ha dato immergermi in una storia, distrarmi, scappare altrove per un po'... Non si può descrivere.
Grazie a chi legge, a chi ha messo la storia nelle seguite, nelle ricordate, nelle preferite! Sono felice di avervi con me in questa avventura :)
A presto!,
LRM

   
 
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