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Autore: Lola1991    08/08/2017    3 recensioni
-    SEQUEL DI “From the beginning”
Thorin e Laswynn sono diventati re e regina di Erebor; gli anni del loro regno trascorrono pacifici sotto la montagna e i loro figli sono oramai grandi e pronti ad assecondare la volontà della stirpe di Durin.
La prima figlia femmina, Eriu, viene promessa in sposa al figlio di Dáin, Thorin, sui Colli Ferrosi. Dopo aver accettato questa difficile decisione, alla giovane Eriu non resta altro che iniziare una nuova vita lontana da Erebor e imparare ad essere una buona compagna e una buona moglie.
Ma accanto alla comunità dei Colli Ferrosi sorgono le terre selvagge e i villaggi di Rhûn, abitate dagli Esterling e da uomini creduti malvagi e corrotti. 
Vran, giovane cacciatore, incontrerà per caso Eriu, salvandola da una morte certa. La guerra per l’anello incombe, e il male si diffonde sulla Terra di Mezzo e sui suoi abitanti.
Ma Vran e Eriu non hanno nessuna intenzione di seguire un destino imposto da altri…
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dain II Piediferro, Nuovo personaggio, Thorin III Elminpietra, Thorin Scudodiquercia
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo XV
 

Nelle settimane che seguirono Morud ci fece sistemare in una comoda stanza accanto alla sua; le neve continuava a scendere copiosa sugli Ered Mithrin, e mia sorella aveva detto agli aiutanti dell’abitazione che ero molto malata, e aveva chiesto loro di non disturbarmi per nessun motivo.
Non avevo bisogno di una levatrice per sapere che mancava davvero poco alla nascita del mio bambino, ma non per questo mi sentivo meno angosciata. Avrei voluto avere Vran accanto, e anche le mie bambine. Nei molti momenti liberi di cui disponevo scrivevo loro lunghe lettere, in cui raccontavo quanto fossero belli i loro cuginetti e che presto le avrei raggiunte a casa con graziosi regali per tutta la famiglia.
Mano a mano che il parto si avvicinava diventavo più nervosa e taciturna, e anche il bambino sembrava in preda a uno stato perenne di agitazione: scalciava e si dimenava nel mio ventre – che forse, per lui, era davvero troppo piccolo – e non mi faceva chiudere occhio la notte.
A volte pensavo a Thorin, in guerra, e mi sentivo tremendamente in colpa per il segreto che gli stavo nascondendo, ma sapevo che lui non avrebbe mai capito: le nostre anime, fin da quando ci eravamo conosciuti, erano sempre state troppo distanti.
 
Un pomeriggio di metà febbraio mi trovavo con Morud, Bronnen e Bowed nel salotto, tutti di fronte al camino; Bronnen stava filando, mentre Morud osservava divertita il figlioletto più piccolo che le dormiva beato fra le braccia, mentre Bowed giocava poco distante. Io me ne stavo in disparte: indossavo una veste dismessa di mia sorella, sbiadita e chiaramente troppo stretta sul ventre, che mi faceva sembrare ancora più goffa; avevo le caviglie gonfie ed ero decisamente di pessimo umore.
Morud mi si sedette accanto, appoggiando il neonato nella sua culla, e ammiccando al mio ventre pronunciato.
« Non deve mancare ancora molto », disse, « Penso che potresti partorire prima della fine di questo mese ».
Le risposi con una smorfia stizzita, sentendo il bambino scalciare per l’ennesima volta.
« Attizzo il fuoco », annunciò Bronnen, alzandosi dalla sua poltrona, rischiando quasi di inciampare in uno dei legnetti con cui stava giocando Bowed.
« Bowed, perché non sposti tutta questa robaccia? », sbottò Morud indispettita. Il bambino, che aveva appena quattro anni, proruppe in un grido indignato: i pezzetti di legno con cui stava giocando erano i suoi eserciti.
« E’ quasi notte, Bowed, e i tuoi soldati dovranno rientrare nel loro accampamento », gli disse Bronnen sorridente, tornando a sedere. Imbronciato, il bambino raccolse i suoi giochi riponendoli nelle pieghe della veste.
« Quando sarò abbastanza grande per andare in guerra come mio padre? ».
« Dovrai attendere ancora », gli risposi io dolcemente, carezzandolo in volto, « quando sarai tanto alto da non perderti tra la neve! ».
« Ma io sono già alto! », rispose indignato, tirando un calcio alla sedia. « E poi qui non c’è nessuno con cui giocare, e Bedwyr dorme sempre! ».
« Tra poco potresti avere un cuginetto o una cuginetta con cui giocare », le disse sua madre, prendendolo sulle ginocchia.
Io la guardai allarmata. Aveva senso raccontare a Bowed del bambino, sapendo che non sarei rimasta lì con loro per sempre?
Bowed parve confuso quanto me, e si guardava intorno in cerca di risposte.
« Io non vedo nessun cuginetto. Dov’è? », chiese curioso.
Questa volta fui io a rispondere. « Te lo mostrerò tra qualche settimana, Bowed ».
« O tra qualche giorno », aggiunse Morud, strizzandomi l’occhio.
 
*
 
Mia sorella aveva ragione. Le contrazioni iniziarono due giorni dopo quella conversazione, nel cuore della notte. Allarmata dai miei lamenti, nonostante avessi cercato di camuffarli, Bronnen corse a svegliare e a chiamare Morud. Lei non perse tempo e venne subito nella mia camera, chiedendo a Bronnen di scaldare l’acqua e di portarci delle pezze pulite e asciutte. Il travaglio continuò senza interruzioni fino alle prime ore dell’alba, e Morud disse alle due servette della casa che per almeno due giorni non avrebbe avuto bisogno del loro aiuto, e che quindi potevano considerarsi libere di fare ciò che volevano.
Mandò però Bronnen a chiamare una levatrice che conosceva bene, e di cui – mi aveva assicurato – potevamo fidarci.
Non avevo mai sofferto così tanto, nemmeno quando erano nate le gemelle. Sentivo il bambino contorcersi e spostarsi nel mio ventre, e pensavo che non doveva essere facile nemmeno per lui, incastrato com’era in quel corpo che stava facendo di tutto per cacciarlo fuori verso il mondo.
Camminavo avanti e indietro, fermandomi e appoggiandomi alla sponda del letto quando l’ennesima contrazione mi faceva piegare in due per la sofferenza. La levatrice era molto gentile, e mi massaggiava la schiena con delicatezza, ma niente sembrava aiutarmi. Le ore passavano lentamente, e Morud lasciava la stanza solo per brevi momenti, per assicurarsi che i figli stessero bene o per allattare il piccolo Bedwyr.
Quando venne la sera, e poi la notte, senza che la situazione progredisse, era chiaro che qualcosa non stava funzionando a dovere, e - nonostante io fossi decisamente allo stremo delle forze - non mi sfuggirono gli sguardi angosciati che si scambiavano le tre donne accanto a me.
Vorrei che potesse essere qui!, pensai con rabbia, stritolando la mano di Morud mentre il bambino si contorceva dentro di me, vorrei che ogni uomo potesse vedere quanto una donna soffre per mettere al mondo suo figlio!
 
Sentii vagamente, come in lontananza, le parole della levatrice: « Le contrazioni sono rallentate, e l’utero sembra più chiuso di prima … ».
« Eriu… », sibilò sotto voce mia sorella, facendosi più vicina, « Il padre è molto più grande di noi? Quando un bambino ci mette molto a nascere, a volte, significa che è troppo grosso per la madre ».
Sapevo cosa voleva dire, in realtà, la sua domanda: il bambino non usciva perché era il figlio di un uomo, e il mio corpo non era adatto a lui. O forse era il mio corpo stesso che si rifiutava di liberarlo, perché sapevo che – una volta nato – avrei dovuto separarmene per sempre.
Ma se doveva succedere, io ero pronta a morire per quel figlio, e in un lampo di lucidità afferrai saldamente la mando di Morud nella mia.
« Dovete tagliarmi il ventre e fare uscire il mio bambino, altrimenti morirà… ».
Lei si ritrasse inorridita, con le lacrime agli occhi.
Perché non capivano? La mia sofferenza era diventata insopportabile, e volevo solo che il mio bambino nascesse sano, anche se ciò significava sacrificare la mia vita.
 
Bronnen si fece spazio vicino al letto, prendendomi il volto con entrambe le mani.
« Non morirai, Eriu, e nemmeno il tuo bambino. E’ venuto il momento di lottare… mi hai capita? ».
Il suo volto era stravolto dal dolore, ma vidi lampeggiare nei suoi occhi stanchi la luce della tenacia, e decisi di seguirla.
 
Il travaglio si protrasse per tutto il giorno successivo, e poco prima della fine del pomeriggio la levatrice mi fece inarcare la schiena, poiché diceva di vedere la curva della testa del bambino all’apertura dell’utero.
Sorretta da Morud e Bronnen, seppur sfinita, iniziai a spingere.
« Non ce la faccio! », urlavo disperata, lasciandomi cadere all’indietro.
« Invece si! », esclamò mia sorella, « Questo bambino nascerà, per Mahal! ».
Le mani della levatrice si posizionarono sul mio ventre contratto, e lo stesso fecero quelle più delicate di Bronnen. Spingevano il bambino verso il basso, e per un attimo mi sembrò davvero di sentire l’energia delle due donne attraversare il mio corpo come una scarica elettrica.
« La testa è uscita! ».
 
Digrignai i denti e resistetti alla tentazione di lasciarmi andare. Oramai era fatta: il resto del bambino uscì alla contrazione successiva, e lo sentii piangere e strillare a pieni polmoni.
Alzai il volto sudato per guardarlo e vidi mia sorella piangere: tra le mani reggeva il piccolo insanguinato, e me lo porse avvolto nelle fasce che erano state preparate.
« E’ un maschio! ».
Un maschio!, pensai stordita, mentre mi mettevano il bambino tra le braccia. Era grosso, molto più grosso di quanto era stata Aimil già a tre mesi, e mi fissava con quegli occhi ancora senza colore, mettendosi un dito in bocca.
« Come si chiamerà? », mi chiese Bronnen dolcemente, carezzando la testa del piccolo.
« Il suo nome è Vran, come suo padre ».




Eccomi! Perdono, perdono, perdono per essere sparita! Agosto è un mese incasinato, e temo lo sarà ancora di più Settembre, perché sto organizzando il mio trasferimento all'estero!
Spero di riuscire a mantenere la regolarità degli aggiornamenti... intanto vi lascio a questo nuovo capitolo!



** I momenti precedenti al parto sono ispirata alla gravidanza di Morgana la Fata, nel libro "Le nebbie di Avalon", di Marion Zimmer Bradley. Il parto è tratto dalla "Signora di Avalon", della stessa autrice.
Lola

 
   
 
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